sabato, luglio 30, 2005

MEDITAZIONE - 30/7/05

CORSERA 30-7
EDITORIALE
Petruccioli, il Cavaliere e il rebus Rai
Se sulla TV Berlusconi dovesse fidarsi di Casini, allora potrebbe un giorno anche affidargli la leadership del Polo
di Francesco Verderami
Sarà il consiglio d’amministrazione della Rai il banco di prova del partito unico di centrodestra. E se mai il nuovo rassemblement vedrà la luce, non sarà stato per il patto di palazzo Wedekind, dove ieri i leader del Polo hanno tenuto a battesimo la Costituente, ma per il modo in cui sarà gestita l’emittente pubblica di qui alle prossime elezioni. Se, dopo mesi di scontri e resistenze, Silvio Berlusconi ha dato via libera all’indicazione del ds Claudio Petruccioli al vertice della tv di Stato, è perché forse si sente garantito da un’intesa con il presidente della Camera, e dunque sembra aver dissipato l’eterno sospetto che in Rai l’Udc possa un giorno schierarsi con l’opposizione, innescando il temuto ribaltone. E’ questo l’incubo che l’ha sempre accompagnato, ancora dieci giorni fa era ossessionato dai dubbi e dai fantasmi: «Se consegnassimo la presidenza a un esponente dell’Unione, finirei ostaggio di Pier Ferdinando Casini». Dover dipendere dal voto del consigliere centrista Marco Staderini per ogni scelta nel cda lo innervosiva. Dietro il volto di Staderini, Berlusconi scorgeva nuove ombre e vecchie minacce: «E se poi decidessero di far tornare sullo schermo i Biagi, i Santoro, i Luttazzi?». Così il negoziato sulla Rai si era trasformato in uno strano gioco dell’oca, ogni casella prevedeva di tornare al punto di partenza, ogni candidato veniva bruciato. E si riprendeva sempre da Petruccioli. In suo favore si spendevano Gianni Letta e il ministro delle Comunicazioni Mario Landolfi, ma soprattutto Fedele Confalonieri. Proprio il sostegno del braccio destro del Cavaliere in Mediaset veniva usato da quella parte di centrosinistra ostile al presidente della Commissione parlamentare di vigilanza, additato sottovoce persino da alcuni compagni di partito, che dimenticavano la comune militanza e il ruolo di Petruccioli ai tempi della Svolta.
Ancora una volta Berlusconi e anti-berlusconiani si trovavano alleati sulla Rai, e il premier poteva addormentarsi tranquillo seguendo certe trasmissioni soporifere e addomesticate, senza destarsi nel cuore della notte per aver sognato «i Biagi, i Santoro e i Luttazzi». «Loro avevano il compito di farci perdere le elezioni nel Duemilauno», ha ripetuto spesso il Cavaliere agli alleati: «E anche se non ci sono riusciti, ci hanno fatto perdere molti voti». Così è andata avanti, finché centristi di sponde opposte hanno aperto uno spiraglio. Da una parte Francesco Rutelli e Franco Marini hanno lavorato perché Romano Prodi ufficializzasse la candidatura di Petruccioli, dall’altra Casini ha garantito lealtà al Cavaliere, a patto che si togliesse dalla mente quel vecchio proposito: «Se la sinistra nella passata legislatura ha fatto della Rai un soviet, perché non dovremmo farlo anche noi?».
Dev’essere, nel frattempo, costato a Petruccioli attendere «sulla graticola», dover subire certe maliziose battute per l’incontro con il presidente del Consiglio: «Comunque vada - annunciò -, la mia carriera parlamentare finirà con questa legislatura».
L’ultimo tornante per la Rai misurerà anche il grado di intesa fra il premier e il presidente della Camera. Alla vigilia di una campagna elettorale che già si mostra cruenta, ogni coalizione, ogni partito, chiede di sentirsi garantito in Viale Mazzini, di qui la lotta ancora aperta per le poltrone del direttore generale e dei suoi vice. Sarà, insomma, in quel cda che si capiranno i destini del centrodestra. E se proprio sulla tivvù Berlusconi dovesse fidarsi di Casini, allora potrebbe un giorno anche affidargli la leadership del Polo.

venerdì, luglio 29, 2005

RESISTENZA - 29/7/05

REPUBBLICA on-line 20-7
CARTA CANTA
di Marco Travaglio
Uomini veri
"Su un punto non si discute: si devono rintracciare i responsabili della morte di Nicola Calipari. Sono convinto che Bush farà di tutto per fare piena luce sull'accaduto. Il presidente degli Usa non può deludere un alleato leale".
(Silvio Berlusconi, presidente del Consiglio, 15 marzo 2005).
"E' estremamente positiva la presenza di due rappresentanti italiani nella commissione di inchiesta sulla morte di Calipari per avere una verità che non abbia dei contenuti simili alle favolette".
(Roberto Calderoli, ministro delle Riforme Istituzionali, 9 marzo 2005).
"Quello della commissione mista è un elemento nuovo, mai verificatosi prima nelle relazioni fra gli Stati Uniti e gli altri paesi. Testimonia i buoni rapporti che esistono fra i nostri due popoli e in particolare fra i nostri due governi".
(Marcello Pera, presidente del Senato, 10 marzo 2005).
"Oggi c'è una commissione mista Italia-Usa, composta da uomini di elevato prestigio che cercheranno la verità. E non ho dubbi che questa sarà l'intenzione anche degli Stati Uniti".
(Gianfranco Fini, ministro degli Esteri, 1 aprile 2005).
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APPENDICE
Tutti per Onu, Onu per tutti.
«Non saremo lasciati fuori dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Non faremo la figura che hanno fatto i governi di centrosinistra».
(Silvio Berlusconi, 28 luglio).
«Sicuramente Berlusconi è stato frainteso: l’Italia non ha mai avanzato la propria candidatura al Consiglio di sicurezza dell’Onu».
(Gianfranco Fini, ministro degli Esteri, due ore dopo l’uscita del premier)
(L’Unità 29-7, BANNER)
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LIBERAZIONE 29-7
Berlusconi avanti tutta: «L'unico leader sono io»
E la Cdl sbanda. Per An scontro solo rinviato. Casini: elezioni in aprile
Castalda Musacchio
Superate le incomprensioni? La pace con i "colonnelli" dissidenti di destra è suggellata da un diktat. Lo scontro è solo rinviato. Per ora il capo ha parlato.
Anche all'assemblea forzista escono tutti allineati al volere del Cavaliere. Riconfermata la leadership del premier per il 2006 e quel «vinceremo» che fa quasi sorridere. Parla a spron battuto il Berlusconi furioso. Tocca tutti gli argomenti: compreso quel nodo da sciogliere - la legge elettorale - che ieri è più volte stato tirato in ballo dai vari leader della lacerata Casa delle libertà. Come dallo stesso Fini. An andrà con un suo simbolo. Siamo alle battute finali. La Cdl si ricompatta sui "simboli" di facciata. Alle politiche? La casa delle libertà sembra andarci sbandando. L'unico che è convinto di vincere - "bontà sua" - è il Cavaliere.
Al consiglio nazionale forzista rilancia la sua candidatura con i soliti motteggi. Se la prende con l'euro di Prodi che «ha rovinato l'Italia».
Non manca neppure di inveire contro le elezioni truccate dalla sinistra in Puglia. Una cosa inaudita detta da un presidente del Consiglio che dovrebbe essere per lo meno garante della correttezza delle regole istituzionali. Ma per la Casa delle libertà - si sa - proprio le regole sono un'optional. Il premier trova il tempo anche per riflettere ancora sulla legge elettorale. Sul proporzionale? Ancora i se, i ma e i forse.
Forza Italia è comunque «aperta» - dice ancora Berlusconi - a una modifica della legge elettorale, ma An e Lega preferiscono limitarsi a un miglioramento di quella attuale. Lui comunque si ricandiderà e assicura che tutti ma proprio tutti sono d'accordo. Compreso l'Udc. Peccato che sia proprio Casini a fargli per primo gli auguri riconfermando da bravo democristiano che se si votasse ad aprile a questo punto sarebbe meglio. Berlusconi comunque è sicuro. La casa comune possibile. Il partito unico? Una semirealtà.
L'Italia affonda e il premier sorride. Riesce a sorridere anche di fronte al disastro. Ieri in tarda serata un vertice di governo convocato d'urgenza ha toccato vari argomenti: dalla Rai a Bankitalia. L'unica sensazione? E' che proprio la maggioranza stia andando verso una sicura disfatta.
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CORSERA 20-7
EDITORIALE
Partita chiusa solo formalmente
Per la decisione definitiva Berlusconi attende le primarie di Prodi
Massimo Franco
Stando alle parole ufficiali, la guerra di successione è già finita con la vittoria del fondatore, Silvio Berlusconi. Il centrodestra lo conferma come candidato a palazzo Chigi per il 2006. Forza Italia dice che non avrà altra guida all’infuori di lui. Pier Ferdinando Casini, presidente della Camera e uno dei potenziali eredi, gli rivolge «i più affettuosi auguri». E il governatore berlusconiano della Lombardia, Roberto Formigoni, archivia soddisfatto «l’incertezza sulla leadership». In fondo, il vertice della maggioranza, ieri sera a palazzo Chigi, sembra il suggello della reinvestitura. Eppure, basta passare dalle dichiarazioni ufficiali alle confidenze anonime per avere una prospettiva meno scontata. Berlusconi ieri ha assicurato che «per il 2006 è già da tempo tutto risolto». In realtà, un filo di ambiguità rimane: è lui stesso a volerla. Sotto voce, si spiega che la vera partita sarà giocata all’inizio di novembre, quando il centrosinistra avrà completato le primarie e confermato la candidatura di Romano Prodi. Solo allora l’attuale premier deciderà, sondaggi e umori alleati alla mano, se puntare su se stesso o su un altro candidato. Insomma, non è «tutto risolto», anche se sul nome del prescelto rimane una fitta coltre fumogena.
Ma gli auguri di Casini e il sollievo di Formigoni sono, in sé, indizi delle tensioni e delle aspettative all’interno della coalizione. Sembra che a premere perché Berlusconi non getti la spugna sia soprattutto la cerchia degli amici più stretti: quelli che paventano un’offensiva della magistratura verso un Cavaliere non più a palazzo Chigi, e nemmeno a capo dell’opposizione. Se ne sarebbe già discusso, in quello che viene definito il partito-azienda. E l’argomento è considerato tutt’altro che secondario. D’altronde, gli uomini del premier non si fidano del tutto di «eredi» scelti all’esterno. Significherebbe frustrare la nomenklatura; e trasformarsi in un esercito comandato da alleati che pensano ad un centrodestra con altri connotati, e non ad un berlusconismo senza Berlusconi, pilotato dall’attuale presidente del Consiglio. Anche per questo, una successione che veniva data per scontata fino a qualche giorno fa, adesso appare meno certa. Il fatto che il capo della maggioranza accrediti sondaggi incoraggianti per il governo, sembra un modo per legittimare il proprio operato; e per dire implicitamente che, se anche si defilasse, non lo farebbe perché obbligato da una situazione disastrosa, ma per una scelta di lungimiranza, da patriarca saggio.
E’ uno schema che Berlusconi cercherà di imporre alla coalizione; ma che non tutti, forse, accetteranno: almeno, non nel senso di avallare una continuità ritenuta perdente. La convinzione dell’Udc, ma anche di una parte di An e di singoli esponenti di FI, è che il presidente del Consiglio non abbia più la forza di trascinamento elettorale che i sondaggisti di fiducia gli attribuiscono tuttora. Eppure, un po’ come Prodi nel centrosinistra, Berlusconi non è sostituibile facilmente. Un altro candidato potrebbe terremotare un centrodestra già infragilito dalla paura di perdere; e scatenare una lotta di successione che protagonisti e comprimari della coalizione sono disposti a rimandare solo se la geografia del potere rimarrà immutata fino al voto.
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ITALIENI 29-7
Berlusconi attacca l'euro
Silvio Berlusconi ha lanciato ieri un nuovo attacco alla moneta unica. Il premier italiano ha spesso accusato l'euro di aver fatto aumentare i prezzi e danneggiato le esportazioni. Ieri ha rimproverato Romano Prodi, il suo avversario politico numero uno, di aver portato l'Italia sull'orlo del disastro accettando condizioni troppo svantaggiose per l'ingresso del paese nella zona euro. "L'euro di Prodi ci ha fregato tutti", ha dichiarato. La replica della Commissione europea è arrivata subito: "Centinaia di studi economici dimostrano che l'introduzione dell'euro ha portato grandi benefici all'economia
dell'Italia".
The Independent, Gran Bretagna [in inglese]
http://news.independent.co.uk:80/business/news/article302323.ece

giovedì, luglio 28, 2005

RESISTENZA - 28/7/05

L’UNITA’ on-line 28-7
EDITORIALE
La vergogna della legge S.P.
di Nando Dalla Chiesa
Alla fine è passata pure lei. Con il successo di pubblico (ossia di senatori e ministri e sottosegretari in aula) delle grandi occasioni, Palazzo Madama ha approvato ieri la legge ad personam più esplosiva tra quelle prodotte a grappoli dalla Casa delle libertà. È passata la legge S.P.: Salva Previti, Senza Pudore, Smonta Processi, Scaccia Pensieri, del Santo Protettore. E Senza Papà, visto che l’originario primo firmatario Edmondo Cirielli ha ritirato il suo nome dopo l’intrusione della norma Previti.
Benché le burocrazie parlamentari, con qualche crudeltà, ancora lo additino come il colpevole di una legge di cui si è vergognato lui per primo. Ripetiamolo: è una legge per abbattere i tempi della prescrizione e mandare libero Cesare Previti dai suoi guai presenti con i tribunali della Repubblica. E per mandare liberi insieme con lui -parola in aula del sottosegretario Vitali, consultare il resoconto stenografico di martedì 26, seduta antimeridiana- altri 180mila (180 mila!) imputati all'anno. Insomma, salvarne circa un milione in cinque anni per salvarne uno una volta sola. Come senso di responsabilità, e come cultura della sicurezza, e come certezza della pena, non c'è male davvero. E saranno coincidenze, ma se i giorni immediatamente successivi all’11 settembre il Senato era impegnato ventre a terra nell'approvazione del falso in bilancio, nei giorni immediatamente successivi alle bombe di Londra lo abbiamo ritrovato impegnato ventre a terra nell'approvazione della Salvapreviti. Anche questi sono titoli da esibire davanti alla comunità internazionale. Due periodi da incubo globale, due leggi personali, due urgenze assolute: le leggi medesime. Ma è questa oggi, in fondo, la cifra delle nostre istituzioni parlamentari. Ed è bene rifletterci.
E d’altra parte se per far finire un processo se ne fanno finire centoottantamila l’anno, nessuno davvero può stare tranquillo.
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LIBERAZIONE 28-7
Berlusconi contro Laterza e David Lane
“Diffamazione”
Silvio Berlusconi ha citato in giudizio per diffamazione David Lane e gli Editori Laterza per il volume "L'ombra del potere" chiedendo al Tribunale di Roma la liquidazione di oltre un milione di euro di danni morali. Ne dà notizia la casa editrice. «Il libro del corrispondente italiano dell'Economist - dichiara Laterza - ricostruisce vicende di politica, affari, corruzione e mafia degli ultimi decenni sulla base di rigorosa documentazione».
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“Berlusconi mi querela per mandare un messaggio”
(Intervista con David Lane a cura di Andrea Carugati – L’Unità 28-7)
Non c’è due senza tre E infatti, dopo le due querele per le inchieste dell’Economist, adesso Silvio Berlusconi ha querelato direttamente David Lane, il corrispondente dall’Italia della rivista britannica, per il suo ormai famoso libro «L’ombra del potere» e l’editore Laterza che ne ha curato la versione italiana uscita sei mesi fa. L’accusa? diffamazione. Oltre un milione di euro la richiesta di risarcimento per danni morali.
Alla notizia della querela David Lane non ha perso la calma. Anche se è piuttosto «scocciato» di questa ulteriore «perdita di tempo». «A 62 anni avrei altro a cui pensare, ad esempio coltivare la mia passione per il bird-watching. E invece devo ancora pensare a Silvio Berlusconi. Finito il libro speravo proprio di non occuparmene più».
-- Secondo lei perché Berlusconi l’ha querelata?
«Mi pare una strategia assai chiara: lui è ricco, può permettersi queste azioni e così manda un messaggio chiaro a tutti i giornalisti che avessero in mente di scrivere qualcosa di critico verso di lui. Eppure non sono solo i giornalisti a scrivere cose scomode sulle origini della fortuna di Berlusconi: lo hanno fatto anche i tribunali, a cominciare da quello di Palermo. A proposito: come mai non ha risposto alle domande di quei magistrati? Avrebbe potuto chiarire diverse cose a proposito della struttura della Fininvest e di certe operazioni condotte da alcune società del gruppo negli anni Settanta».
-- Sfogliando l’indice del suo libro i capitoli si chiamano Mafia, Successo, Corruzione, Potere, Complicità. Il mood non le pare un po’inquietante visto che si parla di un primo ministro?
«Il libro parla di cose che sono accadute in questi ultimi decenni in Italia. La mafia, ad esempio, c’è ancora e la sua morsa sull’economia siciliana non si è affatto ridotta. Stesso discorso per la corruzione. E Berlusconi cos’ha fatto per combattere questi fenomeni? Le rogatorie, la legge sul falso in bilancio e così via».
-- Crede che la sua parabola politica sia al tramonto?
«Non sono un politologo, ma le divisioni e i personalismi nel centrosinistra mi fanno pensare che una nuova vittoria del centrodestra sia tutt’altro che impossibile. In fondo è quello che è successo in Gran Bretagna con la Thatcher, che è rimasta al potere per 18 anni. In Italia ne sono passati solo 4...».
-- Come si immagina l’Italia dopo altri 14 anni di Berlusconi?
(sorride) «Forse i dirigenti del centrosinistra non hanno letto il mio libro...».


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MEDITAZIONE - 28/7/05

ESPRESSO on-line 28-7
Lasciate in pace i mandarini rossi
E pazienza se a forza di sprechi, di consulenze e di auto blu finirà per vincere il Pnf, il Partito della Nuova Fregatura
Giampaolo Pansa
Una Sprecopoli rossa? L'Unione di centro-sinistra alle prese con una questione morale? Ma non scherziamo! Non facciamo un favore al Berlusconi! E soprattutto non comportiamoci da quinte colonne di un nemico, il Casotto delle Libertà, proprio adesso che è in rotta. Guardate lo sfacelo del campo avversario. Fini si è dovuto liberare dei colonnelli che gli davano del malato e del matto. Follini sta mettendo all'asta le sue cinquemila cravatte per poter investire qualche euro nella campagna elettorale. Bossi fa allestire un ridotto armato nella Bergamasca dove tentare l'ultima resistenza. E Forza Italia medita una campagna di annunci economici sui giornali: 'Cercasi leader per lancio nuovo partito primavera 2006'.
Se alta è la confusione sotto il cielo del centro-destra, la situazione nel campo del centro-sinistra dovrebbe essere eccellente. E invece no!, che san Romano da Carpineti ci perdoni. Avrete di certo avuto notizia del disastro combinato dai Ds. Due politici minori della Quercia, entrambi estremisti e bolliti, tali Salvi e Mussi, andavano in cerca della notorietà perduta. Così, dopo aver circuito un ottantenne, il povero Giorgio Napolitano, hanno avuto la pensata malvagia di gettare un po' di fango contro le regioni rosse. Accusandole di spese pazze, moltiplicazioni di poltrone, stipendi d'oro, liquidazioni da nababbi, consulenze strapagate, assunzioni di parenti e amici, caroselli di auto blu, sprechi a gogò.
Il trio ha compiuto la sua mala azione con un ordine del giorno presentato al Consiglio nazionale della Quercia. E lo ha visto approvare all'unanimità. In più, Piero Fassino, sfoderando il suo tetro pallore di calvinista subalpino, ci ha aggiunto un carico da dodici. Ringhiando contro "le manifestazioni di ministerialismo e l'ostentazione del potere" di quelle giunte rosse che, sino ad oggi, sono la sua unica vera vittoria elettorale. E completando lo sconquasso con un appello "al rigore morale e alla sobrietà nei comportamenti", proprio lui che non è per niente sobrio quanto a magrezza e statura, da sempre esagerate.
A quel punto è scoppiata la terza guerra mondiale. Il Padellaro dell''Unità', in una crisi da girotondismo di ritorno, ha scaraventato l'affare sulla prima pagina del glorioso foglio dal fascione rosso. Per di più con un editoriale che sembrava la versione soft di un fondo populista di Maurizio Belpietro o di Vittorio Feltri. L'effetto è stato velenoso. Giubilo della stampa di destra, sconcerto in quella che fa da mamma alla Quercia. Per fortuna, i governatori messi ingiustamente sotto accusa si sono difesi come Dio comanda.
Piero Marrazzo, il nuovo re del Lazio, ha spiegato di aver già risparmiato ben tre milioni di euro e ha pregato i Ds di non farsi imbottire il cervello con le falsità della stampa reazionaria. Il calabrese Agazio Loiero ha liquidato l'ordine del giorno diessino come un pezzo di carta 'comico' e zeppo di 'assurde censure' autolesioniste. Il pugliese Nichi Vendola, reso ancora più forte dalla Santa Comunione ricevuta dal cardinal Ruini, ha fatto sparare una replica sprezzante. Il campano Antonio Bassolino si è chiuso in un silenzio da nume irato. Per lui hanno parlato tanti diessini napoletani: "Conoscenza incompleta e distorta dei fatti, attacco grave e inconcepibile, vergognosa associazione del nome di Bassolino alla questione morale".
I cristi in croce del regionalismo democratico hanno poi trovato un difensore supremo in Clemente Mastella. Intervistato da Angela Frenda del 'Corriere della sera', il capo dell'Udeur, appena uscito dalla sua piscina a forma di conchiglia, ha offerto il petto ignudo ai fucilieri della Quercia: "Questi piccoli Robespierre dal moralismo d'accatto, sicuri di aver già vinto le elezioni, mettono alla gogna i governatori per farli arrivare indeboliti alle trattative della post-vittoria". E ha concluso con un grido venuto da lontano: "Viva il vecchio, caro Manuale Cencelli della spartizione partitica, il massimo della democrazia!".
Ma la prova regina che l'attacco ai governatori arriva da destra l'ha fornita, senza rendersene conto, 'Il Sole-24 Ore', giornale dei padroni. Li ha chiamati 'i nuovi mandarini', ossia tali e quali i funzionari che, nell'epoca Ming, erano preposti all'amministrazione delle province cinesi. E ha spiegato che tra il 1999 e il 2004, la spesa delle Regioni è aumentata del 6,5 per cento in media all'anno, quella delle Province dell'11,5, quella dei Comuni del 4,6, sempre all'anno.
Che inutile disprezzo! Ribaltiamolo subito: ebbene sì, mandarini, ma rossi, il colore della bandiera che li ha portati alla vittoria. Onore e rispetto per loro, anche per quelli come Loiero, il cireneo della Calabria, più bianco che vermiglio. Lasciamoli lavorare in pace. E pazienza se, a forza di sprechi, di consulenze e di auto blu, finirà per vincere il Pnf. Che non è il Partito Nazionale Fascista, bensì il Partito della Nuova Fregatura. Venuta da sinistra invece che da destra.

martedì, luglio 26, 2005

RESISTENZA - 26/7/05

L’UNITA’ on-line 26-7
Sommario di I pag.
Il governo litiga sul pacchetto Pisanu e di nascosto vara lo Stato di polizia
Una norma infilata alla chetichella in un decreto omnibus conferisce poteri di polizia giudiziaria all’esercito. Soldati che, mitra spianati, controllano i documenti, fanno posti di blocco, persino possono fare irruzione nelle case per perquisirle. La maggioranza non riesce a varare un pacchetto antiterrorismo e ricorre così a una vecchia legge antimafia. Protestano Verdi e Rifondazione: «Un atto gravissimo».
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Una norma da Stato di polizia, che evoca i regimi quelli veri, oltretutto se a questo si aggiungono le norme di prolungamento del fermo di polizia giudiziaria. E che ha fatto balzare sulla sedia i deputati dell’opposizione. «È gravissimo – dice Elettra Deiana, deputata di Rifondazione della Commissione Difesa – visto che la maggioranza non riesce a produrre niente di serio né sul piano dell’analisi né su quello della strategia di contrasto al terrorismo, preferisce inserire così, alla garibaldina, una norma che militarizza il territorio e procede addirittura a una corsa alla militarizzazione estrema dando ai militari anche poteri di investigazione, cioè un ulteriore passo e pesantissimo rispetto alla 128». Anche il verde Paolo Cento ritiene la misura «di dubbia costituzionalità, introdotta surrettiziamente, con un metodo senz'altro odioso». «Eventuali poteri all'esercito per attività di ordine pubblico non possono essere discussi in provvedimenti che riguardano tutt'altra materia», dice Cento, vicepresidente della commissione Giustizia della Camera.
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CORSERA 26-7
Alle forze armate poteri di polizia giudiziaria
Norma introdotta nel decreto sulla Pubblica Amministrazione
ROMA - Poteri di polizia giudiziaria alle forze armate. È quanto prevede una norma introdotta dal Senato al decreto sulla Pubblica amministrazione, da martedì pomeriggio all'esame di Palazzo Madama. I nuovi poteri delle forze armate, prima di entrare in vigore, dovranno comunque essere approvati anche dalla Camera. Il provvedimento attribuisce alle forze armate funzioni analoghe a quelle che avevano nel 1992 durante l'operazione «Vespri siciliani» contro la mafia. Potranno quindi essere identificate persone, perquisiti mezzi di trasporto, sequestrati armi ed esplosivi eventualmente rinvenuti.
NOTIFICA ENTRO 48 ORE - Delle perquisizioni compiute i militari dovranno dare notizia entro 48 ore al procuratore il quale avrà altre 48 ore di tempo per convalidarle.
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ESPRESSO on-line 26-7
Benvenuto Grande Fratello
Telecamere ovunque, controllo delle e-mail e delle telefonate: cresce la domanda di sicurezza anche a scapito della libertà personale
Moises Naim
Se l'11 settembre ha cambiato il nostro modo di viaggiare, il 7 luglio cambierà il modo in cui i nostri governi ci osservano. Questo perché gli attacchi terroristici di Londra avranno sulle telecamere a circuito chiuso lo stesso effetto che l'11 settembre ha avuto sui metal detector e altri scanner affini: li renderà onnipresenti.
Ora, ogni città, forza di polizia e unità antiterrorismo intende ricoprire di telecamere il proprio territorio di competenza.
Questa telecamera-mania sembra peraltro non essere un'ossessione esclusivamente americana. Alcune città europee hanno già annunciato di voler impiegare maggiori investimenti per l'installazione di monitor e telecamere in luoghi pubblici. Una settimana dopo gli attacchi terroristici di Londra, l'Unione europea si è detta d'accordo a stabilire regole per l'archiviazione di e-mail e messaggi telefonici che permettano alle unità anti-terrorismo di avere accesso a informazioni di cui potrebbero aver bisogno in futuro.
Ma fra le vittime dell'ondata di terrorismo globale c'è l'impegno a proteggere la libertà civile. Sappiamo che è un istinto del tutto umano quello di anteporre la sicurezza personale alla libertà civile. La reazione degli attentati di Londra e il ruolo giocato dalle telecamere a circuito chiuso hanno confermato che la sicurezza è ciò che l'opinione pubblica desidera di più e che il solo modo di ottenerla è attraverso l'operato di governi più attenti, vigili e guardinghi, governi pronti a usare telecamere e altri sistemi di monitoraggio.
Nel romanzo di George Orwell, dal titolo '1984', uno dei protagonisti è 'Big Brother', il Grande Fratello, la metafora di un governo che osserva e spia tutto e tutti. Gli attentati di Londra del 2005 hanno fatto tornare il Grande Fratello che ci osserverà. E non solo a Londra.


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MEDITAZIONE - 26/7/05

WWW.INMOVIMENTO.IT 26-7
Un cuore rosso
di Stefano Olivieri
Che batte a sinistra, convintamente.
Che osserva il mondo quotidiano, e si emoziona davanti alla passione sincera, anche quando non somiglia alla propria.
E che avvampa invece di sdegno di fronte all’indifferenza, al cinismo, al calcolo piccolo piccolo, soprattutto quando lo trova nelle giovani generazioni. Un cuore che combatte il fascismo trasformista, elegante e telegenico dei nuovi padroni in doppiopetto, e che intende bloccare l’archeofascismo sguaiato e arrogante delle camice verdi. Quando vedo come è ridotta l’Italia io mi sento, io sono comunista, non me ne vanto e non me ne vergogno, lo sono e basta.
C’è bisogno di un cuore rosso in Italia, che scaldi l’inverno lungo e malefico di un regime sopraffatore, capace di ucciderti senza lacerarti le carni, di dissanguarti con il sorriso sulle labbra. C’è bisogno di passione politica vera, che torni a scorrere nelle vene di chi sta perdendo forza e speranza, perché l’orizzonte si è abbassato e il cielo è sempre più nero, e la terra dei sogni non si vede più da un pezzo. Ieri erano le tasse e l’inflazione, oggi è il terrorismo l’ultimo mostro alla ribalta, ma chi è disperato non fa graduatorie nella paura, chi già è alla canna del gas si attende prima di tutto una mano che gli consenta di alzarsi in piedi, con quel filo di forza che gli è rimasto. Dobbiamo trovare la forza, oggi e non domani, di tendere quella mano, di ricostruire la speranza. Perché alla fine dei conti sono sempre gli ultimi della fila a dettare la vera agenda delle emergenze italiane, e non i lanci di agenzia. Se i politici d’assalto vogliono la guerra, un grande pezzo d’Italia è già al dopoguerra, dopo essere stata in trincea per troppi anni.
Attenzione Italia.
Il governo dei Fregoli e dei saltimbanchi ha messo in vetrina l’ultimo giocattolo, la sicurezza dei cittadini. Un giocattolo vecchio per la verità, ma che con qualche armatura in più, qualche luce e qualche bottone sfavillante, adesso viene riproposto a gran voce. Basta con i poliziotti di quartiere – beato chi l’ha visti diremmo noi – adesso fate posto che arrivano i nostri, quelli veri, armati di tutto punto per fare la guerra a Bin Laden sul patrio suolo. Ne vedremo delle belle, e questo state certi sarà l’unico giocattolo in circolazione da subito, almeno fino alle elezioni della prossima primavera.
Tutte le altre promesse, l’occupazione totale, le pensioni alte, la sanità efficiente e gratuita, il fisco azzerato, le grandi opere e il ponte di Messina le vedremo a babbo morto, come si suol dire. Cioè le vedremo soltanto nella prossima legislatura, e soltanto se Berlusconi e i suoi verranno riconfermati. Come nel più consueto stile pubblicitario del quale il nostro premier ha una certa qual praticaccia, le cose non è tanto importante farle davvero, quanto prometterle bene, con tanto di faccioni sorridenti, di parate in tv, di numeroni snocciolati in fretta in tv per la gleba. Panem et circenses per tutti, mentre chi ingrassa c’è sempre e guarda caso è ben aggrappato al carro del padrone.
La nuova paura avrà certo un effetto immediato: dimagrirà definitivamente il nostro turismo, già poco competitivo da prima che scoppiasse l’ultima bomba londinese. Operatori commerciali e turistici nostrani ora piangono miseria ma hanno fatto il pieno in questi anni, in modo vergognoso e senza controllo alcuno. Raddoppio indiscriminato dei prezzi con il giochetto dell’euro omologato a mille lire, concordato fiscale per i più avidi, ogni porta è stata loro aperta e per i consumatori a reddito fisso non c’è stato scampo. Poi è arrivata la riforma fiscale del Robin Hood ubriaco e strabico – levo ai poveri e do ai ricci - e il gioco è stato completato.
Ma il cuore rosso continua a battere, come un orologio svizzero. Da troppo tempo si esercita nell’astinenza e adesso è pronto. Ha messo da parte i sacri testi di Marx e Gramsci, oggi si carica semplicemente leggendo le bollette di casa, facendo i conti che non tornano. E prepara in silenzio le sue cose, controlla meticolosamente tutto ciò che gli serve per la nuova resistenza. Niente metallo, niente fucili e passamontagna, perché la rabbia che c’è dentro è già grande a sufficienza, è già forte e possente e non ci sarà carica della polizia che potrà spegnere questa esplosione. Berlusconi di fronte al pericolo terrorista ha rifatto l’antifurto a tutte le sue proprietà, ma noi non avremo bisogno di infrangere vetri e spaccare porte per sconfiggerlo e scacciarlo. Noi non siamo terroristi, siamo cittadini italiani che semplicemente non possono più attendere. E saremo come la lava che scende da un vulcano, e tutto dissolve di fronte a se. A questo governo di saltimbanchi basterà vederci – non arroganti ma tanti, troppi – e scapperanno via mollando l’osso.

lunedì, luglio 25, 2005

MEDITAZIONE - 25/7/05

LIBERAZIONE 24-7
Un'unica scelta: far finire la guerra
di Raniero La Valle
Di questa guerra siamo solo all'inizio. La vera posta in gioco è l'accaparramento delle risorse, in un'epoca di crescente scarsità. Si combatte per la spartizione dell'eredità della terra; se questa guerra non si concluderà presto con un negoziato globale, è destinata a durare fino alla fine. Se oggi l'Islam basta a identificare il nemico, e a fornire rivestimenti ideologici al conflitto, domani entreranno in gioco altri protagonisti, e già ci si attrezza per la Cina.
La guerra in corso è stata concepita all'inizio degli anni Novanta, dopo la fine del comunismo, per decidere del nuovo governo del mondo. La scelta è stata di buttare a mare il sistema delle Nazioni Unite. Da allora la progressione è stata inarrestabile: il primo conflitto del Golfo, il ripristino della guerra già ripudiata, i nuovi Modelli di difesa che già prefiguravano nell'Islam il nuovo nemico, il conflitto iugoslavo, il mutamento della natura, dell'estensione e dei compiti della Nato, e infine il potere della spada attribuito ai soli Stati Uniti, che dopo l'11 settembre l'hanno usato per dichiarare la guerra preventiva e perpetua intitolata al terrorismo.
Ma quando la guerra è stata concepita non si pensava affatto che essa dovesse risolversi in questa tragedia anche per l'Occidente. Infatti si pensava a quattro condizioni della guerra che non si sono verificate.
1) Anzitutto la guerra doveva essere esternalizzata. Essa doveva essere combattuta solo in casa del nemico, Medio Oriente, Asia od Europa che fosse. Invece la guerra è rientrata ben presto nella sua figura abituale. Il nemico, combattuto a casa sua, viene a combattere a casa nostra.
2) La guerra doveva essere asimmetrica; dato l'enorme squilibrio militare e tecnologico delle forze in campo, doveva essere una guerra dove si morisse da una parte sola. Così non è stato. Le nuove armi suscitano sempre nuove armi, in una spirale inarrestabile. Dalle spade ai fucili, dalle bombe convenzionali alle atomiche. Qui la variante strategica è stata introdotta dagli attentati suicidi. Finora, non si è trovato l'antidoto.
3) La guerra doveva essere senza informazione o con l'informazione manipolata.
Invece si sa tutto; ci sono ancora giornalisti indipendenti in Occidente, ci sono le televisioni arabe, e c'è Internet; non c'è bisogno di imam che incitino alla lotta, basta mettersi davanti a un computer, ci ricordano da Londra, per vedere scorrere "le immagini dei corpi senza vita di musulmani massacrati da americani, britannici e russi oppure le fotografie per amatori di sado-porno scattate ad Abu Ghraib".
4) La guerra non doveva essere di civiltà o di religione; ma gli uomini, quale che sia la loro causa, combattono con la loro civiltà e la loro religione. A livello simbolico siamo ormai nel pieno di una guerra religiosa. E nessuno che si ponga una domanda sulle ragioni dell'altro. Come ha detto l'imam Omar Bakri, che a Londra è considerato un pericoloso sobillatore: "Quando un uomo decide di sacrificare se stesso facendosi esplodere, o si va alle radici di quello che si agita nella testa e nel cuore di quell'uomo, o non esisterà più un solo luogo sicuro sulla faccia della terra".
Dunque questa guerra ha già contraddetto tutte le sue premesse. Essa deve finire. Chi dice che finirà solo con la vittoria, mente e, se è al potere, deve essere mandato a casa. Se finisse con la sconfitta, sarebbe una catastrofe. Dunque, può finire solo con un negoziato. Non su piccole tregue, non di quelli che fanno i Servizi Segreti, che sono la più grande sciagura della politica moderna. Ma un grande negoziato sul futuro del mondo, sulla ripartizione delle risorse energetiche in via di estinzione, sulla convivenza giuridicamente garantita tra civiltà, religioni, ordinamenti politici e sistemi economici e sociali diversi. Si tratta di riprendere il cammino della pace e del diritto, bruscamente interrotto e rovesciato nell'ultimo decennio del secolo appena trascorso.

domenica, luglio 24, 2005

MEDITAZIONE - 24/7/05

IL TERRORISMO
Istruzioni per l’uso
Parla Danilo Zolo, docente di Filosofia del diritto internazionale all'Università di Firenze
-- Lei sta dicendo che il terrorismo è paragonabile all'invasione dell'Iraq da parte delle truppe americane?
-- Il terrorismo non è guerra, ma c'è una grave asimmetria, perchè viene qualificato come terrorista un soggetto privato, affiliato ad un gruppo con una determinata ideologia, che usa la violenza in modo indiscriminato contro i civili per terrorizzarli. Ora il problema è: non ci sono anche interventi da parte di Stati, come gli Stati Uniti, che hanno le stesse caratteristiche di un attacco terroristico? Non uccidono essenzialmente civili, come appunto fanno i terroristi?
-- Nella sentenza della gup di Milano Clementina Forleo, che qualche mese fa assolse tre stranieri di fede musulmana in base alla differenza, sostenuta dalla dottrina internazionale, tra terrorista e guerrigliero, ciò che rende terroristi non è il mezzo - la violenza - ma il fine (seminare il panico e liberare il Paese dall'occupazione sono cose estremamente diverse). Può un Paese che attacca un altro avere fini terroristici?
-- Nessuno ha dubbi che i bombardamenti inglesi su Dresda e Amburgo, alla fine della seconda guerra mondiale, siano stati atti terroristici. Churchill aveva detto esplicitamente che occorreva diffondere il terrore nelle città tedesche. Così è successo anche con le bombe atomiche americane su Hiroshima e Nagasaki. Qui si tratta di atti di guerra compiuti da Stati, che però hanno tutti i crismi di un attacco terroristico. E l'attacco statunitense a Falluja, l'autunno scorso, rientra in questa logica.
Ecco perchè parlo di asimmetria: da una parte si mette - giustamente - sotto accusa Saddam Hussein, ma capi di Stato responsabili di guerre assolutamente illegittime, che hanno provocato migliaia e migliaia di morti tra i civili, sono totalmente esenti da sanzioni penali di carattere internazionale.
-- In che modo la guerra preventiva di Bush ha lacerato il diritto internazionale?
-- La guerra preventiva nega in radice la carta delle Nazioni Unite che è tutta orientata a impedire la guerra dei singoli stati e attribuire il monopolio dell'uso legittimo della forza internazionale al Consiglio di Sicurezza. La decisione di Bush di legittimare la guerra preventiva è quindi la negazione radicale del diritto internazionale vigente.
-- Sarà dunque difficile per le Nazioni Unite arrivare ad una definizione di global terrorism, visto che dovrebbero includere anche attacchi militari di Paesi occidentali?
-- I 16 saggi nominati da Kofi Annan per la riforma delle Nazioni Unite stanno tentando di definire il terrorismo globale in modo nuovo, con l'idea di equiparare l'attacco terroristico all'attacco di uno Stato, in modo tale da legittimare una replica bellica da parte dello Stato offeso. E' ciò che hanno fatto gli Stati Uniti quando dopo l'11 settembre si sono ritenuti legittimati ad attaccare lo Stato afghano. Questo è un rischio. Comunque almeno si riconosce che ancora non esiste una definizione chiara del fenomeno nella dottrina internazionale.
-- E' giusto che Blair dica - e non è l'unico - «siamo in guerra»?
-- Che la Gran Bretagna sia in guerra è verissimo, e non a causa delle bombe nella metropolitana di Londra. Blair e Bush hanno aggredito militarmente l'Iraq, che non aveva commesso alcun crimine internazionale. E l'hanno fatto basandosi su presupposti che, come tutti sanno benissimo, erano totalmente falsi, cioé il possesso di armi di distruzione di massa. La guerra, quindi, c'è. E si tratta, ripeto, di una guerra illegittima. E' il crimine internazionale supremo, come disse il tribunale di Norimberga. Quello che dice Blair dunque non giustifica nulla.
-- Cosa significa?
-- Che chi commette un'aggressione non può esigere che i propri soldati siano tutelati dal diritto all'autodifesa. Si pensi ad esempio all'uccisione di Calipari, che stava portando in salvo la Sgrena. La pattuglia che gli sparò ha invocato la legittima difesa. Ma chi è presente in un territorio in seguito ad una guerra di aggressione non può rivendicare la legittima difesa per i suoi soldati, e questo lo stabilisce il diritto internazionale. Chi aggredisce ha invece il dovere di smettere di aggredire.
-- Come può la comunità internazionale far fronte al "global terrorism", visto che, come lei dice, è stato istigato dall'Occidente?
-- Il problema non è semplicemente normativo. E' chiaro che se siamo in presenza di rapporti internazionali nei quali una potenza - come gli Stati Uniti - gode di un potere militare, economico, politico e informatico assolutamente soverchiante perché superiore a quello di tutti gli altri Stati messi insieme, in questa condizione il diritto internazionale non può funzionare. Perché si possa riavviare un ordinamento internazionale occorre ristabilire un qualche equilibrio tra le varie potenze.
La Cina sta operando in questo senso: non solo sta emergendo economicamente, ma si sta anche armando fortemente, e infatti nei prossimi anni ci saranno delle tensioni crescenti con Pechino non tanto per ragioni economiche ma per ragioni militari. Ma questo potrebbe anche portare ad una situazione internazionale più equilibrata.
-- Cosa pensa del pacchetto Pisanu sulla sicurezza approvato dal governo italiano?
-- Tutto questo servirà a limitare pesantemente le libertà degli italiani, ma non arriverà a nessun risultato concreto sul piano della sicurezza. Finché non si capirà che alla radice del terrorismo c'è l'aggressività dell'Occidente, e finché non si capirà questo si continuerà sulla strada di misure miopi e probabilmente controproducenti.
(Intervista a cura di Laura Eduati – Liberazione 23-7)

sabato, luglio 23, 2005

MEDITAZIONE - 23/7/05

MANIFESTO 23-7
A Occidente di Oriana…
…c’è una roba di cui abbiamo già sentito parlare: si chiama “soluzione finale”
di Guido Viale
Non ho letto l'intera sequela degli scritti di Oriana Fallaci contro l'Islam e in difesa dell'ormai decaduta civiltà occidentale (il troppo stroppia) e concordo con Piero Ottone che, anche prima dell'ultimo saggio (Il nemico che trattiamo da amico, il Corriere della Sera, 16/7/2005) aveva sostenuto che quegli scritti non sono commentabili - non meritano commenti - perché non contengono argomentazioni, ma solo invettive. Essi però suscitano almeno due interrogativi: il primo riguarda il loro successo, sia tra il grande pubblico che tra un gruppo nutrito e in continua crescita di intellettuali, politici e giornalisti. Il secondo riguarda il «non detto» di questi scritti. Vale a dire: che cosa propone Oriana Fallaci? Le questioni sono tra loro connesse: il successo di quegli scritti dipende molto dal fatto che si fermano prima di tirare le conseguenze. Oriana Fallaci dà voce e veste - non certo «dignità» - letteraria a umori diffusi in una parte consistente del pubblico italiano, europeo, «occidentale»; umori che - in questo ha ragione - prima dei suoi interventi molti si sarebbero vergognati di palesare. Quali? Innanzitutto la paura del diverso e dello «straniero», acuita dalle dimensioni planetarie delle migrazioni messe in moto dalla globalizzazione del mercato del lavoro, dalla miseria e dalle guerre.
In secondo luogo la nostalgia di un'identità perduta; un'identità devastata dalla moltiplicazione dell'offerta di beni di consumo e dalla vacuità dei messaggi veicolati dai media. Poi la «rabbia» - è la malattia dei cani idrofobi - con cui Oriana Fallaci ha inteso contrassegnare la tonalità emotiva delle sue invettive, e che trova ampio riscontro nelle frustrazioni quotidiane di una vita sempre più agra imposta tanto a chi è privo di tutto quanto a chi ancora mantiene dei privilegi. Infine «l'orgoglio». Non è chiaro di che cosa sia orgogliosa Oriana Fallaci, che si vergogna della mollezza di quasi tutti i governanti e i governati della civiltà a cui sente di appartenere. Ma l'orgoglio è il segreto del suo successo: meno ci si sente considerati - e da tempo la considerazione e il rispetto riservati ai comuni cittadini stanno approssimandosi allo zero - più si persegue una rivalsa alla ricerca di qualcuno che «valga» meno di noi. E' il meccanismo fondamentale del razzismo: quello che per anni ha indotto i «bianchi poveri» degli Stati uniti del Sud a fare da punta di lancia della discriminazione razziale. Oriana Fallaci ha individuato questo «qualcuno» in un «mondo islamico» costruito a suo uso e consumo; e ad esso non lesina il suo disprezzo e aperte manifestazioni di schifo. Così insegna a tutti a essere razzisti «con orgoglio»: senza vergognarsi. Quanto al «che fare?», non è un caso che Oriana Fallaci non ne parli mai, nonostante il profluvio di parole di cui periodicamente ci inonda. A quel che fare? ha riservato un polemico accenno di sfuggita Eugenio Scalfari, quasi si trattasse solo di un paradosso: «arrestare tutti i musulmani residenti in Italia e buttarli a mare. Oppure, in alternativa, chiuderli in giganteschi ghetti da dove potrebbero uscire soltanto sotto scorta per andare a lavorare. Probabilmente Oriana Fallaci e qualche suo sodale plaudirebbero a una politica di questo genere» (la Repubblica, 17.07.05). Ma è un argomento che merita più attenzione.
L'ultima esternazione di Oriana Fallaci può essere sintetizzata in questi termini: 1) siamo (chi?) in guerra; 2) la guerra è contro l'Islam: in tutte le sue manifestazioni; 3) non esistono islamici «moderati», cioè pacifici (prima o dopo diventeranno tutti terroristi); 4) ciò dipende dal Corano, che è predicazione di odio (degli stermini ordinati dal dio della Bibbia contro i nemici di Israele non si fa parola; ci sono state sì crociate e roghi di streghe ed eretici, ma è acqua passata. E il pope che benediceva i macellai di Srebrenica?); 5) l'Islam sta invadendo l'Europa (consenzienti i suoi governanti); 6) l'obiettivo di questa invasione è il dominio del mondo (qui si sfiorano, o si superano, i Protocolli dei savi di Sion); 7) bisogna combattere. Ma come? Contro l'Islam nei paesi di origine non c'è problema. Bush ha dato l'esempio e bisogna continuare a sostenerlo: oggi in Afghanistan e in Iraq, domani in Iran, Siria, e così via; anche se i risultati di queste guerre si sono rivelati veri disastri per tutti: l'Iraq è stato trasformato in una concentrazione e in un punto di irradiamento planetario del terrorismo. Ma che fare contro l'Islam che cerca di sfondare le nostre frontiere con i permessi di lavoro o con i boat-people? Qui «buttarli a mare» significa: azzeramento dei flussi (così l'economia e la società europee vanno a fondo definitivamente: chi vorrà lavorare al posto degli immigrati?) e fuoco sulle imbarcazioni dei clandestini che cercano di sbarcare sulle nostre coste. E poi, moltiplicazione dei Centri di permanenza temporanea, che Oriana Fallaci vorrebbe trasformati in vere prigioni (ma che cosa gli manca per esserlo?) e deportazioni, individuali, come quelle della Cia verso i paesi che torturano e fanno sparire i loro oppositori; e di massa, come quelle del ministro Pisanu verso i paesi che abbandonano nel deserto gli immigrati respinti: tutte soluzioni la cui inefficacia è pari solo alla loro crudeltà.
E che fare, infine, dei dieci milioni di islamici già presenti sul suolo europeo, molti dei quali cittadini dei rispettivi Stati? Già; che farne? Non si può rimandarli nei paesi di origine: non se li riprenderebbero. Non si può «assimilarli»: non ci stanno più; meno che mai oggi, di fronte a una società che non prospetta niente di buono nemmeno ai suoi membri di lunga data. E nemmeno si può convertirli, in nome delle «radici cristiane» dell'Europa; anche loro hanno radici, che cristiane non sono. Ricordarglielo non fa che fomentare le ostilità. Bisogna però impedir loro di nuocere, tenendoli sotto controllo, perché ciascuno di loro è un potenziale terrorista. Un metodo - ma non ne vedo altri - potrebbe essere, come ipotizza Eugenio Scalfari, quello di rinchiuderli nei loro quartieri, limitando la loro possibilità di circolare liberamente tra «noi». Oppure marchiarli, magari cucendogli addosso una mezzaluna verde. Qualcosa del genere lo abbiamo già sentito, vero, Oriana? Ma alla lunga, possiamo continuare a convivere con un'intera nazione di nemici, annidati nelle nostre città, molti dei quali talmente simili a noi da raggiungere posizioni di rilievo? Non diventerà indispensabile trovare anche per loro una «soluzione finale»? Non è un'iperbole né un paradosso. Anche se evitano di nominarlo, gli scritti di Oriana Fallaci e il loro successo ci pongono di fronte a un esito possibile dei processi di globalizzazione. Certamente dobbiamo portare i seguaci di Oriana Fallaci a misurarsi con questi interrogativi. Ma con prospettive del genere dobbiamo fare i conti e definire le alternative possibili. Le risposte di comodo non sono ammesse.

venerdì, luglio 22, 2005

RESISTENZA - 22/7/05

Accadde 4 anni fa – Indro Montanelli
Il 22 luglio del 2001, a 92 anni, muore Indro Montanelli, il più celebre giornalista italiano del novecento. Chi era? Un reazionario, sicuramente un reazionario. In tutti i campi: politica, cultura, costume. Un reazionario che un po' dopo gli ottant'anni capì che la destra in Italia aveva partorito... Berlusconi. Il quale, oltretutto, era l'editore del suo giornale. Inorridì e fuggì via. La sinistra lo accolse.
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REPUBBLICA on-line 22-7
CARTA CANTA
di Marco Travaglio
Il selezionatore/2
"Il vaglio e la selezione delle nuove candidature (di Forza Italia) è stato affidato a Marcello Dell'Utri, e questo è un ritorno in piena regola allo spirito del 1994. Fu il senatore siciliano, con il supporto di Publitalia, a fare una selezione dei candidati con i metodi usati dalle aziende".
(Ansa, 31 maggio 2005).
"Per quanto attiene a Marcello Dell'Utri, la pena deve essere ancora più severa e deve essere determinata in anni nove di reclusione, dovendosi negativamente apprezzare la circostanza che l'imputato ha voluto mantenere vivo per circa trent'anni il suo rapporto con l'organizzazione mafiosa… E' significativo che Dell'Utri, anziché astenersi dal trattare con la mafia…ha scelto, nella piena consapevolezza di tutte le possibili conseguenze, di mediare tra gli interessi di Cosa nostra e gli interessi imprenditoriali di Berlusconi (un industriale, come si è visto, disposto a pagare pur di stare tranquillo)..."
(Tribunale di Palermo, II sezione penale, motivazioni della sentenza di condanna del senatore Marcello Dell'Utri a 9 anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa, 13 luglio 2005).
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L’UNITA’ on-line 22-7
Sommari di I pag.
Voto ad aprile
Ciampi smentisce Berlusconi
Per decidere la data delle prossime elezioni politiche bisogna considerare tempi e scadenze: i due mesi e mezzo circa necessari ad avere un governo nel pieno delle sue funzioni, e l'impegno a varare il Dpef entro luglio. Il voto non può slittare oltre il 9 aprile. Una presa di posizione che spazza via ogni dubbio. Casini approva e definisce la proposta «piena di buonsenso». Anche l'Unione con il Presidente. Fassino: «Sosteniamo il voto a inizio aprile». Prodi: «Se fossimo un paese normale le elezioni sarebbero già state fatte».
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Corte dei conti contro il Governo
«Seria preoccupazione per i conti pubblici»
Il Governo è stato oggetto di una dura reprimenda da parte del Presidente della Corte dei Conti, Francesco Staderini, durante il suo intervento a Palazzo Madama sul Dpef. Il magistrato contabile sottolinea come la corte sia «seriamente preoccupata» per l’andamento dei conti pubblici e lamenta sopratutto l'assenza di misure per ridurre il debito. Si attende la finanziaria, ma la richiesta di un'inversione nelle politiche economiche è evidente.
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CORSERA 22-7
Ciampi: «Riflettere sulla data delle elezioni»
Resta in piedi l'ipotesi del 9 aprile, contestata dal premier
ROMA - «Riflettiamoci». Carlo Azeglio Ciampi usa parole concilianti ma il concetto che esprime è chiaro: «Tutte le forze politiche devono avere presenti alcune scadenze in vista delle prossime elezioni politiche del 2006». Incontrando in Quirinale i giornalisti alla Cerimonia del Ventaglio, Ciampi rilancia così la sua proposta di un anticipo tecnico delle elezioni politiche, ipotesi che vede contrario il premier Berlusconi intenzionato a prolungare la legislatura fino alla sua naturale scadenza. Tanto da indicare, nel colloquio tenuto mercoledì al Colle, come data possibile quella del 7 maggio. Favorevole invece alla proposta di Ciampi è Romano Prodi che in chiusura del conclave dell'Unione ha detto: «I problemi posti dal capo dello Stato nel motivare l'ipotesi di un anticipo del voto sono profondamente ragionevoli. Chiunque andrà al governo dovrà accelerare i tempi dell'azione politica. Se fossimo un paese attento ai problemi reali, le elezioni le avremmo già fatte».
RIFLETTERE - Ciampi ha indicato il tema dell'anticipo tecnico della fine della legislatura, sostanzialmente, negli stessi termini in cui ne ha parlato nei giorni scorsi con alcuni esponenti di governo: un ragionamento che gli fa concludere che le elezioni dovrebbero svolgersi non più tardi del 9 aprile.
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IL RIFORMISTA 22-7
Berlusconi consola Tony e Cherie con ori e preziosi
Tre orologi d’oro, un paio d’orecchini con preziosi, un braccialetto di brillanti, un girocollo montato in oro bianco e platino, e una scultura. Tutto questo solo negli ultimi dodici mesi, a testimonianza della stima e dell’affetto personale che lega Berlusconi ai coniugi Blair. I munifici doni del premier italiano sono emersi nel rendiconto annuale che Downing Street - come tutti i dicasteri ministeriali e le agenzie pubbliche britanniche - deve al demanio dello Stato, rendendo pubblica la lista di tutti i regali ricevuti di valore superiore alle 140 sterline. Si intende che in caso di oggetti di valore superiore la proprietà è dello Stato, e se i ministri o lo stesso premier intendono tenere per sé il regalo in questione devono seguire un’apposita procedura di valutazione e sborsare di tasca propria l’equivalente del valore. E tutto sommato i doni berlusconiani non dovevano essere poi troppo male, perché i Blair hanno messo mano al portafoglio per aggiudicarseli personalmente al costo di 350 sterline l’uno, e lo hanno fatto solo per altri due regali ricevuti nel corso dell’ultimo anno, una brocca di cristallo offerta dal capo del governo della repubblica ceca, e un piatto di porcellana turco consegnato loro da Tayyip Erdogan.

giovedì, luglio 21, 2005

RESISTENZA - 21/7/05

REPUBBLICA on-line 21-7
CARTA CANTA
di Marco Travaglio
Il selezionatore
"Subito al lavoro in vista delle elezioni del 2006… Il vaglio e la selezione delle nuove candidature Berlusconi l’ha affidato a Marcello Dell'Utri, e questo è un ritorno in piena regola allo spirito del 1994. Fu il senatore siciliano, con il supporto di Publitalia, a fare una selezione dei candidati con i metodi usati dalle aziende".
(Ansa, 31 maggio 2005).
"Marcello Dell'Utri si adoperò per l'assunzione di Vittorio Mangano presso la villa di Arcore di Silvio Berlusconi, quale 'responsabile' (o 'fattore' o 'soprastante' che dir si voglia) e non come mero 'stalliere', pur conoscendo lo spessore delinquenziale dello stesso Mangano sin dai tempi di Palermo (ed, anzi, proprio per tale sua 'qualità'), ottenendo l'avallo compiaciuto di Stefano Bontate e Teresi Girolamo, all'epoca due degli 'uomini d'onore' più importanti di Cosa nostra a Palermo.”
(Tribunale di Palermo, II sezione penale, motivazioni della sentenza di condanna del senatore Marcello Dell'Utri a 9 anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa, 13 luglio 2005).
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La spallata finale alla giustizia
di CURZIO MALTESE
La riforma della giustizia, approvata a colpi di fiducia, è in pratica l'atto finale della legislatura. Una stagione di potere che si chiude com'era cominciata, all'insegna degli interessi personali e delle ossessioni di Berlusconi, anzitutto la vendetta sulla magistratura indipendente. I conti sono presto fatti. Come ha scritto Eugenio Scalfari la data più probabile per il voto è la prima o seconda domenica di aprile 2006, che significa sciogliere il Parlamento a metà febbraio. Appena il tempo di tornare dalle vacanze, presentare una finta finanziaria elettorale ed è subito voto. Per la verità è molto probabile che questa maggioranza trovi anche il modo, il tempo e la faccia di far passare la legge salva-Previti, ultimo tassello di una controriforma che restaura nell'Italia del Duemila alcuni suggestivi principi di giustizia medievale.
Il dimezzamento dei tempi di prescrizione, per esempio, recupera l'antico diritto di censo. Non assisteremo mai più allo scempio di un ricco processato e condannato per inezia come la corruzione di magistrati o la bancarotta fraudolenta, quando ci sono tanti poveri ancora a piede libero per crimini contro l'umanità, come fumare uno spinello o masterizzare un cd.
Si tratterà però soltanto del magico tocco finale. Il meglio, il peggio, è già avvenuto. La riforma della giustizia è al pari di altre confezionate da questa maggioranza (scuola, lavoro) una controriforma autoritaria e incostituzionale. Con in più un grado di violenza vendicativa ai limiti della paranoia. Si può scegliere, nel vasto campionario di idee copiate da Licio Gelli, ideologo di riferimento della maggioranza, quale sia meritevole di maggiore indignazione. Se la trovata umiliante del test psicoattitudinale per diventare magistrati, che forse sarebbe più utile per dirigenti di enti pubblici o consiglieri Rai. Oppure la norma ad personam per impedire a Gian Carlo Caselli di diventare procuratore generale antimafia. Per non dire dell'antico sogno da tangentisti di separare le carriere dei magistrati e sottometterle alla politica.
Il risultato immediato della controriforma sarà uno sfascio e una progressiva paralisi del sistema giudiziario. I magistrati lo hanno capito e sono già scesi in piazza a protestare come i siciliani a piazza della Memoria.
Avrebbero avuto ragione di scendere in strada anche i mafiosi, naturalmente per festeggiare, ma non lo hanno fatto. Forse non piaceva il nome della piazza. Il presidente Berlusconi, che quando deve raccontare una menzogna preferisce non moderarsi e capovolgere direttamente la realtà, sostiene che la legge sveltirà i processi. Un'affermazione interessante da parte di uno che ha speso 500 miliardi di avvocati per rallentare i procedimenti a suo carico, vanta sei prescrizioni sei e sarebbe in galera da quel dì se in Italia la giustizia avesse tempi umani. Purtroppo non è nemmeno vera. Soltanto la norma contro Caselli bloccherà decine di concorsi già indetti. Le altre leggi e leggine che compongono la lunga resa dei conti fra Berlusconi e la magistratura, dalla Cirami alla Cirielli, hanno già mandato in fumo anni di lavoro e di inchieste. La nuova riforma, con il prevedibile coronamento della salva-Previti, si tradurrà nel congelamento di migliaia di processi. E' difficile sostenere che si tratti di pura sfortuna.
La sfortuna è di aver vissuto questa triste, inutile avventura che finisce in un'altra penosa e servile barricata della maggioranza intorno agli interessi del suo capo. Non esistono rimedi, almeno da qui al voto. La palese incostituzionalità della riforma potrebbe convincere il presidente Ciampi a rinviare ancora alle Camere il testo della legge. Da un punto di vista tecnico, un secondo rifiuto alla firma sarebbe giustificato dal fatto che la maggioranza non è intervenuta su nessuno dei punti segnalati nel primo rinvio e ha anzi aggiunto qualche elemento peggiorativo. Ma il conflitto fra Quirinale e Governo crescerebbe a livelli mai neppure sfiorati.
Non resta dunque che aspettare, lasciar passare la nottata.
Nella serena certezza che se questi sono gli ultimi atti del governo, la nottata passerà presto.
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WWW.CENTOMOVIMENTI.COM 21-7
Berlusconi dixit
"Nessun pericolo. Tra gli attacchi c'è sempre un lasso di tempo"
Tra l'attacco dell'11 settembre 2001 negli Stati Uniti e quello in Spagna dell'11 marzo 2003 erano passati due anni e mezzo. Tra quello in Spagna e quello di Londra del 7 luglio 2005 erano trascorsi circa quindici mesi. Dopo aver fatto due conti, il premier Silvio Berlusconi, all'indomani dell'attacco del 7 di luglio, aveva trovato una scusa niente male da offrire in pasto all'opinione pubblica per giustificare la mancata approvazione (in realtà causata dalla guerra in seno alla sua coalizione) del pacchetto di misure contro il terrorismo.
Venerdì 15 luglio, una settimana e un giorno dopo gli attentati di Londra costati la vita a cinquantaquattro persone, il Cavaliere aveva affermato: "Non c'è urgenza (di approvare le norme anti-terrorismo, ndr), i pericoli non sono incombenti. Finora fra gli attentati c'è sempre stato un lasso di tempo. Siamo relativamente sicuri. Insisto sul fatto che non ci sia una particolare urgenza in questo momento".
Di diverso tono erano state le dichiarazioni che il capo del Governo aveva rilasciato qualche giorno prima, quando dell'approvazione delle misure anti-terrorismo ancora non si parlava.
"Serve una vigilanza attenta, nella consapevolezza che anche l'Italia è esposta - aveva affermato - che l'Italia sia in prima linea per la libertà lo sapevamo già, ne siamo consapevoli anche oggi. Siamo la terza forza impegnata in operazioni di peace keeping, siamo da sempre anche noi sottoposti a questa attenzione negativa da parte di organizzazioni terroristiche. Bush, Berlusconi e Blair sono considerate le persone più esposte ai rischi di questo tipo".

martedì, luglio 19, 2005

RESISTENZA - 19/7/05

L’UNITA’ on-line 19-7
Sommario di I pag.
E non se ne vuole andare.
Voto ad aprile, Berlusconi dice no a Ciampi
È durato un’ora e mezza il colloquio al Quirinale fra Silvio Berlusconi e il presidente della Repubblica. Ciampi chiede di anticipare il voto delle prossime elezioni politiche al 9 aprile 2006, sciogliendo il Parlamento a metà febbraio, tre mesi prima della normale scadenza della legislatura. Berlusconi resiste: «Ciampi è stato male interpretato. La data è ancora da vedere». D'Alema: «Il voto anticipato è nell'interesse dell'Italia».
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EDITORIALE
Il premier sulle macerie
di Bruno Miserendino
In politica, come insegnano gli ex democristiani che nella maggioranza abbondano, si può sempre mediare su tutto, se si è bravi. Si può ricucire, aggiustare il tiro. E far finta di essere uniti, magari votando insieme o col ricatto della fiducia una riforma che non piace a nessuno. Ma è possibile mediare sul nulla? Ecco l’interrogativo di queste ore. Berlusconi dirà che tutto va bene, ma ormai il premier nella sua ex casa delle libertà deve far fronte all’impossibile: mediare tra posizioni così distanti da apparire inconciliabili, e tenere unita una coalizione che si sta sfarinando sotto gli occhi di tutti.
Così, senza infingimenti.
Problema numero uno. Il secondo partito della maggioranza, che esprime il vicepremier, da ieri mattina è formalmente senza gruppo dirigente. Fini ha azzerato gli incarichi, ha revocato vicepresidenti e coordinatori, ha rotto definitivamente i legami politici che garantivano la stabilità del suo partito e tramite questo, dello stesso governo. Le liti nei partiti sono avvenimenti a loro modo democratici, ma quello che è accaduto ieri è senza precedenti ed è il culmine di una stagione di veleni che dentro An nessuno si è premurato o è riuscito a nascondere. Compresa l’escalation di volgarità che gli ex fedelissimi di Fini hanno espresso contro Fini medesimo. Poichè le scuse dei colonnelli ovviamente non bastano, la realtà è che il partito rischia l’implosione, e chi conosce An sa che il «chiarimento» sarà forse più doloroso della rottura di ieri.
Ma ecco il problema numero due. La Lega ha ormai intrapreso una marcia separata rispetto al resto della maggioranza, sta riprendendo in pieno la sua libertà d’azione in vista delle elezioni, crea un problema dietro l’altro (è solo di qualche giorno fa l’eurovergogna della piazzata contro Ciampi a Strasburgo), ha fatto fallire un consiglio dei ministri dedicato al tema cruciale della lotta al terrorismo, proponendo addirittura un contropiano rispetto a quello, sostanzialmente apprezzato anche dall’opposizione, del ministro Pisanu. La Lega non fa mistero di voler puntare a un obiettivo semplice: confondere l’opinione pubblica, scambiando la lotta al terrorismo per la lotta all’Islam e agli immigrati. Per il governo il danno è doppio, perchè l’asse con la Lega continua a essere il perno degli equilibri politici pensati e perseguiti da Berlusconi. Bossi, è vero, ha lievemente ammorbidito il contropiano dicendo che si può sovrapporre e non soltanto opporre a quello di Pisanu, ma ha confermato la richiesta di uscire dagli accordi di Schengen, richiesta palesemente demagogica già bocciata dal premier, e ovviamente inutile (Londra non è mai entrata negli accordi di Schengen ed è lì che i terroristi hanno colpito, mentra in Francia hanno prevalso molte motivazioni di politica interna nella decisione di uscire dagli accordi).
Problema numero tre. In questo scenario si preparano a salutare la Cdl anche quelli del Nuovo Psi. Si dirà che la collocazione a destra di un partito che si richiama al Psi era un’anomalia planetaria e che quindi prima o poi il tema si sarebbe posto. Ma intanto il nuovo Psi esprime un ministro, Caldoro, che non sarà centrale nella mappa dell’azione governativa, ma è pur sempre un personaggio che sta in un esecutivo e la prossima legislatura potrebbe appoggiare una maggioranza del tutto diversa.
Infine, ma non ultimo problema, il tema del partito unico del centrodestra. Il paradosso, che ha persino degli aspetti grotteschi, è questo: Berlusconi rischia di essere vittima proprio del suo avventato e precipitoso progetto politico. Ieri mattina Casini e Pera, ormai propiettati su altri scenari, hanno rilanciato la palla del partito unico o unitario, sostenendo che «è nato» già e che rinviare non ha più senso. La cosa chiara è che se questo partito c’è deve essere dei valori e non degli interessi e quindi il capo non può essere Berlusconi.
Finirà che il premier dovrà dire no al partito dei moderati.
Intanto si guarda intorno e vede macerie. Il guaio è che anche gli italiani, per semplice buon senso, vedono macerie e considerano inutilmente lungo il tempo che ci separa dalle elezioni.

domenica, luglio 17, 2005

RESISTENZA - 17/7/05

QUESTA GENTE PRIMA SE NE VA E MEGLIO SARA’
REPUBBLICA on-line 17-7
Finanziaria fantasma e poi la parola fine
di EUGENIO SCALFARI
SE DOVESSIMO compiere l'ingrata scelta tra i vari elementi di scollamento emersi nei giorni scorsi all'interno delle due coalizioni che si fronteggiano, dovremmo optare per la spaccatura del gruppo dirigente di Alleanza nazionale. Dal punto di vista del folclore (con rilevanti conseguenze politiche) l'esplicita maldicenza dei colonnelli di An nei confronti di Gianfranco Fini e la rabbia fredda di quest'ultimo contro i reprobi del suo partito è un episodio che non ha confronti in analoghe risse che si sono verificate nell'Udc e in Forza Italia, dove pure se ne sono viste di cotte e di crude.
L'effetto più rilevante riguarda l'immagine: quella d'un gruppo dirigente che non ha più alcuna fiducia nel suo leader ma non dispone di soluzioni alternative; un partito allo sbando, in perdita verticale di consenso e un generale senza più ufficiali né soldati, il quale riveste tuttavia un incarico istituzionale del massimo livello. Il ministro degli Esteri può essere una figura politica o un tecnico della diplomazia. Fini è stato di fatto derubricato a ministro tecnico; An non è più una risorsa della Casa delle libertà ma piuttosto una zavorra che appesantisce un percorso di per sé tutt'altro che pianeggiante.
Ma se cambiamo il punto di vista e anziché quello folcloristico badiamo soprattutto agli interessi del Paese in un momento di gravi difficoltà economiche e di seri pericoli per la sicurezza pubblica, ecco che emergono altri due fatti sostanziali verificatisi nelle ultime quarantott'ore: la decisione della Lega di bloccare i provvedimenti del ministro dell'Interno destinati a rafforzare le misure di prevenzione contro il terrorismo internazionale da un lato e il documento di programmazione economica presentato in Parlamento l'altro ieri dal ministro del Tesoro.
Francamente non saprei dire quale di queste due vicende sia la più incresciosa. Sia l'una che l'altra toccano da vicino la vita quotidiana dei cittadini poiché si tratta in un caso della sicurezza individuale e collettiva messa a rischio dagli attentati ormai "esportati" in Europa, e nell'altro del reddito, del lavoro, del risparmio degli italiani e insomma dell'allocazione delle risorse nazionali che mai come ora hanno toccato un livello così mediocre nei risultati, nelle aspettative e nel vuoto politico che le determina.
Credo che la questione economica sia di maggior rilievo sostanziale.
L'altra, della sicurezza contro il terrorismo, colpisce soprattutto l'immagine del governo e l'inanità della maggioranza che lo sostiene.
Messe insieme suggerirebbero al presidente del Consiglio di rimettere il mandato nelle mani del capo dello Stato per evidente incapacità di governare una fase così difficile della vita pubblica. Se l'opposizione fosse d'accordo, il presidente della Repubblica potrebbe decidere lo scioglimento delle Camere e le elezioni anticipate. Questo si doveva fare nel maggio scorso e questo si potrebbe fare anche ora. Ma Berlusconi non lo farà. Non è nella sua natura. Perciò la "via crucis" d'un paese senza governo è purtroppo destinata a continuare.
In realtà non per molto. Introduco qui un tema del quale finora non si è parlato ma sul quale mi consta che il capo dello Stato stia seriamente riflettendo e di cui ha già fatto cenno pochi giorni fa al ministro dell'Interno per gli eventuali adempimenti di sua competenza. Il tema è quello della data delle elezioni politiche del 2006.
Sembrano ancora lontane e invece, a ben guardare, sono già dietro l'angolo.
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La legislatura scade nel maggio del 2006. Il mandato di Ciampi scade il 13 di quello stesso mese ma per Costituzione viene prorogato fino a quando il nuovo Parlamento non sarà stato insediato e non avrà scelto il suo successore.
Infine, tanto per tener presente tutti i dati del problema, con la fine dell'anno in corso avrà inizio il cosiddetto semestre bianco, cioè l'ultimo tratto del settennato entro il quale il capo dello Stato non può adempiere che all'ordinaria amministrazione.
Ciampi è preoccupato (molto) della situazione economica nonché dello stallo europeo dopo i referendum di Francia e di Olanda. Vorrebbe dunque che il nuovo governo risultante dalle elezioni, quale che ne sia il colore, fosse nella pienezza delle sue funzioni non oltre il 15 giugno del 2006. Se così fosse, il nuovo governo sarebbe in grado di presentare nei termini previsti dalla legge il documento di programmazione economica rendendo espliciti gli obiettivi e gli impegni che si propone di raggiungere nel corso della legislatura. Ogni ritardo, nella difficile situazione economica e finanziaria in cui ci troviamo, sarebbe pregiudizievole per il Paese e Ciampi vuole rendere agli italiani l'ennesimo servizio agevolando questo scadenzario.
Ma facciamo ora il conto a rovescio. Affinché il governo che uscirà dalle elezioni sia entro metà giugno nella pienezza dei suoi poteri occorrono non meno di due mesi se non addirittura di più. Occorrono infatti i seguenti adempimenti: 1)Proclamazione dei risultati elettorali. 2)Convocazione delle Camere. 3)Elezione e insediamento dei presidenti e degli uffici di presidenza delle medesime. 4)Costituzione dei gruppi parlamentari ed elezione dei rispettivi presidenti. 5)Convocazione del "plenum" del Parlamento in seduta comune per l'elezione del capo dello Stato. 6)Elezione del capo dello Stato. 7)Dimissioni del governo nelle mani del capo dello Stato. 8)Consultazione del capo dello Stato e affidamento dell'incarico per formare il nuovo governo. 9)Accettazione dell'incarico e nomina dei ministri e dei sottosegretari con relativo giuramento. 10)Presentazione del governo alle Camere per la richiesta della fiducia. 11)Voto di fiducia.
Come si vede si tratta di un "iter" complesso.
L'esperienza dice che dieci settimane sono il tempo mediamente necessario a portarlo a termine. Se tutto procedesse senza intoppi e a passo di corsa le settimane necessarie potrebbero ridursi a otto. Appunto due mesi. Il che vuol dire che, se si vuole avere un governo nella pienezza dei poteri entro il 15 giugno 2006, bisognerà andare a votare domenica 9 aprile. Affinché questo possa avvenire il capo dello Stato deve sciogliere le Camere al più tardi entro il 20 febbraio.
Ciò significa che la discussione e il voto della legge finanziaria sarà il solo provvedimento importante che ancora resti da compiere nel prossimo autunno. Poi scenderà il sipario e comincerà la campagna elettorale vera e propria. Ma come arriveremo a quell'appuntamento?
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Se An è decotta e il suo leader politicamente azzoppato, la Lega dal canto suo gioca ormai come "cavalier seul" su tutti i problemi, perfino su quelli delicatissimi della sicurezza. Ha bloccato l'altro ieri il pacchetto Pisanu con la scusa di volere molto di più. In realtà molto di più non si può tecnicamente e politicamente fare, se non arrestando tutti i musulmani residenti in Italia con una gigantesca retata e buttarli a mare. Oppure, in alternativa, chiudendoli in giganteschi ghetti da dove potrebbero uscire soltanto sotto scorta per andare a lavorare.
Probabilmente Oriana Fallaci e qualche suo sodale plaudirebbero ad una politica di questo genere. La quale tuttavia ha il grosso difetto di essere impraticabile, checché ne pensino o ne dicano Bossi, Castelli, Calderoli, Maroni, Borghezio, Gentilini e anche il vice-premier Giulio Tremonti.
Non resta dunque che il pacchetto Pisanu, tutt'al più rafforzato dalla sospensione per qualche settimana del Trattato di Schengen. (Faccio osservare che la Gran Bretagna non aderisce a quel trattato, ma è proprio a Londra che gli attentati sono avvenuti).
Il pacchetto Pisanu non è gran cosa: prolungamento del fermo di polizia a ventiquattro ore, premio di cittadinanza per gli extracomunitari che diano informazioni utili antiterroristiche, colloqui informativi con persone sospette senza la presenza di avvocati, espulsioni più rapide per elementi ritenuti pericolosi da indagini di polizia. In realtà acqua fresca o poco più.
Ciò che serve sarebbe una più penetrante capacità investigativa sia della polizia sia dei servizi di sicurezza. Se ne parla in tutta Europa dall'11 settembre 2001, ma non pare si siano fatti grandi progressi. L'Italia è come gli altri, né meglio né peggio.
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Sul Dpef di Siniscalco non c'è granché da dire. Il ministro del Tesoro ha concordato con Bruxelles un aggiustamento dell'1,6 per cento del Pil, poco più di 18 miliardi di euro, in due esercizi. Ma a quella cifra il ministro dovrà aggiungere almeno 8 miliardi di sgravi Irap nel biennio e altri 3 o 4 per sgravi alle famiglie. Si tratta dunque di un altro punto di Pil; in totale siamo a 2,6, ma ancora non si sa se e come siano coperte le "una tantum" in scadenza entro l'anno in corso. Il ministro su questo tema non parla, ma alla prossima finanziaria dovrà riacquistare l'eloquio.
Nel frattempo lo stock del debito pubblico e i relativi oneri continuano inesorabilmente ad aumentare.
Dunque, 32 miliardi di euro, dei quali il buon Siniscalco, a quanto è dato capire, ne caricherà un terzo sul 2006 lasciando al nuovo governo post-elettorale di provvedere ai restanti due terzi oltre a tutto il resto "non detto".
Questa gente prima se ne va e meglio sarà.

sabato, luglio 16, 2005

RESISTENZA - 16/7/05

APRILEONLINE 16-7
EDITORIALE
Il Bengodi del premier
Berlusconi vede ricchezza e lusso ovunque: forse frequenta i posti sbagliati
[Nane Cantatore]
Avere un presidente del consiglio come Silvio Berlusconi presenta i suoi vantaggi: per quante sciocchezze ci si immagina possa dire, riesce sempre a stupirsi. L’ultima è quella sulla ricchezza di questo Paese, che vivrebbe nel benessere, in cui circolano auto di lusso, le autostrade e i ristoranti sono pieni, i ragazzini, almeno quelli che vanno a scuola con suo figlio, hanno due telefonini a testa. Facciamo finta che sia tutto vero: che in Italia circolino davvero più auto di lusso che nella media dei Paesi europei, che i ristoranti – e non le trattorie a basso prezzo, ma tutto quel profluvio di wine bar fighetti aperti negli anni Novanta che oggi fanno la fame – siano davvero pieni da scoppiare, che le autostrade siano un unico serpentone di lamiera senza soluzione di continuità, che i compagni di classe dell’erede siano tutti un trillo di cellulare.
Cominciamo proprio da questi ultimi: posto che i telefonini non sono esattamente un bene di lusso, la loro altissima diffusione dovrebbe comunque essere una manna per le numerose aziende italiane che li producono. Solo che non ce n’è neanche una, da quando la Telit ha raggiunto il poco invidiabile record di essere la sola azienda produttrice di cellulari ad andare a gambe all’aria. Passiamo alle auto, allora, che quelle sì sono un simbolo di lusso. Pagato a rate, magari, con soluzioni di finanziamento che, di fatto, assomigliano più al noleggio a lungo termine che all’acquisto, ma indubbiamente lussuose; solo che, quando si parla di auto, è meglio non parlare di Fiat, nome che forse una volta evocava l’industria automobilistica italiana, oggi è sinonimo di crisi. Lasciamo perdere trattorie e autostrade, che saranno pure piene oggi, ma che lo erano anche trent’anni fa, all’epoca delle gite fuoriporta e della famigliola in lieto pellegrinaggio verso le pensioni adriatiche: benessere, sicuramente, per l’Italia degli anni Sessanta che usciva dalla guerra e dalla fame, non certo per quella che dovrebbe essere un’economia pienamente sviluppata all’inizio del Ventunesimo secolo.
Al di là delle ironie, tanto facili quanto inevitabili quando si commentano le dichiarazioni dell’Unto, va detto che su una cosa il nostro ha ragione: i consumi, in Italia, tengono. Detta così sembra una buona notizia, solo che vanno aggiunti due elementi: la tradizionale scarsa propensione al consumo degli italiani, che rende difficile tirare la cinghia più di tanto, il fatto congiunturale che in questi anni si è resa disponibile una vasta gamma di prodotti ad alta tecnologia e basso prezzo (telefonini, computer, home theatre e così via), e soprattutto del fatto che questi consumi siano sostenuti soprattuto da una crescita dell’indebitamento personale. Sono anni, ormai, che il credito al consumo registra una crescita a doppia cifra (l’anno scorso è stata superiore al 14 per cento); il fatto in sé non è negativo, dato che i livelli di indebitamento degli italiani sono ancora molto al di sotto della media dei paesi europei più avanzati, ma diventa un po’ più preoccupante se, nonostante l’impennata delle rate e degli altri tipi di finanziamenti, i consumi restano più o meno stabili, anzi, tendono pure a contrarsi un po’.
Insomma, non ci si indebita per fare un salto di qualità, per investire in qualche modo sul proprio futuro, ma solo per mantenere un tenore di vita accettabile, con tutte le difficoltà che ciò può comportare. E questo ancora potrebbe andare, se questi acquisti sostenessero l’economia italiana, se il tessuto produttivo fosse in grado di soddisfare una domanda mediamente evoluta, come quella espressa dai consumatori italiani, con prodotti soddisfacenti. Se, insomma, all’accesso al credito per i consumi corrispondesse un’adeguata erogazione di credito per gli investimenti. Ma non è così, e telefonini, auto e quant’altro non sono la prova di quanto siamo ricchi e capaci di spendere, ma di quanto siamo poveri e incapaci di produrre.
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REPUBBLICA on-line 16-7
Berlusconi a tutto campo
Per oggi è così, lunedì è un altro giorno
ROMA - L'emergenza terrorismo, le divisioni nella Cdl, i sondaggi, la politica e il caroprezzi. Mattinata di esternazioni per Berlusconi, che prima di lasciare Palazzo Grazioli, a Roma, ha incontrato i giornalisti e ha subito sottolineato che "non c'è stato nessun rinvio del pacchetto sicurezza".
Nessuna emergenza. Il premier ha ribadito che al momento non c'è nessuna emergenza: "Siccome siamo convinti che non ci siano pericoli immediati, la settimana prossima lavoreremo insieme per verificare tutte le misure già in atto e vedere quali misure aggiuntive sono da prevedere". Insomma i provvedimenti antiterrorismo potrebbero essere varate la prossima settimana "e, certamente, prima della paura estiva".
Follia omicida. Il presidente del Consiglio ha poi sottolineato: "Sono misure da mettere a punto insieme ai ministri. Per essere chiari: quando c'è dall'altra parte una follia omicida che va ad esplodere contro cittadini inermi, i bersagli sono infiniti".
Come un film. Berlusconi ha anche commentato le ricostruzioni della riunione del Consiglio dei ministri di ieri. E riferendosi in particolare alle minacciate dimissioni del ministro dell'Interno Pisanu, ha detto: "Ci sono due realtà, quella che io vivo e quella che leggo sui giornali. Certe volte mi sembra davvero di vivere un altro film".
An. Silvio Berlusconi preferisce non commentare le polemiche nate in Alleanza Nazionale dopo una conversazione tra La Russa, Gasparri e Matteoli pubblicata dal quotidiano "Il Tempo", ma sottolinea che in Consiglio dei ministri "mi sembra che ci fosse un buon clima. E' stata una riunione assolutamente normale".
Primarie. Silvio Berlusconi è tornato anche sulla questione della successione: "Per quanto riguarda le primarie credo che la situazione debba essere molto chiara: 'rebus sic stantibus', cioè se questa legge elettorale rimane maggioritaria, non c'è alcun dubbio che il candidato debbo essere io, perchè così è stato deciso anche dagli altri partiti".
Partito unitario. Ma c'è anche un altro scenari: "Se, invece, probabilmente dopo le elezioni, si darà vita ad un partito unitario in quel caso scatteranno le regole democratiche per l'indicazione dei protagonisti nei vari ruoli. In quel caso e soltanto in quel caso, io sarò tenuto a confrontarmi con gli altri".
Cdl in recupero. "Siamo in una situazione non solo di recupero, ma che ci dà la certezza di una vittoria finale alle elezioni del 2006". Berlusconi cita alcuni sondaggi che " ci danno in parità o, nel peggiore dei casi, due o tre punti al massimo sotto il centrosinistra". E aggiunge : "Di ciò dobbiamo ringraziare l'opposizione e le sue divisioni".
Centrosinistra. Risponde con una battuta il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, sullo stato di salute dell'opposizione. "Sapete bene che sulle altre parrocchie non dico nulla...", spiega il premier, con un sorriso "ho già abbastanza guai nella mia - aggiunge sempre sorridente - per interessarmi a quella degli altri".
Par condicio. Il premier ha anche parlato della Par condicio. Berlusconi, spera di poter trovare il consenso per modificare la legge prima delle prossime elezioni politiche. Entro il 2006, ha detto, "dobbiamo portare a termine tutte le riforme avviate e presentate alle Camere". Berlusconi ha citato in particolare il Codice Penale, l'ordinamento giudiziario, la riforma della legge elettoralee ha aggiunto, "spero che ci sia un consenso da parte di tutti anche sulla par condicio", augurandolsi che ai partiti venga data "la possibilità di comunicare ai cittadini i programmi elettorali secondo le proprie disponibilità che sono quelle messe a disposizione sulla base del numero di voti ottenuti".
Caro prezzi. Silvio Berlusconi si dice consapevole che c'è un problema "caro prezzi", che ci sono aumenti "che fanno arrabbiare i cittadini". Come fare? "Come diceva Einaudi: fare gli acquisti solo dove si trovano i prezzi più convenienti". Per il premier "ci sono alcuni prezzi, soprattutto dei pubblici esercenti, che sono induttivi di una percezione di carovita che poi, invece, guardando all'Istat, nella generalità dei prodotti non esiste. Probabilmente - ipotizza il presidente del consiglio - noi abbiamo un incremento delle aspirazioni al consumo che è dovuta al fatto che siamo in una
società del benessere".
Redditi. Per il premier "in alcuni casi i redditi non sono aumentati in maniera tale da consentire anche quei consumi che ormai sono ritenuti correnti". Silvio Berlusconi ritorna sulla regola di Einaudi: "Mi hanno accusato di dire che l'euro si combatte con i piedi, era Einaudi a dire che non ti devi fermare laddove il prezzo non è conveniente, ma devi cercare l'offerta dove c'è il prezzo che ti sembra più basso".
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CITAZIONE
ERA previsto che il Dpef sarebbe stato vago e insufficiente a illustrare i provvedimenti chiave che dovranno essere presi con la legge finanziaria. Le attese sono state rispettate: il documento contiene alcune previsioni non chiaramente dimostrate e una serie di cenni a provvedimenti dei quali non risulta evidente l’articolazione e la consistenza. Se in un’impresa privata molto indebitata l’amministratore delegato non è in grado di presentare in tempo un piano di strategia economico-finanziaria a medio termine che sia comprensibile e condiviso dai suoi azionisti e creditori, deve dare le dimissioni. La credibilità, che è cosa preziosa anche per l’educazione dei figli e la conduzione di un’impresa, è indispensabile per la politica economica. Se non c’è credibilità anche una buona misura rischia di impantanarsi nello scetticismo generale.
(Franco Bruni – La Stampa 16-7)
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IL RIFORMISTA 16-7
EDITORIALE
Il terrorismo è alle porte
Il governo alla porta
Se uno si domanda a che serve, in fondo, un governo, di sicuro si risponderà: per prendere decisioni rapide in tutti quegli ambiti in cui lo Stato può far qualcosa per il benessere dei cittadini. Oggi sappiamo tutti qual è l’ambito in cui il benessere die cittadini è più direttamente minacciato: dal Sismi al ministro degli interni, ci è stato detto che «il terrorismo bussa alle porte dell’Italia», che stanno per colpirci, che ci sono cellule già pronte a farlo, che non sappiamo né quando né dove né come ma siamo certi che lo faranno, che l’Italia è il paese più a rischio dopo Londra. Il ministro degli interni va in Parlamento ad annunciare quello che andrebbe fatto subito per adeguare la capacità dello Stato di proteggere l’incolumità dei propri cittadini; l’opposizione, per una volta, dice che va bene; Berlusconi fa mettere i fondi necessari nel Dpef; il governo si riunisce per vararle. Ma, sul più bello, il pacchetto che fino a un momento prima era urgente, indispensabile, essenziale, viene rinviato. E da qui al prossimo giro, già si ipotizza una trattativa e perfino un famigerato vertice tra i quattro partiti della maggioranza, manco la sicurezza dei cittadini fosse la cabala della finanziaria, per garantire uno scambio equo tra i feudatari della ex maggioranza di governo e dare un contentino alla campagna elettorale della Lega.
Di fronte a prove come queste, che chiamano in causa la capacità stessa del governo di proteggere la comunità nazionale, viene da chiedersi se non sia davvero giunto il momento di mettere fine all’agonia di un governo che non c’è più.

venerdì, luglio 15, 2005

RESISTENZA - 15/7/05

L’UNITA’ on-line 15-7
BANNER
«L’Italia vive nel benessere. I miei amici imprenditori mi dicono che fanno utili e non licenziano, in classe di mio figlio i ragazzi hanno due telefonini a testa, le autostrade sono piene, circolano molte auto di lusso»
Silvio Berlusconi, 14 luglio 2005
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ITALIENI 15-7
Il Dpef pensando al voto
Il governo italiano ha illustrato ieri il documento di programmazione economica e finanziaria (Dpef) che contiene le misure da adottare nei prossimi due anni per ridurre il debito pubblico. L'Italia punta a far scendere il deficit sotto al 3 per cento del pil entro la fine del 2007 – un obiettivo che il premier Silvio Berlusconi ha definito "fattibile" e che è in linea con gli impegni presi con Bruxelles. Tuttavia la campagna elettorale pesa sulle scelte della maggioranza, che i sondaggi indicano in forte calo: la maggior parte degli impegni sono stati rimandati a dopo le elezioni di maggio.
Financial Times, Gran Bretagna [in inglese]
http://news.ft.com/cms/s/d11d05e2-f4cc-11d9-9dd1-00000e2511c8.html
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APRILEONLINE 15-7
Dpef delle favole - Per Berlusconi l'Italia è un paese ricco
L'unico problema, dice il premier, è l'evasione galoppante - La causa che s'accorge dell'effetto
[Carmen Ruggeri]
Ottimista. Dimentica i numeri e fa della matematica la sua opinione. Racconta di un'Italia dominata dal benessere, da aumenti degli standard di acquisti e da imprese che fanno utili e non licenziano. Quello che Silvio Berlusconi ha descritto al vertice con le parti sociali sul dpef è un paese dove “le autostrade e i ristoranti sono pieni” e circolano “auto di lusso”. “Bisogna essere ottimisti”, ha ammonito, ad esempio – dice – “in classe di mio figlio ci sono ragazzi con due telefonini testa”. Ma qualche aggeggino elettronico non basta ad attutire le continue bacchettate di Bankitalia, dell'Ocse e dell'Istat. Sì, lo ammette: un problema c'è. L'evasione delle tasse registra un “escalation impressionante”, è questo il motivo. Così, visti i conti in rosso, il premier dimentica i tempi (solo un anno fa) in cui considerava “moralmente giusto non pagare le tasse quando sono eccessive” e dichiara “guerra all'evasione”. Il governo, fa sapere, farà di tutto per contrastarla.
Scettico, manco a dirlo Antonio Di Pietro, che a proposito del soliloqui berlusconiano in tema di finanza pubblica commenta: “Ha ragione Berlusconi quando dice che l'evasione fiscale è intollerabile, ma ha torto quando si dimentica di dire che si dovrebbe cominciare a combatterla partendo da casa propria. Non a caso – continua il presidente dell'Italia dei Valori – il suo gruppo è sotto processo per evasioni molto ingenti, che da sole, se pagate, aiuterebbero a risollevare le casse dello Stato. Dire agli altri di pagare le tasse non facendolo ed essendo per giunta il Presidente del Consiglio, è una presa in giro ed un'offesa all'intelligenza degli italiani." Secondo Pecoraro Scanio, invece, ieri il premier avrebbe “scoperto l'acqua calda”. “Dopo quattro anni di lassismo e talvolta di aperta giustificazione – afferma il presidente dei Verdi – Berlusconi ammette finalmente che il livello d'evasione in Italia è allarmante e va combattuto. È un bel passo avanti, ma anche un'affermazione che si presta alla facile ironia di chi sostiene questa tesi da anni. Verrebbe da dire: buongiorno premier. Ora sarebbe – conclude - il momento di passare ai fatti, ma da un governo che h fatto dell'illegalità, basti pensare ai condoni e alle innumerevoli norme ad personam, ci attendiamo ben poco, anzi nulla”.
Il governo punterà a limitare al 2% la crescita della spesa nel 2006. La manovra, poi, fa sapere il premier “non sarà di restrizione, ma di sviluppo”. L'ottimismo made in Arcore lascia però indifferenti i sindacati: “Non siamo in grado di dare giudizi definitivi su questo documento – commenta il segretario della Cisl, Savino Pezzotta – anche se per la prima volta dopo tanto tempo il governo riconosce la gravità della situazione economica del paese”. “E' un documento quadro che passa da una premessa concreta: il 2005 è stato uno dei peggiori anni della storia del paese, perché avremo crescita zero e aumento del debito”. Una realtà “cui ha contribuito la politica economica del governo". Insomma, conclude Epifani “un documento problematico se non aleatorio”.
Intanto Berlusconi non esclude la sua leadership e le primarie
"Nessun problema di leadership", ha assicurato ieri Berlusconi, che ha dato anche il via alle primarie per scegliere il leader del partito unico di centro-destra. "La nuova formazione politica - ha dichiarato il primo ministro - assicurerà regole democratiche e vedremo insieme come scegliere la leadership, probabilmente anche attraverso elezioni primarie". Berlusconi ha anche dato la conferma dell'adesione di Fi alla costituente, che avrà luogo entro questo mese e che il Consiglio nazionale di Fi si riunirà il 28 luglio. E intervenendo al convegno della Fondazione Liberal, Berlusconi ha ribadito di essere "una risorsa a disposizione dei moderati e del Paese", e inoltre che se "si parla di primarie o di indagini da fare sugli elettori - ha dichiarato - lo vedremo insieme. Ci sono tanti modi per consultare gli elettori, tra cui le primarie, io non le escludo". Nel mirino anche lo stesso sistema elettorale, che sicuramente verrà modificato. "Il sistema elettorale attuale certamente dovrà essere modificato, perchè ha appalesato diversi e gravi difetti. A questo stiamo lavorando, non c'è da scartare in partenza nessuna ipotesi, sicuramente con una riforma in senso proprozionale, già entro la fine di questa legislatura, non escludo l'ultilizzo di alte tecnologie per evitare brogli". Queste le parole di Silvio Berlusconi con le quali ha aderito alla Costituente ed ha chiuso i lavori del convegno sul soggetto unitario del centrodestra organizzato ieri dal Comitato di Todi.
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STAMPA 15-7
EDITORIALE
Correzione di rotta
di Mario Deaglio
Le dichiarazioni del presidente del Consiglio sulla nuova priorità che sarà data alla lotta all'evasione segnano un marcato cambiamento nella strategia fiscale del governo, impegnato nella stesura finale del Dpef. Un anno e mezzo fa, infatti, lo stesso presidente del Consiglio aveva fornito un’implicita giustificazione all’evasione, dichiarando che, quando il carico fiscale è elevato, non è immorale evadere le imposte. Nel frattempo la pressione fiscale non è diminuita, ma anzi è leggermente aumentata, eppure l'evasione, ieri definita «non immorale», oggi viene ritenuta «intollerabile».
Pur nella brevità di una dichiarazione estemporanea, il messaggio che deriva da questo cambiamento di giudizi è molto chiaro: le imposte potranno essere ridotte (uno dei punti chiave del programma del governo) solo se gli italiani smetteranno di autoridursele con l’evasione.
Se dai contribuenti nel loro complesso si passa alle singole categorie, è chiaro che la riduzione dell’evasione deve essere ottenuta mettendo sotto indagine soprattutto i lavoratori autonomi, e in particolare i liberi pro- fessionisti, e certi settori di piccola impresa, che hanno le maggiori possibilità (accentuate da vari provvedimenti adottati fino a circa un anno fa) di sottrarre parti cospicue dei loro redditi allo sguardo del fisco. Su questi redditi deve compiersi gran parte dell’aggiustamento richiesto dall’Europa.
Il governo viene in sostanza gradualmente spinto, dagli sforamenti del patto di stabilità e dalle pressioni europee, a politiche che non gli sono congeniali - il che pone un problema di credibilità - e il cui disegno complessivo non appare ben definito.
Ci si trova quindi al punto di partenza, con la necessità di spingere subito sull’acceleratore per facilitare l’uscita dalla recessione stessa e l’impossibilità concreta di farlo. E non può essere d’aiuto la descrizione, da parte dello stesso premier, di un’Italia ricca «con due telefonini a testa»; quest’immagine si applica sicuramente solo a una parte degli italiani e chi ci garantisce che uno di quei due telefonini non sia frutto dell’evasione fiscale?

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MEDITAZIONE - 15/7/05

MANIFESTO 15-7
Il piatto indigesto
di Giulietto Chiesa
Sì, Berlusconi è cotto, i topi abbandonano la nave. Il problema è chi verrà dopo di lui e come se ne andrà. Cioè dove andrà. Dopo Londra (ma anche prima) in molti avevano la sensazione che l'Italia stesse imbarcandosi per un giro sulle montagne russe. Adesso ne siamo certi. E una nave scassata come questa Italia potrebbe rovesciarsi. Come minimo c'è il rischio che qualcuno cada in mare, sbalzato da un'onda traditrice. Intanto prendiamo atto che tutto lo schieramento di destra invoca, in varia misura, misure eccezionali «contro il terrorismo», le quali si traducono quasi tutte, invariabilmente, in riduzioni delle libertà civili dei semplici cittadini. E poiché anche una parte della sinistra istituzionale si sta imbarcando nella stessa direzione, saremo costretti a incassare il colpo. Logica illogica, ovviamente, perché non si vede come mai dovremmo copiare il Patriot Act di George Bush proprio quando - Londra docet - esso mostra clamorosamente il proprio fallimento. Così balleremo al ritmo deciso dai direttori della «Grande Orchestra del Terrorismo Internazionale». Strano terrorismo, sempre più strano, che appare sempre quando serve politicamente alle forze reazionarie di ogni latitudine e longitudine. Vale per l'11 settembre così come per l'apparizione ieratica del simulacro di Osama bin Laden proprio alla vigilia del voto presidenziale del 2004, che garantì all'Imperatore la sua prima vittoria legale (essendo stata illegale la precedente).Vale anche per questo luglio londinese che segue il momento di più profondo distacco tra Europa e Stati Uniti, sancito dai referendum europei di Francia e Olanda. I quali hanno detto seccamente alle leadership europee che i popoli della vecchia Europa non vogliono diventare americani.
Le esplosioni di Londra stanno già servendo come squilli di tromba per raccogliere di nuovo le truppe sparse dell'Occidente sotto le insegne dell'Impero. Londra ci dice dunque molte cose. Per esempio che il cammino da qui alle prossime elezioni sarà contrappuntato da esplosioni e imboscate. Guai, dunque, a chi farà analisi statiche di una situazione dinamica. L'errore sarebbe certo. Come lo è quello di coloro che spaccano il capello in quattro, tutti i giorni, con o senza primarie, straparlando dei rapporti di forza interni al centro-sinistra e dimenticandosi del contesto internazionale.
Faccio un esempio. C'è qualcuno che si è chiesto com'è vista a Washington la candidatura di Romano Prodi? Se pensiamo che il potere dell'Imperatore sia ininfluente possiamo fermarci qui. Ma, se non lo pensiamo, allora procediamo nel ragionamento. Dunque chiediamoci: sarà lieto Bush di avere a capo dell'Italia, liberata da Berlusconi, colui che era alla guida dell'Europa mentre l'Europa divergeva dagli Usa sulla guerra irachena? Sarà lieto l'Imperatore di avere l'Italia con un governo guidato da un uomo che ricollocherebbe il nostro paese sull'asse che va da Berlino a Madrid, passando per Parigi, rilanciando l'Europa che Bush e Blair vorrebbero prostrata e subalterna? Penso all'uscita di scena di Berlusconi e mi viene in mente quella di Eltsin. Fu costretto ad andarsene quando era ormai impresentabile. Ma i manovratori gli garantirono un'uscita indolore e si garantirono un sostituto che dava loro garanzie adeguate.
Naturalmente può succedere che certi calcoli, poi, risultino fallaci. Ma questo non significa che non siano stati fatti. Oggi (dopo la squillante vittoria alle regionali) gli abbracci inopinati tra Berlusconi e De Benedetti, le scalate improvvise, le Opa sorprendenti, i «guastatori per conto terzi» che si materializzano all'interno stesso del centro-sinistra dicono che in cucina si prepara un brodo indigesto. La ricetta è il prodotto di molte mani, italiane e straniere. Se non vogliamo mangiare quel piatto, organizziamoci.