domenica, febbraio 29, 2004

CORSERA 29-2

Berlusconi è il numero 1

Nell’intimità, parenti e devoti lo chiamano confidenzialmente Dio

di ENZO BIAGI

Voglio fare un comitato per la riabilitazione di Achille Starace: aveva inventato il saluto al Duce. Gli estimatori, e anche i beneficati, di Silvio Berlusconi ci hanno aggiunto anche i baci. Non solo, ma alla loro devozione personale hanno associato anche i congiunti. Silvio Berlusconi, della Berlusconi e Berlusconi, presidente di tutto, Milan-calcio compreso, ha telefonato alla «Domenica sportiva» per fare quello che gli premeva di più, una battaglia contro Prodi, e giustamente è intervenuta la presidente della Rai, Lucia Annunziata, una donna, la sola che si è comportata da uomo. E con parole sacrosante: «Vorrei dire al presidente Berlusconi di non occupare spazi che non sono della politica; lasci stare la Rai».

Coraggiosa e intelligente Lucia Annunziata, e le ha risposto (fedele al motto di Flaiano: «Gli italiani accorrono sempre in soccorso del vincitore») l’affezionato direttore generale al merito, Flavio Cattaneo: «Il premier ha parlato da sportivo: è l’Annunziata che fa politica».

È vero: qualunque abbonato alla Rai può intromettersi direttamente in un programma e dire la sua. Approfittatene: avete già il consenso di Cattaneo. Basta che, magari, siate presidenti di qualcosa, anche del condominio. Il direttore generale ce l’ha con l’Annunziata che mi sembra tra i due la più determinata. È lei che invita il presidente del Consiglio a lasciar stare la Rai, ma ho la sensazione che sia una vana speranza: c’è sempre il super manager lombardo che provvede a spalancare la porta.

Flavio Cattaneo merita rispetto: si intende di tv, di giornalismo, di comunicazione come la maggior parte dei cittadini di canto corale.

Del resto, Berlusconi è anche il numero 1 dei competenti di calcio. Nell’intimità, parenti e devoti, lo chiamano confidenzialmente Dio.

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IRAQ

La Sinistra impiccata al ricatto di Berlusconi

L’UNITA’ on-line 29-2

Furio Colombo

…La potenza mediatica berlusconiana ha una sua forza di ricatto. Tale ricatto fa temere anche a persone integre e coraggiose di apparire complici di un tradimento. Per esempio tradire i soldati italiani impegnati - dicono loro, mentendo - in una missione di pace. Negli ultimi giorni il ricatto si è realizzato presentando ai senatori un unico decreto che rifinanzia, insieme e con un unico voto, missioni di pace regolate da trattati da un lato, e la guerra privata di Berlusconi, dichiarata con una stretta di mano tra lui e Bush, senza politica estera, senza trattati, senza accordi, senza voto (c’è stato solo un voto per la pace, non per la guerra) dall’altro. E mettendo per la prima volta dal 1945 soldati italiani a disposizione discrezionale di altri governi. A questa confusione-ricatto voluta deliberatamente dal governo occorre dire un no netto che è un no a Berlusconi e all’atto di prepotenza di imporre un decreto unico per due situazioni diverse e incompatibili, non un no ai soldati. La ragione è la solita: mai stare al loro gioco. Che giochino da soli. Noi abbiamo da fare a difendere i diritti dei soldati italiani mandati allo sbaraglio.

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STAMPA 29-2

Barbara Spinelli

…Colpisce l'intrepidezza di Fassino, nel combattimento che lo vede oggi alle prese con due avversari, sull'Iraq. Un avversario interno alla sinistra, intenzionato a opporsi alla guerra in sé, e in particolare alle guerre volute da Washington. Ma anche un avversario nel governo Berlusconi, che non ha esitato a distorcere in maniera più che scorretta la discussione parlamentare, obbligando l'opposizione a votare sul rifinanziamento di ben dieci missioni italiane: per non smentire gli invii di soldati decisi quand'era al governo, la sinistra che vuol tornare a governare non può far altro che non votare. Rifiutandosi di trattare l'Iraq come un caso a parte, il governo ha teso una trappola all'opposizione ma ha anche voluto evitare ogni dibattito su una missione che resta indefinita, ibrida. Si chiama missione di pace, ma i nostri soldati sono alleati di una forza d'occupazione Usa che non mantiene la pace, ma bellicosamente cerca d'imporla. Son chiamati pacificatori, ma in realtà si difendono e muoiono - a Nassiriya - come in una guerra. Omologare questa missione a nove altre missioni vuol dire coprire sotto una coltre d'indifferenza la particolarità della missione irachena, dimenticare che essa è l'unica a non operare nell'ambito di un'organizzazione internazionale di cui l'Italia è parte integrante, e sottovalutare dunque la sua pericolosità estrema. Vuol dire non accettare alcuna discussione, attorno alle responsabilità dei morti a Nassiriya. Il solo fatto che Violante e Parisi abbiano accennato a responsabilità è ritenuto «rivoltante». Eppure un giorno converrà discutere di queste cose, e sapere se i soldati italiani erano troppo esposti, troppo mal istruiti, quando venne detto loro che in Iraq li aspettava solo un'azione umanitaria.

MEDITAZIONE

C@C@O 29-2

Le avventure di Toni Barra, detto "O Animale"

Storia di spionaggio, sesso e perversioni sindacali

di Jacopo Fo

Il Capo del Sindacato Metallurgici e Elettronici mi mandò a chiamare. Era un tipo tarchiato che mangiava solo salsicce di maiale biodinamico. I maiali li ammazzava lui a mani nude. Poi li tritava a martellate. Diceva che era mediamente meglio che fare footing.

Beh cazzo, non avrei voluto essere nei panni del capitalismo quando sarebbe arrivato il giorno del giudizio. Il Capo non avrebbe fatto prigionieri tra quelli che avevano inquinato i fiumi e dato gli ormoni ai salmoni. Andò subito al dunque: "Toni, i ragazzi mi dicono che c'è un complotto per ridurre del 50 per cento il reddito di tanti bravi padri di famiglia che si guadagnano il pane con il sudore. Vedi di dare un'occhiata..."

Non so com'è che quando c'è da testare le forniture di materassi per la Coop, con le commesse, non mi chiamano mai... Comunque in casa siamo comunisti da 4 generazioni e nessuno si è mai tirato indietro. Iniziai a darmi da fare.

Conoscevo una ragazza che la prestava per cifre esorbitanti a manager che non avevano il tempo per farlo gratis. Andai da lei, le ricordai di quando era giovane e l'avevo salvata dal vizio dei saldi presentandole un mio ex compagno di sezione che aveva barattato l'anima con un'auto, quattro ville, una barca e un posto al sole come produttore televisivo. Lei mi disse che la vita era un complotto ma non ne conosceva i dettagli. Le chiesi di informarsi nel giro.

Poi andai a trovare Lulù Santachiara. Lei fuma solo nigeriana verde e ha delle visioni.

"Che idea ti sei fatta del trend economico sul medio periodo, per la classe operaia?"

"Ho avuto una premonizione. Dei ragni attaccavano un coniglio..."

Non mi piaceva, sentivo puzzo di bruciato.

Lei aggiunse: "Vai dal Topo, lui sa..."

Il Topo è uno che ha tentato la rivoluzione armata negli anni settanta. Ha fatto 7 anni dentro e ora vive cercando di essere trasparente.

"Perché credi che i verbali di Moro non siano mai saltati fuori?"

"Tu lo sai?" gli chiesi.

"Certo che lo so."

"E allora dimmelo."

"Certo che te lo dico, non c'è problema. Fu questo il colpo di genio di Moro. Raccontò tutto ai suoi carcerieri. Ma talmente tutto che quelli si trovarono in mano le prove di crimini che andavano molto al di là della loro possibilità di credere. Il "Piano fine di mondo". Non vogliono la fine veramente totale. Vogliono l'Argentina, su scala mondiale. Prima però vogliono tutti i soldi dei ceti medi riflessivi. Hai presente la Parmalat? Il capitalismo italiano è tutto finto. Persino il calcio è una messa in scena". Parlò per due ore. Aveva ragione lui. Nessuna persona sana di mente andrebbe in giro a raccontare una storia così pazzesca. E io non faccio eccezione.

Mi telefonò la fotomodella col tassametro truccato e mi disse che c'era un tale, figlio di uno veramente in alto, che al culmine dell'estasi sessuale, mentre quattro hostess gli mostravano la via per il paradiso, si era vantato di aver parlato con il Presidente del futuro della nazione. Decisi di fargli visita. Mi portai dietro due mie amiche lesbiche, Tonga e Anna, che quando sono di buon umore spaccano le noci di cocco con le tette. Io so come far parlare questi smidollati che praticano il sesso di gruppo. Non avrei avuto pietà. Non di un tipo come quello. Tra i suoi numerosi crimini c'era quello di aver collaborato alla produzione del Grande Fratello. Me lo aveva detto Moira, che tutti chiamano "L'archivio", una del gruppo italiano "Nonne de Plaza de Mayo". Sa a memoria tutte le formazioni del comitato centrale del Partito Comunista Polacco dal 45 al 92. Poi ha smesso.

Entrai in casa sua imitando la voce del Presidente:

"Mi consenta l'ingresso, Pappoletti!".

Anna lo soffocò con i seni e io gli dissi che cosa succede a un uomo che si mette contro dieci milioni di operai maleducati che potrebbero circondarti e poi scoreggiare tutti assieme. Un'ora dopo sapevo il "Chi come dove quando e perché". Una vera schifezza. Erano molto più bastardi di quello che un proletario medio possa immaginare. Ero tranquillo perché quando al sindacato lo avessero saputo, avrebbero perso il lume della ragione.

Non so se avete presente quello che possono combinare dieci milioni di lavoratori fuori dai gangheri. Capace che ti decidono di non consumare più i prodotti delle 400 marche più gettonate... Così... Solo per procurare un male fisico spaventoso all'area retrograda del capitalismo nazionale. Hanno un gusto sadico per le ritorsioni. Le multinazionali farmaceutiche a confronto fanno ridere. Al massimo se i giornali danno la notizia di una mega corruzione di dottori, pagati per prescrivere certi farmaci in dosi da brontosauro, questi fetentoni di farmaceutici multinazionali sospendono per 60 giorni tutte le pubblicità...

Arrivai dal capo e gli spiattellai la storia.

Mi guardò e disse: "Ah!"

Cazzo, sapeva già tutto.

"Volevo esserne sicuro, Toni..."

"E adesso che fate?"

"Vedi Toni, loro pensano che noi non si sia capita la storia. Ed è qui che li freghiamo."

"Cioè?"

"Toni, loro fanno questo complotto, e noi li lasciamo sfogare facendo finta di niente... Non capisci Toni? Li prendiamo in contropiede. Anzi li usiamo a nostro vantaggio. Per realizzare il loro piano devono far crollare l'economia, ma per farlo devono prima smantellare tutte le corporazioni italiane: giudici, notai, medici, burocrati, giornalisti, e soprattutto devono far fuori i poteri forti... la casata delle auto e quella delle banche sono già agonizzanti, ora tocca al gotha della Finanza. Hai sentito che hanno incriminato Fazio? E a noi questo sta bene. Che distruggano pure. Quelli sono i nostri nemici da 50 anni. Quelli che ci hanno tenuto con la testa sotto per mezzo secolo. La casta dei Re. Poi quando avranno finito di distruggere diremo alla gente: guardate! Sono loro i distruttori. Il giorno dopo dieci milioni di onesti lavoratori andranno dalle loro banche e diranno: "Ridateci i nostri depositi ce ne andiamo." Gli toglieremo la terra sotto i piedi in tre giorni. Abbandoneremo i loro supermercati, le loro assicurazioni, i loro festival mafiosi. Sai quanti cantieri e quanti capannoni utilizzano lavoratori in nero? Gli uomini del sindacato sono dappertutto e conoscono tutti. Basta mandarne in giro centomila con centomila telecamere a riprendere le facce dei lavoratori in nero e poi consegnare il tutto alla magistratura per bloccare l'economia nazionale. Siamo noi ad avere il potere, Toni, ma siamo prudenti e lo usiamo solo quando è indispensabile... Cosa credi, che non piacerebbe anche a me avere 7 televisioni che trasmettono l'inno dei lavoratori? Ma noi non siamo come i barracuda capitalisti. Noi non utilizziamo il nostro potere, lo coltiviamo."

"Bello!" Pensai mentre ritornavo a casa. Chissà la faccia del Presidente quando si accorgerà che non era vero che non avevamo capito niente.

Il sole tramontava a ovest come al solito. Ma ci stava mettendo un impegno notevole. Guardai la città distesa dalla finestra della mia mansarda e mi dissi: "Cazzo, Toni, che mondo straordinario. I cattivi sono solo capaci di alzare pietre che gli ricadranno sopra i piedi. Poi appoggiai le mie labbra su quelle di Rosa Samuele Invernazzi, una di un call center di Brescia. Aveva le labbra bollenti come sindrome professionale. Ma a me piaceva.

Il socialismo non era alle porte ma ci stavamo avvicinando. Decidemmo di prenderci un anticipo.

L’UNITA’ on-line 28-2

BANNER

«È un’esagerazione da estremisti dire che in Italia c’è un regime?». «Non credo che mi si possa classificare come un sovversivo, eppure lo sostengo anch’io. In un regime c’è una forte personalizzazione del potere. C’è un leader che conta più dei meccanismi della democrazia».

Giovanni Sartori, L’Espresso, 28 febbraio

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Se questo è un Uomo di Stato…

IL MESSAGGERO 28-2

IL MODELLO CELESTE DEL PREMIER

La Genesi del Cavaliere elettorale

di MARIO AJELLO

IL PADRETERNO parlò sei giorni, mentre creava il mondo, e il settimo si riposò. Chissà se il premier intende superare quel celeste modello. Le forze non gli mancano. E’ da domenica scorsa, e siamo quasi a domenica prossima, che Silvio Berlusconi non prende fiato. E forse tutti dovrebbero essere grati al presidente che si descrive come un crooner, uno chansonnier, un grande solista e invece sta diventando una formidabile orchestra che mescola suoni e parole, intreccia i generi e li contamina, li alterna o li moltiplica, li aggredisce o li carezza e insieme li tritura in un magnifico indistinto comunicativo in salsa pop. Dove la doppia punta di domenica 22 febbraio («Ancelotti deve giocare con due attaccanti») convive melodiosamente con il «golpe bianco» (per mano dei magistrati, evocato ieri) e con il botta e risposta della serata fra lui e Giovanni Rana. Dice il re dei tortellini: «Berlusconi mi ha offerto una candidatura. Ma gli ho detto no perché i tortellini sono sia di destra sia di sinistra». Replica del Cavaliere: «Non mi sono mai sognato di offrire una candidatura a Rana».

O forse, più che un’orchestra, il presidente è quell’“Uno, nessuno e centomila” che Luigi Pirandello previde e ora vede (sia pure da lassù) scendere in campo. E’ pirandelliano infatti il tormento di cui è caduto preda ieri sera Roberto Giachetti (della Margherita): «Chi è che, all’uscita da palazzo Chigi, torna ad attaccare i magistrati? E’ il presidente del Consiglio o il presidente del Milan? Chi è, dei due, che evoca lo stato di polizia di fronte a un’indagine tesa ad accertare eventuali illegalità nel calcio? Ormai Berlusconi fa più parti in commedia». L’opposizione, poco graziosamente, vorrebbe che ne facesse una sola: il “Fu Mattia Pascal” (sempre Pirandello), ossia che si spogliasse d’ogni identità e sparisse. Ma significherebbe privarsi di una colonna sonora dal seguente ritmo. Domenica (da ct latinista): le due punte, «Ancelotti che deve osare di più», i «verba manent». Lunedì (da vittima, coach e latinista pentito): «Vogliono mettermi il bavaglio ma io non tacerò», «Sheva deve giocare dietro le punte», «questa è una montatura politica», «non è vero che verba manent ma volant e mi correggo». Martedì (statista compassionevole): «Le notizie negative dispiacciono sempre» (a proposito dell’indagine su Fazio) e «Maestà, le invio il mio personale cordoglio» (a Mohammed VI, re del Marocco, colpito dal terremoto), più altre precisazioni, attacchi, difese, retromarce, ripartenze. Il 25 febbraio, superlavoro. E’ il premier aviatore, premier autista, premier non imprenditore, premier operaio, premier mister, premier ospite tivvù, premier assicuratore, premier ferrotranviere, premier camionista. Insomma, in un giorno solo: «Cassa integrazione per l’Alitalia», «Rispetteremo le date della Salerno-Reggio Calabria», «Lo Stato non è un’azienda», «Vado in visita nei cantieri aperti», «Il Milan ha sempre giocato a due punte», e alle 14,16 «la patente a punti ha salvato 1500 vite umane», alle 15,00 «i cantieri che visiterò saranno 25», alle 15,32 «purtroppo il calo dell’export italiano era previsto», all’ora della merenda «se non me lo impediscono tornerò a Porta a Porta», poi «ridurremo l’assicurazione auto a chi conserva tanti punti», «faremo l’accordo entro marzo per la ferrovia Torino-Lione», «i tir sulle strade si sono ridotti dell’8 per cento», «all’Alitalia solo 1.500 esuberi, mentre le compagnie straniere cacciano anche 10.000 lavoratori» ed è ormai ora di cena: «Sì, sarò premier operaio».

La sera dopo (giovedì) si conclude alle 22,04: «L’Alitalia tornerà competitiva». E la giornata era cominciata con un «sono amico di Montezemolo da 30 anni» e via via: «Bankitalia va preservata», «Gli incontri con Casini vanno sempre bene», «Mi auguro che la finanza non trovi irregolarità nei bilanci delle squadre di calcio», «Smentisco ricostruzioni su Fazio», «La commissione Telekom-Serbia ha lavorato in maniera lineare», «La sinistra sovvenzionò il dittatore Milosevic», «L’Alitalia è il mio primo cruccio»... E’ notte ormai. Bisogna prepararsi lo spartito dell’indomani sul «golpe bianco dei pm» e confermare e insieme smentire chi paragona il presidente a un mattatore che si traveste da vari personaggi e ogni volta mette il vestito meno adatto all’argomento e all’uditorio o lo vede come una specie di eroe cantante, eroe volante, eroe bambino.

Lui ha sempre detto di essere tutto ed essendo tutto che cosa sarà la settimana che viene: il prete o l’esploratore? Una gru o uno xilofono di cui ogni parte del tasto produce un suono diverso?

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MANIFESTO 28-2

BERLUSCONI

Tutto in uno

DOMENICO STARNONE

Un po' di tempo fa il senatore di Forza Italia Lino Iannuzzi, discutendo in televisione del presidente Segni, del generale De Lorenzo e dei fatti del 1964, s'è tenuto stretto alla parola golpe contro chi la voleva sostituire con intimidazione. Poi, visto che i suoi interlocutori lo trattavano come un anziano sciroccato che sbraita in un autobus affollato, lui per farsi capire ha peggiorato le cose avanzando un'ipotesi per assurdo. Mettiamo il caso - ha detto a occhio e croce, - che Berlusconi rischiasse di perdere le elezioni e si immaginasse all'improvviso nelle grinfie di comunisti in toga e approntasse con qualche generale, dietro le quinte istituzionali, un piano capace di mettere fuori gioco tutti i suoi oppositori, quello sarebbe un progetto di golpe oppure no? L'esempio è caduto nel nulla, c'è stato un attimo di imbarazzato silenzio e via. Giustamente del resto. Di questi tempi queste sono cose che non bisognerebbe dire nemmeno nelle chiacchiere da bar, nemmeno in un gerontocomio, nemmeno in fila per ritirare la pensione. Perché il premier non dà più l'idea di un premier olimpico, rassicurante, barzellettiere. Anzi è sempre arrabbiato, ce l'ha con tutti, con le massaie sbadate, con Confindustria, con i suoi alleati, con i suoi oppositori, con chi vuole toccargli le sue cose, le televisioni, il Milan, il parlamento, la sua stessa immagine. Soprattutto teme ogni giorno di più che gli elettori gli vogliano impedire di essere premier sempre. Com'è noto, infatti, si sente nato per essere primo in ogni circostanza, un winner permanente, e la minaccia di diventare un perdente lo esaspera e lo preoccupa. Non solo per motivi psicologici, naturalmente. C'è perdere e perdere, come c'è vincere e vincere, La sua eventuale sconfitta sarebbe la sconfitta non di un normale politico come quelli d'epoca liberal-fascista-democristiano-socialista, ma un'altra cosa, come altra cosa è stata la sua vittoria, fenomeni tutti ancora da vagliare.

Vediamo cautamente in che senso. Una volta, a seconda dei momenti attraversati dal nostro travagliato paese in un secolo e mezzo di stato unitario, gli agrari, gli industriali, i manipolatori dell'alta finanza passavano soldi con discrezione a schieramenti politici e partiti vecchi e nuovi perché questi assicurassero un'Italia adeguata ai bisogni della rendita e del profitto. Il mondo economico, per capirci, riteneva inutile se non volgare e controproducente mettere esplicitamente piede in parlamento, o lo faceva al massimo con qualche figurina di scarso clamore, a titolo ornamentale. I ruoli erano chiari. I politici si davano da fare, per quanto era possibile, nell'interesse di quel gruppo economico o di quell'altro e se c'era da pagare il fio per nefandezze varie toccava a loro pagare, ognuno correva i suoi rischi.

Berlusconi ha innovato. L'andazzo tradizionale dei rapporti tra politica e capitale è saltato. Basta con i soldi a partiti vecchi e nuovi, non c'è più da fidarsi. Basta con le manipolazioni e gli aggiustamenti sottobanco. Basta con la carrieruccia del politico per svago. Il cavaliere s'è pagato esplicitamente di tasca sua un partito nuovo. S'è pagato esplicitamente di tasca sua il gusto e la necessità del comando politico. S'è pagato esplicitamente di tasca sua il premierato. S'è pagato esplicitamente di tasca sua la possibilità di disegnare un'Italia di supporto ai suoi affari, alla sua prosperità. S'è pagato esplicitamente di tasca sua la tutela della sua attività industriale, la nomea di lindo imprenditore malvagiamente assediato dai tribunali comunisti, le leggi utili. S'è pagato esplicitamente di tasca sua lo scintillio sano della sua azienda, così abbagliante che pare quasi che in Italia non vi siano altri potentati economici e quelli che ci sono languano o diventino visibili solo grazie a crack e truffe epocali. Ha insomma alimentato la sua potenza con il suo potere, la sua apoteosi con un'apoteosi sfarzosamente autosovvenzionata, contando su profitti a breve e a lungo termine per sé, i suoi amici, i suoi alleati visibili e invisibili. Forse abbiamo sbagliato, noi che non siamo suoi fan, a insistere soprattutto sul conflitto di interesse. Tanta prodigalità verso se stesso - questa generosità dell'imprenditore nei confronti del politico e del politico nei confronti dell'imprenditore, riuniti arditamente ed esplicitamente nella stessa persona - è qualcosa di più. Il conflitto di interesse presuppone che il premier - e con lui il suo elettorato - percepisca che tra la funzione della politica e la funzione strapotente del capitale vi sia una qualche divergenza. Ma non è questo il caso.

Se fosse stato così a Berlusconi non sarebbe mai venuto in mente, nel suo ruolo di imprenditore, di buttare tanti soldi dalla finestra per stravincere in politica. In realtà il Cavaliere ritiene non a torto di aver semplicemente saltato certi noiosi passaggi e di fare più funzionalmente quello che si è sempre fatto con molti sprechi e meno plateali godimenti narcisistici. Di conseguenza faremmo tutti un passo avanti, forse, se parlassimo non solo di conflitto di interesse ma di accorpamento delle funzioni. Politica e capitale hanno provato, stanno provando, con Berlusconi, a lavorare dichiaratamente sotto un unico esplicito comando.

Certo, con pessimi risultati. L'esperimento va perdendo credito a ogni livello della nostra sgangherata società, in alto come in basso. Follini, Casini, anche Fini sembrano disorientati e cominciano a chiedersi che ci guadagnano a stare in quei paraggi, visto che Forza Italia sembra ormai la destra di An e si trova in buona compagnia soltanto con la Lega. Persino quel magmatico centro senza sinistra che il centrosinistra tende ormai a diventare comincia a domandarsi se è possibile seguitare a giocare il gioco della politica con un giocatore che ritiene di esaurire in sé ogni mossa possibile e la gira in zuffa se qualcuno si oppone anche tiepidamente.

Forse allora, senza avallare naturalmente l'ipotesi per assurdo del senatore di Forza Italia Iannuzzi, è tempo di porsi con chiarezza una domanda: Berlusconi, al punto in cui è arrivato il suo esperimento, può non diciamo accettare ma concepire l'idea di perdere le elezioni? L'industriale che in passato sovvenzionava un partito politico si ritraeva in buon ordine e cambiava supporto quando il suo referente era travolto dagli eventi. La veste indossata e portata ad arte dal corpo celeste del leader politico riguardava poco o niente l'ossatura economica che lo sorreggeva. Cosa accade invece quando il gran capitale è anche l'uomo della provvidenza e l'uomo della provvidenza è anche il gran capitale? Chi esce di scena, chi resta? Chi è sconfitto, chi fa finta di niente?

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REPUBBLICA on-line 28-2

Il gioco populista del premier in difficoltà

L'impetuosa marcia del Cav. ha già prodotto una quantità di macerie

di MASSIMO GIANNINI

Sono passati appena una decina di giorni dall'inizio della campagna "presidenziale" di Berlusconi, in vista delle europee e delle amministrative di giugno, e l'impetuosa marcia del premier ha già lasciato sul campo una cospicua quantità di macerie. La forza devastante della sua comunicazione politica cresce in misura inversamente proporzionale alla debolezza deprimente della sua azione di governo. Per recuperare consensi, non può rivolgersi alla testa degli elettori delusi, che non ci cascherebbero: gli aveva promesso meno tasse e più ricchezza, gli ha portato l'aumento dei tributi locali e la recessione.

Così, Berlusconi riprova a parlare direttamente alla pancia della gente arrabbiata, che potrebbe ricascarci: da leader di un "partito materiale" non può offrirgli una visione identitaria comune che in questi anni non è mai stata elaborata, ma può tornare a promettergli l'unico e originario riferimento condiviso: lui stesso.

L'uomo solo al comando, in lotta contro il resto del mondo. Al decennale di Forza Italia il Cavaliere aveva lasciato capire quali sarebbero stati i nemici da colpire: i soliti comunisti, gli "appositi" magistrati. La settimana scorsa ha allargato il tiro ai "politici di professione", per i quali ha ideato un "sillogismo" degno di Aristotele: hanno la casa al mare, alcuni hanno pure la barca, quindi sicuramente rubano.

Per giustificare l'ingiustificabile (il voto di fiducia sul decreto salva-Rete4) già che c'era ha menato un fendente anche al Parlamento, e alle sue "eccessive lungaggini".

Ma ieri ha fatto un passo ancora più avanti, nella sua personalissima rivisitazione pseudo-maccartista della storia italiana: "Non immaginavo che la Prima Repubblica mantenesse una presenza così forte e radicata in tutte le istituzioni, e questo rende tutto più difficile". A scanso di equivoci, ha ripetuto due volte quel "tutte". Casomai qualcuno pensasse che fuori dall'esecrabile "lista di proscrizione" dei sopravvissuti del Vecchio Regime ancora annidati nelle istituzioni potessero restare magari la presidenza della Repubblica o la Consulta, l'Istat o la Corte dei conti. È solo una variante del "non mi lasciano lavorare", che lo rese celebre nel '94, al primo fallimento da capo del governo. Ma oggi rischia di essere, allo stesso tempo, più grottesca e più pericolosa. Grottesca, perché la Casa delle Libertà ha la maggioranza numericamente più forte che sia mai uscita dalle urne dal 1948 ad oggi. Pericolosa, perché con questo alibi, e tra conflitti sempre più laceranti al tessuto connettivo della politica e della società italiana, il Cavaliere continuerà a "regnare" sulla nazione fino alla fine della legislatura, ma senza più governarla.

Il "gioco" di Berlusconi è fin troppo smaccato. Come gli ha ricordato proprio il Capo dello Stato nel suo discorso a Sassari del mese scorso, lo aspettano tre anni di consultazioni elettorali, prima del voto politico del 2006. Uno stillicidio. Non avendo risultati concreti da smerciare sul mercato dei consensi, il Cavaliere aggiorna e rilancia il marketing politico della famosa "discesa in campo". Prova a reinventarsi e a riproporsi, un'altra volta, come l'Uomo Nuovo. L'Uomo dell'antipolitica. L'Uomo del Fare che, mentre i praticoni dell'Ancien Regime bivaccavano flaccidi e inefficienti sui banchi del Parlamento, lavorava venti ore al giorno per costruire un impero e per far divertire e far "progredire" gli italiani. Con il telecomando e con le polizze assicurative. Con gli appartamenti residenziali di Milano due e con le vittorie internazionali del Milan.

È perfino stucchevole dover ripetere, per la milionesima volta, quale gigantesca manipolazione storica si nasconda dietro questa leggenda. È quasi noioso, ormai, dover ricordare quanto proprio il Cavaliere, per i suoi legami con Craxi e per i salvacondotti televisivi che il Psi e la Dc gli assicurarono a colpi di decreto legge agli inizi degli anni '80, sia una figura "consustanziale" alle vicende della Prima Repubblica, compresa quella non proprio edificante della loggia P2. È quasi inquietante dover rammentare che, oltre a lui stesso, dei 210 parlamentari eletti nelle liste di Forza Italia nel 2001 ben 80 provengano dai partiti "tradizionali", e che su quasi 10 mila amministratori locali del partito azzurro oltre la metà arrivi dalle file della Dc e del Psi. È addirittura imbarazzante dover rimarcare che, nei posti chiave del governo, del partito e della Pubblica Amministrazione, proprio il Cavaliere abbia scelto esponenti della "vecchia politica". Autorevoli ministri come Scajola e Pisanu (ex democristiani). Tenaci uomini di apparato come Fabrizio Cicchitto (ex socialista). Stimati civil servant come Lamberto Cardia (magistrato contabile, controllore di enti delle ex PpSs, capo di gabinetto di svariati ministeri, ora alla Consob).

Tutto questo, per il premier, non conta. È un "tra parentesi", che non compare nel carro allegorico berlusconiano lanciato verso la riconquista degli italiani. "Tra parentesi" (perché contrasterebbe con l'iconografia artificiosamente "nuovista" del personaggio) è la Vecchia Repubblica, dalla quale invece Berlusconi nasce come Minerva dalla testa di Giove. "Tra parentesi" (perché negherebbe la mistica del leader invincibile) è la sconfitta subita da Prodi nel 1996, che la storiografia azzurra ha completamente rimosso come se non fosse mai esistita. "Tra parentesi" (perché "per colpa dei comunisti senza il comunismo c'è sempre un futuro illiberale e autoritario da sventare", come ha detto ieri) sono gli stessi cinque anni di governo ulivista, non certo esaltanti, costellati da errori e indecisioni, ma durante i quali comunque non si sono viste leggi per la scioglimento coatto dei partiti o la chiusura dei giornali, né sono stati segnalati cosacchi ad abbeverare i cavalli a San Pietro.

In questa campagna elettorale, per il premier, conta solo ritrovare una sintonia con il popolo. A costo di qualunque forzatura della verità. Al prezzo di qualsiasi indebolimento delle istituzioni repubblicane. Lui è il presidente del Consiglio. Grazie alle televisioni che controlla (Rai) e a quelle che possiede (Mediaset), può tentare un'operazione di clamorosa rimonta. Nel suo caso (visti i pessimi risultati raggiunti) "l'incumbency", l'essere governante in carica al momento delle elezioni, sarebbe uno svantaggio. Con la potenza di fuoco delle sue reti può cercare di trasformarlo in un vantaggio. Dal '94 il collante mediatico supplisce alla carenza di condivisione sociale e ideologica del berlusconismo. Secondo l'Eurisko il 36% degli elettori di Forza Italia segue la tv per più di 4 ore al giorno. Se ha funzionato nel 2001, perché non dovrebbe funzionare anche nel prossimo giugno, e poi magari nel 2006?

E che importa se, per raggiungere il risultato, l'invincibile armata del premier calpesta Carlo Ciampi e Gustavo Zagrebelsky, Antonio Fazio e Virginio Rognoni, la Commissione Europea e l'Anm? E che importa se, per vellicare il popolo che spende, un presidente del Consiglio insiste a dire che l'inflazione al 2,4% a febbraio "è colpa dell'euro", per nascondere le inefficienze che il suo governo ha palesato nei controlli? E che importa se, per compiacere il popolo che tifa, un presidente del Consiglio evoca "lo stato di polizia" per attaccare una procura che indaga sul buco nero del calcio? Per il padrone del Milan, che si illude di governare l'Italia come una grande Milanello, che detta la formazione a due punte ad Ancelotti e pretende scudetto e Champions League per alimentare il mito del leader trionfatore, non esiste il problema del conflitto di interessi. Esistono solo gli interessi personali da tutelare. Per l'inventore del partito azzurro, che come scrive Ilvo Diamanti evoca non "la nazione", ma "la nazionale", non esiste il problema dei bilanci-colabrodo delle società di serie A, indebitate per 1 miliardo 941 euro nel 2003. Esistono solo i dividendi politici da trarne.

Magari attraverso scandalosi decreti spalma-debiti per le grandi squadre, votati alla faccia del "dio mercato" caro ai liberisti della domenica. Il "tempio" del calcio era sacro, e i "mercanti" in toga l'hanno violato. Tanto basta per gridare allo scandalo, come si farebbe al Bar Sport. Il Cavaliere applica al pallone la stessa mistica populista che sovrintende al suo tribolato rapporto con il potere giudiziario. Se va in tribunale dice: il popolo mi ha eletto capo del governo. Che diritto hanno i magistrati di impedirmelo? Qual è la fonte di legittimazione che li autorizza a tanto? Se va allo stadio dice: il popolo vuole godersi le partite. Che diritto hanno i magistrati di impedirglielo? Quale potere hanno per sottrarre l'oppio calcistico al popolo che vota?

Si aspetta la prossima esternazione. Ma sarà dura arrivare alle elezioni di giugno, in mezzo a tanta macelleria istituzionale.

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CORSERA 28-2

Berlusconi, attacco alla Prima Repubblica

Fassino: «E’ un uomo disperato e conviene lasciarlo alla sua disperazione».

Marco Galluzzo

ROMA - Che il Palazzo, inteso come potere istituzionale, gli sia contro, l’ha sempre sostenuto. In ogni occasione, da quando è tornato al governo, denunciando che nelle amministrazioni pubbliche sono rimasti gli ex comunisti, gli «infiltrati» dei vecchi governi, i tecnocrati inamovibili che remano contro. Ieri Berlusconi ha ribadito il concetto, senza escludere nessuno: «In tutte le istituzioni sono rimaste presenze della Prima Repubblica». La pensa così anche della presidenza del Consiglio, forse anche per questo Berlusconi non ama Palazzo Chigi, gli preferisce la sua residenza privata a Palazzo Grazioli: ama lavorare in via del Plebiscito, dimora e ufficio scelti da lui, piuttosto che negli studi che furono di D’Alema, Prodi e altra gente «che non ha mai lavorato veramente». Ieri, a rimarcare le difficoltà dell’opera di governo, il premier ha aggiunto una punta di sorpresa: «Non immaginavo che ci fosse in tutte le istituzioni una presenza della Prima Repubblica che rende difficile tutto».

«Ho deciso di fare politica - ha detto ai cronisti - per evitare un futuro illiberale al mio Paese. Ma non immaginavo che ci fosse stata tanta incapacità a governare da parte di chi mi ha preceduto. E che ci fosse in tutte le istituzioni una presenza della Prima Repubblica che rende tutto difficile». Tutte le istituzioni, proprio tutte? Risposta decisa, per l’Ulivo irriguardosa e offensiva nei confronti del presidente della Repubblica: «Tutte».

Berlusconi addita poi la grancassa dei media, l’essere «insolentito tutti i giorni da chi persegue la linea dello sfascio», con posizioni «suicide e masochiste», mentre il governo intende «lavorare con ottimismo e perseveranza»: «Voglio risolvere uno dopo l'altro i problemi lasciati dai governi passati».

Reazioni immediate, a sinistra, ma anche da parte del presidente della Camera: «La Prima Repubblica ha prodotto anche dei risultati straordinari e meravigliosi». Parole che marcano una distanza cercata, cui si aggiungono quelle del centrosinistra, di Piero Fassino, segretario dei Ds, convinto che «per coprire i fallimenti Berlusconi carica a testa bassa, non esitando ad aggredire anche il capo dello Stato: è un uomo disperato e conviene lasciarlo alla sua disperazione». Analisi identiche da parte di Comunisti italiani e Margherita.

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L’UNITA’ on-line 28-2

L'invasione degli ultracorpi

Tutti gli uomini del Re

di Antonio Padellaro

È davvero impressionante la squadra di giornalisti e conduttori che Silvio Berlusconi ha messo in campo per vincere le prossime europee. In nessuna campagna elettorale il premier ha avuto un potere televisivo così assoluto, scrivono sull’ultimo numero dell’«Espresso», Marco Damilano e Denise Pardo, prima di elencare tutti gli uomini, e le donne che indossano la maglietta del presidente-padrone. Oltre ai tg, Berlusconi controlla, infatti, “quasi” tutti i programmi d’informazione, da Rai a Mediaset a la 7, dal prime time alla seconda serata. Abbiamo scritto “quasi”, perché in questa occupazione mediatica ferrea, asfissiante ci sono rare eccezioni, ma ci sono. Non programmi di sinistra o di opposizione (che sono come una specie estinta dopo l’ultima glaciazione). Ma isole di giornalismo professionale e dignitoso, dove è possibile esprimere opinioni diverse rispetto a quelle ammesse dall’informazione unica, senza per questo essere manganellati verbalmente dal Bondi di turno. Pensiamo (ma non vorremmo con l’aria che tira danneggiare nessuno) a «Primo Piano», a «Ballarò», all’«Elmo di Scipio» di Enrico Deaglio, su Raitre; a «Omnibus», sulla 7; a «C’è Diaco», a «Contro corrente», su Sky. Tutto il resto o è del padrone o è riconducibile a lui.

Giuliano Ferrara («Otto e mezzo»). Piero Vigorelli (informazione Mediaset). Maurizio Belpietro (striscia quotidana su Mediaset). Antonio Socci, Augusto Minzolini e il direttore della «Padania», Gigi Moncalvo (tutti e tre su «Luneditalia», Raidue). Aldo Biscardi (il suo «Processo» è inflazionato dalla destra). Anna La Rosa («Telecamere»). Bruno Vespa... Distribuiti nell’arco dei sette giorni, i campioni di Berlusconi occupano tutto lo spazio che conta. Certe sere e in certe ore, dopo i tg di Mimun, Mazza e Fede, sempre così obiettivi ed equilibrati, chi vorrà saperne di più potrà saltare dal salotto di Ferrara a quello di Vespa, dal talk show di Socci alla striscia di Belpietro. Dove, per carità, ci sarà posto anche per gli esponenti dell’opposizione. Che, come i prigionieri di Guantanamo, potranno parlare solo se interrogati.

È inutile farsi illusioni. Quanto a potenza di fuoco la battaglia elettorale televisiva sembra perduta in partenza. O, per essere più precisi è stata perduta ai tempi dell’Ulivo quando nessuno seppe fermare il conflitto d’interessi e la sua crescita esponenziale.

Quanto ai temi di cui discutere, li decide uno solo. È come una terrificante presenza aliena: l’invasione dell’ultracorpo Berlusconi che, attraverso la televisione, si insinua nelle menti degli italiani e se ne impadronisce. In pochi giorni, e con cinque frasi secche il presidente del consiglio ha già comunicato l’essenziale. Riavvolgiamo il film. I miei avversari hanno portato la pressione fiscale a livelli insopportabili. Io, invece, vi dico di non pagare le tasse quando sono ingiuste. I miei avversari sono dei politici di professione. Non hanno mai lavorato veramente. Possono permettersi la seconda casa e la barca solo perché hanno rubato. Io, invece, non ho bisogno della politica per fare i soldi. Io sono uno degli uomini più ricchi del mondo perché ho creato dal nulla una grande impresa. Io sono il proprietario di una squadra stellare con cui ho vinto tutto. Loro non hanno vinto niente. Loro sono tutti uomini della prima repubblica. Anche Ciampi lo è. Con i loro magistrati, con i loro blitz contro le società di calcio, loro vogliono instaurare uno stato di polizia. Io vi regalo il campionato più bello del mondo. Loro ve lo vogliono togliere. Prende forma il nuovo peronismo spensierato e festoso. La Casa della libertà di fare tutto ciò che ci piace.

Ad ogni affermazione segue la strategia invasiva dell’ultracorpo televisivo. Quasi impossibile da contrastare, come ha spiegato Umberto Eco nella recente conversazione bolognese con Sergio Cofferati. Prendiamo il raid in diretta sul Milan a due punte. Come si fa a spezzare la spirale infinita dei giornali che rilanciano la «Domenica Sportiva», dei tg che rilanciano i giornali che rilanciano «Porta a Porta» che rilancia la «Domenica Sportiva»? Di disertare i salotti televisivi l’opposizione non se la sente, anche se è relegata in uno strapuntino. L’elogio del silenzio (Cofferati) è coraggioso, ma chi comincia per primo? Meglio concordare prima le regole del gioco: interventi di tot minuti, senza filmati taroccati, con avversari di peso politico adeguato e non disturbatori di professione; ma poi sono sempre i Vespa e i Socci a guidare la danza.

Forse l’unica speranza è l’eccesso di televisione, l’indigestione da presenzialismo. Dicono i manuali che per non rendere banali le sue apparizioni e non stancare i telespettatori, il leader deve limitare la durata e la frequenza dell’esposizione. Forse perché, come ha scritto Roosevelt, «la psicologia del pubblico non può rimanere sintonizzata troppo a lungo sulla costante ripetizione delle note più alte della scala».

Coraggio, non tutto è perduto.

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EUROPA on the Web 28-2

Cade la scusa più grossa di Berlusconi

Non era l’euro: inflazione giù in Europa, su in Italia

Lo ha detto con una battuta di quelle preconfezionate, affacciandosi dal finestrino della macchina: «Sapete, l’impatto dell’euro ha provocato una certa situazione, dovrebbe essere nella consapevolezza di tutti...». Poi è passato a temi sui quali si sente più a suo agio: lo stato di polizia, la vecchia politica che lo ostacola...

No, stavolta il presidente del consiglio non se la cava con una battuta. Perché nella consapevolezza di tutti da ieri c’è che l’inflazione scende visibilmente in tutta l’Europa dell’euro (secondo Eurostat all’1,6 per cento in febbraio, contro l’1,9 di gennaio e il 2 di dicembre), mentre invece soltanto nell’Italia di Berlusconi riprende a salire: la stima dell’Istat per febbraio è infatti del 2,4 per cento, un dato che per la prima volta fa dire alle associazioni consumatori che l’Istat si sta «avvicinando» alla realtà.

La forbice tra l’Italia e gli altri paesi che condividono con noi la stessa moneta si sta allargando fino a trasformare la nostra in una vera (e potenzialmente pericolosa) anomalia. È evidente – notavano ieri opposizioni e sindacati – che la continua crescita dei prezzi italiani non dipende affatto dall’introduzione dell’euro.

L’economista Marcello Messori spiega a Europa: «In realtà la nostra inflazione è colpa della totale assenza di competitività in molti settori produttivi, che sono stati lasciati liberi di fare quello che vogliono».

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LIBERAZIONE 28-2

Corsivo

Le perdite del Cavaliere

DON PANCRAZIO

Quante volte il Cavaliere ci ha detto e ridetto - e noi a prenderlo in giro - che, a fare politica, lui ci rimette? Non aveva forse un bellissimo, gratificantissimo e remuneratissimo lavoro, prima di decidere di "scendere in campo" per salvare l'Italia dalle orde comuniste? E la sua azienda, quella che avrebbe dovuto consentirgli, dopo tanti anni di sacrifici, non dico di campare magnificamente di rendita ma almeno di sopravvivere dignitosamente, non è forse assediata e penalizzata da tutti i nemici - magistrati, Finanza, giornalisti, committenti pubblicitari, dipendenti infedeli al servizio della sinistra, ecc. - che come avvoltoi le si sono avventati sopra, impoverendola, proprio per far pagare a lui la storica "scelta di campo"? Insomma, al contrario di certi ex-comunisti, il Cavaliere si vantava di essere entrato a Palazzo Chigi miliardario temendo però di uscirne con le pezze al culo. E la conferma è arrivata, puntuale, dall'annuale classifica delle persone più ricche del mondo pubblicata da "Forbes": il patrimonio del sig. Silvio Berlusconi è appena appena raddoppiato nell'ultimo anno, risultando non superiore, nemmeno di una lira, a 10 miliardi di dollari.

MEDITAZIONE

MANIFESTO

Disastri

ANTONIO TABUCCHI

Le parole di Berlusconi sono chiare: i parlamentari italiani sono dei ladri (Berlusconi è onorevole da 10 anni: prima si guadagnava il pane col sudore della fronte). I presidenti di questa accolita di ladri, cioè il presidente della Camera e il presidente del Senato, per il ruolo che ricoprono nel clan (stavo per dire nelle istituzioni) sono dunque i ladri più eccellenti. Infatti non hanno obiettato nulla a Berlusconi, e questo è un segno chiaro. Con ciò non si vuol dire che rubino davvero. Non si è ladri solo rubando. Si è ladri soprattutto quando si acconsente che qualcuno ci rubi l'onore e la dignità e la butti nella spazzatura. Chi nella spazzatura ce l'ha già buttata da solo, non può temere di esserne derubato. Giuliano Ferrara, visibilmente soddisfatto che Berlusconi abbia imparato la parte, lo ha rimproverato con tenerezza. Lui può permetterselo: è stato troppo poco tempo ministro per farsi la barca. I soldi, come ebbe a dire orgogliosamente nella sua trasmissione televisiva a un ospite di passaggio, se li guadagnava onestamente facendo il delatore della Cia. Che certo non lavorava in Italia a beneficio dell'Italia.

In Italia tira un'aria lugubre. C'è al comando uno disposto a tutto che ha per consigliere un traditore del suo paese. Ci si può aspettare qualcosa di molto brutto. Ma sarà un già visto, perché poi le scelte non possono essere che quelle.

Il mio cordoglio ai democratici di sinistra per la perdita simultanea di Nicola Tranfaglia, Alberto Asor Rosa e Gianni Vattimo. Felicitazioni ai fuoriusciti: sono rinati a nuova vita, anche se capisco il loro rammarico o la loro nostalgia. Succede i primi giorni che si smette di fumare. I Ds hanno perso tre cervelli che in cinque minuti pensavano quello che tutta la segreteria messa insieme riesce a «elaborare» in una legislatura; tre intellettuali che l'Europa ci invidia, tre studiosi senza i quali la cultura italiana non sarebbe quello che è. Ma «a quelli là» non importa. Ciò che gli importa è stare fra di loro, un migliaio nel grande acquario azzurrino, ad applaudirsi, a lodarsi, a cantarsi. Un giorno resteranno solo loro, finalmente, e le famiglie la domenica porteranno i bambini a guardarli, attraverso le pareti di vetro, come si guardano le specie rare in via di estinzione. E loro saranno tutti felici, soprattutto perché finalmente potranno votarsi fra di loro, eleggersi fra di loro, governare fra di loro. Finalmente soli.

E poi il professor Romano Luperini ci viene a fare la lezione sul declino dell'intellettuale. Ma ci facci il piacere.

Il presidente della Repubblica nel suo discorso di fine anno ha detto che i soldati italiani massacrati a Nassyria sono dei patrioti. Che hanno dato la vita per la patria. Nessuno ha protestato. Il presidente della Repubblica non ha letto la Costituzione. O se l'ha letta con le sue parole l'ha tradita. I nostri soldati sono stati inviati a morire da un governo cinico e irresponsabile che ha agito senza mandato internazionale, al servizio dell'amministrazione Bush, di un paese in cui perfino il segretario di stato Powell riconosce che gli Stati uniti hanno fatto una guerra senza giustificazioni e dice: «non so perché». I nostri soldati in Iraq non dipendono dal ministro Martino, che nei paesi dell'Alleanza che ha invaso l'Iraq conta quanto il due di briscola. Dipendono dal ministero della difesa inglese. Prendono ordini dagli inglesi. Che li trattano come si sa gli inglesi trattano la gente del sud. Col disprezzo con cui David Niven trattava Alberto Sordi in un celebre film sulla seconda guerra mondiale. O peggio. Come Bossi tratta gli extracomunitari. Poveri patrioti. Perché il presidente della Repubblica invece di fare tanti discorsi non li va a trovare a Nassyria, visto che Berlusconi non ci è potuto andare a causa del suo lifting? E' troppo vecchio? Se ha fatto un viaggio recentemente per andare a trovare il presidente Bush può arrivare fino in Iraq, è più vicino.

STAMPA 27-2

Miracoli italiani (e cubani)

Berlusconi – patrimonio raddoppiato in un anno

di Massimo Gramellini

Mai come quest'anno la classifica sullo stato dei miliardari pubblicata dalla rivista «Forbes» è ricca di soddisfazioni per noi italiani. Sarà entusiasta Bertinotti, e con lui tutti coloro che si battono per la redistribuzione della ricchezza, nell'apprendere che il patrimonio personale del caro compagno Fidel Castro viaggia sui 150 milioni di dollari, dieci volte più di Bush (tié) e addirittura cinquanta più di Blair (tié tié). Il dittatore comunista è un mestiere redditizio, oltre che uno degli ultimi impieghi fissi rimasti sul mercato: sono 45 anni che Fidel non lo licenzia nessuno. O forse c'è un Maroni anche all'Avana che gli sposta di continuo la data della pensione.

Ma l'emozione più pura, come dubitarne, ce la regala Silvietto nostro. In un anno il suo portafogli è passato da 5,9 a 10 miliardi di dollari. Quasi il doppio. E se si tiene conto che nel periodo in esame Berlusconi ha potuto dedicare ai suoi interessi solo i ritagli di tempo lasciatigli dalle cene con Bossi e dalle telefonate alla Domenica Sportiva, si tratta di un arricchimento prodigioso. Un vero miracolo italiano. La patria sbanderà pure verso le retrovie, ma il suo premier ne tiene alto il vessillo, balzando dal 45° al 30° posto della graduatoria assoluta. Al mondo gli resistono ancora Bill Gates e altri 28 scansafatiche, nessuno dei quali ha mai vinto un'elezione né una Champions League. Questa ingiustizia non durerà a lungo: se la tendenza dell'anno in corso venisse confermata pure nei prossimi, l'Italia uscirà dal G7, ma lui entrerà nella Top Ten.

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CITAZIONI

Il Cavaliere è il più ricco fra i leader del G-7

Con un patrimonio accreditato da Forbes in 10 miliardi di dollari, Berlusconi è al 30esimo posto nella graduatoria dei super-ricchi del pianeta, ma la rivista americana lo colloca al primo, davanti al premier canadese Paul Martin (il cui patrimonio è stimato in 225 milioni di dollari) e al presidente degli Stati Uniti, George W. Bush (15 milioni di dollari), per quanto concerne la mini-graduatoria dedicata agli uomini guida dei Sette Grandi. In quarta posizione si accomoda il presidente francese Jacques Chirac.

Liberazione, 27-2

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Non c’era alcun dubbio che Silvio Berlusconi rivestisse un ruolo di prima ricchezza nel pianeta, ma certo è significativo che Forbes ora lo collochi al primo, davanti al premier canadese Paul Martin e anche al presidente degli Stati Uniti, George Bush. Verrebbe quasi da essere orgogliosi che il nostro premier porti così tanto lustro al nostro paese nel mondo. Anche perché la classifica è riservata solo ai self made men, mica a principi e regine e uomini di Stato: per quelli c’è una speciale graduatoria dove il dominio è nelle mani del re saudita Fahd Bin Abdul Aziz Alasud con un patrimonio di 25 miliardi di dollari. Non si è capito, però, se Berlusconi ne è escluso perché non ha titoli nobiliari o perché non è un uomo di stato.

Europa on the Web, 27-2

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CORSERA 27-2

Il Cavaliere ha paura degli alleati

Un percorso obbligato contro i franchi tiratori

di MASSIMO FRANCO

Ha usato l’espressione «lungaggini parlamentari». Ufficialmente, infatti, Silvio Berlusconi non esclude di chiedere la fiducia sulla legge Gasparri che riforma il sistema tv, per evitare ritardi nelle votazioni alla Camera. Ma l’ulteriore ragione per la quale ieri il presidente del Consiglio è andato a trovare i presidenti dei due rami del Parlamento, sarebbe il timore di qualche agguato al governo, favorito dallo scrutinio segreto. La bocciatura sfiorata alcune settimane fa aveva suggerito una sospensione: era necessario, si disse allora, superare le tensioni fra An e Udc da una parte, e FI e Lega. Dal punto di vista formale una tregua è stata raggiunta: la resa dei conti voluta da Gianfranco Fini, di An, e da Marco Follini dell’Udc, si è chiusa. Ma politicamente, non è così. Per questo Palazzo Chigi dubita che la maggioranza riesca a reggere; e dunque corre ai ripari. Ma che la soluzione evocata significhi scongiurare un allungamento dei tempi, è come minimo opinabile. Si calcola che il governo dovrà chiedere una decina di «fiducie». E comunque, il voto finale sarà a scrutinio segreto.

Dunque, il rischio di una bocciatura non è esorcizzato del tutto, ma solo posticipato. L’opposizione sostiene che la fiducia sulla Gasparri sarebbe «uno schiaffo al presidente della Repubblica». Ma l’impressione è che il Quirinale valuti positivamente il testo modificato della riforma: contiene gran parte dei rilievi mossi dal capo dello Stato nel rinvio alle Camere.

Il problema è interno alla maggioranza. Quando Berlusconi ipotizza la fiducia, allude all’incognita del comportamento parlamentare dei propri alleati, tuttora divisi e in lite. Alcuni di loro non hanno gradito che il presidente del Consiglio dichiarasse esplicitamente di essere andato prima da Pier Ferdinando Casini alla Camera, poi da Marcello Pera al Senato, per discutere di Gasparri; e cioè di una legge che tocca il cuore del conflitto di interessi. Unito ai veleni elettorali, il gesto inasprisce il centrosinistra.

Gli avversari imputano a Berlusconi di non salvare neppure le forme; e insieme di non conoscere, e comunque di non rispettare, le altre istituzioni. Il dettaglio che ha seminato perplessità è stato il suo accenno ad un adeguamento del regolamento della Camera a quello del Senato «ai fini di una maggiore celerità». In altri tempi, dicono, sarebbe stata considerata un’ingerenza.

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L’UNITA’ on-line 27-2

Il ritorno dei Borboni

Se Berlusconi “si arrangia”, perché noi no?

di Corrado Stajano

Durante i processi di Mani pulite colpivano le espressioni esterrefatte dei carabinieri di servizio nelle aule dei tribunali quando giudici, avvocati, imputati facevano un po’ di conti sull’entità delle ruberie, il gran ballo dei miliardi delle tangenti. Non potevano non far confronti tra la loro magra busta paga e quelle somme ingenti che ministri, segretari di partito, manager di Stato e non di Stato avevano messo in tasca. Non era necessario aver frequentato scuole di alta finanza per capire quanto era costato alla collettività nazionale il ladrocinio generalizzato, per sé stessi e/o per il partito, di quei personaggi che ora rispondevano con visi simili a Madonne addolorate alle domande dei magistrati e, persa l’antica alterigia, tentavano maldestramente di spiegare cos’erano mai quei numeretti scritti su un’infinità di documenti che provavano le loro malefatte. (Un chilometro di passante ferroviario a Milano veniva a costare, fino al 1992, 80 miliardi di lire; dopo il 1992, 45 miliardi).

Adesso quelle ruberie sembra che non siano mai esistite e la corruzione sembra non sia più un reato. In dieci anni non è stata approvata alcuna legge per contrastarla. Pare che non sia più neppure un peccato da confessare al penitenziere, mentre prosperano i condoni, le agevolazioni, le facilitazioni, gli abbuoni e si allungano i termini dei provvedimenti di clemenza inventati per cercar di sanare e di tamponare il dissesto della finanza pubblica. Il governo ha bisogno di soldi e avalla istituzionalmente in questi modi borbonici l’illecito offendendo le persone oneste. Il presidente del Consiglio suggerisce paternamente di non pagare le imposte se sono troppo elevate.

E si guarda bene dal promuovere miglioramenti dei servizi e delle prestazioni pubbliche come avviene nel Nord Europa dove a una pressione fiscale elevata corrispondono da parte dello Stato servizi adeguati.

Che cosa succede in un Paese dove il governo non sembra il gran maestro della legalità? Il rapporto tra il cittadino e lo Stato, da sempre precario qui da noi, è di nuovo peggiorato. Lo Stato non è nemico, come si dice, ma è ancora peggio, complice, maniglia utile per aggirare la legge. Tutti i vizi nazionali antichi e nuovi che, tra la fine degli anni Ottanta del Novecento e gli inizi degli anni Novanta, parevano essersi attenuati, si sono ora aggravati, ingigantiti.

Il conflitto di interessi di cui è portatore il presidente del Consiglio, rimasto irrisolto dopo due anni di governo, dieci anni dopo l’ingresso in Parlamento - se si pensa poi che risale al 1957 la legge 361 che prevede l’ineleggibilità per chi è titolare di concessioni dello Stato, come, ad esempio, le frequenze televisive, caso macroscopico - ha provocato una cascata di illegalità imitative. Protagonisti cittadini che si sentono protetti da un clima istituzionale in cui le regole sono considerate nemiche, i magistrati «figure da ricordare con orrore», i rappresentanti eletti dal popolo ladri.

L’eterna arte di arrangiarsi è sempre più di attualità. Non soltanto a livello necessitato dalla sopravvivenza, visto che le condizioni di vita si sono appesantite, le promesse si sono rivelate degli imbrogli e non serve a nulla l’ottimismo di maniera diffuso a piene mani. I caratteri negativi degli italiani, il familismo amorale, l’apoliticismo settario, il rifiuto della politica come incontro-scontro di idee e di progetti, il qualunquismo, il rigetto della morale che disturba il manovratore, un gioioso «liberi tutti» in nome del mitologico mercato, incontrollata bestia rampante, sono diventati i simboli dell’era berlusconiana.

L’ambiguità è un altro dei caratteri che soprattutto nei tempi grami della depressione economico-culturale trova nutrimento nel bel Paese. Ci sono quelli che guardano da dietro le persiane; c’è la «zona grigia dai contorni mal definiti, che insieme separa e congiunge i due campi dei padroni e dei servi», secondo la definizione di Primo Levi («I sommersi e i salvati»). Ci sono quelli del «però», che non rinunciano a rimarcare il bene anche dove il male è chiaramente trionfante; ci sono quelli che fanno il doppio o triplo gioco, un colpo di qui, l’altro di là, con l’illusione o la falsa coscienza dell’oggettività; ci sono gli opportunisti, i trasformisti, gli equilibristi…

MEDITAZIONE

MANIFESTO 27-2

Il grande orecchio

GIULIETTO CHIESA

Taci. L'amico ti ascolta! Il governo di quel tale che avrebbe dovuto guidare il centro-sinistra mondiale, è di nuovo nei guai per l'Iraq. Il suo ex ministro Claire Short gli ha messo tra le gambe la notizia che i servizi segreti britannici e americani avevano riempito di «pulci» nientemeno che il segretario generale dell'Onu, Kofi Annan. Tony non smentisce e non conferma, perché - dice - non può. Ma non può nemmeno chiamare in giudizio la signora Short. Troppo rischioso, mica è la Bbc. E poi il suo governo poche ore prima aveva lasciato cadere l'accusa contro miss Khatarine Gun. La quale aveva rivelato, via fax al The London Observer, che i servizi segreti statunitensi ordinarono a quelli britannici di spiare, per conto loro, un certo numero di diplomatici stranieri delle Nazioni unite. Perché? Per Kofi Annan come per la storia rivelata da miss Gun, si trattava semplicemente di raccogliere quello che i russi chiamano «kompromat», materiali compromettenti. Si voleva sapere, probabilmente tutto della loro vita, anche privata, in modo tale da poter influenzare i loro comportamenti nel consiglio di sicurezza sulla faccenda della guerra irachena.

Per la precisione, oltre al segretario generale, gli oggetti di tante cure erano i diplomatici dei «paesi di mezzo» del consiglio di sicurezza - Angola, Bulgaria, Camerun, Cile, Guinea, Pakistan - quelli che sarebbero stati decisivi per raggiungere la maggioranza dei voti, e così costringere la Francia e la Russia a cedere, o a usare il diritto di veto, o a rimanere isolati.

Scopriamo così che Blair e Bush stavano compromettendo l'intero processo democratico delle Nazioni unite, torcevano il braccio a paesi sovrani, agivano al di fuori delle leggi internazionali per preparare un atto a sua volta illegale. E forse è solo un piccolo spaccato di un agire gangsteristico che pare essere diventato la norma.

Che quella guerra fosse, sotto ogni profilo, illegale. Che si trattasse di aggressione premeditata senza motivi, o per futili motivi, come la pretesa di esportare laggiù la democrazia americana lo sappiamo da tempo. Adesso sappiamo di più: che quei lestofanti non solo hanno massacrato migliaia di civili e qualche decina di migliaia di militari (che sono persone anche loro) iracheni, ma hanno attentato e stanno attentando alle nostre libertà democratiche. Perché sarebbe da ingenui pensare che i vari Echelon in funzione da tempo si occupino soltanto di diplomatici del Camerun, una tantum. Se sono andati così in alto da toccare Kofi Annan, chi altri potrebbero risparmiare?

Si occupano, evidentemente, di tutti i politici che possono prendere decisioni che riguardano, direttamente o indirettamente, «gli interessi nazionali degli Stati uniti d'America».

Quindi è d'obbligo un avvertimento a tutti. Usate poco le comunicazioni elettroniche e fate come si faceva a Mosca ai bei tempi del socialismo reale sovietico. Cioè, se dovete dire qualche cosa a qualcuno/a, invitatela/o a fare una passeggiata nella via più rumorosa della città.

Così vorrei chiedere a quelli che non hanno votato per il ritiro dei nostri da Nassiriya, ma come si fa a stare laggiù in quella compagnia? Non vi accorgete che in questo modo, dimostrate - tra l'altro - un solenne disprezzo per l'intelligenza degli iracheni? Non vi passa per l'anticamera del cervello che loro ci percepiscono laggiù esattamente per quello che Berlusconi e Bush hanno voluto che fossimo? Cioè degli aggressori?

Non vi viene voglia, una volta ogni tanto, di fare qualche cosa neanche «di sinistra» (perché quelli che vi chiedono di votare no sono molti di più di quelli «di sinistra»), ma semplicemente qualche cosa che indichi che siete attenti ai sentimenti di una parte preponderante del vostro stesso elettorato?

MANIFESTO 26-2

Il premier chiama, Vespa risponde:

«Confermo tutti gli inviti. Spero anche in Sanremo»

A. CO.

ROMA - Chi si rivede: il presidente operaio. Scomparso dopo la campagna elettorale del 2001, insieme alle opere grandi e piccole che avrebbero dovuto sostanziare la definizione, non poteva non riapparire in una nuova campagna elettorale. Lo resuscita Silvio Berlusconi, in una conferenza stampa convocata in tandem con il ministro delle Infrastrutture Pietro Lunardi. Né il premier né il ministro hanno per la verità nulla da dire. La stampa è stata convocata solo per evitare il rischio che la giornata passasse senza vedere il cavaliere al centro della scena. Per essere certo di centrare l'obiettivo l'istrione di palazzo Chigi non esita a lanciarsi in un duetto da grande cabaret con l'amico Bruno Vespa. Toglie la tuta operaia e infila i panni del perseguitato, ruolo che da sempre adora: «Spero che la Rai consenta a Vespa di ospitarmi con il ministro Moratti, pardon Lunardi, per parlare delle grandi opere». L'amichevole conduttore rassicura la vittima a stretto giro di posta. Non ci saranno censure a Porta a Porta: «L'invito rivolto a Berlusconi di venire a fornirci lo stato d'avanzamento delle gandi opere risale all'anno scorso, non vedo perché dovremmo ritirarlo».

Il lapsus del premier tra la ministra della Pubblica istruzione e quello delle Infrastrutture offre a Vespa l'occasione per bissare l'invito. Fa sapere che al premier è stato chiesto di partecipare anche alla puntata sulla riforma della scuola. Sempre nel corso della campagna elettorale, s'intende. E sempre senza contraddittorio. Il leader verde Pecoraro Scanio chiede al capo del governo di accettare un confronto diretto, magari proprio nella trasmissione di cui si sta parlando. Anche il segretario della Quercia Fassino sfida Berlusconi «a un confronto sulle cifre e sull'andamento dell'economia». Non hanno ottenuto risposta e non la otterranno. La presenza di un contraddittorio non figura nella visione dell'informazione che Berlusconi condivide con Vespa.

Va bene le grandi opere e l'istruzione, ma quello che gli italiani guardano davvero, si sa, è il festival di Sanremo. Vespa pregusta il colpaccio, si lancia nell'avance esplicita: «Magari Berlusconi telefonasse al Porta a Porta da Sanremo, e anche Prodi e D'Alema». Non ci sarebbe proprio niente di strano: «Il nostro resta un programma giornalistico anche quando si occupa del Festival». Una comparsata del presidente-giornalista nelle giornate sanremesi di massima audience è data per più che probabile. Chissà se il capo della destra italiana avrà anche il coraggio di cantare. Il presidente-cantante, quello sì farebbe epoca.

Per ora bisogna accontentarsi della tuta da metalmeccanico ed esaltare i successi di Lunardi. Negli ultimi mesi, in realtà, si è parlato spesso dell'insoddisfazione del premier per la scarsa operosità del ministro. Ma questi non sono screzi da citare nel vivo di una campagna elettorale all'insegna del più sfrontato trionfalismo. Il copione prevede l'elenco trionfale del molto già fatto e del moltissimo in procinto di essere avviato. Berlusconi promette l'aperturta di 35 nuovi cantiere entro l'anno. S'impegna a visitarne di persona otto nei prossimi tre mesi: «Tutti questi nuovi cantieri mi conserntiranno di fare il presidente operaio». Rivendica l'aumento «dell'8% del trasporto merci via mare» e la riduzione, sempre dell'8%, dei trasporti via Tir. Si congratula con se stesso per l'introduzione della patente a punti. Garantisce che l'autostrada fantasma Salerno-Reggio Calabria non è quel miraggio che sembra: «La data di ultimazione dell'opera è ormai sicura».

E i ritardi? Basta addebitarli alla lentezza congenita di un sistema politico non ancora debitamente modellato sull'azienda: «L'Italia non è come un'azienda. Prendi una decisione e devi scontrarti con un sistema burocratico, e nessuno immagina quanto tempo si spenda con un'opposizione che dice sempre bianco quando noi diciamo nero». Pensare che basterebbe un bel plebiscito per risolvere il guaio dalle fondamenta.

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CORSERA 26-2

Vespa riconferma:

“Magari chiamasse Berlusconi”

Maria Volpe

MILANO - «Magari telefonasse Berlusconi al "Porta a porta" da Sanremo, ma anche Prodi o D’Alema: le canzoni sono state anche la colonna sonora della loro vita, come di quella di tutti gli italiani». Così Bruno Vespa risponde indirettamente ai timori espressi dalla presidente Rai Lucia Annunziata di vedere il premier alla «Prova del cuoco» ma soprattutto al Festival di Sanremo, dopo l’intervento alla «Domenica Sportiva». L’Annunziata pare sia davvero preoccupata che la platea dell’Ariston possa attirare le esternazioni del premier. E un invito a Bruno Vespa per il rispetto delle indicazioni della commissione di Vigilanza per le puntate di «Porta a porta» nel corso del «Dopofestival» di Sanremo viene rivolto, in una dichiarazione congiunta, da parlamentari Ds, Margherita e Verdi che fanno parte della Vigilanza. Che dicono: «Tenga conto delle indicazioni della commissione votate all’unanimità che, con una delibera dello scorso anno, vietava la presenza dei politici nei programmi di intrattenimento». Poiché, sempre secondo i parlamentari di opposizione, Festival e Dopofestival si svolgono «alla vigilia delle elezioni europee come una ghiotta occasione, a qualcuno potrebbe venire la tentazione di usare il palco della città dei fiori come vetrina elettorale per tentare di togliere la scena perfino ai cantanti». Vespa ribadisce: «C’è un equivoco, e lo dico rispettosamente, sulla delibera della Commissione di vigilanza: il nostro è un programma giornalistico e non di intrattenimento anche quando si occupa di quello straordinario fenomeno di costume che è il Festival di Sanremo. L’importante non è che i politici partecipino o non partecipino ma che si garantiscano a tutti in partenza le pari opportunità».

Giuseppe Giulietti sentenzia: «Sarebbe singolare che l’azienda che ha espulso Sabina Guzzanti perché faceva informazione invece che intrattenimento cercasse di spiegarci ora che quella su Sanremo è una trasmissione giornalistica e non di intrattenimento».

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CITAZIONE

Se telefona Berlusconi? «Ci colleghiamo subito con Prodi da Bruxelles», ribatte Ventura. «Oppure diamo subito la parola all'Annunziata, anche perché in fondo il premier a Sanremo l'ha invitato lei. Sempre che l'Annunziata ci sia, non ne so ancora nulla, ovviamente mi auguro di sì». Ciò non toglie che Ventura gradirebbe l'intrusione: «Sarei ben felice di ospitare un intervento di Berlusconi che peraltro è un vecchio chansonnier e di musica ne sa sicuramente più di me». Ma Ventura dice di avere vocazione naturale all'equidistanza, la «par condicio intrinseca», la chiama lei, e non dovesse farcela da sola, c'è sempre il Porta a porta versione dopofestival di Vespa a fare supplenza («Vespa - spiega - è la parte istituzionale di un festival che lo sarà molto poco»), con tanti saluti alle indiscrezioni secondo cui Annunziata avrebbe ironizzato su Berlusconi a Sanremo ben sapendo che il giornalista e il premier si erano già mezzo accordati per un intervento in diretta al dopofestival.

Il Riformista, 26-2

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LIBERAZIONE 26-2

TV nel "Paese di Berlusconi"

Il seno operato in diretta

Stavolta si è davvero esagerato. E' questo il sentimento della maggioranza degli spettatori della puntata di martedì sera «Bisturi», il programma di chirurgia estetica di Italia 1 condotto da Irene Pivetti e Platinette. L'«esagerazione» consiste nell'aver trasmesso in diretta un'operazione chirurgica al seno su una ventenne.

LOS ANGELES TIMES: «IL PAESE DI BERLUSCONI» - Di "Bisturi" se ne occupa anche il «Los Angeles Times», quotidiano californiano, ironizzando sul fatto che sia trasmesso nel Paese in cui è primo ministro Silvio Berlusconi. «Non dimentichiamo che l'Italia è un Paese in cui il premier si è preso un mese di pausa, accantonando le crisi economiche e le questioni di politica, per sottoporsi a un lifting facciale. Quindi», scrive la giornalista Tracy Wilkinson, «è perfettamente naturale che gli italiani siano sottoposti a un reality show sulla chirurgia plastica. Lo spettacolo, però, sembra eccessivo persino a un pubblico abituato a programmi pieni di bionde prosperose e giochi stupidi».

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EUROPA on the Web 26-2

IL gran finale

Vespa vuole i politici al Porta a Porta sanremese

di (ni.col.)

L’impresa non è semplice, ma Bruno Vespa non intende certo demordere. Non è nel suo stile.

Da giorni sta lavorando al reclutamento di esponenti politici disposti a fare le ore piccole per discorrere di canzonette nel Porta a porta Speciale Sanremo.

Nei palazzi romani non si parla praticamente d’altro.

Ma tu vai? Sei stato invitato? Che dici è il caso? L’occasione, in campagna elettorale praticamente già avviata, è ghiotta. Di sicuro si sa che Francesco Rutelli ha già risposto “no grazie”. E lo stesso ha fatto Piero Fassino. Altri stanno probabilmente decidendo, o hanno già dato la loro disponibilità. La redazione smentisce. Le puntate, spiegano, verranno decise giorno per giorno e gli ospiti scelti tra quelli presenti in platea all’Ariston. Confermano, però, che scenografia e format del Dopofestival vespaiolo saranno esattamente quelli di Porta a porta, lo studio verrà trasferito per l’occasione nel Casinò di Sanremo. Un escamotage per aggirare il divieto di ospitare politici nei programmi d’intrattenimento? Proprio ieri Ds, Verdi e Margherita hanno invitato Vespa a tenere conto della delibera approvata in questo senso dalla Vigilanza giusto un anno fa. Il tam tam è pressante. L’invito ai politici servirebbe a legittimare uno schioppettante gran finale: la presenza o una lunga telefonata dello stesso Berlusconi versione Apicella nel corso dell’ultima puntata. La Domenica sportiva insegna: il nazional popolare sta diventando il terreno di gioco preferito dal presidente del consiglio. Non è la prima volta di Vespa al Dopofestival, ma nel ‘97 non trasferì il format di Porta a porta a Sanremo e si parlò solo di musica. Perché allora mischiare politica e canzonette, in piena campagna elettorale? Almeno per una settimana parlamentari e leader del centrosinistra si astengano e dicano “no grazie”. E il presidente della Vigilanza spieghi a Cattaneo che non si può, con una scenografia, trasformare l’intrattenimento in informazione.

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ESPRESSO on-line 26-2

La pubblicità è l'anima della politica

A parole non è facile battere l'Italia immaginaria del Cavaliere

di Edmondo Berselli

Ieri l'euro era l'oggetto di una polemica populista; oggi è un'ancora. Appare schizofrenico il pensiero del centrodestra, dal momento che il presidente del Consiglio sostiene che il paese si è arricchito, mentre pochi giorni dopo il ministro Giulio Tremonti lancia una specie di piano fiscale per colpire gli aumenti dei prezzi. Tra la visione flou di Silvio Berlusconi e l'aumento dell'inflazione c'è un terreno accidentato, in cui avvengono fenomeni economici che coinvolgono pesantemente le famiglie, falcidiano i redditi, spostano ricchezza.

A chi è esposto al diluvio post-euro le parole del capo del Governo sembrano un'amara ironia alle spalle dei perdenti: è una visione paradossale quella di un paese che si arricchisce mentre i suoi abitanti si impoveriscono. Ed è strano anche l'atteggiamento di Forza Italia, che quando era all'opposizione contestava aspramente i dati dell'Istat, mentre ora li sbandiera come la prova provata della stabilità e della crescita italiana.

Naturalmente Berlusconi ha tutto il diritto di evocare un paese e una società dipinti con sfumature azzurre. La pubblicità è l'anima anche della politica, non solo del commercio, e il premier avverte il bisogno di contrastare la valutazione gravemente pessimistica che si sta diffondendo sul suo governo, e che rende perplessi anche numerosi elettori del centrodestra.

Per uscire dal dilemma di un'Italia sospesa fra arricchimento e impoverimento, occorre rilevare un fenomeno in sé elementare, ma che sfugge ai dati medi e alle rilevazioni generali. L'inflazione infatti è un tiro alla fune sul piano sociale. Qualcuno ci rimette, qualcun altro ci guadagna. Uno studioso e parlamentare riformista, Nicola Rossi, ha analizzato i dati ufficiali dell'Istat, mostrando che l'impatto della curva inflazionistica è significativamente maggiore su alcuni ceti, su alcuni tipi di famiglia, sul lavoro dipendente, sulle pensioni.

Non si tratta di una scoperta straordinaria: eppure mette in rilievo che in questo momento, anche sul piano economico, esistono due Italie. Non c'è soltanto la divaricazione fra l'Italia mediatica e l'Italia reale descritta da Ilvo Diamanti: c'è anche in atto un problema di redistribuzione fra una fascia di società che ha subito l'aumento dei prezzi e un'altra fascia che ne ha tratto vantaggio.

Detto in termini un po' fuori moda, oggi stiamo assistendo a una variante della lotta di classe. Risulta curioso che essa venga condotta dai ricchi contro i poveri: tuttavia questa semplificazione estrema descrive un processo politico importante. Se è vero infatti che il sogno berlusconiano aveva indotto al consenso per il centrodestra anche una platea di elettori marginali, non privilegiati, esposti alla pressione televisiva, componendo un interclassismo fondato sul miraggio di un benessere facile per tutti, l'inflazione a due velocità rappresenta la smentita politica di un'illusione.

Dovrebbe bastare questa modesta considerazione per caratterizzare l'azione politica del centrosinistra. Nei prossimi mesi, a partire dalle elezioni europee, non c'è in gioco soltanto il successo della lista unitaria: il confronto politico non riguarderà esclusivamente una battaglia di astrazioni bipolari. C'è in bilico anche una partita fra interessi. Partita pesante, da cui dipende il profilo della società italiana.

L'Ulivo deve assimilare l'idea che l'alternativa a Berlusconi non è la contrapposizione di un sogno a un sogno. Se è vero che gli arricchiti dall'inflazione appartengono tendenzialmente all'elettorato di centrodestra, occorrerà mettere a fuoco che gli impoveriti devono essere conquistati dal centrosinistra. Non con formule politiciste, ma con idee e progetti riferiti alla realtà effettiva, al disagio che serpeggia nel paese, alla precarietà e all'insicurezza determinate dalla flessibilizzazione dell'economia.

Per ora, Berlusconi offre come progetto politico la sua faccia; l'Ulivo promette l'unità riformista. Ci vuole una iniezione di realtà e di consapevolezza: altrimenti 'l'altra' Italia, il paese impoverito, sentirà solo parole. E quanto a parole non è facile battere l'Italia immaginaria del Cavaliere.

MEDITAZIONE

STAMPA 26-2

Quanto si vive male oggi in Italia

di Lietta Tornabuoni

Naturalmente non c'è paragone con i Paesi della guerra e della fame, ma si vive così male ora in Italia, fra truffe sistematiche, Berlusconi, costo crescente della vita e perdita costante di valore dei soldi, mix di caos globale e di imposizioni spietate («se non paghi sei morto»), disfunzioni di tutto, campagna elettorale permanente, stupidità, squallore: conservare il proprio equilibrio risulta difficile, e i tentativi per riuscirci pigliano più o meno tre strade.

La prima strada, la più frequentata, consiste nell'arrabbiarsi, nel protestare, nello scandalizzarsi, nell'indignarsi: si passano giornate tetre prendendosela con la televisione e con i giornali, con il governo e con la burocrazia, con questo mondo di ladri e con quelli che in autobus entrano dalle porte d'uscita, con i soldi che non bastano («altro che non arrivare alla fine del mese: neppure all'otto del mese si arriva»), con la disonestà e volgarità collettive. La seconda strada consiste nell'evasione, nel cercare di ignorare la realtà pensando ad altro. C'è chi sceglie la mistica dell'autopunizione (seguire diete dimagranti, controllare le spese sino al pauperismo o all'ascesi di non tirare fuori un soldo, fare niente del tutto se non il lavoro necessario, impegnare energia fisica) e chi tenta l'edonismo (visitare mostre importanti, curare la salute, ricercare e contemplare la bellezza, se è possibile viaggiare altrove, leggere o rileggere grandi opere, fare l'amore e passeggiare dato che non costa un euro). C'è chi si forza a un atteggiamento vitalistico: l'esistenza può essere bella, bisogna saperla apprezzare e sfruttare rifiutando oppressione e depressione, occorre reimmergersi nella propria attività trovando nuovo entusiasmo, viva la leggerezza, allegria.

Ciascuno cerca di salvarsi come sa: ultima risorsa, far finta di non essere vivi, chinare la testa, piegare le spalle, restare fermi, sperare che la sfortuna ci scivoli addosso e vada oltre senza accorgersi di noi, aspettare che passi il peggio. Sono metodi comprensibili, umani, usuali, tante volte applicati nella Storia, ma hanno una spiacevole caratteristica: non funzionano, non servono.

Alla fine di gennaio, Mario Deaglio ha scritto per questo giornale un editoriale molto interessante. Elencando cifre e settori, dimostrava l'incidenza, su quella crescita del costo della vita che non riusciamo più a fronteggiare, dell'aumento dei prezzi amministrati dalle autorità centrali e locali o da grandi organizzazioni: medicinali, trasporti aerei ferroviari e urbani, bollette telefoniche, benzina, canone tv, tariffe autostradali, servizi bancari e postali, eccetera. E adesso, svegliandosi d'improvviso da un sonno profondo, il ministro Tremonti afferma di aver ordinato controlli? Quali controlli, a cose fatte? Controlli su chi, su che cosa?

L’UNITA’ on-line 25-2

Dove abita l’antipolitica

Silvio accusa Berlusconi & Co.

di Paolo Flores d’Arcais

Quando parla di «politici ladri», Silvio Berlusconi pensa evidentemente al suo compare, e più stretto compagno d'armi, Bettino Craxi, pluricondannato. Del cui «tesoro», sottratto agli italiani, si sono perse le tracce, tra frequentatori di faccendieri alla Raggio e contesse alla Vacca Agusta.

E quando parla di gente che con la politica si è arricchita smisuratamente, Silvio Berlusconi si riferisce evidentemente a Silvio Berlusconi. Non solo Berlusconi è, infatti, un politico di professione ormai da oltre dieci anni. Berlusconi nei mesi più recenti, grazie alla (sua) politica, ha messo nelle sue tasche fantastilioni di euro.

L’ultimo voto di fiducia ha fatto salire il valore delle azioni del suo monopolio televisivo del 3% in poche ore! Ma anche il Berlusconi «imprenditore» deve tutto alla politica: non sarebbe mai diventato l'uomo più ricco d'Italia senza le leggi su misura imposte dal suo compare, e più stretto compagno d'armi, Bettino Craxi: che gli hanno regalato un monopolio sull'etere, trasformando l'illegalità in norma dello Stato.

E non basta. Senza la politica, l'impero di Berlusconi avrebbe da tempo conosciuto un crac tale da far impallidire il caso Tanzi e il caso Cragnotti messi insieme: si vadano a leggere i giornali del non lontano 1996.

Quando parla di «politici ladri», Silvio Berlusconi finge di dimenticare che Mani Pulite ha bensì dimostrato quanti ce ne fossero (soprattutto fra quei democristiani e socialisti che negli anni successivi sono poi approdati a frotte nei lidi ospitali di Forza Italia), ma ha svelato quanti, e perfino più dei politici, fossero gli «imprenditori ladri»: in combutta con i «politici ladri», naturalmente.

Se oggi, nella pole position della corruzione e del malaffare, vengano prima i politici o gli imprenditori, è arduo (e non qualunquistico) interrogativo. Di sicuro c'è solo che proprio le leggi volute da Silvio Berlusconi in questi ultimi tempi hanno regalato a politici e imprenditori impastati nell'illegalità una pletora di vantaggi: compresa la pratica depenalizzazione del falso in bilancio, che è sempre la chiave di volta per l'intreccio malavitoso affari/politica.

Perché, allora, Silvio Berlusconi parte lancia in resta contro i «politici ladri», visto che in tal modo mette sotto accusa se stesso e tutto il suo mondo di compari e di alleati subalterni? E che sa perfettamente come sarebbe assai facile trasformare le sue accuse in un micidiale boomerang per lui che le ha lanciate? In secondo luogo, per mandare un avvertimento in stile mafioso proprio agli alleati subalterni: piantatela con la «fronda, con i «distinguo», con i «franchi tiratori», perché so di voi a sufficienza per rovinarvi.

Ma in primo luogo, perché Berlusconi scommette su una reazione dell'opposizione tutta in difesa della dignità della politica in quanto tale, e poco propensa invece a rilanciare contro di lui, in dosi esponenziali, le accuse incaute e generiche freddamente programmate dal Cavaliere delle Impunità.

Berlusconi sa benissimo, infatti (come dovrebbero sapere tutti, viste le reiterate e convergenti indagini demoscopiche), che «i politici», se presi in blocco e senza aggettivi, costituiscono la corporazione più impopolare e meno apprezzata dai cittadini tra tutte le categorie professionali. E dunque Berlusconi, questo «politico politicoso» che più politicante non si può, giocherà tutta la sua campagna elettorale e il suo strapotere finanziario e massmediatico nel tentativo di contrapporre se stesso, uomo di azienda e di lavoro, al resto del mondo, cioè ai politici senza arte né parte (fannulloni e/o ladri).

Basterebbe rispondergli che il lavoro, quello vero (anche imprenditoriale) Berlusconi neppure sa cosa sia. Berlusconi conosce e pratica, da sempre, il «trafficare», che è cosa assai diversa dal lavorare. Il «trafficare» cioè l'intreccio e l'inciucio: una capacità manageriale che si riduce ad avere i migliori «santi in paradiso», nella politica come nelle banche e talvolta perfino nella malavita. Berlusconi non ha ancora spiegato come ha messo insieme il famoso «primo miliardo», chi abbia finanziato Milano 2, e chi ci sia dentro le 23 misteriose «scatole» cui appartiene la Finivest. Nessuno dei tanti oppositori che vanno a Porta a Porta, del resto, pone mai queste cruciali domande ai Bondi e Schifani di Berlusconi.

E così, Berlusconi proverà anche questa volta ad occupare il luogo strategico dal quale, da oltre dieci anni, si vincono o si perdono le elezioni in Italia. Questo luogo si chiama «antipolitica». Chi lo regala all'avversario ha già perso, perché l'antipolitica è il sentimento oggi più massicciamente diffuso tra gli italiani (il 65% dei quali non è soddisfatto della nostra democrazia - vedi l'Unità, 24 febbraio, pag.8).

Sentimento niente affatto qualunquista perché rigorosamente ambiguo. Può prendere i connotati del tradizionale qualunquismo, ovviamente, ma sempre più spesso assume invece i colori di una critica della politica esistente (dei partiti/macchina come dei partiti/azienda o dei partiti/spettacolo) in nome di una politica diversa, più democratica, più partecipata, aperta alla società civile: più politica, nel senso che Hannah Arendt dava a questo termine. Sono voti potenzialmente a disposizione delle opposizioni, dunque, i sentimenti di «antipolitica» che chiedono solo «più democrazia».

E del resto: anche se non fosse vero che la politica (compresa quella di opposizione) è sempre più autoreferenziale e lontana dai cittadini, è un dato di fatto che così viene larghissimamente percepita. E ciò che viene «percepito» conta, nella battaglia politica, almeno quanto ciò che è reale. E talvolta di più. Ecco perché le opposizioni farebbero a Berlusconi il regalo più grande (capace perfino di risollevarlo dal tracollo nei consensi in cui la sua malapolitica lo sta avvitando) se gli offrissero su un piatto d'argento anche il monopolio dell'antipolitica: come se di monopoli non ne avesse già abbastanza.

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LIBERAZIONE 25-2

EDITORIALE

Il fattore B.

Qualcuno l'aveva detto in tempi "insospettabili": sarà una delle campagne elettorali peggiori del dopoguerra. Una profezia fin troppo facile. Da allora, il clima politico ha cominciato a farsi irrespirabile. Da allora, ogni giorno ha la sua "croce", i suoi eventi mai trasparenti, le sue notizie strumentali o teleguidate - il tutto avvolto da una montagna spaventosa di parole e di chiacchiere. Prendete l'ultima clamorosa notizia, quella relativa all'indagine su Antonio Fazio, accusato o sospettato di favoreggiamento. Come interpretarla? E come risuona alle orecchie del "comune cittadino" già frastornato? Anche chi (come noi) non ha mai avuto culto alcuno della sacralità della Banca d'Italia ed è lontanissimo dalle posizioni politiche e sociali del Governatore, avverte d'istinto un odor di bruciato. E pensa che, chissà come e chissà perché, in questa notizia non ci dev'essere nulla di casuale. Si capirà tutto, forse, tra un po' di tempo. Intanto, un'altra spruzzatina di veleno è stata schizzata sulla campagna elettorale.

In realtà, il fattore B si conferma il principale elemento di inquinamento del clima. Il fattore B, va da sé, è Silvio Berlusconi, un leader politico che, a giudicarlo d'acchito, sembrerebbe in preda a un vero e proprio delirio d'onnipotenza. L'ultima delle res gestae del Cavaliere - narrano le cronache - è un intervento televisivo d'intrattenimento calcistico, seguito da un dibattito che ha dell'incredibile, per naïveté o arroganza, sui confini, saltati oramai da un'epoca, tra spettacolo e politica, tra ideologia e "tempo libero": come se, insomma, non fosse noto al colto e all'inclito che, per il nostro premier, il "far politica" è ben più organicamente legato alla sfera di ciò che scioccamente chiamavamo "sovrastruttura" che non all'arte vera e propria del governare. Ma sarebbe sbagliato pensare - lo ribadiamo per l'ennesima volta - che il capo del centrodestra è "impazzito". Noi pensiamo, al contrario, che mai sia stato così lucido come in questa fase, certo per lui tutta in salita, dello scontro politico e sociale. Di che si tratta?

Si tratta, per Berlusconi, quasi di un "riposizionamento" strategico. Lasciatosi da un pezzo alle spalle le velleità di "statista neodegasperiano" (mai per la verità seriamente coltivate) ma anche in fondo quelle thatcheriane (data la difficoltà conclamata delle ricette neoliberiste), il Cavaliere si è trovato di fronte a un fallimento di governo con pochi precedenti storici. Mentre la crisi sociale produceva nuovi conflitti, che dal mondo del lavoro dipendente si espandevano ai ceti medio-alti, l'esecutivo rispondeva o con la paralisi o con tentativi di controriforma assai maldestri, che a loro volta innescavano altri movimenti, vertenze, proteste.

Il centrodestra è virtualmente "scoppiato", come si è visto nella telenovela della verifica, e nei partner principali di Forza Italia (Udc e An) è prevalsa - sta certamente crescendo al galoppo - la voglia di liberarsi di un quadro per loro quasi solo umiliante. Siamo arrivati al paradosso di un premier isolato non solo da una vasta opinione pubblica del paese, ma in conflitto con pressoché tutti i corpi intermedi del Paese: la Magistratura, la Corte costituzionale, la Corte dei conti, la sanità, la scuola, l'informazione. Anche la Confindustria, tradizionalmente amica dei governi amici, ha preso le distanze. Anche le gerarchie ecclesiastiche, che in altre epoche non hanno nascosto la loro simpatia per la Casa delle libertà, ora mandano avvertimenti più che espliciti. In questo contesto, Berlusconi ritiene di avere una sola chance da giocare: l'estremizzazione continua dello scontro attorno alla sua persona e alla sua leadership agli sgoccioli. Ciò che equivale, come abbiamo visto in questi giorni, alla sostituzione del voto di giugno (per l'Europa e le città) con un referendum in piena regola. In questo modo, Berlusconi pensa, prima che di battere le opposizioni di sinistra e di centrosinistra, di "svuotare" i propri partner di governo, dal suo punto di vista (e a ragione) diventati del tutto inaffidabili. E forse coltiva davvero il sogno di un regime personale, ben più organico di quello che s'è visto in questi anni. D'altra parte, quali altre possibilità ha, questo animale "ferito e pericoloso" di sopravvivere e di prolungare il proprio potere politico?

Tanta lucidità, s'intende, s'accoppia perfettamente a un pericolo molto serio: una ulteriore corruzione della politica, che già vive una fase affannosa. Un colpo, insomma, alla voglia di partecipazione, di crescita civile, di protagonismo diffuso. Se continua così, quanti perderanno il gusto, il prossimo giugno, di andare a votare? Chi avrà voglia di partecipare ad una competizione che ha per oggetto (e soggetto) il ruolo di una persona?

Per fortuna, sono visibili segnali di forte controtendenza. Manifestazioni come quella di Livorno, lunedì pomeriggio e di Roma, ieri, ci dicono che il lucido progetto berlusconiano può essere ancora fermato. Ma non sottovalutato.

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ESPRESSO on-line 25-2

Ricchi e non lo sapevamo

Visioni distorte di una maggioranza berlusconiana che finge di non vedere

Massimo Riva

Già grandi poeti, santi, navigatori ed eroi, ora gli italiani stanno scoprendo di essere diventati anche un popolo di cretini. Perché, pontificano con voce unanime Silvio Berlusconi e i suoi ministri, vogliono considerarsi impoveriti senza rendersi conto di essere oggi molto più ricchi di prima. Ma come, ha affermato il ministro Marzano durante una delle tante comparsate televisive in materia, il prodotto interno lordo (Pil) è salito dello 0,4 per cento sia nel 2002 sia nel 2003. Questa, ha soggiunto, è la prova sovrana che il paese è diventato più ricco.

Ora, a parte il fatto che una crescita inferiore al punto percentuale nell'arco di un biennio rappresenta un risultato assai modesto, la questione cruciale che Berlusconi & C. non si pongono o fanno finta di non vedere è quella delle rapide trasformazioni in corso nella redistribuzione del potere d'acquisto all'interno della piramide sociale. In particolare, per quanto riguarda quella classe che costituisce la parte più corposa della società, vale a dire il ceto medio prevalentemente a reddito da lavoro dipendente.

Si fa presto a nascondersi dietro le statistiche Istat, che segnalerebbero un lieve predominio della dinamica salariale rispetto a quella dei prezzi. Ma il punto è che il paniere Istat, essendo una media convenzionale, non riflette con sufficiente fedeltà né le esigenze reali né i comportamenti effettivi di spesa, in particolare proprio di milioni di famiglie del ceto medio. Sicuramente, esagera chi parla di un processo di discesa dei ceti medi sulla soglia della povertà. Il fenomeno che sta colpendo queste fasce sociali è più probabilmente di altro tipo: nel senso di una progressiva difficoltà a mantenere il precedente livello di consumi, con conseguenti rinunce obbligate ad abitudini di spesa che si ritenevano acquisite una volta per tutte.

Insomma, chi si trova costretto ad accorciare o a rinunciare a una vacanza non può essere definito povero. Ma chi gli va a spiegare che dovrebbe, viceversa, sentirsi più ricco perché il Pil è comunque in crescita o tenta di prendere per scemi gli interlocutori oppure si rivela per parte sua incapace di comprendere la realtà che lo circonda. Sulla prima ipotesi non vale la pena di soffermarsi perché c'è da sperare che gli italiani sappiano farsi giustizia da soli in materia quando saranno chiamati a votare. Ma sulla seconda sì, perché essa ribadisce un vizio connaturato al metodo di governo della maggioranza berlusconiana: quello di gestire il paese in base a una visione fantasmagorica e non reale dei suoi problemi.

Si è cominciato con la campagna elettorale del 2001 a promettere magnifiche sorti per l'economia italiana, trascurando che la congiuntura internazionale stava già volgendo al peggio. Poi si è cercato e si cerca ancora di scaricare sull'euro tutte le colpe per un rincaro dei prezzi che, però, non si è verificato negli altri paesi della moneta unica. Ora s'insiste nel non voler vedere che è in atto un processo di impoverimento relativo del sistema sociale ed economico. Sarà che il cielo toglie il senno a coloro che vuol perdere, ma con simili governanti a perdere sono soprattutto gli italiani.
MEDITAZIONE

MANIFESTO 25-2

La riguerra di George

STEFANO BENNI

Popolo americano e popoli sudditi, ho una grande notizia per voi. Abbiamo vinto la guerra in Afghanistan e in Iraq con poche perdite. Abbiamo portato la pace in quei paesi e da allora ci muoiono decine di marines e civili ogni giorno. Questa è la prova che la guerra è meglio che la pace. Perciò ho una buona notizia: una nuova grande guerra sta per iniziare. Contro un nemico ancora più subdolo e pericoloso di Osama e di Saddam.

Questo nemico è il CLIMA.

Questa sigla significa in realtà Complotto Leninista Internazionale per Massacrare l'America. Ma il Pentagono li ha scoperti, e niente li salverà dalla nostra ira. Essi vogliono attaccare le nostre coste con iceberg e tornadi, invaderci con bufere di pioggia e neve, inaridire i nostri fiumi e destabilizzare il quadro internazionale: ma non cederemo alla loro basse pressioni e alle loro funebri isobare.

Non ci lasceremo intimidire!

In Africa il CLIMA ha un piano per desertificare il continente, di modo che i Bongo Bongo chiedano acqua al posto delle nostre armi, e magari si ribellino attaccando i nostri bananeti e pretendano di abbeverarsi al nostro glorioso Mississipi...

Ma ciò non accadrà: abbiamo già spedito sul posto un milione di distributori di Coca-Cola, ognuno guardato a vista da un marine anti-scasso. Così il problema della sete è risolto.

Inoltre abbiamo mandato latte in polvere tossico e medicinali da esperimento. I morti, generalmente, non bevono.

In quanto all'inquinamento e al buco dell'ozono, qualcuno ha osato incolpare le nostre aziende petrolifere, le nostre auto, i nostri utili disboscamenti. Accuse da comunisti obsoleti, pagati dalle lobby dei camini e delle biciclette.

Non ho firmato il protocollo di Kyoto perché dopo Pearl Harbour non mi fido dei giapponesi, e poi non so cosa vuol dire protocollo. Ma so benissimo cosa vogliono dire Effetto Serra e Buco dell'Ozono: sono subdole armi di sterminio di massa in possesso del CLIMA, specialmente del suo braccio armato chiamato Anidride Carbonica, nome in codice Co2, un gruppo terrorista che negli ultimi anni ha visto moltiplicare i suoi adepti nell'atmosfera.

Abbiamo già un piano per chiudere gli aeroporti americani a ogni volo che possa trasportare anidride carbonica. Ogni molecola in transito verso gli Usa dovrà fornire le impronte digitali. Sappiamo che tra gli iscritti alla Co2, ogni atomo di carbonio usa accoppiarsi in modo orgiastico e amorale con due atomi di ossigeno. Da ora in poi ogni reazione chimica di questo tipo verrà considerata associazione a delinquere. Non ci lasceremo certo intimidire da un biossido bisessuale.

Inoltre da oggi ogni iceberg che si staccherà dalla banchisa polare verrà bombardato. Anzi, bombarderemo la banchisa preventivamente.

Per evitare gli incendi nell'Amazzonia, la disboscheremo tutta. Questo l'ho già detto anni fa e lo ripeto.

Il governatore della California Schwarzenegger ha ordine di arrestare ogni onda anomala superiore ai quindici metri.

Ogni temperatura sopra i quaranta gradi verrà considerata propaganda antiamericana. Ogni campo da golf sarà dotato di irrigatori supplementari.

Non tollereremo parimenti che CLIMA attacchi le nostre città con piovaschi e grandinate. Tutte le nuvole di forma sospetta verranno bombardate.

In quanto alla desertificazione, abbiamo pronti dieci milioni di oasi gonfiabili.

Il progresso americano basato sul petrolio, sul golf e sul surf non teme nessuno.

Ma sappiamo che questo CLIMA ha un capo subdolo. Un signore che dopo avere creato il mondo non sa più gestirlo, un pessimo manager andato in crisi per qualche gas di scarico e qualche molecola sballata. Ebbene se questo signore, sostenuto da meteorologi terroristi e cirrocumuli bolscevichi , vuole dichiaraci guerra, troverà pane per i suoi denti.

Le chiese integraliste americane hanno un giro di introiti e proprietà che le ha fatte inserire tra le prime multinazionali del mondo. Se uniamo i soldi delle chiese e dei petrolieri possiamo non solo andare su Marte, ma molto più su, e bombardare molto molto in alto.

Non dite che sono un pazzo megalomane, so quello che dico.

Il CLIMA non ci spezzerà. Ed è inutile che Kerry mi attacchi. Lui è un veterano di guerra, io un imboscato, ma l'esercito è con me.

Marines, ognuno di voi da domani stia all'erta: ogni nuvola, ogni iceberg, ogni soffio di vento, può nascondere il complotto. Non respirate ossigeno, potrebbe essere una trappola del nemico! Saddam è nelle nostre mani, Osama sta per caderci e il CLIMA sta per conoscere la nostra vendetta.

God blast America.

Dio spazzi via l'America.

E noi spazzeremo via lui