sabato, aprile 30, 2005

MEDITAZIONE - 30/4/05

CORSERA 30-4
Berlusconi risuscita il Partito Unico
Tale era il PNF di Mussolini, tale era il partito nazista
di Giovanni Sartori
Più di sessant’anni dopo la sua benemerita sepoltura il «partito unico» è stato inopinatamente risuscitato da Berlusconi e dai media. Nella teoria della politica il partito unico è il partito che sopprime tutti gli altri partiti, e dunque il partito dei sistemi dittatoriali. Tale era il Pnf (non svelo ai giovani l’arcano di cosa fosse), tale era il partito nazista.
Confesso che a me questa riesumazione fa un po’ specie. Mi fa lo stesso effetto di un parco di divertimenti che venisse chiamato «parco olocausto». Sentimentalismi a parte, il fatto è che usare questa dizione per denotare una cosa diversissima -- la necessità di porre fine alle «coalizioni millepiedi» -- è una partenza sbagliata che imposta male il problema.
Il nostro problema è che abbiamo costruito un bipolarismo demenziale fondato, dicevo, su coalizioni millepiedi. E dunque il nostro problema è di arrivare -- visto che siamo in democrazia -- a coalizioni di governo omogenee di due-tre partiti. Come si fa? È di tutta evidenza che il nostro Cavaliere ancora non lo sa. Ha raccontato che la Thatcher «ci ha messo quattro anni per capire i problemi e per trovare soluzioni». Orbene, Berlusconi ha già avuto più di quattro anni per capire e resta nondimeno all’anno zero della Thatcher.
Al Senato il Nostro ha impostato il problema così: che dobbiamo cambiare il nostro sistema elettorale; ma che se pensiamo al proporzionale, allora deve essere tale «in modo integrale»; e a questa soluzione osta «l’esperienza del passato con tanti governi che sono durati in media undici mesi». Dunque a Berlusconi tuttora sfugge che non esiste soltanto la proporzionale «integrale» che porta alla instabilità dei governi, ma che esistono anche sistemi proporzionali che producono sistemi di due-tre partiti (vedi Spagna e Germania) e governi stabilissimi.
Riprendo a citare: se vogliamo invece conservare il maggioritario, allora «non possiamo andare avanti con l’ibrido» di un sistema parzialmente proporzionale «per cui ogni partito è costretto ad accentuare, in occasione delle elezioni, la propria identità». Ora è sacrosanto che il nostro ibrido (il Mattarellum) sia da eliminare; ma non per saltare dalla padella nella brace di un ancora più nefasto maggioritario secco.
A questo effetto a Berlusconi continua a sfuggire che è proprio il maggioritario secco che moltiplica e frantuma il nostro sistema partitico, e quindi ancora sfugge quale sia il vero cancro del sistema che vorrebbe curare. E poi non è vero che i partiti minori siano costretti a distinguersi per via della proporzionale. Lo farebbero comunque facendo valere la propria identità «differenziante» in sede di governo. E qui veniamo all’ultimissima scoperta-trovata del Nostro.
«Succede... che ci sono dei partiti che rappresentano magari il 6-7 per cento della coalizione e che se c’è un loro veto non si può andare avanti... mentre dovrebbe almeno esservi, all’interno di ogni coalizione, il principio della democrazia per cui c’è una maggioranza che dà il suo parere e una minoranza che si adegua». Certo, questo è il principio della democrazia. Ma a Berlusconi sfugge ancora una volta che una coalizione di partiti non è una democrazia disciplinata da vincoli costituzionali, ma un libero patto tra liberi contraenti. Se Bossi viola il principio della democrazia (come fa sistematicamente da 4 anni) Berlusconi non ci può fare niente; e difatti ha subìto supinamente tutti i veti di Bossi senza fiatare. E allora?
Allora, forse, Berlusconi dovrebbe reclutare la signora Thatcher. Lei capisce sicuramente più alla svelta di lui, ed è anche riuscita a governare per 11 anni.

venerdì, aprile 29, 2005

MEDITAZIONE - 29/4/05

EUROPA on the Web 29-4
Berlusconi’s private business
Libertà di stampa
L’Italia tocca il fondo della classifica dei paesi europei
Battuta dal Benin, dal Botswana, da Timor Est, da Capo Verde, dalla Bolivia. L’Italia si piazza al settantanovesimo posto nel mondo per libertà di stampa. La classi fica è stilata da Freedom House, pensatoio statunitense, non profit e non partisan, che lavora al servizio della causa dell’esportazione globale della democrazia. Fondato sessant’anni fa da Eleanor Roosevelt, ha sezioni a New York, Washington, Budapest, Belgrado, Kiev, Varsavia. Una sorta di agenzia di rating del tasso di libertà, che già dal 1980, ogni anno traccia la mappa di chi sale e chi scende nella graduatoria. Come i precedenti, il Rapporto 2005 sulla libertà di stampa e sul livello di indipendenza dei media analizza 194 paesi, assegnando un punteggio che va da zero a cento, e dividendoli in tre grandi categorie: libero, parzialmente libero, non libero. L’analisi da un lato rileva il trend positivo di paesi che si aprono alla democrazia come Ucraina e Libano. Dall’altro registra passi indietro in paesi ad alto grado di democrazia come gli stessi Stati Uniti.
Ma chi deve davvero preoccuparsi è l’Italia, inserita nella categoria del partly free, al settantanovesimo posto della graduatoria mondiale, con 35 punti. Ma non solo. Nella classifica dell’Europa occidentale, che vanta gli stati che sono al primo posto nel mondo per la libertà di stampa (Finlandia, Islanda, Svezia), si evidenzia come fanalino di coda. È preceduta dalla Grecia (che però è considerato paese free), ed è penultima davanti alla Turchia, con la quale condivide lo status di paese partly free. La scheda che analizza il nostro paese nel dettaglio punta il dito sul controllo dei media di Berlusconi. E se lo dice un think tank americano, la bacchettata questa volta è insospettabile.

giovedì, aprile 28, 2005

RESISTENZA - 28/4/05

L’UNITA’ on-line 28-4
Sommario di I pag.
Fiducia al Senato
Berlusconi: «Partito unico o proporzionale»
Dopo la fiducia alla Camera, il Berlusconi bis passa anche a Palazzo Madama. Il premier parla ai senatori ed è subito attacco al centrosinistra: «Dall’opposizione solo critiche, critiche, critiche». Ma il premier non risparmia neppure i colleghi della maggioranza. Dopo la "fredda" fiducia accordata ieri al nuovo governo dall'Udc e le perplessità sulla proposta del partito unico, adesso Berlusconi contrattacca: «Non volete il partito unico? Allora tanto vale tornare al proporzionale.»
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Corsivo
Mister Bis
di Bruno Ugolini
Occorreranno circa venti anni. Questo il tempo calcolato dagli esperti, necessario per realizzare la marea d'interventi, provvedimenti, iniziative annunciati in Parlamento dal nuovissimo Silvio Berlusconi bis. Siamo, in effetti, proprio di fronte ad un Bis. Perché quelle questioni tanto care a milioni d'italiani erano state annunciate all'inizio della legislatura, cinque anni or sono. Ora bisognerà pensare anche ad un Bruno Vespa Bis, con un tavolo di ciliegio Bis e annesso contratto con gli italiani Bis.
La canzone è quella nota: le buste paga che pesano di meno e i prezzi che aumentano, il lavoro che non c'è, il Mezzogiorno che langue, le famiglie che deperiscono, i contratti che non si rinnovano. Tutti problemi irrisolti malgrado l'incredibile mole di "riforme" ricordate da "mister Bis" e che evidentemente hanno suscitato consenso, interesse e attenzione nei popoli delle tante Regioni appena chiamate al voto.
Quello che ha però creato stupore e sgomento è il silenzio operato dal cosiddetto Premier, nei confronti dell'unica proposta concreta lanciata, proprio in queste ore, dal suo medesimo Vice-Premier Giulio Tremonti. Il celebre commercialista aveva avuto una delle sue trovate geniali. Vendiamo le spiagge, aveva detto. E così mettiamo insieme un po' di soldi.
E' vero: in un primo tempo il caro Giulio aveva pensato solo alle spiagge meridionali. Roba da poco come Capri, Posillipo, Tropea, Taormina, Cefalù, Lampedusa. Per quelle più a Nord, tipo Rimini, Portofino o Rapallo magari ci si poteva pensare più tardi. Fatto sta che dal Circeo in giù si è diffuso lo scoramento.
Ma perché una tale autorevole proposta propagandata dalle onde televisive estremiste di canale Cinque e non raccolta solo da cronisti comunisti - è stata ignorata nel discorso Bis del presidente Bis? Forse sarà il prossimo asso della manica. Anche per questo qualcuno ha notato, in queste ore, fiumi di cittadini improvvisamente diretti verso l'Adriatico e il Tirreno. Tutti al mare, come diceva la canzone. Non a caso più che di governo Bis si parla di governo balneare. Come ai bei tempi.
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REPUBBLICA on-line 28-4
Berlusconi-bis, l'opposizione rilancia
"Inadeguati alla gravità della crisi"
Fassino: "Incapaci di affrontare l'emergenza del Paese"
Bertinotti: "La crisi non è chiusa, è solo finita l'era Berlusconi"
ROMA - Indecisione, incapacità, perdita di potere del premier. E una crisi, quella del centrodestra, che si identifica in un nome e in una persona precisa, Silvio Berlusconi. Replicano così, le opposizioni, al presidente del Consiglio che, dopo aver ottenuto la fiducia anche al Senato, ha ribadito le priorità del suo esecutivo e speso parole dure contro il centrosinistra, dal quale - ha detto - "sono venute solo critiche, critiche, critiche".
"Il governo è assolutamente incapace di affrontare l'emergenza del Paese". Così il segretario dei Democratici di sinistra, Piero Fassino, che scomoda l'asino di Buridano, "che morì di fame non sapendo su quale campo mangiare l'erba", e pronostica la stessa fine per Berlusconi, "indeciso fra quale programma portare avanti". Fassino ripercorre le tappe della crisi del governo e individua un bersaglio, che non è la coalizione di centrodestra nel suo complesso ma "ha un nome, ed è Silvio Berlusconi".
Il leader della Quercia punta però l'indice anche contro il nuovo vicepremier ed ex ministro dell'Economia Giulio Tremonti, per l'uscita sulla vendita della spiagge: "sarebbe meglio vendere il Monte Bianco - dice - è un pezzo unico e si guadagnerebbe di più". Non risparmia neanche Gianfranco Miccichè che oggi ha proposto la creazione di casinò nel Mezzogiorno: "Visto che sono vicini ai mezzi di comunicazione potrebbero entrambi decidere di partecipare a un programma come dilettanti allo sbaraglio". E poi precisa: "Le priorità per il Mezzogiorno sono soprattutto infrastrutture, specializzazione tecnologica, sostegno alle imprese".
Gli italiani "si aspettano risposte sull'economia, perché i conti pubblici vanno male, e anche quelli delle famiglie". Così il leader della Margherita Francesco Rutelli, che sottolinea come "invece il governo ricomincia a discutere di cose lontanissime, come la riforma elettorale". E conclude: "E' tutto sbagliato: ci si concentri sulla ripresa dell'economia, e sulla difesa del potere d'acquisto".
Una crisi, quella di Berlusconi, che ha "due facce". Ne è convinto il segretario di Rifondazione, Fausto Bertinotti, che spiega: "Da una parte c'è la perdita di potere personale, e dall'altra c'è la richiesta di cambiamenti che gli elettori hanno dimostrato tramite il voto alle regionali".
La conclusione della crisi di governo, insiste Bertinotti, "è che la crisi è tutt'altro che chiusa e questo lo sa anche Berlusconi. E' finita la sua era, ecco perché ora si tira fuori l'idea del partito unico, o di un cambio della legge elettorale. La sua era è finita e per evitare questo lui crede di cambiare il sistema politico". E in quanto alle preoccupazioni della Cdl nei confronti del Sud, della famiglie e delle imprese, "è inutile fare un programma - conclude il segretario di Prc - quando si è sfasciata la coalizione. Ci sono troppi interessi in ballo".
Di "governicchio litigioso e pericoloso, privo di programma, che condannerà l'Italia ad una anno di paralisi" parla il presidente dei Verdi, Alfonso Pecoraro Scanio. "Sarebbe stato molto meglio - continua - andare al voto anticipato, visto che la crisi ha portato alla formazione di un esecutivo peggiore del precedente. Privo di bussola, lacerato ancor prima di ottenere la fiducia, incapace di condurre l'Italia fuori dalla crisi con misure ed interventi strutturali. Un governicchio che rischia di essere molto pericoloso. Nella Cdl si discute più di leadership e di partito unico che di programmi".
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CITAZIONE
Perché un presidente del Consiglio che ha disonorato così clamorosamente i suoi impegni in quattro anni, dovrebbe ora riuscire ad adempierli in tredici mesi? Berlusconi è un combattente. Non si arrende. Con la compagnia del solo Senatur spera di arrivare lo stesso, ancora una volta vincitore, al traguardo delle elezioni politiche del prossimo anno. Ma in queste condizioni, con una coalizione così divisa e livorosa, gli sarà difficile andare lontano. Per questo anche un'idea in teoria strategicamente valida, costruire insieme la "casa comune dei moderati" di domani, diventa in pratica un banale espediente tattico. Serve solo a nascondere le macerie della Casa delle Libertà di oggi.
(Massimo Giannini)

mercoledì, aprile 27, 2005

RESISTENZA - 27/4/05

BERLUSCONES COMPATTI COME MARINES
“HE’S A SHIT BUT HE’S OUR SHIT”
L’UNITA’ on-line 27-4
BANNER
Titanic a Palazzo Chigi. «Berlusconi è già riuscito a trovare un successore: se stesso. Ma al di là degli accordi politici e delle inevitabili schermaglie questo cambio “cosmetico” di governo potrebbe segnare la fine di un’era. Il berlusconismo è morto».
Newsweek, 26 aprile
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Sommario di I pag.
FIDUCIA… all’«Ultima Spiaggia»
Fassino: «Un governo sconfitto»
Con 334 sì e 240 no, la Camera vota la fiducia al Berlusconi bis. E, dopo aver scatenato la crisi, l'Udc dà l'appoggio alla sua brutta copia del vecchio governo: «Accordiamo la fiducia al governo, la esprimiamo con responsabilità e spirito costruttivo, la esprimiamo senza "gelo", anche se ognuno di noi ha il suo carattere politico, e non vi rinuncia», ha detto il segretario dell'Udc, Marco Follini, concludendo il suo intervento alla Camera. Parlando alla Camera, Berlusconi ora vuole il partito unico. Durissime le dichiarazioni dell'opposizione a cominciare da quella del segretario dei Ds: «Il nuovo governo è figlio di una sconfitta e non c'è peggior cosa per un politico di non saper riconoscere le sconfitte quando queste ci sono».
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EDITORIALE
Partito unico dello sperpero
di Antonio Padellaro
Alla crisi ripugnante, come l’ha definita Silvio Berlusconi sul Giornale di famiglia, segue un degno governo imbottito di 99 tra ministri, viceministri, sottoministri e con un solo, evidente programma: spendere quel poco che resta nelle esauste casse statali. Un tale record di poltrone si giustifica, infatti, solo con la voracità di confraternite, clan e clientele dell’ex maggioranza che avendo un anno ancora per fare festa cercheranno di spremere il Berlusconi Bis fino all’ultimo sottosegretario. Si spiega anche il mistero Storace: ovvero perché mai si sia spaccato un partito, An, per dargli la Salute. Ma perché c’è il contratto dei medici e lui, grande esperto di spesa sanitaria non verrà meno alla sua fama, consolidata nelle Asl laziali. Mentre l’Udc Baccini, grato per aver riavuto l’abito blu ministeriale è pronto ad esaudire l’intero pubblico impiego. In totale alcuni milioni di persone da cui il centrodestra in cambio di aumenti si aspetta voti, quando sarà il momento. Nel contempo, l’incredibile premier annuncia la riduzione dell’Irap per 12 miliardi di euro in tre anni, il che significa però togliere soldi proprio alla sanità regionale. Come spendendo a più non posso e riducendo importanti fonti di entrata si possa portare il rapporto tra debito pubblico e Pil sotto il cento per cento, resta un mistero. Il creativo Tremonti un’ideuzza l’aveva avuta: vendere le spiagge e finanziare con i proventi grandi piani per il turismo nel Sud. Ma è stato sommerso dalle risate e annientato dalla battuta del collega Pisanu: «Finalmente è stata risolta la questione meridionale». L’insensata esibizione di questa compagnia di comici naturali che giocano con i conti dello Stato in una gara a chi le spara più grosse pone un drammatico interrogativo per il futuro: cosa resterà in piedi di questo Stato, dei suoi bilanci, della sua solvibilità, della sua credibilità in Europa quando questa pericolosa banda sarà stata cacciata, come merita, dagli italiani? Il loro capo, intanto, medita il partito unico. Sì, dello sperpero e dell’insolvenza.
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CITAZIONE
La vera notizia è la messa in discussione, pubblica ed aperta, di fronte al parlamento, della leadership di Berlusconi da parte di Follini. La vera notizia è che Follini è già uscito dal Polo, dicendo a Berlusconi che la fiducia ora se la dovrà cercare ogni giorno in parlamento.
(Il Riformista 27-4)
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STAMPA 27-4
Corsivo
Unici
di Jena
Adesso Berlusconi vuole il Partito unico. Ma chi si crede d’essere, Lenin?
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REPUBBLICA on-line 27-4
Berlusconi, fiducia e contrattacco: "Se vincerete, meno democrazia"
Follini freddo: "La leadership non è scontata, appoggio giorno per giorno"
ROMA - Il nuovo governo Berlusconi ha ottenuto la fiducia. La Camera dei deputati ha votato 334 sì e 240 no, due gli astenuti. Domani toccherà al Senato. Il Berlusconi bis inizia come era iniziato il suo predecessore: con il presidente del Consiglio che suona la carica, rivendica il lavoro fatto, promette di portare a termine il programma del 2001 e quello appena scritto per rilanciare l'esecutivo. Il premier si scatena in aula, accusa l'opposizione di "pessimismo" e "disfattismo", addossa al passato e all'introduzione dell'euro la situazione di crisi economica, attacca la sinistra che occupa nodi nevralgici dalla cultura alla magistratura, bolla gli elettori avversari di mancanza di senso critico e si dice certo che il popolo italiano è troppo saggio per far vincere l'Unione perché sa che in quel caso ci sarebbe meno democrazia.
Tutto questo in poco più di dieci minuti nel suo intervento prima delle dichiarazioni di voto. Dirà il leghista Roberto Calderoli: “Berlusconi è tornato a fare il Berlusconi".
Ma il frastuono più assordante è nel silenzio gelido che spira dai banchi dell'Udc di Marco Follini che non solo non applaude l'intervento del premier, ma nella dihiarazione di voto sottolinea, primo che "la leadership della coalizione per il 2006 non è scontata" e, secondo, che la fiducia concessa dai centristi al governo è "senza gelo e senza illusioni" poiché in una democrazia "la fiducia parlamentare è il plebiscito quotidiano dei governi". Due dichiarazioni fin troppo chiare anche nel linguaggio degli ex dc: Berlusconi non è intoccabile e la fiducia il governo se la dovrà conquistare giorno dopo giorno. Per non parlare dell'idea del partito unico proposta da Berlusconi: "Prima viene l'identità e poi la forma, prima il progetto e poi gli uomini, prima i contenuti e poi i contenitori".
In pratica l'Udc inceppa la tattica del premier che, approfittando anche della diretta tv, tutto vuole tranne dare l'idea di essere un leader appannato. E così,
Berlusconi va all'attacco. Dei media: "Non vedo nei media degli altri Paesi lo stesso pessimismo o lo stesso disfattismo che c'è nei media italiani". Dell'opposizione che invita "a non andare in tv a dire che tutto va in malora. Altrimenti le profezie finiscono per avverarsi. Non si raggiungono buoni risultati con il pessimismo". Degli elettori dell'altra parte politica: "I nostri elettori sono più individualisti e hanno più senso critico. I vostri elettori sono più disciplinati".
Poi il Cavaliere torna alla carica e dichiara che il governo "rispetterà il patto preso con gli elettori con il 'contratto con gli italiani': lavoreremo in questo anno di governo per arrivare alla fine della legislatura avendo rispettato tutti gli impegni, nessuno escluso. Proseguiremo lungo la strada che abbiamo intrapreso". E chiude con l'unica profezia che vorrebbe si avverasse:"La sinistra non si illuda di avere la vittoria in tasca. Noi vinceremo come abbiamo già vinto nel 2001".
Parlano alleati e oppositori, chi per rinnovargli la fiducia incondizionata (Cè della Lega), chi per fargli sapere che l'idea del partito unico della destra lanciata da Berlusconi "è da approfondire" (La Russa), chi per fargli notare (Fassino) che l'Italia è un grande paese e che il pessimismo è solo rivolto alla guida "piccola e inadeguata", chi per dirgli (Rutelli) che gli italiani "si stanno vaccinando al berlusconismo come diceva Montanelli". Ma le parole più dure da digerire restano quelle poche frasi di Follini immerse in un silenzio assordante.
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COMMENTO
Governare sulla sabbia
di MICHELE SERRA
LA VOCAZIONE sudista del governo Berlusconi bis pareva appena un innocuo espediente retorico, improvvisato per fare fronte ai rovesci elettorali e al malumore antileghista di An e Udc. Purtroppo, non è così.
La sortita del vicepremier Tremonti sulle spiagge meridionali da mettere in vendita (concessione di cento anni, per essere precisi) per ricavare quattrini da investire nel turismo, lascia intendere che qualcuno, lassù, sta pensando sul serio a lasciare il segno laggiù.
Raramente l'opinione di un uomo politico è stata accolta da un coro così unanime di sconcertata e ilare ostilità. A parte l'ovvio interesse di qualche associazione di imprenditori balneari, con l'ombrellone già in resta, Tremonti ha raccolto, in stereofonia, il coro ostile dell'opposizione e di quasi tutta la maggioranza e, non ultima, l'infastidita bocciatura del Consorzio dei bagnini, che ha definito "una boutade" il piano di uno dei più insigni economisti italiani.
L'idea di un demanio battitore d'asta, e di beni pubblici messi a bilancio per fare mucchio e/o per fare impressione, era già nello spirito del precedente (?) governo, aggravato da una smania condonista senza pari nella storia repubblicana: per dire che ai privati basta piantare una bandierina sul disastrato territorio nazionale per avere ottime speranze di farne l'uso che meglio loro aggrada.
Ma se c'è un luogo fisico che, in Italia, appariva già, per antonomasia, arbitrariamente confiscato all'uso pubblico, fino a strozzare i pochi accessi al mare (per adesso non ancora lottizzato), queste sono proprio le spiagge, il lunghissimo margine peninsulare crivellato da concessioni private non sempre compatibili con la libertà di transito, e spesso lasciato, ove pubblico, in un'incuria quasi didascalica, come per punire ciò che osa sfuggire al listino dei prezzi.
Perché Tremonti, che è fantasioso ma non uno squilibrato, abbia scelto proprio le spiagge, delicatissimo simbolo di incuria e predazione ambientale, come nuovo ostaggio della sua "finanza creativa", davvero sfugge. Forse si sentiva in obbligo (per indorare il sorprendente ritorno al governo, caduto per eccessivo nordismo, dell'inventore dell'asse del Nord in persona) di dire qualcosa di meridionalista, e di farlo, per giunta, mostrando il polso sicuro che solo l'operoso spirito settentrionale può diffondere nel povero Sud disorientato. E forse perché davvero pensa, da ideologo coerente, che solo il tocco provvido del mercato può, in sé, rifare nuovo il Paese, e il prezzo di un biglietto d'ingresso basti a mondare le sabbie e attirare turisti (così ha detto) anche da India e Cina.
Ma l'impressione è che il nuovo vicepremier - l'ennesimo - abbia ottenuto l'effetto opposto, quello di una pensata quasi neocoloniale, con i terroni depressi risollevati dallo spirito di intrapresa inoculato dall'alto. Sulla stessa falsariga di Calderoli, addetto alla normalizzazione dei forestali calabresi avendo mai visto la Calabria, e mai i calabresi visto lui, però convinto che un sano sguardo lombardo, depositandosi su quelle lande ostili e primitive, avrebbe subito individuato il guasto e trovato le soluzioni.
In questo senso, stupisce non poco che a un Berlusconi primo caduto anche, se non soprattutto, per avere offerto un'idea tracotante e intrusiva del nordismo di governo, sia succeduto un Berlusconi secondo che, rimettendo in sella Tremonti, si nordizza ulteriormente.
Del resto, gli alleati ostili all'asse del Nord non hanno però fiatato su Tremonti, forse paghi di uno Storace robustamente quirite alla Salute, antitetico al diafano salutismo di Sirchia, e di pochi altri ritocchi di consolazione.
Ma a questo strano spettacolo siamo già abituati: minacciare la crisi e rimangiarsela senza che nessuna delle ragioni di crisi indicate venisse meno. E' la risacca di questa maggioranza. Si mangerà la spiaggia?
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CORSERA 27-4
Corsivo
Giustizia: qual è l'ora giusta?
L'onorevole Sandro Bondi ieri ha commentato così una richiesta dei Pm milanesi di rinvio a giudizio per Silvio Berlusconi: «La macchina della giustizia a Milano è in perfetto orario, precisa come un orologio svizzero». Sospette coincidenze, per carità, non sono mancate nel corso degli ultimi dieci anni. Ma l’argomento della «giustizia ad orologeria», l’onorevole Bondi ne converrà, rischia esso stesso di trasformarsi in una stucchevole litania, logorato dalla ripetitività con cui viene ribadito dagli esponenti del centrodestra. In questo caso, poi, in cosa consisterebbe la sospetta puntualità dei magistrati milanesi? Le elezioni regionali si sono appena concluse, quelle politiche sono attese tra un anno... C’è un giorno al riparo dei sospetti dell’onorevole Bondi? Non resta che chiedergli di indicare una data, una finestra temporale in cui i magistrati possano muoversi senza essere accusati di agire con tempismo svizzero. Abbia la cortesia l’onorevole Bondi di stabilire quei tempi e il Corriere della Sera, per quanto gli è possibile, si impegna sin da ora a fare opera di convincimento con i magistrati affinché (eventualmente) inviino atti giudiziari o emettano sentenze solo nell’arco temporale indicato dal coordinatore nazionale di Forza Italia.

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MEDITAZIONE - 27/4/05

EUROPA on the Web 27-4
Il programma top secret del Cavaliere
Il vero programma del suo terzo governo, sfavillante di volti nuovi e personalità autorevoli, Berlusconi lo tiene ben chiuso nel cassetto, custodito sotto chiave. Ieri l’hanno capito tutti. Tutti hanno perfettamente compreso che quello illustrato a Montecitorio dallo statista di Arcore altro non è che un finto programma, uno specchietto per le allodole. Un’astuzia. Una trappola per sviare l’opposizione dalla vera, formidabile offensiva programmatica che il Cavaliere – forte di un’alleanza salda come non mai grazie alla reciproca stima e fiducia tra i suoi leader e i fraterni e leali rapporti tra i partiti che la compongono – s’accinge a scatenare.
Il programma vero il Cavaliere l’ha messo a punto con Giulio Tremonti: che è il vero vicepremier. Ma Giulio ieri l’altro l’ha combinata grossa: ha i n c a u t a mente anticipato la misura della vendita delle spiagge, alzando il velo sul programma top secret, rischiando di comprometterne l’effetto sorpresa e la sua piena attuazione per il rilancio di una poderosa azione di governo.
Ma ecco i punti del vero programma di Berlusconi: si tratta di ipotesi già elaborate nei mesi scorsi nell’officina intellettuale della Cdl, poi accantonate per essere utilizzate al momento più opportuno: cioè ora, per dare la «scossa» al declinante sistema Italia.
Meno feste, più Pil. Il premier lo propose già nel febbraio dello scorso anno. «In questo paese ci sono troppe festività, dovremo far lavorare di più gli italiani. Ci sono ponti festivi in eccesso», è l’analisi di Berlusconi. Un taglio dei giorni di festa produrrà «un benefico effetto sul Pil». Almeno mezzo punto di Pil in più, 6 miliardi di euro, solo con qualche sforbiciata.
Via l’8 per mille. È una vecchia bandiera di Bossi: Berlusconi gli ha promesso che ora i tempi sono maturi. Per la Chiesa cattolica nel 2003 erano 1.016 milioni di euro. Amen.
Beach policy. Si tratta di un pacchetto di misure integrate. Le anticipazioni di Tremonti sulla vendita delle spiagge ne costituiscono soltanto un aspetto, ancorchè il più rilevante sotto il pro- filo delle entrate nelle casse dello stato. Berlusconi ha infatti dato il suo consenso al recupero, nella prossima manovra finanziaria, dell’ipotesi di un aumento del 300 per cento del canone di concessione per i gestori di stabilimenti balneari già formulata da Tremonti ma affossata dall’asse del sud. La manovra a tenaglia per il rilancio delle spiagge italiane prevede il nuovo ruolo chiave di beach-watch del sottosegretario del Carroccio Stefano Stefani, ieri riconfermato all’ambiente, ma in predicato per tornare alle attività produttive con delega al turismo. Il premier non ha dimenticato le simpatiche esternazioni del sottosegretario leghista che dileggiò i turisti tedeschi «stereotipati biondi» accusandoli di «invadere rumorosamente le nostre spiagge» ed è convinto che Stefani, con il suo linguaggio semplice e diretto, sia un eccellente interprete della nuova politica balneare del centrodestra e, in particolare, una grande risorsa per la promozione del turismo germanico.
Flessibilità. L’ha ridetto anche a Ballarò. «Resto dell’idea che non è giusto che ci si possa separare dalla moglie, ma non da un proprio dipendente ». La battaglia sull’articolo 18 è un altro dei cardini del programma segreto di Berlusconi. Perchè mai nelle aziende con più di quindici dipendenti si può licenziare qualcuno soltanto per giusta causa? Pedaggi. Hanno venduto le strade, l’arrivo dei pedaggi è solo questione di tempo. E ora è tempo di far cassa.
Casini1/occupazione. È la legge Fini, Bossi, Tremonti, Castelli, Pisanu, Prestigiacomo presentata nel marzo 2003 e ancora pendente presso il parlamento, dal titolo “Disposizioni in materia di prostituzione”. Tale legge vieta «l’esercizio della prostituzione in luoghi pubblici o aperti al pubblico». Ciò avrà indubbi effetti, non ancora calcolati dagli esperti economici di palazzo Chigi, sulla crescita del mercato dell’occupazione.
Casini2/mercato delle locazioni immobiliari.
La medesima legge, come noto, depenalizza la «locazione per civile abitazione a canoni di mercato di appartamenti nei quali si eserciti la prostituzione». Si intende in tal modo fornire un impulso al mercato delle locazioni immobiliari, stimolando l’offerta da parte degli svogliati proprietari di case.
Casinò. Ne abbiamo solo quattro: a Saint Vincent, a San Remo, a Venezia e a Campione d’Italia. S'è litigato per anni sulla localizzazione di altre tre grandi case da gioco. Berlusconi ha detto basta: deciderà lui dove realizzarle. La casa da gioco attira turismo nazionale ed internazionale, fa scorrere quattrini cash, induce buonumore ed allegria.
Lease back. È la vendita dei ministeri che poi vengono rilocati allo stato. Una fissazione di Tremonti. L’ultima volta che c’aveva provato, però, il Colbert della Valtellina aveva fatto una mossa sbagliata: aveva messo nell’elenco anche palazzo Chigi. Gianni Letta si mise di traverso. Berlusconi invitò Tremonti a lasciar perdere e a farne le spese fu l’intero piano di vendita. Adesso che mancano pochi mesi allo sfratto da palazzo Chigi, ha dato il via libera.
Doppie porzioni. È l’unico contentino a Storace e ad An. Per incrementare i consumi si abbandona la linea pauperista di Sirchia per un approccio più dinamico alla materia alimentare e della salute: più cibo e più pipe, sigari e sigarette per tutti.

martedì, aprile 26, 2005

RESISTENZA - 26/4/05

FOTOCOPIA NON RIVEDUTA NE' CORRETTA
L’UNITA’ on-line 26-4
Sommari di I pag.
Faremo, diremo, infine vincerò
Ma dall'Udc solo gelidi sorrisi
Mezz'ora scarsa di discorso per esporre un programma fatto solo di promesse. In pratica ha ripetuto le solite cose, ribadendo promesse già contenute nel programma elettorale della Cdl: dalla riduzione delle tasse, al sostegno delle imprese. E naturalmente le riforme: la Costituzione la modificheremo e il referendum si farà nel 2006, dopo le elezioni politiche. Insomma, ci sono tutte le premesse per una fotocopia del governo appena caduto.
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Berlusconi ancora nei guai
Chiesto il rinvio a giudizio per frode fiscale
La Procura di Milano ha chiesto il rinvio a giudizio di Silvio Berlusconi e altre 12 persone nell'ambito dell'inchiesta sulla compravendita di diritti cinematografici di Mediaset. A quanto si è saputo, la richiesta di rinvio a giudizio è stata depositata nei giorni scorsi e le accuse nell'ambito dell'inchiesta sono, a vario titolo, di frode fiscale, falso in bilancio, appropriazione indebita e solo per alcuni di riciclaggio.
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REPUBBLICA on-line 26-4
CARTA CANTA
di Marco Travaglio
Puffone o buffone?
"Non si tocca niente nel governo e nel programma".
(Silvio Berlusconi, 5 aprile 2005)
"Questa storia del Berlusconi bis mi pare una vera buffonata, e io non faccio il buffone".
(Silvio Berlusconi, Corriere della sera, 14 aprile 2005).
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Sommari di I pag.
Premier alla Camera: "Famiglie e sud le nostre priorità"
L'Udc non applaude
Berlusconi si impegna per i contratti. Sul Mezzogiorno promette investimenti, rispettando il patto Ue. Irap, 12 miliardi di taglio. "Sì alle Riforme, nel futuro Cdl partito unico". No comment di Follini: "Parlo domani". Fassino: "Desolante, Dio protegga l'Italia"
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Berlusconi bis e manuale Cencelli - nasce il governo più affollato
In totale, compresi i ministri, un esecutivo di 99 persone - viceministri e sottosegretari passano da 64 a 72
ROMA - Tredici nuovi sottosegretari, due promozioni, un record... e nessuna sorpresa. Come previsto con una aggiunta di poltrone Berlusconi trova, almeno per il momento, la ricetta per la formazione del nuovo governo e trova la "quadra", dando due sottosegretari in più alla Lega, e affiancando un esponente di An al ministro delle Riforme Calderoli.
Manuale Cencelli. Sono 99 i componenti del governo Berlusconi bis, dopo le nomine di oggi. Mentre rimane invariato rispetto al precedente governo il numero dei viceministri (tre ciascuno a Forza Italia e ad An, uno a testa a Udc, Nuovo Psi e Pri, nessuno alla Lega).
Il record. E dopo quello della crisi più breve, il premier stabilisce il primato del maggior numero di membri del sottogoverno, con la nomina di 63 sottosegretari e 9 viceministri, per un totale di 72.
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Radio Popolare 24-4
COMMENTO
La politica del maiale
(a cura di Felice Accame e Carlo Oliva)
Chissà se è vero che Berlusconi da piccolo era uno studente brillante quanto si vanta di essere stato. In età adulta, talvolta, sembra un po' duro di comprendonio. Gli ci sono voluti due anni di liti con gli alleati e tre sconfitte elettorali di seguito per scoprire che in Italia la costituzione vigente non gli permetteva di cambiare i collaboratori a suo arbitrio, mentre altrove, nei paesi europei più avanzati, "il premier eletto direttamente dal popolo adegua la squadra di governo ogni volta che si presenta la necessità, senza lunghe ed estenuanti crisi politiche e verifiche parlamentari." È, questa, una citazione dal suo discorso in Senato, che, a prescindere dallo scarso fair play, nel senso che non si va in parlamento a dire che le verifiche parlamentari sono inutili ed estenuanti, contiene un clamoroso errore di terminologia, perché in Europa e altrove, a voler fare i pignoli, di premier eletti direttamente dal popolo se ne trova uno solo in Israele, che non è esattamente un modello da proporre all'ammirazione universale, ma, insomma, tra presidenzialismi, cancellierati, dittature e premierati forti, di governanti con più poteri dei suoi in giro ce ne sono parecchi e si capisce che il poveretto se ne accori e faccia un poco di confusione.
D'altra parte, bisogna pur ammettere che all'inizio della settimana, quando ancora si cullava nella speranza di evitare la crisi e strillava come un'aquila contro le pretese di chi lo voleva succube di un Follini qualsiasi, il presidente del consiglio non aveva del tutto torto. Era vero, in fondo, che la maggioranza dei cittadini, a suo tempo, aveva tracciato (sia pure con poca saggezza) una croce sopra il suo nome e il fatto che quel nome sulla scheda non fosse previsto dalle norme elettorali, ma ci fosse arrivato per via impropria, come componente grafica del simbolo della coalizione, tutto sommato contava solo fino a un certo punto. Il che, al di fuori di ogni considerazione bassamente caratteriale, spiega a iosa la riluttanza con cui l'uomo ha affrontato una procedura dalla quale riteneva di potersi benissimo esimere.
Il fatto è che Berlusconi, nella sua ansia di traghettare il paese dalla prima alla seconda (e forse alla terza) repubblica, ha preso, per così dire, qualche scorciatoia. Non aveva né il modo né la possibilità di cambiare il quadro istituzionale, istituendo l'agognato premierato, e si è limitato a farsi chiamare premier dagli amici, certo che l'uso, come succede, si sarebbe generalizzato. Ha capito che introdurre l'elezione diretta era più facile a dirsi che a farsi e si è fatto eleggere direttamente, se mi è consentito il bisticcio, in modo indiretto. Non potendo cambiare i ministri in blocco, si è avvalso a dismisura del potere di cambiarli a uno per volta. Ha giocato, insomma, su quel primato dell'apparenza che in Italia funziona sempre, su quella pratica del "come se" in base alla quale tra potere e legalità a prevalere è sempre il potere, la legalità rappresenta un inutile intralcio e a doversi adeguare, in sostanza, sono solo gli altri.
Siccome della legalità, in questo nostro paese, non importa niente a nessuno, nemmeno ai giudici, e l'argomento pragmatico (nella versione semplificata per cui chi vince ha ragione) conta sempre più degli altri, per un po' gli è andata anche bene. Ma in Italia, com'è noto, con la politica si fa come con il maiale: non si butta mai via niente. Appena l'aria è cambiata (come certificato dalla batosta alle regionali) i soci del sedicente premier si sono affrettati a recuperare quelle ritualità e quelle minutiae politiche di cui prima si vantavano di essersi sbarazzati. E così lui, dal rango di nuovo uomo della Provvidenza, come lui stesso si era modestamente definito (allegando, per sicurezza, la testimonianza di un morto) e di statista uso, a suo dire, a intrattenersi alla pari con Bush e a giocare a lippa con Putin, si è ritrovato a dover fare i conti con il manuale Cencelli.
Gli sta bene, naturalmente, e d'altronde era stato lui, sempre in base al principio di cui dicevamo, a rivendicare l'eredità della Democrazia Cristiana. Il guaio, dal nostro punto di vista, è che l'esperienza probabilmente lo ha incattivito, incrementandone la nota propensione a far danno. Ma, visto che da noi la politica del maiale non è appannaggio esclusivo della destra, finché l'opposizione non saprà fare altro che imitare i suoi modi e sperare, al massimo, nell'effetto moderatore di Follini, non si vede proprio come poterglielo impedire.

lunedì, aprile 25, 2005

25 APRILE 2005

L’UNITA’ on-line 25-4
Sommario di I pag.
25 aprile 1945-25 aprile 2005
Per difendere la Costituzione
«Dietro ogni articolo di questa Costituzione, o giovani, voi dovete vedere giovani come voi caduti combattendo, fucilati, impiccati, torturati, morti di fame nei campi di concentramento, morti in Russia, morti in Africa, morti per le strade di Milano, per le strade di Firenze, cha hanno dato la vita perché libertà e giustizia potessero essere scritte su questa carta»
(dal discorso di Piero Calamandrei agli studenti milanesi, 1955)
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EDITORIALE
Se avessero vinto loro
di Furio Colombo
Loro sono coloro a cui hanno messo in mano un’arma per uccidere i partigiani, detti “banditi” e condannati sempre alla pena di morte. Loro erano gli addetti ad arrestare gli ebrei - definiti per legge nemici - da consegnare da fedeli alleati ai tedeschi. Queste consegne sono sempre avvenute. Sono innumerevoli le testimonianze in proposito, con i nomi, i luoghi, le circostanze di una fervida attività di rastrellamento e consegna degli ebrei italiani da parte di fascisti italiani.
A Milano, se entrate al pian terreno dell’immensa Stazione centrale, sul lato destro che si affaccia su Piazza Luigi di Savoia, vi fanno vedere il binario, tuttora intatto, tuttora collegato con Auschwitz, dal quale partivano i treni stipati di ebrei italiani. Tutto il servizio di arresto, raccolta, imprigionamento a San Vittore, attesa, trasporto in quel lato della Stazione, le lunghe file di adulti e bambini nella notte e nel gelo, la spinta dentro i vagoni, l’accurato lavoro di sigillare le porte dei vagoni-bestiame, era tutto italiano. Italiano di Salò. Italiano della Repubblica Sociale Italiana. Italiano a cura di coloro che avevano deciso di restare fedeli alleati dei nazisti e della loro macchina mortale.
Per questo diciamo: tutti sono cittadini a pieno titolo nel mondo della libertà. Ma quel mondo non ci sarebbe mai stato se avessero vinto loro. Loro e Hitler, loro e le camere a gas, loro e i forni di Auschwitz, loro e i morti impiccati ai lampioni di via Cernaia a Torino, loro e le stragi di Marzabotto e di Sant’Anna di Stazzema, loro e i torturatori di via Tasso, loro che consegnavano gli arrestati al comando germanico all’Hotel Regina di Milano.
Il rispetto per ogni libero essere umano, compresi coloro che si erano avviati sulla strada di un mondo fondato sui campi di sterminio, è un dovere di tutti, e un diritto di cui ciascuno è titolare, nel mondo della libertà.
Chi quel mondo di sterminio lo ha difeso fino all’ultimo, può dire che non sapeva e può persino essere creduto. Ma non deve dire di non sapere, oggi, di avere lavorato per Auschwitz, di avere dato forze e giovinezza a un universo di discriminazione, di sterminio, di morte. Adesso lo sappiamo, lo sanno anche coloro che hanno agito dentro la nebbia dell’indottrinamento di quella terribile fede di morte.
Adesso coloro che erano fascisti sanno che anch’essi sono stati liberati il 25 aprile. Sanno che il 25 aprile è già una festa di riconciliazione perché ha salvato tanti giovani fascisti dal destino tremendo di continuare a fornire di corpi umani ai campi di sterminio, di servire da guarnigione per le prigioni e i centri di tortura, e per occupare col terrore i Paesi d’Europa. È vero, i giovani fascisti di allora devono essere grati agli Americani, agli Inglesi, alla loro invasione di libertà. E dovrebbero non dimenticare 23 milioni di morti russi che hanno fatto da barriera, con i loro corpi alla vittoria nazista.
Però dedichino in questa giornata un pensiero anche ai partigiani che alcuni di essi hanno, in nome di un confuso onore dell’Italia, ucciso o tentato di uccidere. La loro lotta per tre inverni indicibili sulle montagne, per le strade dei nostri paesi e delle nostre città ha ridato a tutti gli italiani il vero onore che segna la nostra storia: quello di non essere dalla parte dei forni crematori, quello di non essere dalla parte di Auschwitz.
Se loro sanno, se lo capiscono (e non possono dire di non saperlo) allora potremo dire che siamo insieme in questo giorno di festa perché questa è la festa degli italiani liberi. E gli italiani, tutti, compresi i ferventi nostalgici, coloro che vorrebbero farci ricordare altre cose pur di non parlare della nostra liberazione italiana, dovrebbero riconoscere il 25 aprile come il giorno dello scampato pericolo. È il no definitivo della storia alla vita sotto il fascismo.
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COMMENTO
Per la Costituzione del 25 aprile
di Ferdinando Imposimato
Nel sessantesimo anniversario della Liberazione, la maggioranza, manipolando la storia, vuole una legge che rende uguali i partigiani che lottarono per liberare l'Italia e i repubblichini che aiutarono i nazifascisti negli eccidi contro la popolazione civile. E ha varato una controriforma eversiva che intacca i principi cardine della Costituzione e della democrazia parlamentare.
La fine del fascismo doveva portare a quel sistema di democrazia sociale, diffusa e partecipativa prevista dalla Costituzione. Ed invece siamo di fronte ad una deriva plebiscitaria e di lacerazione localistica con la rottura di quella unità nazionale realizzata da cattolici, comunisti, socialisti, repubblicani, azionisti di giustizia e libertà e liberali. Che riuscirono nel compito non facile di fondere ciò che rappresentava il sentimento comune, realizzando quella divisione equilibrata e armoniosa dei poteri, compromessa dalla riforma.
Oggi esiste un'emergenza democratica, nonostante l'agonia della maggioranza ricattata dalla Lega. Il colpo di coda potrebbe essere l'approvazione definitiva dei 53 articoli, che stravolgendo la seconda parte della Costituzione intaccano i diritti fondamentali. Le elezioni anticipate sarebbero provvidenziali, ma non sembra che ciò avvenga. Non ci si può illudere che la sconfitta alle elezioni regionali abbia attenuato l'arroganza del governo. E sarebbe un errore sottovalutare ciò che sta accadendo, ricordando il passato: il 28 ottobre 1922, alla vigilia del fascismo, don Sturzo, fondatore del partito popolare disse: “Con 30 deputati che possono fare questi fascisti?”. Ed invece era l'inizio della fine della democrazia.
Su 53 articoli, 15 entrano in vigore subito e riguardano la devolution e la Corte Costituzionale.
La Consulta diventerà un organo della maggioranza e perderà il ruolo di giudice indipendente delle leggi, che ha già bocciato la legge sulla immunità del Primo Ministro, il condono edilizio e la legge Bossi Fini. I padri costituenti vollero la Corte per creare una estrema barriera contro il tentativo di attentare all'essenza della democrazia.
Il Presidente della Repubblica, che, come diceva Calamandrei, è la viva vox della Costituzione ed il simbolo della unità nazionale, perderà la sua altissima funzione di garanzia poiché perde il potere di filtro delle leggi e di scioglimento delle camere per essere ridotto a una mera funzione notarile di ratifica delle scelte del Primo Ministro.
Il federalismo attribuisce alle Regioni la competenza esclusiva in materia di scuola, sanità e polizia locale, settori fondamentali per la vita dei cittadini. E ciò in contrasto con i principi-doveri di solidarietà politica economica e sociale affermati nella prima parte.
Il parlamento nazionale che legifera sui diritti e libertà fondamentali dei cittadini, sul lavoro, sulla indipendenza dei magistrati, sul pluralismo della informazione, sui sistemi elettorali e sui conflitti di interesse perde la sua centralità. E può essere ricattato dal perverso congegno che unisce voto bloccato e questione di fiducia posta dal primo ministro. Il quale estorce in tal modo il voto dei parlamentari della maggioranza, pena il “tutti a casa” inflitto con lo scioglimento delle camere.
Lo svuotamento del potere del CSM nella selezione, nomina e carriera dei magistrati, con l'attribuzione di questi poteri a commissioni controllate dall'esecutivo, intacca l'indipendenza e l'autonomia della magistratura. E il Governo potrà nominare capi di uffici giudiziari a sua scelta, ed avere giudici subalterni al potere politico, come avveniva una volta, ai tempi della strage di piazza Fontana e prima ancora della strage di Portella delle Ginestre. Con la impunità dei responsabili.
La riforma varata dal Governo è un vero e proprio mostro fondato sulla logica perversa dello scambio tra i principi costituzionali e la sopravvivenza della maggioranza. Ma ci sono dei principi che non possono essere mai modificati e riguardano la forma repubblicana, la centralità del Parlamento, i diritti inviolabili dell'uomo e le libertà fondamentali. Ma qui è il punto. Poiché laddove la Costituzione è violata, la stessa democrazia è in pericolo.
Dopo che con leggi truffaldine è stata intaccata la libertà di informazione ed il diritto alla dignità del lavoro, la situazione è aggravata dal controllo sempre più intenso da parte del governo dell'istruzione pubblica e della formazione dei giovani. Mentre molti cittadini sono ignari di ciò che sta accadendo per la complessità della riforma e il deficit di informazione. Per questo serve una forte mobilitazione sociale al fine di contrastare fin da subito questa ignominia. Il passaggio è critico e non permette tentennamenti di sorta.
Adesso tocca a tutti gli italiani, al di là delle appartenenze partitiche, di demolire l'edificio illiberale e antidemocratico costruito da un gruppo di politici in una baita di Lorenzago, senza nessun mandato popolare. Un gruppo che vuole stravolgere una Costituzione che è nata sulle montagne con il sacrificio dei partigiani e racchiude la coscienza civile e morale degli italiani.

domenica, aprile 24, 2005

RESISTENZA - 24/4/05

FESTA DELLA LIBERAZIONE (?)
L’UNITA’ on-line 24-4
Sommario di I pag.
25 APRILE
Prodi: «Berlusconi non festeggia, noi difendiamo la Costituzione»
An e Lega si erano già sfilati. Ma neanche Berlusconi è atteso lunedì a Milano con il presidente Ciampi a celebrare la Liberazione. Un'assenza che dura da quattro anni, cioè da quando è diventato presidente del Consiglio, fa notare Prodi, e che è «motivo di inquietudine». Il leader dell'Unione invita tutti a celebrare il 25 aprile per i valori comuni di antifascismo, democrazia, unità della Nazione ma anche «contro i dissennati progetti di riforma della Costituzione». E gli azzurri capeggiati da Bondi lo accusano di «rovinare la festa con un comizio».
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REPUBBLICA on-line 24-4
Prodi attacca Berlusconi
IL Cavaliere "Vuole annacquare l'antifascismo"
BOLOGNA - "Da diversi anni, correnti politiche sono interessate ad annacquare la memoria e il valore dell'antifascismo". Va giù duro il Professore. Il riferimento al leader del centrodesta è chiaro, ma Berlusconi tace; parla per lui il fedelissimo Bondi: "Prodi è interessato unicamente a dividere il Paese".
Sul 25 Aprile la polemica è aperta. La rinuncia del premier a partecipare insieme al Presidente della Repubblica alla manifestazione organizzata a Milano per il sessantesimo della Liberazione, accende la miccia. Da Bologna, il professore invia un messaggio chiaro e forte: "Da diversi anni, correnti politiche e culturali interessate ad annacquare la memoria e il valore dell'antifascismo cercano di minimizzare il significato della Resistenza. Si tratta di tendenze - scandisce il leader dell'Unione - che vanno contrastate".
Per il professore, "il 25 aprile è una festa di tutti gli italiani da celebrare al di là dei contrasti, all'insegna della verità storica e dell'attualità dei valori che essa incarna. E' un peccato, ed è un motivo di preoccupazione sincera, che forze rilevanti della maggioranza che ha governato l'Italia in questa legislatura - prosegue pungente Romano Prodi - non si riconoscano in questa Festa di libertà e di democrazia. E' un motivo di inquietudine che il Presidente del Consiglio di questi anni trascorsi non abbia mai considerato un suo dovere civile e politico prendere parte alle celebrazioni della Liberazione".
Non ha perso l'occasione, Romano Prodi, per ripetere le critiche che il centrosinistra sostiene da tempo contro il progetto di riforma della Costituzione: "Bisogna ritrovare le ragioni dell'unità della nazione e il senso della patria comune che oggi sono messe a rischio da progetti dissennati di riforma della Costituzione, un bene troppo grande per essere messo sul piatto di scambi di fazione e di interessi di parte. La Costituzione è, e deve restare, la carta dell'unità del Paese e dell'appartenenza di tutti gli italiani alla stessa casa in una Europa sempre più vicina e unita".
Nessuna risposta da Palazzo Grazioli: il cavaliere è impegnato nella difficle stesura delle lista dei sottosegretari.
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CITAZIONI
Ogni paese ha la classe dirigente che si merita. La maggioranza degli italiani credette nel maggio del 2001 alle cervellotiche e miracolistiche ricette di un Dulcamara da strapazzo e affidò il potere a lui e ad una banda di dilettanti. Dilettanti per imperizia a guidare lo Stato, ma fior di professionisti nel calcolare, difendere e amministrare i propri interessi usando a tal fine le pubbliche istituzioni. Questa accolita discende direttamente da Tangentopoli, è costola e figlia di Tangentopoli. Le sue radici sono cresciute in quell'humus e hanno tratto alimento da quel concime. I frutti si vedono: un disastro morale, un collasso economico, un mucchio di rovine politiche e istituzionali. Questo governo bis è nato col forcipe e ne mostra tutti i segni e le malformazioni. Sarà seppellito dalle risse interne e dalla disistima internazionale. Arrecherà all'Italia danni ulteriori e ulteriore disdoro. No, non è un bel periodo quello che ci aspetta. Meglio sarebbe stato chiudere subito la partita, prima che degradi in una rissa tra piccoli uomini sulla pelle del Paese. Richiedeva coraggio e dedizione allo Stato e ai cittadini. Ma uomini di questa fatta non si trovano più da un pezzo nella destra italiana che perciò è destinata ad andare a fondo. La speranza è che non ci si porti dietro.
(Eugenio Scalfari, Repubblica 24-4)
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Nessuno lavora più per il Cavaliere. Non Gianfranco Fini, non il presidente della Camera e il capo dei centristi, persino in Forza Italia sono iniziati a circolare i soliti sospetti, se un autorevole esponente azzurro scommette sul fatto che «Berlusconi rimarrà premier fino al termine della legislatura, ma non è detto che sarà candidato premier per la prossima legislatura». E c’è chi nel partito di Sua Emittenza attende un segnale dall’Udc: «Bisogna vedere se Casini e Follini avranno il coraggio di tirar fuori gli attributi. A quel punto...». Il premier insomma, sarà pur debole ed esposto, ma anche il resto dell’alleanza è in frantumi. E chissà cosa accadrà al nuovo governo di qui in avanti.
(Francesco Verderami, Corsera 24-4)


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MEDITAZIONE - 24/4/05

LIBERAZIONE 24-4
Il 25 aprile e il fattore D
di Piero Sansonetti
Il 25 aprile - idealmente - nacque la Repubblica, e iniziò il cammino dell'Italia moderna. Lunedì festeggiamo il sessantesimo. In un clima, però, di polemiche infuocate. E' una particolarità italiana, questa: negli altri paesi la festa nazionale è un giorno di celebrazioni, solenni, patriottiche, spesso un po' o parecchio retoriche: punto e basta. Pensate al 4 luglio in America o al 14 luglio in Francia. Si fanno i fuochi di artificio, qualche discorso, qualche ragionamento sulle radici della democrazia americana o francese. A nessun americano verrebbe in mente di dire: "Però, stiamo attenti, noi abbiamo il dovere di ricordare non solo la rivoluzione americana ma anche i soldati inglesi che caddero per difendere la corona... ". E nessun francese potrebbe mai pensare che il 14 luglio, oltre a commemorare la presa della Bastiglia, bisognerebbe anche rendere omaggio a Luigi XVI, a Maria Antonietta e alla gloriosa monarchia che fu abbattuta dai rivoluzionari francesi quel giorno. Com'è che invece da noi, ogni volta, si apre una polemica? In realtà é da una decina d'anni che questo avviene, prima non era quasi mai così. Il motivo, se vogliamo dire le cose come stanno, è abbastanza semplice: la destra italiana non sente il 25 aprile come una festa sua, non lo ha mai sentito, perchè ritiene che in quella data una alleanza tra l'esercito americano e i democratici e i comunisti italiani sconfisse la destra storica: cioè il fascismo, Mussolini, la repubblica di Salò. E quindi considera il 25 aprile una festa politica e non nazionale, una festa di parte, e fondamentalmente una festa di sinistra. La questione è tutta qui. E si ingigantisce in un momento, come quello attuale, nel quale la destra è al governo e quindi i suoi dirigenti, che sono rappresentanti dello Stato, si trovano in contrasto ideale con il 25 aprile e dunque con le solenni celebrazioni nazionali, popolari o di stato.
Ma se le cose stanno così - e chiunque abbia un po' di buonsenso e di onestà intellettuale lo capisce - cosa c'entra la sinistra con tutto questo, e perché tirarla in mezzo alle polemiche? Ieri anche la Stampa, con un editoriale di Lucia Annunziata, ha posto il problema in questi termini. Ha scritto che la sinistra e la destra si azzuffano sul 25 aprile perché ciascuno vuole strumentalizzarlo a suoi fini politici. Non è così. La sinistra vuole celebrare una vittoria politica e storica del popolo italiano, che contribuì in modo determinante a far cadere il fascismo e a scacciare l'esercito di occupazione tedesco. Cosa c'è di strumentale? Il fatto che la maggioranza dei partigiani fosse comunista o socialista è una colpa della sinistra?
Se vogliamo affrontare seriamente il problema dobbiamo dire che in Italia è aperta da dieci anni una questione molto seria: la questione della destra. Il fattore "D". La destra ha assunto - dopo mezzo secolo di emarginazione - funzioni di governo, ma che non ha ancora trovato la forza politica e culturale per affrontare il suo passato e per tagliare nettamente con esso. Resta, più o meno consapevolmente, più o meno volontariamente, erede del fascismo, non sa rinunciare a questa eredità. Sente la lotta tra partigiani e fascisti come una guerra civile dove ragioni e torti si equilibravano, e in questo modo non riesce a entrare a pieno titolo dentro la storia nazionale di questa Repubblica. Non vuole ammettere - non ci riesce - che questa è una Repubblica antifascista. E' un problema che sicuramente non esiste né in Francia né in America, perché la destra francese e americana non è mai stata compromessa col nazifascismo e anzi ha contribuito a combatterlo.
Quanto prima la destra italiana riuscirà a superare questo suo problema, tanto più renderà limpida e facile la lotta politica con la sinistra. E sarà più forte. Finché non riuscirà a compiere questo passo (a dire a voce alta: "viva la resistenza antifascista") e continuerà ogni volta a contrapporre anticomunismo e antifascismo, resterà "minorata", cioè non pienamente libera politicamente. Il problema è loro, non è della sinistra.
E per fare questo, la destra deve uscire dal suo stereotipo. Cioè dall'idea che si possano mettere sullo stesso piano antifascismo e anticomunismo. No, non si può. Perché? Per questa ragione: in Italia il partito fascista ha soppresso la libertà e portato il paese alla rovina, e lo ha consegnato ai nazisti; il partito comunista, viceversa, ha avuto una parte enorme nella battaglia che ha portato a riconquistare la libertà, e poi a costruire, e a difendere, per 50 anni, la democrazia italiana e lo Stato di diritto. Non mi pare che sia difficilissimo afferrare e condividere questo concetto.

sabato, aprile 23, 2005

RESISTENZA - 23/4/05

IL GOVERNICCHIO DEI TROMBATI
L’UNITA’ on-line 23-4
Sommario di I pag.
Giura il governo Tremonti-bis
La Lega fa festa, l'Udc contesta
Giuramento per il nuovo governo Berlusconi. Tutto come previsto: Storace alla sanità, Scajola alle attività produttive, Buttiglione ai beni culturali. Una nuova poltrona per Micciché, entrano perfino La Malfa e Caldoro. Ma soprattutto torna Giulio Tremonti, nuovo vicepremier. L’unica sorpresa è l’esclusione di Maurizio Gasparri, il più berlusconiano fra i colonnelli di An. Al suo posto il finiano Mario Landolfi. Maroni: «Con Tremonti, tre ministri e mezzo alla Lega». L'Udc: «Brutta partenza».
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L'Unione: vittoria leghista, è il governo della disperazione
Stupore, ironia. Tanto rumore per un governo che è un po' peggio del nulla. Romano Prodi scorre la lista dei ministri e osserva: «La mia prima reazione è che i due elementi di novità del Berlusconi bis sono il ritorno di Giulio Tremonti, principale responsabile dell'andamento negativo dell'economia italiana, e l'arrivo di Francesco Storace alla Sanità, sconfitto alle elezioni regionali proprio per la cattiva gestione del sistema sanitario nel Lazio». Una bella pensata.
Più tardi, dopo aver visto le prime dichiarazioni degli esponenti della maggioranza, un'altra riflessione: «Il ritorno di Tremonti e l'appoggio di Calderoli vogliono dire che ha vinto assolutamente la Lega».
È «un governo della disperazione pensato non per governare l'Italia ma unicamente per tenere insieme i cocci di una coalizione ormai a pezzi - attacca Piero Fassino - Un governo che ancora di più sarà sotto il ricatto dell'asse Tremonti-Lega. Un governo che ignora la domanda di cambiamento espressa dagli elettori il 3 e 4 aprile».
Per Olivero Diliberto, «oggi viene varato il governicchio dei trombati e dei riciclati. Palesemente incapace di risolvere alcunché».
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CITAZIONE
Un caporione di Forza Italia, Scajola, a occuparsi della distribuzione dei soldi alle imprese. Un capobastone di An, Storace, a ingrassare le clientele nel munifico settore della Sanità. Un capocorrente della Lega, Calderoli, confermato a guardia della devolution bossiana. Un capocordata dell’Udc, Baccini, rimesso dopo là dove si stipulerà il contratto degli statali. La composizione del Berlusconi bis è una chiarissima dichiarazione d’intenti: in assenza di qualsiasi effettiva convergenza strategica, gli acerrimi nemici che convivono nella Casa delle libertà si possono ritrovare soltanto nel tentativo di assalto alla diligenza. Questo sarà soprattutto il governo della instabilità quotidiana.
(Europa, 23-4)
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REPUBBLICA on-line 23-4
COMMENTO
Le due Case delle Libertà
di EDMONDO BERSELLI
CHE COSA fa un capo populista quando le cose si mettono male? Procede a tentoni come Silvio Berlusconi in questi giorni. Cerca di inventarsi la tattica momento per momento. Prima evita la crisi con un'acrobazia circense, lasciando storditi gli alleati, An e Udc, a cui aveva promesso seppure a malincuore il "nuovo inizio"; poi si lascia avvolgere dalle spire della crisi stessa; infine si ritrova nel gioco, per lui mortificante, delle consultazioni, degli incontri al Quirinale, delle trattative con gli alleati riottosi.
Tutto troppo complicato, faticoso, frustrante. Nella breve comunicazione rilasciata al Senato, si era lamentato platealmente delle pastoie costituzionali.
Pensando al momento liberatorio in cui la riforma della Casa delle Libertà consegnerà al premier i poteri del dominus. Ma per adesso Berlusconi deve sottomettersi alle cerimonie partitiche della valutazione degli equilibri politici nel governo, al calcolo del peso dei ministeri, alla discussione dei nomi da aggiornare, da cancellare, da ripescare.
Nonostante le rassicurazioni di Gianfranco Fini e Marco Follini, la nascita del nuovo governo non è così indolore come l'ottimismo berlusconiano prevede. Innanzitutto, il ritiro da Palazzo Chigi del segretario dell'Udc è il sintomo di uno smarcamento politico che già qualifica il Berlusconi-bis come un governo sotto osservazione.
Ma questo risiko, che ai tempi del pentapartito si chiamava più modestamente gioco dei quattro cantoni, non è risolvibile con l'algebra del vecchio manuale Cencelli. Perché oggi il problema di fondo della Cdl non è affatto un problema di equa lottizzazione delle quote di partito.
Si trattasse soltanto di trovare un metodo spartitorio, Berlusconi non avrebbe difficoltà. Anche il ritorno nella compagine di una personalità fortemente controversa come quella di Giulio Tremonti, di cui dieci mesi fa Udc e An reclamarono e ottennero la testa, sarebbe soltanto un tassello della spartizione complessiva.
Invece si dà il caso che la coalizione di centrodestra sia afflitta da una frattura autenticamente, profondamente politica: vale a dire la spaccatura fra le due sub-coalizioni costituite da Forza Italia e la Lega da un lato, e An-Udc dall'altro. Una contraddizione che risale agli albori dell'impresa politica berlusconiana, e che non è mai stata portata a una sintesi. Nel momento della sconfitta elettorale, e del ridimensionamento immediato dell'immagine berlusconiana, il conflitto politico e culturale tra le due componenti è riemerso con forza. Sicché in queste condizioni il Berlusconi "doroteizzato" dal desiderio di concludere la legislatura a qualsiasi costo non trova altra soluzione che istituzionalizzare il conflitto interno, incorporandolo nel governo.
Comunque vada, il dilemma è insanabile. Se si considera il cosiddetto programma di fine legislatura, descritto dallo stesso Berlusconi in termini di "rilancio dell'economia e delle imprese, difesa del potere di acquisto delle famiglie, creazione di posti di lavoro e impegno per il Sud", ci vuole poco ad accorgersi che esso costituisce la negazione patente del programma liberal-leghista del 2001 e della successiva azione di governo, nonché una resa evidente alle ragioni politico-elettorali dell'Udc e di An.
Naturalmente Berlusconi ha le doti, anche di autoconvincimento, per presentare un programma che non condivide, simboleggiato in sintesi dai tagli all'Irap anziché dall'ulteriore colpo di scure sull'Irpef. Tuttavia il livello di credibilità di un governo che rovescia la propria impostazione in politica economica non può che essere scarso. Al presidente non manca la capacità - anche mimica - di raccontare che adesso la Cdl completerà la legislatura realizzando in sei mesi ciò che non è riuscita a combinare in quattro anni.
Proverà ad argomentare tutto questo dando la colpa all'Europa, alla "vecchia" Costituzione, alla sinistra e a Prodi, e cercherà di realizzare un programma elettoralistico tenendo insieme la retorica euroscettica di Tremonti e la lealtà europeista di Follini, e l'impasto approssimativo della devolution con il premierato. Ma alla fine anche Berlusconi si renderà conto che il fallimento del suo governo non è un prodotto del destino, o della perfidia della politica, ma l'effetto di una composizione mancata, cioè di una destra rimasta vittima della propria schizofrenia. Ma il problema non è mettere su un esecutivo, è rifare la destra. E questa non è un'impresa che si fa in questo finale di partita.

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MEDITAZIONE - 23/4/05

L’UNITA’ on-line 23-4
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«Siamo vicini alla grande ricorrenza dei 60 anni della libertà e della caduta di un uomo che era onnipotente. Questo è quel che ci impegna ora nel riflesso della riforma costituzionale. Rivolgiamo un augurio all’Italia che certamente ne ha bisogno».
Oscar Luigi Scalfaro, Ansa, 22 aprile
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EDITORIALE
Carta straccia bis
di Antonio Padellaro
Le parole con cui Oscar Luigi Scalfaro ha ricordato (appena uscito dallo studio di Ciampi) che giusto 60 anni fa, insieme alla riconquista della libertà cadeva «un uomo che era onnipotente» non sono piaciute agli esponenti di Forza Italia che vi hanno visto «faziosità» (Cicchitto) e «vilipendio nei confronti del presidente del Consiglio» (Bondi). Si potrebbe obiettare che l’analogia Mussolini-Berlusconi, oppure fascismo- berlusconismo, sono stati i coordinatori forzisti a renderla esplicita, e dunque a farne un caso. Mettiamo pure però che l’ex presidente della Repubblica abbia voluto approfittare dell’udienza al Quirinale per esprimere, in termini forti, quel che ha sempre pensato del premier-padrone. Qui non è il caso di rivangare i pessimi rapporti personali tra i due: risalenti al ’94 e alla fine prematura del primo governo Berlusconi, che secondo il nume di Arcore l’allora capo dello Stato avrebbe in qualche modo agevolato. La questione è un’altra: resta innegabile il rapporto che lega il processo di liberazione con la nascita della nostra Repubblica, con la sua Costituzione e con i valori che da quella lotta hanno preso vita e consistenza.
Quest’anno il sessantesimo del 25 aprile acquista un significato più ampio poiché siamo in presenza di un tentativo di revisione della Carta costituzionale che ne altera molto gli equilibri raggiunti anche sulla base di quelle lotte, e soprattutto perché assistiamo a tentativi costanti di mettere in discussione il significato di quel processo di Liberazione.
Legare al 25 aprile la difesa della Costituzione non significa affatto dividere bensì condividere, se è vero che nella Carta si riconosce, fino a prova contraria, la stragrande maggioranza degli italiani; e che i valori democratici che in essa vi sono rappresentati appartengono a tutti perché garantiscono tutti. Difendiamo i nostri diritti: questo, crediamo, abbia voluto dire Scalfaro quando ha messo in relazione la conquista della libertà sancita dalla Costituzione con lo stravolgimento di quelle norme contenuto nella riforma votata dalla maggioranza. Calato nell’attualità più stringente e alla luce del comportamento del premier è un appello che acquista ancora più valore.
Fino dall’inizio della crisi Berlusconi ha cercato di ignorare il ruolo del Quirinale o di farne a meno. Prima, ha ritardato il suo incontro con Ciampi per la formalizzazione della crisi. Poi, ha evitato fino all’ultimo di presentarsi dimissionario davanti al capo dello Stato. Quindi, ha fatto sapere di avere la lista del governo bis in tasca e di essere pronto a comunicarla ai giornalisti: come se la norma costituzionale che affida al presidente della Repubblica la nomina dei ministri, su proposta del presidente del Consiglio, fosse carta straccia. Berlusconi, cioé, si è comportato come se la sua nuova costituzione, di stampo autoritario e leghista, fosse già in vigore. Come se il premier potesse decidere lui se sciogliere o non sciogliere le camere e nominare i ministri; come se il Quirinale fosse una sorta di ente inutile o giù di lì.

venerdì, aprile 22, 2005

RESISTENZA - 22/4/05

L’UNITA’ on-line 22-4
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L’amico americano: «Nonostante le promesse di un governo dalle riforme audaci Berlusconi ha offerto un record di inefficacia e immobilità tinto da scandali personali».
Wall Street Journal, 21 aprile 2005
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Sommario di I pag.
Incarico a Berlusconi
«Giuramento? Spero domani»
Ciampi incarica Berlusconi di formare un nuovo governo. Il presidente del consiglio uscente, accettando con riserva, spera di giurare già domani e garantisce che la fiducia al nuovo esecutivo sarà votata la prossima settimana. Imprese, famiglie e sud le tre parole magiche. «Stiamo lavorando per rendere possibile, in tempi brevissimi, la nascita di un governo che rappresenti tutte le forze politiche che hanno vinto le elezioni nel 2001», ha detto in mattinata Gianfranco Fini lasciando in Quirinale. D'Alema: «Cercano di mettere una pezza sulla crisi».
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EDITORIALE
Il disprezzo delle regole
di Pasquale Cascella
Consegnate le dimissioni al Quirinale, Silvio Berlusconi era andato in giro a espletare le residue, e non meno mortificanti, formalità istituzionali della crisi chiedendo ai suoi interlocutori se fossero «finalmente soddisfatti». Ventiquattro ore dopo è il premier a prendersi, a sua volta, la «bella soddisfazione» di mostrarsi in giro per la capitale rendendo plateale lo sprezzo per quegli inutili «riti della politica politicante» che lo costringono solo a perdere tempo.
Inaudito: il capo dello Stato si applica scrupolosamente nelle consultazioni sulla formazione del nuovo governo, e il premier si proclama già pronto, con la lista del nuovo governo in tasca, a dare «continuità» ai 1410 giorni di durata del suo primo governo di questa legislatura. Un «record» vantato come «incancellabile», e comunque da «onorare» con lo sbocco della crisi «più veloce della storia». Qual è l’anomalia? In effetti, l’unico precedente tra i presidenti incaricati dal capo dello Stato insofferenti alla canonica riserva è proprio Berlusconi. Già nel 2001 innovò la procedura di accettazione dell’incarico di formare il governo con una formula equivoca per avvalorare il teorema del «mandato diretto» degli elettori. Figuriamoci se ora non sta pensando a liquidare la riserva, per scodellare seduta stante il bis per tenere fede al lamento levato al Senato, correo il presidente Marcello Pera, sui lacci e lacciuoli della Costituzione in vigore. Testualmente: «Non consente al premier, eletto direttamente dal popolo, di adeguare la squadra di governo ogni volta che si presenta la necessità sotto la sua diretta responsabilità, senza lunghe ed estenuanti crisi politiche e verifiche parlamentari, come si fa nelle più avanzate democrazie occidentali».
Più plateale non avrebbe potuto essere il disprezzo delle regole, del resto manifestato dal premier sin dall’inizio della legislatura. Sarà stato anche il più longevo della storia repubblicana, ma quello di Berlusconi è anche il governo più rimpastato delle democrazie liberali. Tra dimissioni e cambi di ministri e sottosegretari il suo assetto ha già subìto 19 modifiche. Record dei record, ma questa anomalia - guarda caso - è oscurata dal premier. Non c’è alcun manuale Cencelli della prima Repubblica che contempli la sostituzione di quattro ministri degli Esteri nello stesso gabinetto. O il ripescaggio di potenti ministri costretti al licenziamento, come è già accaduto a Claudio Scajola dagli Interni al Programma, e pare doversi ripetere con Giulio Tremonti, già trombato all’Economia, nel nuovo governo. Quello che Berlusconi avrebbe voluto, al più, rimpastare. E che, una volta costretto al bis, è intenzionato ugualmente a tirare dalla fotocopiatrice.
Si va al Berlusconi bis, ma se pure generalmente le riproduzioni risultano peggiori degli originali, il governo-fotocopia predisposto da Berlusconi sconta in partenza alterazioni altrettanto da record. Per dire, i vice presidenti del Consiglio si riducono in qualità politica, con il venir meno della disponibilità di Marco Follini a tornare al terzo piano di palazzo Chigi, ma si moltiplicano quantitativamente macchiando irrimediabilmente il «nuovo programma».
Follini si è fatto legittimare dall’ufficio politico dell’Udc a comunicare direttamente al presidente della Repubblica, nelle consultazioni preventive al conferimento dell’incarico, di voler restare fuori dal «Berlusconi bis». È, a ben guardare, la stessa anomalia precedentemente segnalata da Pierferdinando Casini al Quirinale, rompendo la consuetudine (non la regola, giacché già con Carlo Scognamiglio, guarda caso nel ‘94, si era registrata l’eccezione) che vuole i presidente delle Camere silenziosi all’uscita delle consultazioni, avvertendo che, non essendovi «alcuno spazio per governi tecnici o istituzionali», l’alternativa diventa secca, tra la ricostituzione dei vincoli fiduciari della maggioranza o il ricorso anticipato alle urne E’ da presumere che il vertice istituzionale voglia prendere preventivamente le distanze dal guazzabuglio del governicchio-fotocopia. Berlusconi lo pretende? E sia. Ma solo per restare leader di una crisi permanente.
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REPUBBLICA on-line 22-4
Incarico a Berlusconi
Domani il giuramento del governo bis
Il Cavaliere gela gli alleati: "Un paio di ritocchi e basta"
ROMA - Nessun colpo di scena, la crisi apertasi mercoledì con le dimissioni del premier si è risolta come era previsto. Concluse questa mattina le consultazioni con le delegazioni di An e Forza Italia, il presidente della Repubblica oggi pomeriggio ha conferito l'incarico di formare un nuovo governo a Silvio Berlusconi. Incarico che il presidente del Consiglio uscente ha accettato con riserva, come da prassi.
Stando alle indiscrezioni che si sono inseguite per l'intera giornata, le facce nuove non dovrebbero essere molte.
"Hanno avuto la crisi di governo. Ora basta. Ritocchi mirati e limitati. In ogni caso il minimo possibile. Un paio di interventi possono bastare". Se non si trattasse di una vera e propria crisi di governo, si parlerebbe di un "rimpastino". Perché la linea che Berlusconi ha sostenuto in tutti i suoi colloqui con i leader della coalizione e con lo stato maggiore del suo partito è propria questa.
Tant'è che la contestazione è pervenuta in maniera piuttosto chiara nelle stanze di Palazzo Chigi. Sia An, sia l'Udc hanno fatto sapere di essere perlomeno "sorpresi" dall'atteggiamento del premier. "Mi cadono le braccia", si è sfogato con i suoi Gianfranco Fini, “Almeno non ci chiedere di essere contenti”. "Siamo di fronte ad un governo refuso", dicono sconsolati i centristi.
L'idea del Cavaliere, infatti, è di lasciare tutti al loro posto. A cominciare dal ministro delle riforme, Roberto Calderoli. La crisi di governo, quindi, si risolverebbe con la presentazione di una lista "fotocopia" ad eccezione di un paio di sostituzioni.
(Ndr – sintesi di vari articoli)

giovedì, aprile 21, 2005

RESISTENZA - 21/4/05

L’UNITA’ on-line 21-4
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Le ultime parole famose. «Non posso piegarmi a un partito che nel 2001 aveva il 3%. Non posso accettare i giochini democristiani da Prima Repubblica. Non vado a dimettermi, non ci penso nemmeno. O smettono questo tira e molla o si va a elezioni».
Silvio Berlusconi, Corriere della Sera, 18 aprile
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Sommario di I pag.
Prodi al Quirinale: «Un governo bis non basta: si torni al voto»
Consultazioni per il prossimo governo dopo che Silvio Berlusconi ha portato a Ciampi le sue dimissioni. L'Unione si presenta con un documento unico. Prodi:«Se il centrodestra non è in grado di governare la parola torni agli elettori». Casini, grande manovratore della crisi del secondo governo Berlusconi, esclude la possibilità di risolvere la crisi nata dalle elezioni regionali e dalla sconfitta della Casa delle libertà con "governi tecnici o istituzionali" di fine legislatura. O si ricostituisce la maggioranza uscita dal voto del 2001 «con la coesione necessaria» o si va al voto, questo il suo pensiero.
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EDITORIALE
Finalmente
di Antonio Padellaro
Mercoledì 20 aprile 2005: una data che tutti gli italiani all’opposizione (e i lettori dell’Unità in particolare) possono ricordare con soddisfazione. Dopo 1409 giorni a palazzo Chigi, Silvio Berlusconi ha presentato le dimissioni sue e del governo. Dopo quattro anni, lunghissimi, interminabili (insopportabili) ecco che la possente corazzata azzurra che doveva navigare incontrastata per dieci anni, e forse più, cola miseramente a picco. E poco importa se il premier naufragato cerchi di improvvisare un barchino di salvataggio per galleggiare qualche mese ancora. Anche se con l’atto formale di ieri al Quirinale può non terminare definitivamente il ciclo di questo esecutivo rabberciato, finisce comunque un’epoca. Lo scriviamo con quel tanto di azzardo che comporta un pronostico nel campo imprevedibile della politica. Ma i segnali della disgregazione e dell’epilogo, compaiono tutti. I più evidenti si potevano cogliere, nell’aula del Senato, dall’espressione stizzita del presidente del Consiglio, costretto a recitare quelle quattro cartelline scritte sotto dettatura di Follini e Fini. Sì, quel Follini e quel Fini che non ha mai smesso di considerare dei miracolati che tutto gli dovevano: ministeri, fama, potere; e contro i quali aveva scagliato la sua personale fatwa: loro le sue dimissioni non le avrebbero mai ottenute. Aveva detto (ecco un altro segno della fine) che giammai si sarebbe piegato ai riti della prima repubblica, al teatrino della politica tanto disprezzato elevato a simbolo di tutto ciò che il berlusconismo massimamente aborre. Ed eccolo invece subire i beffardi complimenti dei due miracolati, ben lieti di averlo impigliato nei loro fili. Seguiranno, come da copione, rituali consultazioni, agitate riunioni programmatiche, febbrili totoministri e poi, il Berlusconi ridotto a bis potrà fare l’ultimo giro di valzer. Ma potrebbe anche finire qui, con le elezioni anticipate: un sussulto di stanchezza e di orgoglio da parte di un premier che aveva coltivato il sogno di rovesciare l’Italia come un calzino. E come un calzino è stato rovesciato lui.
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REPUBBLICA on-line 21-4
COMMENTO
Le illusioni dello sconfitto
di MASSIMO GIANNINI
È FINITA. La parabola eroica del "leader vincitore", stavolta, si è chiusa senza altre sorprese. Silvio Berlusconi si è dimesso dopo 1.409 giorni di "regno democratico".Lui, che aveva forgiato la sua immagine sul mito della legittimazione popolare e populista piuttosto che sulla mediazione politica e politicante, si è sottoposto a tutte le "stazioni" imposte dalla via crucis istituzionale che regola da mezzo secolo le crisi di governo di questo Paese.
Basterebbe già questo, a sancire la fine di un ciclo. Ieri, prima al Senato e poi al Quirinale, abbiamo assistito alla definitiva de-sacralizzazione dell'unto del Signore. Il Cavaliere "è sceso dal piedistallo", come ha detto con qualche malcelata soddisfazione uno dei suoi forse ex-alleati. Berlusconi non è più il padre-padrone della Casa delle Libertà. Se tutto va bene, sarà ancora giusto per un anno il presidente del Consiglio di un governicchio quadri-partito. Tenuto insieme solo dal gioco dei ricatti incrociati, e dalla mutua impossibilità delle singole forze che lo compongono di andarsene ciascuna per proprio conto. Ma da ieri, e a dispetto di tutte le convinte asserzioni formulate dal premier nell'aula di Palazzo Madama, il vincolo che ha retto il centrodestra in questi anni si è sciolto.
Il Cavaliere riuscirà pure a rimettere in piedi un Berlusconi-bis. Tenterà pure di far credere, attraverso qualche altra trovata propagandistica, che un nuovo programma politico è ancora possibile, e che un altro miracolo economico per le famiglie, le imprese e il Sud è ancora probabile.
Ma sarà pura inerzia "resistenziale". Farà male allo stesso premier, che senza più un euro di tasse da restituire si esporrà al lento declino del suo strampalato modello di Berlusconomics. Farà male ai suoi alleati, che continueranno a litigarsi le spoglie di un'alleanza in calo progressivo di appeal elettorale. Farà male all'Italia, che con una crescita inchiodata all'1% avrebbe bisogno nel frattempo di un vero elettrochoc per rimettersi in piedi. A questo punto le elezioni anticipate sarebbero la soluzione più equa e conveniente. Ma anche se nulla si può escludere, nessuno sembra disposto a rischiarle.
Il centrodestra consuma se stesso e il Paese in una doppia "condanna". È condannato a tenersi ancora per un anno questo leader: non ne ha altri capaci e coraggiosi al punto di accettare la sfida per il comando. È condannato a stare insieme chissà ancora per quanto: in base a una simulazione di Roberto D'Alimonte sulle politiche del 2001, nel maggioritario la Cdl senza la Lega perderebbe 52 seggi, senza l'Udc ne perderebbe 49, senza An ne perderebbe 159.
Come ha scritto mestamente ma lucidamente Giuliano Ferrara: "Non so come finirà, ma so che è finita".
Eppure Berlusconi ha trovato il modo per azzardare l'ultima forzatura. Ha detto: “Sono "costretto a dimettermi da questa Costituzione". Non è mai troppo tardi, per verificare i fermenti della vena antipolitica berlusconiana. Con il solito gioco di specchi, il Cavaliere confonde il suo mondo virtuale con la realtà fattuale. Scarica sulle regole, cioè sul sistema costituzionale, le tensioni tra i partiti, cioè l'assetto coalizionale: “La riforma costituzionale di questa maggioranza adeguerà il nostro sistema di governo alle moderne democrazie. Ma ora, dovendo dar vita al nuovo governo, non mi posso sottrarre al passaggio attraverso una formale crisi di governo...".
In queste parole è racchiusa tutta l'anomalia della psico-politica berlusconiana. La possibilità che gli alleati-vassalli non siano d'accordo con il capo supremo non è contemplata. L'ipotesi che gli elettori-sudditi non apprezzino le scelte del sovrano assoluto non è prevista: è "questa Costituzione", che lo obbliga alle "estenuanti crisi politiche e ai passaggi parlamentari".
Siamo all'ultima, brutale svalorizzazione della Carta del 1948. È colpa della Costituzione, se dopo quattro anni di legislatura si è sciolto il fragile patto che legava gli inquilini della Casa delle Libertà? È colpa della Costituzione, se Bossi (senza il quale si perde al Nord) ricatta Berlusconi con la devolution, se Follini e Fini (senza i quali si perde al Centro-Sud) ricattano a loro volta Berlusconi sul programma e sulla squadra, e se lo stesso Berlusconi (senza il quale nessun centrodestra vince da nessuna parte) non ha più risorse politiche per pagare tutti questi riscatti? È colpa della Costituzione, se questa formidabile maggioranza che stravinse al voto del 2001 ha perso poi in sequenza ben cinque tornate elettorali consecutive? È colpa della Costituzione, se oggi un blocco sociale ancora in attesa di rappresentanza organica rescinde il "contratto con gli italiani", che ieri aveva sottoscritto come simbolo della modernizzazione pubblica e dell'arricchimento privato?
Berlusconi commette oggi una palese mistificazione: per spiegare la rottura nella sua maggioranza, denuncia la presunta inadeguatezza dello "strumento" (la Costituzione) e nasconde l'imperizia di chi non l'ha saputo usare (la coalizione). Per questo Berlusconi non è credibile, e tradisce la sua endemica inclinazione alle super-semplificazioni demagogiche e per certi aspetti anche pericolose.
Per quanto il Cavaliere si sforzi con altre invenzioni di marketing politico, dopo questa crisi il suo "palinsesto" è fallito. E se la terapia è quella ascoltata ieri a Palazzo Madama, un altro anno di Berlusconi bis non salverà il centrodestra.
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CITAZIONI
“Come alla caduta di altri regimi, occorre una nuova Resistenza, un nuovo riscatto e poi una vera, radicale, impietosa epurazione. Il male si taglia alla radice".
(Marcello Pera, La Stampa, 19 luglio 1992).
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Immortale odium et nunquam sanabile vulnus.
Luciano Seno, 21-4
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IL RIFORMISTA on-line 21-4
EDITORIALE
GOVERNO BALNEARE.
L’appoggio esterno di Follini e un ministero inutile
Come sarà il nuovo governo Berlusconi? Sarà un governo senza Follini. Come spesso accade, in politica e nella vita, le assenze sono più significative delle presenze (che tra l’altro si annunciano di scarso, quando non scarsissimo peso). Il Berlusconi bis sembra dunque nascere politicamente più debole del gabinetto che ha perso alle regionali. L’appoggio esterno di Follini (gli altri ministri dell’Udc rimangono, ma l’unico che contava esce) sembra dare una risposta all’interrogativo che ponevamo ieri al segretario dell’Udc: che cosa vuoi fare da grande? Pare chiaro che Follini, da grande, di certo non vuole fare il vice-premier di Berlusconi. La presa di distanze dal Polo di centrodestra così come è oggi non poteva essere più netta. La costruzione di qualche altra cosa - il polo dei moderati? - è materia dell’anno che resta (se sarà un anno). Ciò che oggi comincia ad essere chiaro è che non è chiaro con che alleanza politica il centrodestra andrà alle elezioni. E il rilancio - tardivo e quasi intimidatorio - del premier sul partito unico ha già ricevuto la più inappellabile delle bocciature dal suo destinatario principale.
Follini, ovviamente, è cruciale soltanto dal punto di vista politico. Ma anche dal punto di vista funzionale il Berlusconi bis sembra presentarsi nel peggiore dei modi. Di uomini nuovi, capaci di mettere un po’ di linfa vitale in un governo chiaramente giunto al finale di stagione più affaticato della Juve, non se ne vede nessuno, mentre cresce il numero degli uomini nuovi che, interrogati, non risposero, o declinarono, o gentilmente fecero notare che di questi tempi è più conveniente stare fuori che dentro. Il risultato dovrebbe essere un gioco di spostamenti di qua e di là degli stessi uomini del gabinetto precedente (anche se la sola uscita di Marzano, per conclamata incapacità, ci apre il cuore alla speranza per le sorti dell’industria italiana). Resta infine la vexata quaestio del ministero delle Riforme.
Sempre se si volesse seguire la logica, bisognerebbe riconoscere che oggi il ministero delle Riforme è diventato un ministero inutile. Perché le riforme sono state fatte, approvate in parlamento, ormai immodificabili, non c’è bisogno di un ministro che le proponga e le porti avanti. Togliere il ministero alla Lega per darlo a un altro partito, ha il solo senso di una vendetta e di una bega. Se il centrodestra si è convinto che le riforme gli fanno perdere le elezioni, deve accantonare le riforme, non Calderoli. Se invece il centrodestra è convinto che le riforme vanno mantenute, resta solo un problema di garanzia politica e di comunicazione pubblica che spetta al premier assicurare. L’interim, per una volta tanto, è la soluzione più sensata. Ma di sensato, in questa crisi, c’è davvero poco.
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STAMPA 21-4
Corsivo
Forza che non me ne vado
di Lietta Tornabuoni
Il premier italiano, battuto alle ultime elezioni e abbandonato nel governo dai suoi alleati dc, a lungo non si dimette, «Non vi libererete facilmente di me». Di regola, chi viene sconfitto se ne va, chi si vede smentito non si intestardisce; non è tanto atto dignitoso o elegante, una finezza di comportamento, quanto il riconoscere una realtà e agire di conseguenza. Se non ti vogliono, se non sei desiderato né apprezzato, se la tua direzione viene rifiutata o respinta, ostinarsi nel restare incollato alla poltrona non è decoroso né utile.
Ma nel mondo alla rovescia le cose non vanno così. Innanzi tutto, il rifiuto è una espressione democratica, si manifesta con il voto degli elettori: e si sa che a molti politici attuali il consenso popolare, i cittadini e la democrazia dal basso non potrebbero interessare di meno: l'importante sono gli accordi di vertice, per quanto illusori possano risultare. Sono comunque convinti di piacere moltissimo lo stesso, nel caso possono sempre dare la colpa ad altri: un complotto, una congiura, una trama, una cospirazione, una macchinazione contro di loro, orditi dall'opposizione o da alleati infidi. A se stessi, al massimo, possono imputare d'essere stati troppo ingenui e buoni, di non aver saputo comunicare alle masse le ottime cose compiute: evidentemente per eccesso di avversari nelle reti televisive anche di proprietà, per orrore delle esagerazioni e per modestia.
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LIBERAZIONE 21-4
EDITORIALE
L'impresa disperata di Berlusconi: fa la crisi per evitare la crisi
Non se ne sono accorti in molti, ma ieri l'ex-Presidente del consiglio Berlusconi ha preso a calci la Costituzione repubblicana, il capo dello Stato, il parlamento. Annunciando al Senato la sua "decisione" di dimettersi, ha spiegato che no, non poteva sottrarsi «al passaggio formale di una crisi di governo», impostogli da un sistema costituzionale inadeguato, arretrato e insomma distante da quello in vigore «nelle moderne europee». Insomma, la crisi è solo una finzione teatrale: lo stesso Berlusconi, in effetti, si è dimesso e, nello stesso attimo, si è autoreincaricato e riammesso, alla faccia delle prerogative di Ciampi. Non solo. La sceneggiata del Cavaliere era cominciata con una bugia grossa come una casa e in palese contrasto con le norme costituzionali: quella secondo la quale lui e la maggioranza di centrodestra sarebbero stati eletti direttamente dal popolo. Sulla base di questa menzogna, né le maggioranze che escono vincenti dalle elezioni né i presidenti del consiglio possono esser cambiati dal Parlamento: il quale, semplicemente, è stato licenziato, ridotto a un mero potere di ratifica, comunque umiliato. In buona sostanza: allo stato, questa radicale "riscrittura" autoritaria della carta costituzionale è l'esito più chiaro di una settimana e passa di crisi politica. Mai - l'abbiamo pur detto tante volte, ma questa volta è proprio vero - si era arrivati a un punto tale di bassezza. Un maggioranza che perde clamorosamente le elezioni, e non ha più il consenso del Paese. Un governo ridotto agli stracci e appeso agli umori di Calderoli. Un "premier" che ha stufato tutti, forse perfino se stesso. Una crisi che va avanti come una pantomina - non se ne può francamente più di passare dalla certezza di un governo tutto e bello rifatto - con Calderoli, nientemeno che vicepremier - all'incertezza tipica di una crisi al buio. Non se ne può più: ecco l'unica sintesi corretta della giornata politica.
Si può anche pensare che, sabato o lunedì, una specie di governo lo rifaranno, lo voteranno, lo reinsedieranno. Ma, come già si diceva, sarà soltanto uno zombie. Un governo spettral-elettorale. Un'ammucchiata di gente che sa di aver perso, ma si attacca al potere come un'ostrica andata a male.
Oppure no. Chissà che non ce la facciano, chissà che la politica - il minimo della razionalità politica - non riprenda il suo posto e ci conduca all'unico esito razionale di questo casino: l'uscita dalla scena di questo presidente del consiglio e della sua maggioranza. In fondo, l'unico dato certo è che Berlusconi si è dimesso: ha resistito, ha provato in tutti i modi a non farlo, a saltare sopra - perfino - quest'obbligo minimo. Ha trattato il presidente della Repubblica come fosse l'ultimo netturbino. Alla fine, però, le dimissioni ha dovuto darle: e finché non si presenterà alle Camere, con il suo solito sorriso a trentadue denti e la lista dei ministri, non è affatto detto che il Berlusconi bis riesca a prendere forma. Lo capiremo (sospiro) di qui a venerdì: alle 12, dice il calendario, le "consultazioni" dovrebbero esser concluse. Potremmo scoprire, allora, che questa crisi sciagurata diventa lunga, lunghissima. Che la "quadra" proprio non si trova. Che tutto questo corrisponde ad una disgregazione galoppante del berlusconismo. Che, dunque, dopo un quadriennio di devastazioni sociali (alcune delle quali, ahimé, hanno già fatto danni profondi), l'unica soluzione di risanamento democratico è il voto. Alla fin fine, mica chiediamo la luna. Chiediamo soltanto di non dover convivere per altri trecentosessanta giorni con il morto sulla nostra testa.

mercoledì, aprile 20, 2005

RESISTENZA - 20/4/05

L’UNITA’ on-line 20-4
Sommario di I pag.
Le dimissioni di Berlusconi: subito un governo fotocopia.
Riforme, lite sul ministero
Silvio Berlusconi ha portato a Ciampi le sue dimissioni: «Tutti hanno chiesto un nuovo governo che sia fondato sulla stessa coalizione - ha detto al Senato - Accetto questa sfida». Il premier promette una crisi lampo e pochi cambi fra i ministri. No all'ipotesi di elezioni anticipate. Poche parole sull'adeguamento del programma. Le riforme di sicuro vanno avanti (magari garantite da un interim dal presidente del consiglio). Fini e Follini, per ora, si dicono soddisfatti. La Lega si mette di traverso: «Sul ministero delle riforme impensabile cambiare», ammonisce Calderoli.
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L'Unione: non cambia niente, meglio le elezioni
Il centrosinistra non cambia idea. Secondo il segretario dei Ds Piero Fassino, il discorso di Berlusconi al Senato è stato «deludente ed elusivo». Dunque la linea dell’Unione resta immutata: meglio le elezioni anticipate. «Se tutto è stato fatto così bene come ha sostenuto Berlusconi - osserva Fassino - non si capisce perché la destra abbia perso le elezioni, perché sia stata abbandonata da milioni di elettori italiani e perché il governo si dimetta. Se l'intenzione è di fare un governo fotocopia, meglio dare la parola agli elettori». Nelle parole del premier, non c'è stata «nessuna seria analisi della sconfitta, nessuna seria indicazione di come si intenda cambiare strada. non ci siamo proprio».
«Il discorso del presidente del Consiglio in Senato non ha fatto altro che aggravare la situazione - sostiene Fausto Bertinotti - Di fronte a questa ennesima manifestazione di irresponsbilità, l'unica strada non può che essere costituita dal ricorso alle elezioni anticipate. Una misura di igiene politica che consentirebbe al paese di esprimersi sul proprio futuro».
Anche secondo Francesco Rutelli, «piuttosto che un'agonia che fa male al paese meglio rivolgersi al paese e al giudizio degli elettori».
Per Arturo Parisi, «l'insistenza con la quale Berlusconi ha provato a rivendicare la continuità di maggioranza di programma e di leadership non può che suonare patetica». La verità è un'altra: «Con questo passaggio il governo si trasforma da governo di programma, da governo del presidente a governo dei partiti come mai era successo in passato. Il Cavaliere è definitivamente smontato da cavallo ed è tornato tra i fanti».
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REPUBBLICA on-line 20-4
Si è dimesso il governo Berlusconi
Consultazioni, poi il reincarico
Manca ancora il tassello del ministero delle Riforme
Lega in fibrillazione
ROMA - Silvio Berlusconi si è dimesso. Poco prima delle 17 è entrato al Quirinale. Ne è uscito alle 17,30 dopo aver rimesso il mandato nelle mani del presidente della Repubblica. Il suo governo, il più longevo della storia repubblicana, è durato 1.409 gorni, ma nemmeno questo è arrivato alla fine della legislatura.
Ciampi ha accettato con riserva le dimissioni, gli ha chiesto di restare in carica per l'ordinaria amministrazione e si è preso due giorni per le consultazioni con istituzioni e forze politiche che cominceranno domani mattina alle 9,30. Il premier ha fatto sapere che nella Cdl "c'è un accordo di massima sulla nuova squadra".
Le cose, dunque, dovrebbero andare via lisce e il Cavaliere fra un paio di giorni dovrebbe essere di nuovo in sella per cercare di arrivare fino alla fine della legislatura con il suo "Berlusconi-bis". I condizionali sono ancora necessari perché, dal discorso che il premier ha pronunciato al Senato, si è capita la sua volontà di tenere insieme la coalizione, ma non è stato molto chiaro il come. Berlusconi ha annunciato piccoli movimenti di ministri, ha spiegato che ci sarà un nuovo programma con maggiore attenzione a meridione, famiglia e imprese e ha anche fatto sapere che le riforme istituzionali "andranno avanti".
Poi, però, gli uomini di Bossi hanno cominciato ad agitarsi sul ministero delle Riforme. Calderoli è stato netto: "Le riforme sono nel Dna della Lega, pertanto non è pensabile nessun accordo rispetto alla situazione attuale per quanto riguarda il ministero". Di qui i margini di incertezza sulla situazione.
Berlusconi al Senato. La crisi e le dimissioni? Solo un passaggio formale imposto dai riti della democrazia. Le elezioni anticipate? Ipotesi neanche da prendere in considerazione perché questa è "la maggioranza scelta dagli elettori" e con questa si va fino alla fine della legislatura. La sconfitta alle regionali? "La democrazia è fatta anche di queste cose".
Così Silvio Berlusconi al Senato. Alla fine la crisi e la caduta del governo - parole tabù per il Cavaliere - sono diventate realtà.
Il premier concede che la Cdl è in difficoltà: "La coalizione che ha vinto le elezioni nel 2001, ricevendo il mandato diretto ed esplicito dagli elettori per governare, attraversa ora una fase di difficoltà. Poco più di due settimane fa, nelle elezioni regionali, il Paese ha mandato un segnale di disagio che per la sua dimensione ha un chiaro significato. Ho compreso questo segnale e intendo dare un'adeguata risposta. La democrazia è fatta anche di queste cose".
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CITAZIONE
Quanto potrà durare il Berlusconi bis? La sconfitta clamorosa, totale, durissima delle regionali ha portato a galla un crisi che era già dentro l’ambiguo patto elettorale sul quale Berlusconi ha costruito la sua coalizione. La furbizia è incompatibile con la politica. E soprattutto non aiuta a governare quando i problemi si fanno difficili. Quelli che l’Italia ha di fronte oggi, economici, istituzionali, sociali sono enormi. Ingigantiti dall’inerzia di un governo allo sbando. Sarebbe giusto tornare al voto. Sarebbe giusto calare il sipario su uno spettacolo tanto mediocre.
(“fsg”, Europa on the Web 20-4)
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WWW.CENTOMOVIMENTI.COM 20-4
Processo SME
"Berlusconi? Non potevamo assolverlo nel merito"
Lo scorso 10 di dicembre i Giudici della prima sezione penale del Tribunale di Milano avevano assolto il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi nell'ambito del processo Sme dall'accusa di aver corrotto dei Magistrati. Questo pomeriggio sono state rese note le motivazioni della sentenza. 156 pagine che spiegano a tutti coloro che hanno fatto finta di non capire che l'assoluzione del premier è arrivata solo per avvenuta prescrizione del reato.
Le Toghe hanno infatti precisato che il quadro indiziario a carico dell'imputato non ha consentito "una pronuncia assolutoria nel merito".
E' praticamente certo, dunque, che il Cavaliere pagò il giudice Renato Squillante per aggiustare una sentenza (quella relativa alla compravendita di Sme) con ben 434mila dollari. Denaro che uscì dalle casse della Fininvest e che, tramite l'avvocato Cesare Previti, arrivò al Magistrato corrotto.