venerdì, aprile 30, 2004

L’UNITA’ on-line 29-4

BANNER

«L’andamento dell’economia italiana peggiora di giorno in giorno, mentre Berlusconi fa credere - almeno a coloro che non vivono in Italia - che ha realizzato il suo programma. Berlusconi annuncia regolarmente cose che non ha mai fatto».

Financial Times, 28 aprile

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LIBERAZIONE 29-4

Corsivo

Berlusconi a stelle e strisce

DON PANCRAZIO

Il redivivo Elio Vito, presidente dei deputati di Forza Italia - sinora tenuto in frigorifero, perché ritenuto meno idoneo al teatrino televisivo di quel genio della comunicazione politica che risponde al significativo cognome di Schifani - ha garantito ieri agli italiani che "quella di Berlusconi è una candidatura di bandiera chiara, esplicita, dichiarata del protagonista della politica estera che ha dato all'Italia in tre anni un ruolo ed una considerazione nuove nel mondo". Non ancora completamente schifanizzato, Vito ha dimenticato un piccolo particolare, non precisando se la bandiera in questione abbia tre strisce di colori, dodici stelle su fondo azzurro oppure sia le stelle che le strisce.
MEDITAZIONE

L’UNITA’ on-line 29-4

Il padrone di riferimento

di Vittorio Emiliani

L’editore di riferimento della Rai è Silvio Berlusconi. Un qualche sospetto ci era venuto in questi ventotto mesi di s/governo di centrodestra della Rai e del Paese intero. Però una conferma, la più autorevole e competente in materia, è arrivata lunedì sera, su “La 7”, dal personaggio, Bruno Vespa, che ormai controlla e gestisce tutta l'informazione politica di Viale Mazzini con tanto di approfondimento incorporato. Sempre la seconda serata, ma talvolta anche la prima, e comunque con ospiti di spicco, col presidente del Consiglio trattato in guanti bianchi: mai una domanda che possa non dico graffiare, non dico pungere ma stimolare un po', mai giornalisti che vogliano fare pressing sul Cav., anzi tavoli e lavagne disponibili e, naturalmente, mai un contraddittorio, perché così chiede il capo del governo. Una vera e propria Eminenza Ligia. Del resto, non lo sareste anche voi se consideraste il premier il vostro editore di riferimento (e quindi di riverimento)? E poi, la Rai non è forse di proprietà di una holding del Tesoro e quindi di Tremonti, cioè di Berlusconi, da quando l'Iri si è sciolto e l'Ulivo non è stato in grado di costruire attorno ad essa un minimo (o un massimo) di garanzie a difesa, all'inglese o alla francese? Dovete sapere che Bruno Vespa ha cominciato a fare il cronista occupandosi di rugby all'Aquila: adesso tutto è più chiaro. Perché non siamo andati prima a leggere il suo sito? Se fa qualche entrata pesante (sugli oppositori, s'intende), bisogna anche capirlo. Anni fa disse che il suo editore di riferimento era la Dc. Successe un putiferio, la redazione (che pure non era composta di bolscevichi) si ribellò, nel 1993 lo sfiduciò, protestandolo. Oggi è potentissimo, più potente di allora: difatti incanala da “Porta a porta” l'intero traffico politico (ci vanno tutti a fare anche annunci clamorosi, governo e opposizione), l'informazione con approfondimento appresso. Gli hanno tolto ogni possibile confronto, diretto o indiretto: da Santoro a Biagi, ad altri. Ha lanciato la factory Vespa Bruno. Lo fanno in tanti. Certo, a lui è particolarmente spiaciuto che siano uscite dal CdA della Rai le cifre del suo sontuoso contratto. Tanto che ha scritto alla presidente Annunziata lettere che Lucia - la quale non mi sembra solita spaventarsi per poco - ha trovato “minacciose”. In un passo Egli dice: “Chiunque mi abbia fatto del male, alla fine non ne ha tratto benefici”. Con lui bisogna stare in campana. Da Ferrara, su “La 7”, è stato lapidariamente (o forse cimiterialmente) esplicito: “Colui a cui mi riferivo è morto”. Altro che stare in campana. Qui non basta una litania di scongiuri. Io, nei casi gravi, mi rifaccio a Rossini straordinario menabuono. Premunitevi anche voi.

Talvolta, nel suo essere inossidabile “regimista”, incorre in qualche problema. Per esempio, quando nella missiva alla presidente Annunziata, “arrivato al limite della pazienza” (bisogna capirlo pover'uomo) verga la frase “so di avere dalla mia la correttezza del direttore generale”. Bene, cosa combina il prode Cattaneo? Subito minaccia di prendere a calci nelle posterga la sua presidente. Che non è proprio il massimo della correttezza, via. Anzi, per dirla tutta, in Rai dove se ne son sentite tante, una bischerata così nessuno l'aveva ancora pronunciata. E che ti fa ieri il Consiglio della Rai presieduto - assente per protesta Annunziata - dall'imperturbabile prof. Francesco Alberoni? “Deplora” la presidente per “la esibizione pubblica e la strumentalizzazione politica” di quella minaccia pedatoria. Non un motto di riprovazione viene riservato al direttore generale e nemmeno mezzo a Paolo Bonolis autore della inqualificabile intervista al serial killer Bilancia nell'ora di maggior ascolto domenicale delle famiglie, appena un buffetto sulla guancia al direttore di Rai Uno Fabrizio Del Noce che l'ha permessa. L'esimio professore si duole che lo spiacevole incidente sia avvenuto in questa “fase positiva di rilancio della Rai” e qui ha ragioni da vendere: la “Tv deficiente” appartiene al passato, la fiction oggi si chiama “Orgoglio” e non più “Perlasca” o “La meglio gioventù” della gestione Zaccaria; le trasmissioni trasudano intelligenza e homour da tutti i pori delle “Talpe”. Fai zapping e giustamente non capisci se ti trovi sulla Rai oppure su Mediaset, perché fra “L'isola dei famosi” e “La fattoria” la differenza sta soltanto nello scenario. Lo stesso Bonolis è un prodotto Mediaset che con la Tv pubblica - l'ha confermato domenica - c'entra poco, o nulla. La fucina delle “novità” Rai presenta “Chi l'ha visto?”, “Quelli che il calcio”, “Mi manda Raitre”, “Libero”, “Un medico in famiglia”, ecc. ecc. Oppure la decima replica (senza dirlo) di Montalbano. Radio Rai poi (specie le prime due reti) ha perduto, fra 2001 e 2003, oltre 2 milioni di ascoltatori nel corso della giornata e più di 7 milioni nell'arco della settimana. Professor Alberoni, sono tutti bei rilanci, non c'è che dire. Poi, della satira si fa completamente a meno, di “Blu notte” magari pure se parla di mafia, “Blob” inquieta e allarma, come il concertone del 1° Maggio che sarà dato, quest'anno, in differita, precotto e preconfezionato. Lilli Gruber si candida come Michele Santoro all'Europarlamento e finalmente può dire quello che pensa della sua ormai ex azienda (”Antiamericana!”, la bolla Furente J. Mimun). Al Tg1 e al Tg2 l'informazione politica infatti c'è e non c'è (inviati a parte, ma Gruber se ne va), o viene sfornata con tanti bei sandwich in mezzo ai quali figurano strizzati per bene quanti la pensano diversamente (e non è difficilissimo) dall'ex comunista Bondi o dall'ex socialista di sinistra Cicchitto ora convertiti. Quanto ai Tg regionali, forse basta l'esempio di Bologna dove Sergio Cofferati ha deciso di farsi un Tg da solo, sul suo sito, dopo che fra marzo e aprile, in ventotto giorni, sul Tgr dell'Emilia-Romagna, gli sono toccati, 36 secondi (1,3 al dì), contro la ventina di minuti di cui ha fruito il sindaco uscente Guazzaloca. Insomma, indicando in Berlusconi “l'editore di riferimento” suo e della Rai, Bruno Vespa ha compiuto autorevolmente un'opera meritoria: ha cioè dato il più pieno e definitivo avallo a quanto sospettavano o dicevano in molti, in Italia e in Europa, e cioè che il padrone della quasi totalità della televisione italiana, privata o pubblica che sia è lo stesso capo del governo e che in ciò sta la fondamentale, costituzionale, colossale “anomalia italiana” rispetto al mondo civile. Non è poco. Ringraziamolo per questo storico “imprimatur”.
MEDITAZIONE

Da C@C@O

La volta che salvammo l'Iraq e gli ostaggi

(Le avventure di Toni Barra investigatore privato proletario)

Trovai i soliti due armadi del sindacato metalmeccanico al solito bar.

"E' una cosa urgente!" Mi dissero. "Accompagniamo noi tua figlia a scuola... Tu vai dal Capo."

Mia figlia mi guardo': "Vai papa', ormai li conosco, mi stanno simpatici."

Mi chiesi per un attimo se potevo lasciare la mia bimba di sei anni nelle mani di due energumeni certamente capaci di fermare un autoblindo a testate. Poi pensai che se non puoi fidarti dei metalmeccanici allora e' meglio che ti spari, perche' non ci sono piu' speranze.

Quindici minuti dopo ero alla Camera del Lavoro. Il Capo del Sindacato Metalmeccanici stava in maniche di camicia e bestemmiava in tutti i dialetti piu' diffusi della penisola. Ha un dono particolare per le lingue: "E' morto Alfio Caponi... era il miglior sindacalista contadino che abbiamo avuto... Aveva quasi novant'anni. Toni, la vecchia guardia se ne sta andando, e abbiamo una guerra per le mani. Se avessimo venti uomini come Alfio potremmo sgombrare l'Iraq dagli americani e riportare la pace in venti giorni. Siamo afflitti da un rammollimento endemico dei quadri dirigenti, Toni.

Per questo sono costretto a mandare te in Iraq. Dovrai cavartela da solo."

"A fare che?"

"Dobbiamo fermare la guerra Toni, e liberare gli ostaggi, e anche incriminare quei disgraziati che hanno ordinato ai nostri soldati di sparare con i mortai a Nassirya e fare quella strage. A me non va di far parte di una nazione che uccide donne e bambini."

"Va beh, ma cosa pretendi che faccia io, da solo?"

"Non sarai proprio solo. Il Sindacato Egiziano ci ha mandato un aiuto, si chiama Mustafa' Al Naui, ti aspetta all'aeroporto, partite tra 25 minuti."

Lo disse infilandosi il soprabito. Il resto delle istruzioni me le diede a bordo di una Skoda gialla del Sindacato.

"E chi va a prendere mia figlia a scuola?"

"Non preoccuparti, ho detto a Sacco e Vanzetti - i due armadi metalmeccanici - di piantonare la scuola e di scortarla ovunque voglia andare. Ho anche spedito un mazzo di rose rosse a tua moglie con scritto < Il Sindacato ha bisogno di me. Torno subito. Ti amo >. Spero che sia sufficiente."

"Va bene, ma il piano qual e'?"

"Atterri in Iraq con un segno tangibile della Solidarieta' Operaia. Incontri le organizzazioni armate e i generali Usa, e spieghi loro il punto di vista operaio. Vogliamo il cessate il fuoco immediato e gli ostaggi liberi".

"Non mi sembra un grande piano d'azione..."

"Ok, fai un piano migliore. L'importante e' che chiudiamo questa storia. Voglio gli ostaggi a casa, tutti, entro la settimana. Non mi va di farmi un altro week-end dentro questo incubo."

All'aeroporto trovammo Mustafa' e un centinaio di volontari della Breda Laminati. Gente che aveva visto caricare il Battaglione Padova e non s'era mossa di un millimetro.

Mustafa' a prima vista non era il tipo che avresti usato per intervenire in una guerra civile e costringere alla tregua il piu' grande esercito del mondo. Magro, altissimo, con gli occhialini da intellettuale.

Sembrava un topo di biblioteca. Poi scoprii che era un topo di biblioteca. Partimmo in orario. Eravamo su un Tupolev Ungherese, stracarico di scatoloni. Dietro ci seguiva il resto della prova concreta della Solidarieta'

Operaia. Quaranta aerei da trasporto carichi di medicine. Atterrammo a Baghdad mentre all'aeroporto era in corso un attacco dei fedayn.

Non duro' molto. Ci aspettavano i camion di Emergency. Facevano schifo ma erano in grado di muoversi. Scaricammo gli aerei, caricammo gli automezzi e formammo un convoglio. Davanti ci stavano gli operai comunisti che distribuivano garofani rossi e sacchetti di farina biologica.

Lasciai il convoglio al suo destino e con Mustafa' andammo a trovare Jasmine un'ingegnera informatica che Mustafa' aveva conosciuto ai tempi del liceo.

Mustafa' l'aveva salvata dal linciaggio quando si era presentata in una moschea di Damasco in minigonna. Era stato un colpo di fortuna che Mustafa' passasse di li' con diecimila muratori socialisti.

Jasmine ci organizzo' un incontro con i leader religiosi. Erano sostanzialmente d'accordo con noi ma ci dissero che non avevano modo di controllare la situazione.

Non c'era solo la popolazione insorta, c'erano anche gruppi di terroristi iracheni e stranieri...

Mi venne in mente che Adelaide dei Postelegrafonici aveva una cugina che faceva il contrabbando di borse Vuitton false con il Kuwait. Si chiamava Katia, non ci misi molto a rintracciarla. Il sindacato mi aveva dato un conto spese a sette zeri. Le promisi un milione di euro se mi trovava qualcosa di assolutamente scandaloso su qualche alto papavero Saudita e qualche capo dell'armata del terrore. Mi serviva qualche cosa di grosso. Ad esempio una foto di Bin Laden che si accoppia con un suino ubriaco. Ci restai male quando mi disse che Bin Laden non faceva porcate di quel tipo.

Mustafa' intanto si era dato da fare tramite un suo zio afgano che conosceva una prostituta russa che conosceva un archivista del KGB che casualmente era a Baghdad da una settimana in cerca di qualcuno che fosse disposto a pagargli dieci anni di lussi sfrenati e bagordi sulle coste giamaicane. Lo incontrammo in una moschea che non era stata ancora bombardata. Nell'attesa il televisore satellitare dell'Hotel Rajid mi permise di vedere Bruno Vespa che sosteneva che non c'e' nesso tra l'intervento italiano in Iraq, il rapimento dei quattro italiani e l'assassinio di uno di loro. Lilli Gruber, in diretta da Baghdad gli dava ragione. Ma era chiaro che l'avevano drogata prima del collegamento con Porta a Porta.

L'ex agente del Kgb era vestito come una spogliarellista (cioe' una spogliarellista vestita, non ebbi modo di vederlo vestito come una spogliarellista nuda). Il fatto che avesse la barba non deponeva a favore dell'efficienza delle spie russe.

Aveva con se' 6 Dvd con 3 ore di video, duemila fotografie e 5 mila pagine di documenti che dimostravano che: Osama Bin Laden e' casto ma e' una donna. Aveva cambiato sesso quando un vecchio amico di famiglia (Bush padre) aveva approfittato di lei e soprattutto delle sue scarpine da ballo (numero 46).

Quattro generali dello stato maggiore Usa in Iraq avevano partecipato a orge che avevano coinvolto soldatesse, animali in via d'estinzione e un gruppo punkabbestia. Tutti avevano fatto uso di droghe vietate, tra queste Optalidon, marijuana, Selba-seno, cocaina e pastiglie Valda. Un cocktail micidiale. Il bombardamento di alcune moschee era stato il risultato di questi eccessi.

Il capo delle brigate di Allah era un vecchio pedofilo belga. Convertitosi all'Islam non aveva mai smesso di divorare hot dog di maiale colorati artificialmente che si faceva arrivare direttamente da una birreria bavarese del quartiere ebraico di New York (il massimo della vergogna per un Vero Credente).

Gli pagai duecentomila euro per ogni Dvd e mi diede in omaggio un cd con Berlusconi che canta "L'internazionale" al compleanno di Craxi. Non sarebbe stato sufficiente per abbattere il governo italiano ma ci saremmo divertiti.

Mustafa', tramite una sua sorella adottiva che gestiva un ristorante, ci mise in contatto con un libanese che teneva i contatti con le organizzazioni armate. Lo incontrammo e gli chiedemmo informazioni sui principali dirigenti della guerriglia: foto, vizi e virtu'. Ci disse che chiedevamo molto. Un milione di euro gli sembro' molto.

Katia (quella del Kuwait) mi aveva mandato una mail con un centinaio di schede su agenti della Cia, capi guerriglieri, capi-villaggio, inviati della Cnn. Di alcuni non c'era molto, di altri fin troppo.

E nel giro di qualche ora iniziarono ad arrivare via mail anche informative da parte del libanese.

Ci eravamo ritirati in una villetta fuori Baghdad, eravamo ospiti della Confederazione Irachena Ferrovieri, e c'erano una ventina di ragazzi armati di bazooka che ci guardavano le spalle.

Il lavoro che dovevamo fare era semplice, in teoria. Stampavamo dossier per ognuno dei belligeranti, mettendoci tutto il peggio che avevamo trovato. E se non trovavamo niente ce lo inventavamo.

Eravamo in contatto con trenta societa' che facevano elaborazioni in 3D, meta' stavano in Basilicata l'altra meta' a Bombay. Tutta gente che gli potevi piantare i chiodi sul torace ma non fiatavano. Gli mandavamo le foto dei belligeranti, loro li trasformavano in attori virtuali con il software di "Final fantasy" e poi realizzavano gustosi spezzoni di film che dimostravano che avevano rapporti col nemico, prendevano denaro dal nemico, facevano cose orali al nemico, ricevevano servizi orali dal nemico, sputavano su Allah, su Bush e su qualunque altra cosa con il nemico, eccetera eccetera... Il tutto condito con dichiarazioni di madri di figlie minorenni concupite, spacciatori di cocaina pentiti, faccendieri...

Avevamo una decina di sceneggiatori pakistani che si occupavano di mettere a punto storie minimamente credibili e di ambientarle in modo convincente... Dopo 36 ore di lavoro ininterrotto telefonai all'amore della mia vita, Rosa Samuele Invernazzi, e le dissi che sarei tornato a casa l'indomani. Lei mi chiese se potevo far scomparire i due bisonti sindacalizzati che stazionavano sul pianerottolo e seguivano nostra figlia come rottweiler cattivi. Le dissi che era un regalo del Sindacato... Mi rispose che non avrei piu' visto il suo bocciolo di rosa se non le toglievo dalle palle la scorta armata. Telefonai al Capo e glielo comunicai. Non fu contento. Gli dissi che mia moglie si stava incazzando. Lui la conosce e capi' che non era il caso di insistere.

La mattina dopo ci ritenemmo soddisfatti del lavoro fatto e iniziammo a consegnare ai ragazzi della Confederazione Irachena Ferrovieri tante belle buste da affidare ai capi della guerriglia estremista. Per le consegne nel campo Usa ci rivolgemmo al Sindacato Carabinieri: una loro squadra di motociclisti, scortati dalla Mezza Luna Rossa e da Emergency, recapito' una cinquantina di bustone. Un paio di destinatari ebbero un infarto appena visionato il contenuto della lettera con cd annesso. Miracoli dell'elettronica.

Poi presi il primo aereo per Roma, visto che non ce n'erano ne dirottai uno che andava a Vienna. Non faccio per vantarmi ma le ragazze del Sindacato Hostess mi adorano. Una volta ne ho salvate una quarantina che erano state sequestrate da un commandos di dementi palestinesi. Vi ricordate le Olimpiadi di Monaco, con quel massacro orrendo della squadra Israeliana? Se non ci fossimo trovati a passare di li', per caso, io e un paio di migliaia di Operai Turchi ci sarebbero stati molti piu' morti.

Arrivai a casa alle dieci di sera e trovai mia figlia ancora sveglia, stava facendo un ritratto poco lusinghiero di Sacco e Vanzetti in versione Hamtaro, quello dei cartoni animati dei criceti. Mi ripromisi di dirglielo appena li vedevo. Probabilmente avrebbero pianto. O forse no, anche quelli del servizio d'ordine del Sindacato hanno figli. E a volte anche nipotini.

Rosa Samuele Invernazzi mi aveva preparato le sue incredibili orecchiette ai broccoli con uvetta. Gustandoli mi convinsi che Dio esiste ed e' sicuramente progressista.

Poi mettemmo a letto la bambina.

Poi abbracciai Rosa Samuele Invernazzi. Ce ne stemmo cosi', distesi sull'amaca in terrazza. La luna vegliava sul sonno dei giusti e forse il mondo aveva qualche speranza. Le raccontai tutto quello che avevo visto in quel paese disperato e cosa avevamo fatto. Lei mi disse che ero un porco falsificatore. Io le dissi che amavo troppo i bambini vivi per non esserlo. Mi bacio' sulla bocca, in silenzio. Poi mi disse: "La guerra ti stressa". E mi fece tutto quello che le odalische facevano ai Pascia' quando tornavano vittoriosi dalla battaglia, piu' alcune cose che ha inventato lei insieme al suo gruppo di autocoscienza femminista.

E io ricambiai.

Mentre ci addormentavamo abbracciati, vicini alla nostra bambina, sentii le ultime notizie del tg della notte. Era stata firmata una tregua, gli ostaggi erano tutti liberi, gli Usa avevano deciso di far affluire veramente aiuti umanitari per le popolazioni stremate. Non era il ritiro delle truppe e il passaggio dei poteri all'Onu ma non si poteva avere tutto in una settimana. Il mio ultimo pensiero ando' ad Alfio Caponi. Se con noi fosse venuto anche lui chissa' che cosa saremmo riusciti a combinare... Quell'uomo era una forza della natura. Pensai che anche a me sarebbe piaciuto andarmene come lui: a ottantanove anni... e fino a dieci minuti prima di morire era ancora in ottima salute. Sono cose che ai nemici del popolo capitano raramente. Lottare per il progresso porta fortuna.

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Nota

Alfio Caponi non e' un personaggio di fantasia. Inizio' la sua attivita' di sindacalista tra i braccianti della valle dell'Alto Tevere, partecipo' alla resistenza, e nel dopoguerra, tra l'altro, si trovo' a dirigere una Comunita' Montana. Amministratore formidabile, gestiva l'azienda pubblica come una brigata partigiana e riusciva sempre a chiudere i conti in attivo. Si dice che sparasse personalmente ai dipendenti pubblici che battevano la fiacca ma nessuno e' mai riuscito a provarlo.

Fu inspiegabilmente silurato dal partito. Forse proprio perche' era troppo efficiente: faceva sfigurare le mezze calzette della burocrazia.

E al suo funerale c'erano centinaia di persone.

Jacopo Fo
MEDITAZIONE

MANIFESTO 27-4

Modello Fiat

ROSSANA ROSSANDA

Straccioni e forcaioli come sempre - che altro si può dire del padronato Fiat, o delle banche che gli stanno alle costole, nella vertenza di Melfi? E' uno stabilimento chiave, essenziale nel sistema del just in time, che abolisce magazzini e scorte, è il secondo complesso per produttività in tutta Europa, ma la Fiat pretende di tenere i cinquemila dipendenti a salari più bassi dal 15 al 25 per cento rispetto a quelli delle altre sue produzioni, a ritmi più serrati e in settimane di lavoro di sei giorni. E quando, dopo anni d'un contratto capestro firmato come Fiat-Sata, i lavoratori di Melfi chiedono di essere portati al livello contrattuale degli altri, manco gli risponde. E quando, esasperati, organizzano la protesta gli scaraventa addosso la polizia con caschi e manganelli. Questo è successo ieri mattina. Siamo nel 2004, ci si riempie la bocca di globalizzazione e competitività ma gli eredi dell'Avvocato dirigono la manodopera come un fattore micragnoso di cento anni fa. Pensano che con la gente della Basilicata si può far quel che si vuole, è una regione meridionale povera, hanno reclutato i lavoratori su un vastissimo territorio perché siano distanti a due ore di viaggio, e con mezzi propri, e per strade sgangherate dove gli incidenti sono la regola, in modo che restino divisi fuori come dentro i grandi spazi del complesso. Non importa che siano stanchi morti, che le punizioni piovano a migliaia (novemila in cinque anni), che molti se ne vadano perché non reggono, cosa che non succede in questa misura in nessun altro luogo, ma meglio disperdere il know how puntando sui disoccupati dei dintorni piuttosto che pagare i propri dipendenti a prezzo normale e per orari normali. Così pensa la nostra classe dirigente che si vantava di aver fatto dell'Italia la quinta potenza industriale del mondo.

E' una dirigenza non solo arrogante, è anche stupida. Non deve essersi pagata neppure qualche sociologo abbastanza intelligente da spiegarle che nel mezzogiorno è un errore credere che la mancanza di una lunga tradizione di lotte significhi eterna rassegnazione. La Fiat ha tirato troppo la corda e ora si trova davanti a una protesta che si è infiammata di colpo su esigenze elementari e decenza avrebbe dovuto prevenire. E' la Rsu, l'organismo di fabbrica, che è partita bloccando gli accessi a uno stabilimento nel quale la comunicazione interna è difficile. La direzione ha creduto di aggirarla accordandosi con le malleabili Fim-Cisl e Uil nonché terrorizzando i lavoratori di Mirafiori, sospesi fra una cassa integrazione e un'altra, finché alcuni di loro non hanno scritto a Melfi supplicandola di smettere perché: il nostro lavoro è nelle vostre mani. Come se non fossero tutti e due nelle mani della famiglia di Torino. La stampa scritta e parlata non ha mancato di precipitarsi a deprecare la scarsa coscienza globale degli operai e a predicare la libertà di crumiraggio. Tutto sbagliato. Melfi ha tenuto, diecimila persone hanno circondato il complesso l'altro ieri, e la Fiat come, suppongo, il prefetto di Potenza hanno perduto la testa mandando la polizia a sciogliere i presidi.

Incauta mossa. Domani sciopereranno tutti i metalmeccanici d'Italia e vedremo chi la spunta. E fin quando il governo potrà fingere di tenersene fuori. E fin quando l'opposizione esiterà a entrare in campo su una questione di equità salariale e normativa così elementare. Non siamo ancora la pallida imitazione degli Stati Uniti della destra repubblicana.

MEDITAZIONE

STAMPA 25-4

Termidoro a Baghdad

di Barbara Spinelli

IN principio erano le armi di distruzione di massa, che bisognava eliminare se non si voleva, come disse Bush nell’ottobre 2002 a Cincinnati, attrarre su di noi il grande fungo atomico. Poi, siccome le armi non si trovarono, i neoconservatori e un certo numero di liberali statunitensi comunicarono qual era il vero scopo della guerra: rivoluzionare il grande Medio Oriente, non contentarsi più dello status quo, portare in quei Paesi la democrazia, abbattere i totalitarismi vecchi e nuovi, fossero essi nazional-comunisti o integralisti islamici. La libertà avrebbe pesato più della stabilità: questa la rivoluzione diplomatico-strategica che Bush inaugurò e propose agli alleati volonterosi. La rivista neoconservatrice Weekly Standard criticò chi usava corteggiare i tiranni, e se la prese con le pigrizie storiche degli europei: ancora una volta questi si lasciavano tentare dall’appeasement, dalla pacificazione con i despoti. Ancora una volta - questo l’argomento - l’Europa ripeteva il disonore del trattato di Monaco, patteggiando col male così come nel ’38 aveva immaginato di poter patteggiare con Hitler pur di evitare la guerra.

Saddam venne messo sullo stesso piano di Hitler, e il partito Baath fu comparato al partito nazista. Così si procedette alla de-baathificazione, appena presa Baghdad. Nel maggio 2003 il governatore Usa Paul Bremer assicurò che non di invasione s’era trattato ma di liberazione, visto che non solo Saddam era stato abbattuto ma il Baath veniva messo fuori legge. Tutti i principali dirigenti furono epurati, fu sciolto l’esercito di Saddam, vennero licenziati maestri, ingegneri, alti funzionari. Almeno 120.000 baathisti persero il lavoro.

Adesso anche questo proposito rivoluzionario s’infrange, come castello di carte. A partire da giovedì scorso l’ordine del giorno cambia in Iraq, la rivoluzione democratica finisce, e comincia il Termidoro. Lo ha annunciato venerdì alle televisioni lo stesso Bremer, che un anno fa s’era gloriato dell’epurazione: «Abbiamo bisogno di nuovo del partito Baath», ha detto in sostanza. Aveva lo sguardo sperso, privo d’espressione. Le facce toste son spesso siffatte. I settori in cui s’applicherà la riabilitazione sono: l’esercito, la polizia, le università, i municipi, forse lo stesso governo che sostituirà l’esecutivo nominato da Washington. L’élite irachena potrebbe tornare a comporsi d’un partito fino a ieri ritenuto identico a quello nazista, e alleato obiettivo del terrore. È come se gli anglo-americani, vinta la seconda guerra mondiale con l’aiuto dei partigiani, avessero rimesso al governo della Germania occupata non Goebbels o Göring, ma pur sempre alti dignitari del partito hitleriano.

Il fatto è che in Iraq non esistono le vaste schiere di partigiani che affiancarono i liberatori anglo-americani in Italia o Francia. Nelle ultime settimane questa realtà è apparsa evidente. Non sono terroristi a resistere all’assedio alleato di Falluja o Kerbala, ma è un’insurrezione. Naturalmente non tutto l’Iraq si solleva. Sono minoranze, sia sciite che sunnite: ma le insurrezioni sono quasi sempre fatte da minoranze, e nonostante questo trascinano le popolazioni. Nei giorni scorsi i generali Usa hanno infine ammesso di poter contare solo sul 50% della polizia irachena. Il 40% ha disertato, il 10 è passato agli insorti. Insorti che mettono sempre più paura, soprattutto quando appartengono all’estremismo sciita di Al Sadr e quando minacciano di lanciare contro gli occupanti l’arma del jihad suicida. Per tutte queste ragioni, e perché l’islamismo sciita potrebbe vincere in elezioni democratiche, l’America manda oggi il suo Sos al Baath.

La disillusione è stata grande, e brusca. In realtà è un’ammissione di sconfitta, e cinismo o realismo riprendono il sopravvento. È come se l’intera guerra fosse stata inutile, visto che al potere tornano quelli contro cui tanti americani e coalizzati hanno combattuto e sono morti. Il bisogno di stabilità prevale di nuovo su quello di libertà - anche se molti iracheni stanno meglio - e il Baath torna a esser baluardo contro l’islamismo radicale.

Ma le autorità statunitensi non s’accontentano di un Baath vecchio stile: era totalitario e mafiosamente avido di guadagni, era di stile comunista e con radici tribali, e adesso il suo compito è di rivestirsi d’un vestito moderno, formalmente democratico, e filoamericano. Non è escluso che molti generali e ufficiali Baath accettino il baratto, pur di esser riabilitati. Che si impegnino non solo a dare quella stabilità che Bush sembra d’un tratto agognare, ma che acconsentano anche a una sovranità irachena limitata. Nello stesso momento in cui riabilitava una parte del vecchio regime, infatti, Washington ha dichiarato che la scadenza del 30 giugno va radicalmente rivista. Il 30 giugno il potere passerà a un governo iracheno, ma non a un governo sovrano come proposto da Onu ed europei: nelle scelte militari e legislative, l’ultima parola dovrà spettare agli Usa. È il modo in cui Bush pensa di poter vincere la guerra, pur ammettendo tra le righe d’averla persa ideologicamente.

Forse è il momento di guardare in faccia questa guerra enigmatica che continuamente cambia rotta. Ed è venuto il momento di parlarne, al di là delle retoriche. Di parlarne tra europei e americani, tra europei, e anche tra italiani. Non solo per costruire la pace, ma per non screditare completamente il ricorso delle democrazie alle guerre, quando le guerre son davvero necessarie.

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CITAZIONE

“Ci sono due guerre: una, contro Saddam Hussein e i suoi ufficiali, è stata vinta in un mese e mezzo. L'altra, contro il popolo iracheno, è cominciata subito dopo la caduta della dittatura, è esplosa con la rivolta di Falluja . E questa guerra gli americani non la vinceranno mai. Con l'occupazione dell'Afghanistan e dell'Iraq, gli americani hanno creato un centro di propagazione globale dello scontro fra Islam e Occidente, e saranno i primi a subire le conseguenze”.

(Samuel Huntington, politologo USA)
MEDITAZIONE

LIBERAZIONE 26-4

25 APRILE -- L'Italia coltivi grata la memoria fascista...

"E' l'unico generale di brigata donna, ma è rimasta nella memoria di chi le è stata vicina per il suo fascino, la sua eleganza, il suo coraggio e il suo entusiasmo". Perciò Piera Gatteschi Fondelli ha meritato di essere immortalata nel secondo volume di "Italiane", il dizionario delle 247 donne che hanno nobilitato la vita del Paese curato, pagato e distribuito gratuitamente nelle edicole italiane (un milione di copie) per iniziativa del dipartimento Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Del resto fu la Gatteschi Fondelli, fascista della prima ora, a convincere Mussolini a Salò a mettere in piedi il Servizio Ausiliario Femminile, di cui divenne comandante. La mosse, si rileva nell'opera voluta dalla ministra Stefania Prestigiacomo, "il desiderio delle donne fasciste di avere un ruolo più decisivo nella difesa del paese". Dove per paese si intende non l'Italia massacrata dal fascismo e martoriata dalla guerra, ma la "repubblica"-fantoccio voluta e al servizio di Hitler.

Non è questa la sola perla dell'ambiziosa iniziativa storico-editoriale governativa, curata (insieme a Lucetta Scaraffia) da Eugenia Roccella, teorica del "femminismo di destra" e del suo naturale approdo a Forza Italia. Tra le italiane alle quali "tutte noi dobbiamo dire comunque grazie", alle quali "tutta l'Italia deve un grazie" e delle quali soprattutto tutti gli italiani hanno "il dovere civile di coltivare la memoria" - lo asserisce istituzionalmente la Prestigiacomo - non c'è solo la repubblichina Gatteschi, ma anche la torturatrice di partigiani Luisa Ferida, ovviamente Edda Ciano, l'amante del Duce Claretta Petacci e Donna Rachele Guidi in Mussolini.

La Ferida di cui l'Italia, grata, dovrebbe coltivare la memoria è la stessa che, col suo compagno Osvaldo Valenti, attore di fama e fervente fascista, si lega alla famigerata banda Koch, che gestisce ferocemente la prigione di partigiani nella Villa Triste di Milano, dove "i festini si alternano alle torture", provocando le proteste dell'Arcivescovo di Milano e degli stessi repubblichini.

La drammatica e delicata storia d'amore della Petacci - affidata alla penna di Mauro Mazza, direttore del Tg2 ed ex-Msi - si conclude con il ricordo della frase ("Clara, io sono te e tu sei me, Ben") scritto sul ciondolo d'oro strappatole da un partigiano, dopo la mortale raffica di mitra: "Forse è stata ancora più tagliente e spietata, la storia, con quella frase di Ben, che non sfigurerebbe stampata su carta velina, attorno a un bacio di cioccolato".

E a quale esimio storico o lucido osservatore politico super-partes poteva essere affidato il ritratto di quel "monumento di dignità" di Donna Rachele se non all'ex-Msi e tuttora fascio-simpatizzante Pietrangelo Buttafuoco? Più che un ritratto della moglie del Duce, si tratta in sostanza del ritratto di una "famiglia devastata dal dolore", di un Duce buono e tollerante ("Quando ti libererai dei traditori! ", gli grida ad un certo punto Donna Rachele), di un Duce nobile sino al sacrificio personale e famigliare ("Come potrei chiedere alla mia gioventù di andare a morire se poi restituisco la vita a mio genero? ", risponde a Hitler in persona che gli chiede la grazia per Galeazzo Ciano), di un Duce onesto e lucido precursore di Tangentopoli (alla moglie che "raduna tutta la paccottiglia dei riconoscimenti ottenuti dal marito... per ricavarne denaro con cui poi compra una 'cucina economica'", fa una una memorabile sfuriata: "Hai rubato allo Stato, quell'oro e quell'argento non l'hanno dato a me, lo hanno dato al capo del Governo"). E Donna Rachele potrà riavere le "spoglie martoriate del Duce" solo "dopo anni di opprimente ipocrisia democratica".

Cosa chiedere di più ad un dizionario (firmato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri targata Berlusconi-Fini-Bossi-Buttiglione) della memoria nazionale (al femminile) da coltivare per capire (e onorare) passato e presente? Chi lo sa. Non è escluso che anche il terzo volume di "Italiane", in distribuzione gratuita nelle edicole martedì 27 aprile, ultimo giorno utile prima della partenza ufficiale della campagna elettorale, contenga altre perle.

MANIFESTO 24-3

Un vaccino per il virus d'interessi

Due schiaffi a Silvio Berlusconi

GIUSEPPE GIULIETTI

L`Europa non vuole essere contagiata dal conflitto d'interessi e così ha tirato due schiaffi a Silvio Berlusconi. Al di là delle ragioni politiche si è trattato in primo luogo di un classico caso di legittima difesa. La maggioranza dell'Europarlamento non ha gradito la pessima sceneggiata messa in onda a Strasburgo dal servizio d'ordine italo-forzuto, per usare una efficacissima definizione di Lucio Manisco. Per ore e ore, con raro sprezzo del ridicolo, Tajani e soci hanno inveito contro i bolscevichi, contro il partito comunista europeo. Il Parlamento ha dovuto sorbirsi tutto il repertorio ben noto agli italiani e propinatoci ogni giorno a dosi massicce e a reti unificate. In quella sede, tuttavia, l'effetto è stato ben altro: moderati e compassati rappresentanti di Olanda, Francia, Belgio... hanno spento l'audio e hanno votato un rapporto che contiene una condanna senza appello per Berlusconi e per il suo conflitto d'interessi. Gasparri e soci parlano, ora e solo ora, di un voto inutile. Peccato che, per impedire quell'inutile voto, gli italo-forzuti non abbiano esitato a ricorrere all'ostruzionismo e a scandalizzare tanti loro colleghi persino i moderati e i liberali. Il voto di Strasburgo ha, per queste ragioni, un grande valore politico e morale, come ha sottolineato con efficacia su questo giornale Norma Rangeri.

L'Europa democratica, nelle sue diverse articolazioni, ha compreso che il conflitto d'interesse non è più una questione esclusiva del «condominio Italia». Le stesse alleanze di «guerra» hanno sancito un'intesa profonda tra Bush, Berlusconi, Murdoch ed un ristretto gruppo di imprese. La concentrazione in pochissime mani del potere politico, del controllo dei media e del denaro è l'essenza di un conflitto di interesse che sta riducendo l'autonomia degli stati nazionali e sta pesantemente condizionando lo stesso libero esercizio del voto.

Tanta parte dell'Europarlamento ha così votato anche una assicurazione sulla propria vita e sulla vita delle proprie comunità, dicendo no ai Berlusconi presenti e futuri. Questo risultato è stato possibile grazie anche alla profonda unità che ha caratterizzato l'azione della delegazione italiana da Di Pietro a Rifondazione, senza esclusione alcuna. Questo percorso dovrà ora proseguire, tentando di elaborare, almeno su queste materie, una posizione comune alla vigilia della consultazione europea.

Il prossimo 21 e 22 maggio a Gubbio si svolgerà la seconda puntata degli stati generali della cultura e dell'informazione: settanta associazioni riunite nel «Comitato per la libertà dell'informazione». I rappresentanti degli euro-gruppi liberale, socialista, ambientalista e comunista hanno già dato la loro disponibilità.

L'Italia ha partorito la mostruosità del conflitto d'interessi, dall'Italia potrebbe partire la terapia per debellare il male e per impedire che il contagio determini una vera e propria epidemia in giro per il mondo.

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CITAZIONE

Per mettersi in mostra, il Cavaliere ha dato ordine di ripulire il video da ogni presenza irriducibile al «suopolio» e mena colpi di direttive ammazza-programmi ai suoi uomini. Resta salvo il filmato dove Nixon si misura con Kennedy. Solo i morti possono dialogare in questa Rai ridotta a pista da ballo del centro-destra.

(Mariuccia Ciotta)

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LIBERAZIONE 24-3

Corsivo

Un Cavaliere alla frutta...

DON PANCRAZIO

Irriso da rapitori e ulema, respinto dall'operaia russa che pretendeva di baciare, avvertito minacciosamente dalla signora Bossi di non farsi nemmeno vedere dalle parti dell'ospedale dov'è ricoverato il Senatur, superato persino da Fassino in share televisivo. Urge nuovo, radicale, definitivo lifting.
MEDITAZIONE

CORSERA 24-3

Televisioni -- Un monopolio

di GIOVANNI SARTORI

L’Europarlamento di Strasburgo ha testé approvato un rapporto sulla libertà dei media in Europa che esprime «rammarico» per le concentrazioni esistenti in diversi Paesi, ma che inevitabilmente si concentra sul caso italiano. Prima ancora dell’approvazione del testo definitivo di quel rapporto il Corriere del 21 aprile ospitava un intervento preventivo di Guido Podestà, vicepresidente forzista del Parlamento di Strasburgo, il cui titolo «Condanna a priori, una regia tutta italiana» ne riassume bene la tesi di fondo. Il rapporto parla da sé per se stesso, e non occorre che ne parli io. Ma è davvero singolare il modo nel quale viene attaccato da Podestà. Così: elencando sette nomi di firmatari italiani di sinistra e lasciando intendere che per ciò stesso quel rapporto è inficiato da una faziosità precostituita. In logica, o meglio nell’elenco dei sofismi logici, questo modo di argomentare è chiamato ad hominem . Invece di entrare nel merito di un problema, il problema è liquidato così: sei brutto, o rosso, o nano, o cornuto, e quindi hai torto, e quindi sei un mentitore.

Il punto divertente è che usando l’argomento ad hominem Podestà squalifica anche se stesso. Se i sinistri hanno torto perché sono sinistri, alla stessa stregua i destri sbagliano perché sono destri. Se i sinistroidi hanno interesse a mentire, anche i destroidi hanno interesse a mentire. Per esempio, Podestà deve difendere Berlusconi a ogni costo perché se no perde il posto.

Il Nostro attacca il rapporto come «un accerchiamento diretto a colpire un solo imputato: Berlusconi», e grida al complotto.

I firmatari gli rispondono ( Corriere del 22 aprile) così: «Non è responsabilità del Parlamento (europeo) se in Italia persiste una situazione di conflitto di interessi in cui alla concentrazione mediatica si unisce una eccezionale concentrazione di potere politico ed economico». Come s’intende, in questo discorso Murdoch non c’entra. Il suo impero è mastodontico, ma lui si ferma lì: Murdoch è soltanto un imprenditore privato. Berlusconi invece concentra potere politico e potere economico. La sostanza del problema è questa. E a Tajani, il capogruppo di FI a Strasburgo, va quantomeno riconosciuto il merito di affrontarla con questa laconica risposta: «In Italia i media sono liberi». Prendo atto e chiedo: come si fa a dimostrarlo?

Preciso che la libertà dei media è una libertà di tipo strutturale che indica quella struttura di un sistema di informazione che viene detta pluralistica. Pertanto un monopolio è la negazione stessa del pluralismo. Invece un duopolio può già configurare un pluralismo; ma non è detto, dipende. Quando ha governato il centrosinistra il governo ha controllato e colonizzato (come da antica e pur sempre riprovevole prassi) il servizio pubblico, mentre Berlusconi possedeva quasi tutta la tv privata. Diciamo, allora, che in quel periodo abbiamo avuto un duopolio imperfetto. Dopodiché sin dal 2001 quel duopolio è diventato, di fatto, un monopolio. Chi continua a parlare di duopolio si rifà al diverso titolo (privato o politico) del controllo berlusconiano. Ma disporre di due cappelli e cambiarli a seconda che il telefonato sia Confalonieri o Flavio Cattaneo non toglie che la realtà sia di controllo monopolistico.

Resta da definire la nozione di potere. In dottrina, il potere di licenziare e di assumere, di promuovere o di demuovere, è potere. Berlusconi ne dispone o no? Chi sostiene che i nostri media sono liberi deve dimostrare che lui comanda solo in Mediaset. E’ difficile.

REPUBBLICA on-line 23-4

Strasburgo vigila su Berlusconi

La censura sull'informazione è solo l'ultimo episodio

di MARCO BRACCONI

ROMA - In quanto a censure e richiami del Parlamento europeo, il presidente del Consiglio è recidivo. In più di una occasione, talvolta esplicitamente, altre volte in modo indiretto, l'assemblea di Strasburgo si è espressa per segnalare le "anomalie" del Cavaliere. Senza contare, poi, le prese di posizione personali ma "istituzionali", come quella del presidente Pat Cox in occasione della clamorosa gaffe del premier italiano nei confronti del deputato tedesco Martin Schulz.

Giustizia, guerra e, proprio oggi, pluralismo dei media, sono i temi sui quali si è via via acceso l'allarme dell'Europarlamento. Dove, pur essendovi una maggioranza conservatrice, nei casi in questione i liberali si sono spesso associati alle posizioni del gruppo socialista. Del resto il conflitto di interessi del Cavaliere è un tema vissuto con disagio in Europa. E non è un caso che la prima censura del Parlamento di Strasburgo al capo del governo sia arrivata a proposito di una delle leggi ad personam più contestate approvate dal Parlamento italiano.

E' il 29 novembre del 2001. Berlusconi è al governo da pochi mesi. Ma la sua maggioranza ha già approvato a tempo di record la legge sulle rogatorie, che rende più difficoltoso il lavoro dei magistrati e ostacola lo scambio di informazioni tra le procure dei diversi paesi. L'Europarlamento vota una censura al governo italiano, segnalando che "nella lotta alla criminalità organizzata è in gioco anche la credibilità degli Stati membri dell'Unione" e richiamando l'attenzione "sulle modifiche di atti legislativi recentemente adottate in Italia, che rendono difficili se non addirittura impossibili le rogatorie internazionali con la Svizzera". In quella occasione, il Cavaliere eviterà di commentare il voto ma dirà che sulla legge sulle rogatorie "la sinistra ha innalzato un fuoco di sbarramento, ha infangato il governo e l'immagine dell'intero Paese".

Poco più di un anno dopo, sarà la guerra a dividere, in modo indiretto ma altrettanto chiaro, Palazzo Chigi dall'Europarlamento. Stavolta sono i tempi a dire tutto. E' il 30 gennaio 2003, la macchina da guerra americana verso Saddam si sta già scaldando, ma l'assemblea di Strasburgo vota una risoluzione in cui si dice che le violazioni riscontrate dagli osservatori Onu "non giustificano" l'intervento armato. Solo il giorno prima Berlusconi (che dovrà assumere la prossima guida semestrale del'Unione) aveva fatto il suo gesto più forte di sostegno alla politica degli Stati Uniti, firmando un documento pro-Usa insieme ad altri sette leader europei.

Il semestre italiano, appunto. Il cui inizio fa toccare il punto più basso ai rapporti tra il Cavaliere e il parlamento Europeo. Nel discorso del 2 luglio dello scorso anno Berlusconi, prima attacca gli eurodeputati che lo contestano definendoli "turisti della democrazia"; poi, rispondendo alle critiche politiche di un deputato della Spd, Martin Schulz, lo apostrofa (davanti ad un Fini allibito e ad un Prodi altrettanto sbalordito) con l'appellativo di kapo'. In aula, scende il silenzio. Poi il gelo.

Ci vorranno le scuse di Palazzo Chigi a Schroeder per chiudere la faccenda, ma intanto il presidente del Parlamento di Strasburgo, il liberale Pat Cox, parla di episodio "increscioso" e di un collega che "si è sentito gravemente offeso".

Quel giorno, una delle critiche che provocarono la reazione parecchio sopra le righe del presidente del Consiglio era, appunto, la preoccupazione in Europa per la concentrazione di potere economico, mediatico e politico. Quelle critiche che oggi, a Strasburgo, sono state inserite nel dossier sul pluralismo dei media votato - e approvato - dalla maggioranza dei deputati europei.

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SONDAGGIO

RESTARE IN IRAQ O NO?

Il premier spagnolo Zapatero ha deciso il ritiro immediato delle truppe spagnole dall’Iraq. Il nuovo governo socialista ha valutato che sarebbe inutile attendere il 30 giugno e ha accelerato i tempi ponendo il problema a tutti i paesi della Ue. Secondo voi, cosa dovrebbe fare l’Italia?

1. Ritirare subito il suo contingente come ha fatto la Spagna -- 60%

2. Attendere fino al 30 giugno e poi decidere -- 27%

3. Restare fino all’effettiva stabilizzazione dell’Iraq -- 13%

86041 voti alle 17:31

sondaggio aperto alle 12:27 del 19-04-2004

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CITAZIONI

Anomalia italiana

«Il sistema italiano presenta un’anomalia dovuta a una combinazione unica di poteri economico, politico e mediatico nelle mani di un solo uomo, l’attuale presidente del Consiglio, e al fatto che il governo è direttamente o indirettamente in controllo di tutti i canali tv nazionali»

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Conflitto d’interessi

«L’Europarlamento si rammarica che il Parlamento italiano non abbia ancora approvato una normativa per risolvere il conflitto di interessi del presidente del Consiglio, così come lo stesso premier aveva promesso di fare entro i primi 100 giorni del suo governo»

(Corsera 23-4)

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ESPRESSO on-line 23-4

Con le bugie riappare l'uomo nero

Sul dramma dell'Iraq mentono tutti: da Bush a Berlusconi

Giorgio Bocca

Mentono tutti, in modo stentoreo, ufficioso o ufficiale, anche se sanno che nessuno li crede: capi di governo, cardinali, onorevoli, generali. Un generale dell'aviazione dice: "No, non siamo in guerra. Perché? Ma è chiaro, chiamasi guerra quella contro un nemico dichiarato, che nel caso nostro manca". I cronisti annotano senza eccepire. E ci hanno appena ferito 11 soldati a Nassiriya e noi ne abbiamo appena spediti al loro creatore non si sa quanti, forse 30, forse cento. Mente il grande imperatore dell'Occidente cristiano George Bush: "Se necessario manderemo altri soldati, 50 mila, 100 mila fino alla vittoria". Ma che ci propone, questo texano? Che rincorrendo il fantasma di Osama Bin Laden faremo la guerra all'Iran e poi al Pakistan, all'India, alla Cina? Fino all'apocalisse atomica? No, questo è meglio non dirlo, non piacerebbe ai sudditi.

Mente il capo del governo in visita ai nostri soldati a Nassiriya e mentono o sono costretti a mentire anche i soldati: "Gli iracheni sono dalla nostra parte. Ci sono amici". Ma se vi hanno appena sparato da tutte le parti, dalle case, dalle moschee, dai bazar... "No, quelli che ci sparano sono delinquenti comuni, gente venuta da fuori". Proprio così, come si diceva un tempo dalle nostre parti dell'uomo nero, venuto da fuori. Si mente a raffica: capigruppo parlamentari, ministri, segretari di partito, da soli o in gruppo: "Siamo in Iraq e ci resteremo per portarvi la democrazia". Ma quale, ma come! Stiamo uccidendola, soffocandola in casa nostra, stiamo tornando dovunque a Stati di polizia, inquisitori, dominati dalle minoranze dei ricchi e dei sapienti e abbiamo la faccia tosta di raccontare che porteremo la democrazia fra milioni di poveracci, divisi fra sette religiose, tradizioni tribali, speculazioni petrolifere?

Eppure bisogna vederle e rivederle ogni giorno in televisione le facce di questi sepolcri imbiancati, questi patrioti che chiamano disfattisti quanti si interrogano sulla follia del mondo. Ci sono i mentitori di professione, pronti a tutto che si credono intelligenti, passano per intelligenti, per aver rimesso assieme quattro o cinque volte le tesi insensate della guerra continua, dell'America provvidenziale, della infallibile Condy Rice dai tailleur di Armani. I realisti, i cinici, che trovano una ragione ineccepibile dei massacri che si sono succeduti nella storia precisamente nel fatto che sono inesplicabili. "La guerra è un'arte bella", diceva un nostro professore in prima ginnasio, un Pindaro spelacchiato. A noi adolescenti non pareva, ma se lo pagavano per ripeterlo, un'arcana ragione doveva pur esserci. Oggi tanto arcana questa ragione non è più: la guerra è bella e necessaria per quelli che ci guadagnano su e che mandano gli altri a farla. Il potere in America crede di aver appreso la lezione del Vietnam: non più soldati di leva, una leva eguale per tutti, poveri e ricchi, ma mercenari che, come dice il nostro Berlusconi che ha una sincerità disarmante, "guadagnano bene e possono fare carriera". E incidentalmente crepare.

Ma i ricchi e potenti si sbagliano se pensano di conquistare il mondo con i mercenari: i mercenari gli imperi li mandano alla malora. Gli intelligenti e i cinici a pagamento le studiano tutte per giustificare le guerre: la violenza è sempre necessaria e fa sempre cassetta, come sanno i Mel Gibson, che mettono assieme la Passione di Cristo con quella degli incassi. La violenza è anche ragionevole come dice la nostra Oriana che fa una vita disperata pur di sparare best-seller. Ma questa volta i cultori della guerra, veri o per lucro, dovrebbero esitare, fermarsi, rifiutare le menzogne del potere di fronte alle prospettive atroci, autolesioniste, da ultimi giorni dell'umanità che si aprono con le guerre continue e con il terrorismo che generano.
MEDITAZIONE

L’UNITA’ on-line 23-4

Truppe d'assalto

di Corrado Stajano

Suonano le trombe, rullano i tamburi, è venuta a galla tutta la retorica patriottarda. Come se non si potesse tutelare l’idea di nazione senza clangori di fanfare e senza nazionalismi davvero fuori posto in questa disgraziata occasione. Non ci è stato risparmiato niente, la destra italiana, nel fondo del cuore, non è cambiata di molto dal fascismo in qua. La parola eroe è stata ammannita a piene mani, a sproposito. Quella frase che sarebbe stata pronunciata dall’infelice Fabrizio Quattrocchi prima di morire ha riempito di imbarazzanti entusiasmi anime intrise di campanilismi di provincia, disturbate dalla normalità della vita ed è servita a coprire le nequizie quotidiane, le omissioni, le menzogne, l’incompetenza dei governanti e dei loro piccoli servi, oltre che le violazioni della legge e della Costituzione.

È un tempo schizofrenico, questo che stiamo vivendo. Sono spuntati i pentiti, un buon segno, quelli che si sono resi conto di aver sbagliato nel valutare la necessità della guerra di Bush per combattere il terrorismo. Quando mai si combatte il terrorismo con gli eserciti? Si potrebbe infierire. La forza dei princìpi ora ha prevalso facendo mutare opinione a non poche persone di buona volontà infinocchiate dalla propaganda. Ma come è potuto accadere che donne e uomini colti, se in buona fede, non abbiano capito subito che la democrazia dell’Occidente non è esportabile in paesi con differenti radici politiche e religiose che la rifiutano quasi geneticamente? Conoscevano così poco la politica, la storia, la geografia? Non occorreva aver frequentato scuole di alti studi strategici per rendersi conto che i corpi di spedizione partiti con la leggerezza dei cultori delle guerre lampo andavano a infognarsi in uno dei punti più delicati e pericolosi del mondo. Un paese diviso da etnie in conflitto tra loro che aveva sofferto sì per una dittatura sanguinaria, ma che manteneva intatta la fierezza del suo spirito indipendente.

Ci sono poi, al contrario, gli altri, incattiviti, che seguitano a negare che questa dell’Iraq sia un guerra. Dicono di no anche davanti all’evidenza, ai morti quotidiani, agli attentati, ai combattimenti sanguinosi, alle stragi, ai segni della lotta di liberazione che sta saldando contro gli eserciti stranieri anche antichi avversari e nemici. Non è vero, non è una guerra, dicono e ripetono come automi le controfigure berlusconiane. E fanno venire in mente quella pagina in cui George Orwell, nel suo 1984, descrive gli slogan incisi sulla facciata del Ministero della Verità: «La guerra è pace», «La libertà è schiavitù», «L’ignoranza è forza». O quell’altra scritta posta dai nazisti sul cancello del lager di Auschwitz: «Il lavoro rende liberi». O ancora, per dar prova del rovesciamento del significato consueto delle parole in uso in questi anni, si può scomodare persino Tucidide che scrive così in una pagina del Libro terzo della Guerra del Peloponneso: «L’audacia sconsiderata fu ritenuta coraggiosa lealtà verso i compagni, il prudente indugio viltà sotto una bella apparenza, la moderazione schermo alla codardia, e l’intelligenza di fronte alla complessità del reale inerzia di fronte ad ogni stimolo; (...)Chi inveiva infuriato, riscuoteva sempre credito, ma chi lo contrastava era visto con diffidenza».

Si continua a proclamare che quella dell’Iraq è una missione umanitaria. Affermazione non vera, priva di ogni scrupolo. Il contingente italiano non è in grado di svolgere quella missione ed è indifeso. Quel che interessava ai governanti del centrodestra era sedere al tavolo della «pace» o meglio al tavolino degli appalti dove, tra l’altro, hanno racimolato briciole. Subalterni, privi di ogni orgoglio nazionale: il contingente italiano opera sotto il comando britannico, deve render conto di tutto quel che fa. E se - per esigenze militari - gli viene ordinato di far fuoco, anche al di là della legittima difesa, deve soltanto ubbidire. E si capisce come per gli iracheni in rivolta non ci sia alcuna differenza tra le truppe dei diversi Stati che occupano il loro paese. E si capisce meglio, se non lo si fosse capito prima, che l’invio del corpo di spedizione in Iraq viola l’articolo 11 della Costituzione che vieta la guerra «come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali». I soldati italiani devono tornare a casa.

Dopo l’annuncio del premier spagnolo Zapatero di ritirare le truppe, c’è stata una levata di scudi non solo di Bush, ma anche dei pretoriani di Berlusconi, lieto invece per essere diventato l’unico rappresentante Usa dell’area Europa. Un leader della maggioranza, Follini, ha citato, a paragone di quella per lui improvvida decisione spagnola, l’armistizio italiano dell’8 settembre 1943.

L’8 settembre, qui da noi - non fu, sessant’anni fa, la morte della patria, fu la catastrofe dello Stato fascista - è andato in onda quella sera famosa alla tv, con il ministro degli Esteri Frattini, convitato di pietra sulla sua poltroncina; Berlusconi in ispezione alle sue ville in Sardegna; Fini a far la pesca subacquea nel Mar Rosso.

Questi inadeguati personaggi, dopo aver sbagliato tutto, trovano ora naturale, in un momento assai difficile per il paese, che si crei in Italia un’unità di intenti, un clima di solidarietà nazionale. In subordine, naturalmente, a un bell’inciucio - pasticcio, intrigo, accordo improprio, pastrocchio - evocato anche da qualche anima bella dell’opposizione, in nome della Repubblica da salvare. Naturalmente il centrosinistra, secondo il centrodestra, dovrebbe sottoporsi a qualche prova di sottomissione e dare le dovute garanzie.
REPUBBLICA on-line 22-4

Tv, per Silvio Berlusconi la censura dell'Europarlamento

Fallito l’ostruzionismo forzitaliota

STRASBURGO - Dopo giorni di accuse e controaccuse e in un clima tesissimo, il Parlamento europeo ha approvato il rapporto sui "rischi di violazione nell'Ue e in particolare in Italia della libertà di espressione". Non hanno partecipato al voto il gruppo dei popolari e della Uen, al quale aderisce Alleanza nazionale. La relazione del Parlamento è comunque stata approvata con 237 si, 24 no e 14 astenuti.

Prima dell'inizio del voto l'assemblea ha bocciato la richiesta di un rinvio in commissione presentata da un europarlamentare della destra europea. Alta la tensione in aula. Il presidente del Parlamento, Pat Cox, ha respinto le accuse avanzate da alcuni europarlamentari di centrodestra su come avrebbe condotto la discussione "E' certo che c'è stata una dinamica politica inevitabile - ha detto Cox - ma ora siamo in aula e dobbiamo votare".

Contro Cox ha avuto parole molto dure il vicepresidente del P.E., Guido Podestà (FI), secondo il quale "Cox ha tradito il senso della democrazia in questo Parlamento".

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SONDAGGIO

RESTARE IN IRAQ O NO?

Il premier spagnolo Zapatero ha deciso il ritiro immediato delle truppe spagnole dall’Iraq. Il nuovo governo socialista ha valutato che sarebbe inutile attendere il 30 giugno e ha accelerato i tempi ponendo il problema a tutti i paesi della Ue. Secondo voi, cosa dovrebbe fare l’Italia?

1. Ritirare subito il suo contingente come ha fatto la Spagna -- 60%

2. Attendere fino al 30 giugno e poi decidere -- 27%

3. Restare fino all’effettiva stabilizzazione dell’Iraq -- 13%

77714 voti alle 18:31

sondaggio aperto alle 12:27 del 19-04-2004

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LIBERAZIONE 22-4

Berlusconi servo fedele di Bush

“...e dove li trova, alleati così ciecamente fedeli, supini, genuflessi?”

Rina Gagliardi

Chissà quanti sono i bambini irakeni falcidiati da questa guerra, colpiti da un missile americano o dall'autobomba di un "kamikaze". Ieri, a Bassora, città che sembrava relativamente indenne dalla furia della guerra, sono morte più di 70 persone: quasi tutti civili, e tra di loro un'intera piccola scolaresca che su un minibus stava raggiungendo un giardino d'infanzia. Ma l'infanzia - in Iraq, in Palestina, in decine di altri paesi devastati da un conflitto armato o dalla fame - è una condizione negata, calpestata, brutalmente spezzata. Questo eccidio planetario di bambini, che si consuma sotto i nostri occhi così detti civili, il più delle volte silenziosamente, non è forse di tutte l'atrocità più insopportabile? Non dovrebbe, da solo, spingere la "civiltà occidentale" ad un'autocritica radicale - ad una rivolta generalizzata - sulle sue scelte di guerra e sulle colossali risorse che investe nell'industria della morte pianificata? Ma dall'Iraq, ormai, ogni giorno è solo un'indefessa, macabra conta di morti, feriti, esplosioni, rapimenti. Falluja, Najaf, Bagdad, Bassora, Nassiriya - ecco una sequenza quotidiana di nomi finora poco noti, che di volta in volta si associano a un numero più o meno chiaro, più o meno grande, di vittime. Che cosa ancora si aspetta per mettere in moto, come ha fatto il premier spagnolo Zapatero, una controtendenza, un segnale di pace?

Silvio Berlusconi, invece, non ha aspettato neppure il rilascio dei tre ostaggi italiani, che sembrava e sembra imminente, per rilasciare da Mosca una gravissima dichiarazione politica: ovvero, l'annuncio che le truppe italiane resteranno in Iraq oltre il 30 giugno. L'Onu non serve, ha spiegato il "nostro" premier, rimangiandosi perfino il vago (vaghissimo) impegno del suo ministro degli esteri e, soprattutto, smentendo di forza la posizione di Ciampi, appena ieri solennemente ribadita. Nello stesso momento, all'incirca, l'educato Franco Frattini veniva abbracciato, a Washington, da Colin Powell che si congratulava con gli italiani: e dove li trova, il governo nordamericano, alleati così ciecamente fedeli, supini, genuflessi? Così pronti a sacrificare gli interessi italiani ed europei? Così determinati a servire la Casa Bianca da gettare sempre di più il nostro Paese in una guerra di cui non si vede la fine, e senza neppure un dibattito vero del Parlamento? Cinquant'anni di governi democristiani, al confronto, impallidiscono e diventano, nella nostra memoria, un luminoso esempio di autonomia e dignità politica.

Almeno un risultato, però, queste ultime esternazioni del Cavaliere dovrebbero raggiungerlo: non ha più senso ogni residuo dubbio sulle chances di una svolta per l'Iraq. Non significa più nulla "darsi tempo", fare tattica, rimanere in mezzo al guado tra la pace e la guerra. Se l'opposizione di centrosinistra non assume, subito, un'iniziativa forte e unitaria contro il coinvolgimento italiano in questa guerra - e contro l'asservimento del governo italiano agli Usa - non solo compie un errore politico disastroso, ma sconcerta e scompagina, prima di tutto, il proprio elettorato e il proprio popolo. Ritirarsi subito dall'inferno irakeno. Rompere la coalition of willings, come hanno già fatto Spagna, Honduras, Santo Domingo e come si accinge a fare la Polonia. La pace comincia da qui.

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ESPRESSO on-line 22-4

Berlusconi demolisce l’Europa per conto terzi

Attacca il presidente Prodi e il commissario Solbes: per il futuro dell’Unione una simile sortita rischia di diventare una bomba

Massimo Riva

La sceneggiata contro l'allarme lanciato da Bruxelles sui conti italiani riporta in piena luce due gravi vizi di fondo del governo Berlusconi. Il primo riguarda la pericolosa ambiguità della politica europea del presidente del Consiglio. Il secondo attiene all'irresponsabile leggerezza della gestione della finanza pubblica da parte del ministro dell'Economia.

Anche paesi maggiori del nostro - come Francia e Germania - hanno subìto l'onta dei richiami da parte della Commissione europea, ingaggiando un duro braccio di ferro con Bruxelles. Nessuno, però, ha mai immaginato di nascondersi dietro gli argomenti usati da Berlusconi, il quale ha attaccato il presidente Prodi e il commissario Solbes definendo strumentale la loro iniziativa perché proveniente da esponenti di centrosinistra, cioè di uno schieramento politico opposto al suo. Per il futuro delle istituzioni europee una simile sortita berlusconiana rischia di diventare una bomba.

Essa introduce, infatti, un elemento dirompente per l'Unione perché, in questa chiave, qualunque paese sarebbe autorizzato a farsi beffe delle decisioni di Bruxelles in assenza di sintonia partitica fra membri della Commissione e governi nazionali. Cosa che, data la varietà del quadro politico europeo, significherebbe la morte dell'Unione. Obbiettivo inconfessato da parte di Berlusconi, ma che ormai sembra essere il cuore autentico della sua politica, come provano le polemiche contro l'euro, l'insofferenza ai vincoli di Maastricht, le invettive sui 'lumaconi' di Bruxelles, nonché il clandestino boicottaggio della nuova Costituzione europea.
MEDITAZIONE

MANIFESTO 22-4

Terrore profondo

GABRIELE POLO

Le autobombe di Bassora che fanno strage di bambini sono solo l'atto più recente di un'esposizione universale del terrore. Non sarà l'ultimo. L'Iraq sembra diventato una mostra impazzita delle forme di conflitto del '900: autobombe e kamikaze, proteste di piazza, rivolte e loro repressione, attacchi militari e sequestri di ostaggi (assassinati o rilasciati dopo trattativa), si concentrano in uno stesso luogo in un andirivieni apparentemente privo di senso, soprattutto senza una logica politica. O, almeno, così ci appare, incapaci di capire fino in fondo che l'esercizio della forza - in chiave militare - è diventato la forma della politica del XXI secolo. E trarne le dovute conseguenze per costruire una nuova politica, perdendoci invece in paranoie tragiche («avanti fino alla vittoria» e all'eliminazione dell'avversario) o ridicole («con i terroristi non si tratta», salvo poi trattare). Persino chi ha denunciato fin dall'inizio il salto di paradigma rappresentato dall'11 settembre e la follia dell'avventura bellica di Bush fatica a comprendere pienamente il significato dell'espressione «guerra permanente». Cioè di guerre (ufficiali e «informali») che non tollerano alcun terreno di mediazione politica, che si alimentano di se stesse e dei loro integralismi ideologici - religiosi o mercantili - in un modernissimo remake dei conflitti europei del `600. La guerra irachena - ma dovremmo dire mediorientale - può anche essere letta, da una parte e dall'altra, attraverso i consueti canoni degli interessi economici (il petrolio), strategici (l'avamposto americano), identitari (la liberazione dei luoghi santi dell'Islam), nazionalistici (la cacciata dell'occupante). Ma è una lettura parziale, insufficiente. Più a fondo non c'è lo scontro di civiltà propagandato da destra, bensì una logica distruttiva: nessuno può uscirne vincitore assoluto, ma le parti (anche quelle che si combattono dentro i due schieramenti) si affrontano per esserci, più che per prevalere. Il risultato però non è «a saldo zero», sono i massacri.

In questo stravolgimento generale anche le parole rischiano di perdere il loro senso. Resistenza da noi ha un significato preciso, si accompagna ai valori costitutivi di una democrazia rappresentativa che ha affondato le proprie radici nell'onda lunga dell'89 francese (ed è per noi naturale celebrarla il prossimo 25 aprile in chiave pacifista chiedendo il ritiro delle truppe). In Iraq ha solo un significato «tecnico», militare: sappiamo contro cosa si resiste ma non per cosa. E non basta la resistenza a un'occupazione militare illegittima per qualificare il senso di quel termine. Anche il «come» si resiste è conseguente alle sue finalità. E in Iraq dimostra l'assenza totale di autonomia dalle logiche di chi si combatte, diventa parte costituente della guerra preventiva. La distinzione è solo sul terreno della disparità tecnologica, nel divario militare che separa l'esercito più potente del mondo dai «barbari». Termine che suggeriremmo di evitare, se non altro per i precedenti storici che hanno sempre visto i barbari conquistare, alla fine, gli imperi. Anche a costo di seminare morte e terrore.

MANIFESTO 21-4

Berlusconi sotto schiaffo all’Europarlamento

Ostruzionismo degli Euroforzisti scatenati per il «suopolio»

ALBERTO D'ARGENZIO

BRUXELLES - «Ahh, les italiens», sbotta sarcastica la baronessa Sarah Ludford, membro dei liberali britannici nella commissione libertà del parlamento europeo. Gli strali non sono per tutti i 57 milioni di cittadini italiani ma per la pattuglia di eurodeputati di Forza Italia impegnati, con alcuni soci, a salvare la faccia liftata del Cavaliere, cercando di evitare che venga votato il rapporto «sui rischi di violazione nella Ue ed in Italia della libertà di espressione e di informazione», redatto dalla liberale olandese Johanna Boogerd Quaak. La votazione è prevista per oggi a mezzogiorno, ma potrebbe slittare a domani. E poi basta: o si vota entro giovedì o si rimanda tutto sine die. Il parlamento chiude infatti i lavori con la sessione plenaria di inizio maggio, ma allora si potrà giudicare solo la richiesta di censura a Prodi per il caso Eurostat, non il rapporto che inchioda il sistema monopolistico disegnato da Berlusconi in patria nel settore dell'informazione e della pubblicità. Un testo accusatorio forte e contundente, che fa nomi e cognomi (quelli di Berlusconi soprattutto, di Gasparri e la sua legge, ma cita pure i casi Biagi, Santoro e Luttazzi) e che arriva a chiedere ai 25 l'eventuale avvio contro l'Italia della procedura prevista dall'articolo 7 del Trattato, quella che può sospendere un paese per «rischi gravi alla democrazia». Cose mai viste, se non, in parte, per l'Austria di Haider. Contro il voto l'ostruzionismo di Forza Italia, l'ultima risorsa, dopo che il 30 marzo scorso la commissione libertà approvava a larghissima maggioranza il rapporto: favorevoli comunisti, liberali, verdi, socialisti e radicali, contro popolari ed eurodestra. Le posizioni non sono cambiate, il voto appare quasi scontato e così non resta che aggrapparsi alla pratica dilatoria. A menar le danze e dettare i tempi Forza Italia. Ma gli azzurri non si muovono soli a Strasburgo, hanno dalla loro il beneplacito del Partito popolare europeo, l'appoggio di An e dell'eurodestra, e pure una certa connivenza del presidente dell'eurocamera, quel Pat Cox, liberale, che deve la sua elezione proprio ai voti del Ppe.

La strategia nella pratica è fatta di 338 emendamenti e della richiesta - avanzata sia dal vice presidente del parlamento Guido Podestà, Fi, che dal presidente della commissione petizione Vitaliano Gemelli, Fi - di rinviare il testo in commissione libertà per vizi di forma. Poi ci sono le parole, come l'ora e mezza di interventi lunedì sera in commissione libertà (qui sbottava la Ludford) che doveva giudicare la validità della marea di emendamenti. Alla fine rimanevano solo 15 minuti, buoni per benedire la metà delle 338 modifiche. Ieri passava anche la seconda metà. Oggi il voto, se Podestà vuole. Cox ha infatti incaricato proprio il suo vice marcato Forza Italia di condurre le votazioni al suo posto.

«E' terrorismo parlamentare», accusa il comunista Lucio Manisco, promotore nel maggio scorso dell'iniziativa che ha portato alla stesura del rapporto. «Non è mai successo che l'ostruzionismo abbia impedito una votazione», ricorda il verde Cohn Bendit. «Inaccettabile che il parlamento ceda all'interesse personale di Berlusconi», commenta Baron Crespo, capogruppo del Pse. «Noi non blocchiamo niente - ribatte il collega del Ppe Poettering - sfruttiamo le procedure parlamentari e siamo solidali con i nostri colleghi italiani che si sentono colpiti. Se il parlamento deve affrontare questo argomento, ciò deve avvenire lontano da scadenze elettorali». Ciò che non dice Poettering è che siamo arrivati a due passi dalle europee solo perché il suo partito è da mesi che la tira lunga. Ma l'ostruzionismo può anche far male: ha irritato assai gli eurodeputati non italiani, poco avvezzi a queste pratiche, e poco giova all'immagine di Berlusconi a Strasburgo, già quasi-pessima. Ieri andava a ruba il libro «Ue: attacco alla libertà» di Manisco, Giuseppe Di Lello ed Alessandro Cisilin. Pagine di atti processuali ed indagini sul Cavaliere.

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EUROPA on the Web 21-4

Un indegno scandalo politico

Berlusconi viziato da un evidente conflitto d’interessi, incompatibile con le pratiche di un paese democratico

DI ENRIQUE BARON CRESPO

(Presidente del gruppo Pse all’europarlamento)

Il tentativo da parte del gruppo del Partido Popular Europeo (Ppe) di boicottare il rapporto Boogerd-Quaak sulla concentrazione dei mezzi di comunicazione mi sembra uno scandalo politico indegno del prestigio del parlamento europeo. Presentando 350 emendamenti dell’ultima ora alla proposta già approvata dalla commissione libertà pubbliche, responsabile dell’elaborazione del rapporto, è ovvio che i conservatori intendono ostacolare il dibattito e la votazione proprio nell’ultima sessione plenaria di questa legislatura.

Credo che la tattica del filibustering parlamentare sia uno strumento indegno che disonora chi ne fa uso, che evidentemente non ha trovato argomentazioni convincenti nel corso della lunga fase del dibattito in commissione. Ciò che vuole il gruppo del Ppe è che il rapporto non veda la luce e che, dunque, non si ufficializzino le sue conclusioni. Ma è un’azione inutile, poiché queste sono già state pubblicate e sono decisive nella denuncia dei rischi che comporta, per la libertà d’espressione, la concentrazione di un potere eccessivo nelle mani di una persona o di un’impresa. Senza che il rapporto si riferisca specificamente all’Italia, è evidente che la situazione in questo paese richiede un’attenzione privilegiata nella versione approvata dalla Commissione e che si presenta in plenaria.

Le conclusioni della relatrice Boogerd- Quaak denunciano la situazione molto allarmante per cui nella persona del primo ministro italiano Silvio Berlusconi si concentra la proprietà di tre canali televisivi privati e il controllo politico della tv pubblica Rai. Ciò presuppone un evidente conflitto d’interessi, incompatibile con le pratiche di un paese democratico e pone serie minacce al pluralismo che garantisce la libertà d’opinione. Perciò, è lecito supporre che i tentativi di bloccare il dibattito e/o la votazione del rapporto in questione rispondano all’intento di proteggere Berlusconi da parte degli eurodeputati del suo partito, Forza Italia. In questa logica di clientelismo politico è deplorevole che tale indifendibile tattica di ostruzionismo parlamentare sia approvata da tutto il Ppe, che assume così la difesa dell’indifendibile concentrazione di potere mediatico e politico dell’attuale primo ministro italiano. Che vergogna per la destra e che affronto per il prestigio democratico del parlamento europeo!

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REPUBBLICA on-line 21-4

SONDAGGIO

RESTARE IN IRAQ O NO?

Il premier spagnolo Zapatero ha deciso il ritiro immediato delle truppe spagnole dall’Iraq. Il nuovo governo socialista ha valutato che sarebbe inutile attendere il 30 giugno e ha accelerato i tempi ponendo il problema a tutti i paesi della Ue. Secondo voi, cosa dovrebbe fare l’Italia?

1. Ritirare subito il suo contingente come ha fatto la Spagna -- 60%

2. Attendere fino al 30 giugno e poi decidere -- 27%

3. Restare fino all’effettiva stabilizzazione dell’Iraq -- 13%

69086 voti alle 18:01

sondaggio aperto alle 12:27 del 19-04-2004

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"L'incompatibile è Berlusconi"

Lista Prodi, i big non si candidano

ROMA - "Una questione di trasparenza", nel momento in cui il presidente del Consiglio, "in spregio ad ogni criterio di incompatibilità si accinge a candidarsi in tutte le Circoscrizioni". Con queste parole il segretario dei Ds Piero Fassino spiega che non si candiderà alle prossime elezioni europee. Mettendo la parola fine a una discussione che nella lista unica che porta il nome di Romano Prodi si prolungava da giorni.

Non ci saranno candidature di bandiera, come invece si apprestano a fare Silvio Berlusconi, Gianfranco Fini, Marco Follini e (forse) Umberto Bossi, mettendo il loro nome in cima alla liste della Cdl pur sapendo già in partenza che opteranno tutti per restare in carica nel Parlamento nazionale.
MEDITAZIONE

L’UNITA’ on-line 21-4

Due video scomparsi

di Antonio Padellaro

Dietro la liberazione dei tre ostaggi, annunciata come imminente sia a Bagdad che a Roma, c’è un misterioso accordo raggiunto dal governo italiano con i miliziani islamici autori del sequestro. Ma dietro questo accordo c’è sicuramente un altro mistero, quello dei due video scomparsi. Il primo testimonia l’assassinio di Fabrizio Quattrocchi. Il secondo contiene le immagini della battaglia di Nassiriya del 6 aprile, nella quale i ribelli iracheni uccisi dai soldati italiani sarebbero stati non una ventina, come si era detto subito, ma un numero molto più elevato: 100, forse anche 200. Sono ore di voci incontrollabili. C’è chi attribuisce il ritardo dell’annuncio ufficiale del rilascio all’intenzione di Berlusconi, nel viaggio di ritorno da Mosca, di raccoglierli in un aeroporto segreto e condurli trionfalmente in Italia. C’è, al contrario, chi parla di un negoziato ancora da perfezionare. Ma questa intesa, vicina o vicinissima, in cosa realmente consiste? Loro ci restituiscono tre uomini vivi e uno morto. Noi che gli diamo in cambio? Dei miliziani, come si è visto, crudeli e decisi a tutto si possono forse accontentare dei tre camion (nelle immagini del tg unico di regime se ne è visto uno solo) di aiuti umanitari inviati a Falluja dalla Croce Rossa? Tre camion per una città di trecentomila abitanti? Via, siamo seri. Per un accordo così importante, sull’altro piatto della bilancia il governo italiano ha dovuto per forza mettere qualcosa di molto più consistente di qualche cassa di medicinali e di latte in polvere. Qualcosa, probabilmente, di cui l’esercito di rivoltosi in guerra con la coalizione di cui fa parte l’Italia hanno grande bisogno. Per esempio, l’assicurazione che i soldati italiani non spareranno più contro i combattenti iracheni.

È un’ipotesi a cui qualcuno ha pensato leggendo, ieri mattina, le dichiarazioni sullo stop agli americani rese dal capo della missione italiana in Iraq generale Gian Marco Chiarini. Riferisce Chiarini che giovedì scorso le truppe Usa volevano venire a Nassiriya per catturare il leader locale di Al Sadr, capo dell’ala radicale sciita. Questa zona è di mia competenza, ha risposto Chiarini all’alleato, e se voi arrivate qui noi ce ne andiamo. Gli italiani, insomma, anche se non si ritirano come gli spagnoli sembrano in una fase di ripiegamento psicologico. Lo dimostra l’altro no che il generale Filiberto Cecchi, capo delle missioni militari all’estero ha opposto alla richiesta, anche questa Usa, di sostituire le truppe di Zapatero. «Siamo al massimo dello sforzo», ha risposto seccamente Cecchi negando un ulteriore apporto degli italiani.

Questo mutato atteggiamento degli alti comandi mostra una diversa percezione della situazione irachena rispetto ai giorni della battaglia di Nassiriya. Il 6 aprile si tratta di liberare i ponti occupati dai rivoltosi. Su richiesta degli americani il contingente italiano ingaggia una battaglia di 18 ore. Uno scontro violentissimo di cui esiste un video tenuto supersegreto: immagini che, evidentemente, non possono essere divulgate. Cosa raccontano che non può essere visto? I nostri connazionali vengono sequestrati una settimana dopo. L’evento, all’inizio, non suscita reazioni particolari nel governo. Il premier se ne parte tranquillamente per la Sardegna. Il vicepremier non pensa neppure un attimo a interrompere le immersioni nel Mar Rosso. Il ministro Frattini, al pari del collega Martino, affronta la questione con grinta ed esibizione di muscoli: con i terroristi non si tratta, punto e basta. Gira una interpretazione minimalista: i rapitori sono banditi di strada, basta pagarli e i nostri tornano liberi. Col senno di poi tanta superficialità ha una sola spiegazione: il governo italiano non sa nulla. Non conosce ancora la reale identità degli ostaggi. Da chi sono stati mandati. A quali operazioni hanno partecipato. Quale documentazione hanno con loro. Ai sequestratori, invece, basta poco per rendersi conto dell’entità del colpo portato a termine. Nel primo video, mostrando i volti e i passaporti degli italiani i rapitori pensano di aver inviato il messaggio giusto. Messaggio trasmesso da tutte le televisioni e che dovrebbe suonare più o meno così: noi sappiamo che voi sapete chi abbiamo rapito, regolatevi di conseguenza. Ma a Roma nessuno si muove. È all’ingresso nello studio di «Porta a Porta» che Frattini viene informato compiutamente. Sulla identità dell’ostaggio assassinato. Ma non solo. Nel video recapitato ad Al Jazira e che l'emittente araba non ha voluto divulgare «per ragioni umanitarie» c’è soltanto l’orrenda esecuzione di Quattrocchi? È pensabile che i miliziani si siano macchiate le mani di sangue a scopo puramente dimostrativo? Tutto per diffondere nel mondo intero una scena rivoltante che diventa di colpo l’immagine di tutta la resistenza irachena? Possibile che non abbiano accompagnato quella visione con un messaggio, le loro condizioni al governo italiano, che adesso in nome di un sentimento di umana pietà ci viene nascosto. E se il video è davvero così orrendo, perché allora non ci fanno ascoltare l’audio? Perché la frase che ha fatto di Fabrizio Quattrocchi un eroe( «Ti faccio vedere come muore un italiano»)deve esserci ripetuta in forma di tradizione orale da parte di chi giura di avere visto e sentito senza poterlo provare? Perché non pensare che quel video resta misterioso perché misterioso deve restare l’accordo che sta per restituire alle loro famiglie Agliana, Cupertino e Stefio?

martedì, aprile 20, 2004

REPUBBLICA on-line 20-4

CARTA CANTA

di Marco Travaglio

Ministri portafortuna

"E' irresponsabile demagogia parlare di guerra. L'Iraq è un paese tranquillamente avviato alla democrazia".

(Antonio Martino, "Batti e ribatti", 7 aprile 2004)

Tre giorni dopo, in Iraq, vengono sequestrati quattro ostaggi italiani.

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CITAZIONE

C@C@O 20-4

Franco Angioni, il Generale che ha guidato il contingente italiano a Beirut, oggi deputato DS, ha riassunto in modo magistrale la situazione italiana in Iraq: "L'Italia ha speso 32 milioni di euro per aiuti e 320 milioni per difenderli coi soldati".

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CORSERA 20-4

BOB WOODWARD - rivelazioni

«Berlusconi seppe della guerra con largo anticipo»

Lo prenderemo a calci nel sedere, «we will kick his ass» avrebbe detto il presidente Usa Bush, in un colloquio il 30 gennaio 2003, al premier Berlusconi riferendosi a Saddam Hussein: «Abbiamo messo insieme una forza militare letale e gli daremo una bella lezione». Lo rivela il nuovo libro di Bob Woodward Plan of Attack (Piano di Attacco), dedicato ai retroscena della decisione di Bush di fare guerra all’Iraq (scoppiata il 20 marzo 2003). Una delle fonti del libro, per sua stessa ammissione, è il segretario di Stato americano Colin Powell, che però nega molte delle affermazioni più controverse dell’autore. Secondo il famoso cronista del Watergate, Bush disse a Berlusconi «che nessuna decisione era stata ancora presa circa un’azione militare» ma poi aggiungeva che «l’Iraq sarebbe stato disarmato e che Saddam avrebbe perduto il potere». «Se dovessero essere necessarie truppe mi metterò in contatto con te - avrebbe precisato Bush -. Non ci saranno sorprese». Nel libro si parla un’altra volta del presidente del Consiglio: in una visita dell’allora premier spagnolo Aznar al ranch di Bush, il 22 febbraio 2003, fu organizzata una conferenza telefonica a quattro con Berlusconi e Blair.

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INFORMAZIONE E CONFLITTO DI INTERESSI

Ostruzionismo pro-Berlusconi degli eurodeputati di FI

I. C.

STRASBURGO - Gli eurodeputati di Forza Italia, appoggiati dal gruppo di riferimento del Partito popolare europeo, hanno attuato un ostruzionismo che rischia di far saltare l’approvazione del rapporto dell’Europarlamento sulla libertà dei media in Europa e «in particolare in Italia», molto critico verso il premier Silvio Berlusconi. La presentazione di 338 emendamenti alla commissione Libertà pubbliche, che deve licenziare il testo finale destinato alla votazione nell’Aula di Strasburgo, potrebbe bloccare definitivamente il procedimento, visto che questa è l’ultima sessione della legislatura prima delle elezioni europee di giugno. Nella seduta di ieri sera di questa commissione, caratterizzata da duri scontri tra Antonio Tajani di FI e Francesco Rutelli dell’Ulivo, si è riusciti a verificare l’ammissibilità al voto in aula solo di una parte degli emendamenti (presentati in maggioranza da eurodeputati azzurri). Oggi pomeriggio si passerà agli altri e non è scontato che si faccia in tempo. Inoltre il presidente dell’Europarlamento Pat Cox potrebbe non accettare un rapporto con così tanti emendamenti in un’ultima sessione già superpiena.

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IL RIFORMISTA 20-4

LA SVOLTA MADRILENA NON ALLARMA IL CAVALIERE

Per Berlusconi è soltanto un «meno guerra per tutti»

«Se io ho vinto le elezioni del 2001 con il meno tasse per tutti, lo slogan di Zapatero è stato meno guerra per tutti. Quindi, c'è poco da stupirsi per il ritiro spagnolo». La frase, attribuita a Silvio Berlusconi da un suo stretto collaboratore, segnala che la decisione di Madrid non era inattesa. Inoltre, «a differenza di quanto scrivono alcuni giornali», Berlusconi non avrebbe accolto con «irritazione» la fuga spagnola, bensì con concretezza in pubblico («Nel continente europeo, l'Italia è ora il paese di riferimento degli Usa, che sono la prima super-potenza mondiale») e persino con ottimismo in privato («Il problema adesso è di Prodi»).

Da Palazzo Chigi filtra anche («a scanso di equivoci»), che tra Berlusconi e Zapatero «intercorre un solido e stimolante dialogo». La prova? «Quando l'altro giorno il premier spagnolo ha annunciato la sua decisione, per spiegarla ha inviato due lettere: una diretta a Tony Blair, l'altra al nostro premier». D'altronde, Berlusconi conta molto sull'amicizia con Felipe Gonzalez, che è vecchia di un paio di decenni, ed è convinto che il vecchio leader socialista stia pressando il nuovo per non lasciare cadere questo rapporto. Ecco perché, tra Italia e Spagna, sarebbe già stato concordato un viaggio ufficiale di Zapatero a Roma in tempi brevi.

Gonzalez a parte, va poi ricordata almeno un'altra ragione che spinge il Psoe a cercare il Cavaliere. In Spagna, Berlusconi possiede TeleCinco, unica televisione nazionale che sia stata fondamentalmente filo-socialista in passato (persino Aznar se n'era più volte lamentato con il premier italiano), e che era rimasta tale anche mentre nella tv pubblica tutti si spostavano verso i popolari.

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LIBERAZIONE 20-4

Fausto Bertinotti

«Berlusconi mette a rischio il Paese»

«La svolta di Zapatero - anche per le motivazioni adottate e cioè che un cambio di governo il 30 giugno non ha possibilità di realizzarsi e che in Iraq c'è ormai un pericolo incontrollabile - rende inderogabile una scelta per l'Italia». Così il segretario di Rifondazione comunista Fausto Bertinotti, che poi aggiunge: «Le truppe italiane devono lasciare l'Iraq. Il governo italiano non può non fare i conti con le affermazioni del Presidente del Consiglio spagnolo. Le opposizioni devono prendere un'immediata iniziativa parlamentare. La posizione della lista unica non convince affatto. Non si può condividere la scelta di Zapatero e non proporre che l'Italia faccia altrettanto. Il movimento della pace chiede chiarezza e la situazione in Iraq la impone.

La posizione del presidente del Consiglio italiano è di una gravità straordinaria sia rispetto alla prospettiva di pace, sia perché espone a rischio il Paese. »
MEDITAZIONE

MANIFESTO 20-4

Occasione spagnola

VALENTINO PARLATO

Visto che all'Onu le cose non vanno, Zapatero ha rotto gli indugi affermando che i soldati spagnoli debbono lasciare l'Iraq nel più breve tempo possibile, senza aspettare il 30 giugno. La presa di posizione di Zapatero è ineccepibile, come scrive anche Sergio Romano sul Corsera di ieri. Ma dopo questo apprezzamento Romano accusa Zapatero di indebolire l'Europa e quest'accusa mi pare del tutto insostenibile: era stato Aznar nell'incontro delle Azorre con Blair e Bush ad aver dato un colpo, assolutamente unilaterale, all'Europa, visto che Francia, Germania e Russia avevano preso le dovute distanze dalla guerra di Bush. Al contrario di Aznar, peraltro sconfitto alle elezioni, Zapatero ha agito nel senso di ricostituire una unità europea, come - salvo smentite del portavoce - ha affermato Romano Prodi. E questo dell'Europa è il dato politico più importante: la Spagna ritorna in Europa (solo l'Italia resta fuori e così Berlusconi si vanta di essere diventato l'unico e primo alleato di Bush), in un'Europa che in quanto unita può avere più forza contrattuale nei confronti degli Usa e di Bush, il quale - va notato - a differenza delle destre italiane si è guardato bene dall'accusare la Spagna di diserzione o altro. Ha dovuto incassare e solo lamentarsi, almeno fino a ora. Francia e Germania, con diplomatica accortezza, si sono guardate bene da espressioni di giubilo, ma i ministri degli esteri dei due paesi, ieri a Berlino, hanno detto che di fronte all'annunciato ritiro dei soldati spagnoli diventa indispensabile un «vero» passaggio della sovranità alle autorità irachene. Insomma la decisione spagnola ha rimesso in movimento l'Europa e la politica: nei giorni necessari al ritiro delle truppe spagnole potrebbe esserci un qualche serio mutamento della politica degli Usa, che cominciano a rendersi conto di quanto sia diventato difficile tirare fuori i piedi dall'Iraq.

Di fronte a questo fatto di primaria importanza politica, il triciclo sembra che stia perdendo le ruote. Dopo aver solennemente dichiarato di essere perfettamente d'accordo con la linea di Zapatero, adesso che Zapatero sta passando dalle parole ai fatti non sa più che dire, oltre la parola «svolta» che non dice dove debba portare. Pensando alle attuali reazioni del Listone viene alla mente il vecchio detto, «dio accieca, chi vuol perdere». Per ragioni nobili e ideali, quelle della pace e contro l'exportazione della democrazia a bordo dei carri armati, il Listone dovrebbe subito presentare una mozione per il ritiro delle nostre truppe dall'Iraq. Ma pur lasciando perdere i nobili ideali che non albergano oggi nella nostra politica, anche per ragioni semplicemente elettorali non si capisce perché Ds e Margherita, che sono all'opposizione e hanno estremo bisogno di guadagnar consensi non si dichiarino nettamente per il ritiro dei nostri soldati, che non si capisce perché debbano continuare a rischiare la morte per una guerra che non è nostra, anzi è contro la nostra costituzione. Una mozione subito, per il ritiro dei nostri soldati e non una mozione in lista di attesa, ma con procedura d'urgenza.
C@C@O 20-4

1) Intervista di Franca Rame all'Unita'.
2) Appello per l'invio di cartoline postali o e-mail al capo del governo Silvio Berlusconi.


Intervista da l'Unita' del 19 aprile 2004
Franca Rame e Dario Fo

"Una cartolina al premier per il ritiro delle truppe"

MILANO - Il messaggio di solidarieta' e affetto di Dario Fo e Franca Rame, Angelo Stefio lo ha ricevuto nel cortile di casa, da un concittadino amico della coppia. Poche parole, semplici: "In questo momento cosi' tragico ti siamo vicini". A Cesenatico, anche Dario Fo e Franca Rame sono di casa, da tanti anni. Lei aveva cercato Stefio al telefono, voleva parlargli personalmente, dopo averlo visto "disperato in televisione, sui binari della ferrovia con la bandiera in mano: una scena straziante". Ma lui stava risposando e non ha voluto disturbarlo. Ha preferito un messaggio scritto.
Da qualche giorno l'attrice ha aderito a una campagna di pressione su Berlusconi per il ritiro delle truppe dall'Iraq. Anche lei come "mezza Italia" ha ricevuto sms con l'invito a sommergere di cartoline la Presidenza del Consiglio. "Hanno aderito gia' in tanti, molti altri lo stanno facendo" dice. Ma e' necessario che l'iniziativa venga divulgata. Del resto, cosa ci vuole a inviare una cartolina?". Non vuole giudicare, Franca Rame, i motivi che hanno spinto Salvatore Stefio e gli altri italiani ad andare in Iraq. "Questi ragazzi hanno fatto una scelta molto pesante e molto rischiosa, se
l'hanno fatta avranno avuto le loro motivazioni. Cio' su cui dobbiamo riflettere e' che i terroristi dopo averli rapiti hanno fatto esplicito riferimento a Berlusconi e alle scelte del governo italiano. Hanno chiesto il ritiro delle nostre truppe minacciando l'uccisione di un ostaggio, cosa che poi e' purtroppo avvenuta ed e' un fatto gravissimo". E sul comportamento del ministro Frattini, aggiunge: "Pare sia andato a Porta a Porta conoscendo gia' i fatti, sapendo che Quattrocchi era stato ucciso e che nonostante cio' abbia tenuto tutto in sospeso per due ore. Se cosi' fosse, il governo ha recitato uno sceneggiato con i parenti degli ostaggi in studio distrutti dal dolore. Vergognoso. E adesso non puo' venirci a dire: non cediamo al ricatto.
Se fosse stato rapito il figlio di Berlusconi direbbe la stessa cosa?"


Care amiche e amici,
come avete appreso dall'intervista che ho rilasciato all'Unita', da alcuni giorni e' partita una campagna, nata spontaneamente, d'invio di cartoline al governo Berlusconi che richiedono il ritiro dei nostri soldati dall'Iraq.
In questo momento di grandi tragedie e tensioni estreme, e' indispensabile intensificare la nostra campagna per far sentire che "CI SIAMO - CHE SIAMO IN TANTI E CHE NON VOGLIAMO LA GUERRA"
Invitiamo quindi TUTTI a impegnarsi responsabilmente, diffondendo (parenti, amici, fabbriche, scuole, universita' ecc.) e spedendo cartoline o e-mail.

Ci rendiamo conto che questa iniziativa e' piccola cosa, ma puo' capitare che con un cucchiaio di terra per volta, si riesca a spostare una montagna.

D'altro canto che possiamo fare per scongiurare l'aggravarsi della crisi irachena, per ottenere il rilascio degli italiani in ostaggio e il ritorno dei nostri soldati?
Se avete altre idee, parliamone.

Ecco i testi che vi proponiamo di inviare (ovviamente ognuno puo' scrivere quello che crede):

Cartoline: a Silvio Berlusconi PALAZZO CHIGI Piazza Colonna, 370 - 00187 ROMA

IRAQ
BASTA MORTI! RITIRO IMMEDIATO NOSTRE TRUPPE
da una guerra che VOI AVETE DECISO
contro il parere della maggioranza dei cittadini italiani

IRAQ
RITIRO IMMEDIATO NOSTRE TRUPPE
CITTADINO IN ATTESA DI STRAGE...


Ci sono state inoltre suggerite da Marisa B.:

IRAQ: L'ITALIA NON PIANGA PIU' LE SUE VITTIME. RITIRATE LE NOSTRE TRUPPE!

IRAQ: L'ATTESA UCCIDE! VOGLIAMO GLI ITALIANI A CASA.


Per quanto riguarda invece le e-mail, scrivete a ucd@palazzochigi.it e sscm@palazzochigi.it
Ecco il testo:

"Signor Primo Ministro Silvio Berlusconi
E' ormai chiaro che in Iraq non e' possibile nessuna "missione di pace", siamo precipitati in una guerra civile vera e propria. Far restare i nostri soldati in Iraq vuol dire mettere in pericolo la loro vita e la vita di tutti i civili italiani ormai diventati un bersaglio dichiarato del terrorismo fondamentalista islamico.
Le chiediamo quindi di far uscire l'Italia da questa guerra irresponsabile alla quale voi avete deciso di partecipare contro il parere della maggior parte degli italiani, guerra che sta aggravando in modo drammatico la situazione mondiale.


Vi saremo grati se inviaste le vostre e-mail per conoscenza, anche a Repubblica all'indirizzo: segreteria_direzione@repubblica.it

COMUNQUE FATECI PERVENIRE LE VOSTRE ADESIONI COSI' POTREMO FAR SAPERE COME STIAMO ANDANDO.
Inviate le mail a adesioni@francarame.it


Franca Rame, Dario Fo e Jacopo Fo


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REPUBBLICA on-line 19-4

CARTA CANTA

di Marco Travaglio

L'uomo del dialogo

"Noi dobbiamo essere consapevoli della superiorità della nostra civiltà, che ha dato luogo al benessere e al rispetto dei diritti umani e religiosi. Cosa che non c'è nei paesi dell'Islam... Dobbiamo evitare di mettere le due civiltà, quella islamica e quella nostra sullo stesso piano... La libertà non è un patrimonio della civiltà islamica... La nostra civiltà deve estendere a chi è rimasto indietro di almeno 1400 anni nella storia i benefici e le conquiste che l'Occidente conosce... C'è una singolare coincidenza fra gli islamici e gli anti-global nella loro opposizione all'Occidente."

(Silvio Berlusconi, 26-9-2001)

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SONDAGGIO

RESTARE IN IRAQ O NO?

Il premier spagnolo Zapatero ha deciso il ritiro immediato delle truppe spagnole dall’Iraq. Il nuovo governo socialista ha valutato che sarebbe inutile attendere il 30 giugno e ha accelerato i tempi ponendo il problema a tutti i paesi della Ue. Secondo voi, cosa dovrebbe fare l’Italia?

1. Ritirare subito il suo contingente come ha fatto la Spagna -- 62%

2. Attendere fino al 30 giugno e poi decidere -- 26%

3. Restare fino all’effettiva stabilizzazione dell’Iraq -- 11%

31440 voti alle 20:31

sondaggio aperto alle 12:27 del 19-04-2004

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Berlusconi: “Ora siamo i più fedeli agli Usa"

"No al consiglio Ue”

ROMA - La lista Prodi sulla linea di Zapatero, ma non fino al punto da chiedere un immediato rientro delle truppe italiane. Silvio Berlusconi, sempre di più, sulla linea di George W. Bush, di cui ora l'Italia "è l'alleato più vicino". La decisione del governo di Madrid di ritirare i soldati spagnoli riapre lo scontro politico sull'Iraq. Impone un'accelerazione alla lista unica di Romano Prodi. Ma non cambia la posizione del presidente del Consiglio.

Nel dettaglio. In mattinata, a Roma si riuniva, con Romano Prodi, il comitato nazionale della lista unica del centrosinistra. E nell'aria, come del resto si era capito dalle parole di ieri del presidente della Commissione Ue, c'era una "sterzata" alla posizione fin qui tenuta dal cosiddetto triciclo. E infatti il segretario Ds Piero Fassino, in qualità di portavoce della lista, spiegava al termine della riunione che "non si può più attendere passivamente il 30 giugno" (data per il passaggio dei poteri agli iracheni, ndr.), ma che a questo punto ci vuole una riunione straordinaria del Consiglio europeo "per verificare se ci sono le condizioni perché l'Onu possa adottare quella risoluzione che determini una svolta in Iraq". Altrimenti, tutti a casa.

La richiesta al governo Berlusconi di attivarsi immediatamente "per la convocazione di un Consiglio europeo sulla situazione" rappresentava dunque una accelerazione, anche se poco più tardi, un breve comunicato del portavoce di Prodi, Marco Vignudelli, ("Prodi continua a ritenere non utile il ritiro immediato delle truppe dall'Iraq"), spostava ancora in avanti la richiesta formale del ritiro delle truppe italiane.

Dal centrodestra, al contrario, la decisione del nuovo governo spagnolo veniva fin dal mattino aspramente criticata.

Infine, nel tardo pomeriggio, Berlusconi. Che boccia l'idea di un consiglio straordinario Ue ("La strada è chiara, è tutto già deciso"), dice che la decisione della Spagna "era risaputa", e conclude affermando che l'Italia "può approfittare del fatto di essere considerata ora come l'alleato più vicino nell'Europa continentale agli Stati Uniti, che sono la prima superpotenza mondiale".

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L’UNITA’ on-line 19-4

BANNER

Fantascienza: «No, in Iraq non bisogna cambiare niente. Per ora non c’è alcun motivo di modificare i nostri impegni che, come è noto, sono di assistenza al popolo iracheno per transitare verso la democrazia».

Antonio Martino, Ministro della Difesa, Ansa 18 aprile

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REPUBBLICA on-line 19-4

Dell'Utri "ha messo Berlusconi in mano ai boss"

I magistrati: "Confalonieri ha mentito".

PALERMO - Protagonista del tentativo di rendere la Fininvest "amica" di Cosa Nostra. L'uomo che, tra il 1974 e il 1976 "ha messo" Silvio Berlusconi "in mano" ai boss mafiosi. E' la descrizione che di Marcello Dell'Utri ha fatto oggi a Palermo il pubblico ministero Domenico Gozzo nella sua requisitoria al processo nel quale il senatore di Forza Italia è accusato di concorso esterno in associazione mafiosa.

"C'è stato il tentativo - ha detto Gozzo - di fare diventare la Fininvest un'impresa amica dell'associazione mafiosa, ma Berlusconi non lo sapeva, mentre Dell'Utri sì". Poi, ha ripercorso gli anni "delle minacce subite dalla famiglia di Silvio Berlusconi", e ha letto in aula le dichiarazioni rese nell'87 dal finanziere Alberto Rapisarda alla Procura di Milano: dopo averlo definito "un personaggio da prendere con le pinze", Gozzo ha ricordato che egli "aveva detto che Dell'Utri si era dovuto interessare per fare terminare le minacce a carico di Berlusconi" e che queste dichiarazioni sono state confermate in un interrogatorio del '96 dallo stesso Dell'Utri.

Così, prendendo in prestito un detto siciliano, Gozzo ha sottolineato che "Dell'Utri è un soggetto che tiene il piede in due scarpe", e ha portato a supporto anche le dichiarazioni rese da Salvatore Cucuzza, considerato "altamente attendibile anche dalla Cassazione". "Cucuzza - ha spiegato - dice che i tramite di Dell'Utri erano Cinà (Gaetano, coimputato del senatore, ndr.), Mimmo Teresi (boss mafioso, ndr.) e Vittorio Mangano". Il famoso stalliere della villa di Berlusconi ad Arcore, che secondo Cucuzza sarebbe stato assunto dall'attuale premier "perché era preoccupato dei pericoli nei confronti della sua famiglia". Insomma, il mafioso Mangano sarebbe stato "un paravento, che faceva il fattore, ma che in realtà si doveva interessare di altro".

Nella requisitoria il pubblico ministero si è poi soffermato sul tentativo di sequestro del principe Dangerio, effettuato nel '74 nei pressi della villa di Arcore. Secondo Gozzo, Dangerio aveva partecipato a una cena a casa di Silvio Berlusconi, alla quale erano intervenuti il nobile, Fedele Confalonieri e appunto Vittorio Mangano. E proprio sulla partecipazione alla cena da parte di Mangano l'accusa ha sostenuto che il presidente di Mediaset avrebbe mentito, dicendo a suo tempo che lo stalliere non era presente: "Ci dobbiamo chiedere il perché di questa menzogna - ha detto Gozzo - e perché nell'immaginario di Confalonieri la presenza a tavola di Vittorio Mangano e di sua moglie era pregiudizievole per Silvio Berlusconi e per Marcello Dell'Utri".