giovedì, giugno 30, 2005

RESISTENZA - 30/6/05

REPUBBLICA on-line 30-6
CARTA CANTA
di Marco Travaglio
Quattro passi nel delirio
"Silvio Berlusconi si dichiara già ora prontissimo a fare 'non uno, ma due, tre, dieci passi indietro'..."
(Il Messaggero, 2 marzo 1995).
"Si parla tanto di passi indietro. Qualcuno addirittura pensa che io possa fare un passo indietro. E invece bisogna fare due passi avanti".
(Silvio Berlusconi, Corriere della Sera 10 maggio 1995).
"Magari è meglio fare un passo indietro nelle infrastrutture del traffico, strade e ferrovie, per poi poter fare un salto nel futuro e avere un Paese moderno".
(Silvio Berlusconi, 3 ottobre 2002).
"Ma no, non ci sono passi indietro o passi avanti. Bisogna fare quello che è necessario".
(Silvio Berlusconi, Adnkronos, Roma, 20 maggio 2005).
"Formigoni dice che potrei fare un passo indietro? Tra poco compio 12 anni in politica, e potrebbe essere bello ritirarsi in bellezza. Ma ci deve essere un candidato migliore di me".
(Silvio Berlusconi, 24 giugno 2005).
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Berlusconi annuncia una "campagna elettorale d'attacco contro la sinistra"
"Potevamo fare di più ma vinceremo le elezioni"
"Mi sento fortissimo, sui cento metri sfido tutti: non c'è gara"
MILANO - "Vinceremo le elezioni. Ne sono assolutamente certo. E faremo una campagna d'attacco nei confronti della sinistra". E' un Silvio Berlusconi agguerrito quello che parla, in maniche di camicia e, a tratti, in terza persona, dal palco dell'assemblea nazionale della Giovane Italia, guidata da Stefania Craxi, a Milano. Ottimista nei confronti del futuro ma anche realista nei bilanci: "In questi quattro anni di governo abbiamo fatto cose importanti, ma certamente abbiamo fatto meno di quello che speravamo di potere fare" ha detto il premier. Che torna ad affrontare la questione del partito unitario ("Nessun rinvio, non dobiamo perdere alcun voto in previsione delle elezioni nazionali"), attacca la sinistra ("Non hanno uno straccio di programma") e annuncia: "Stefania Craxi sarà nostra candidata in un importante collegio di Milano" e "Letizia Moratti sarà il nuovo sindaco di Milano, ne sono sicuro".
Si può fare di più. Il premier spiega le ragioni della sconfitta alle Regionali. Tra queste, l'insoddisfazione da parte di alcuni elettori, "un 20 per cento che non è andato a votare per delusione rispetto al lavoro del nostro governo". Ribadisce che la responsabilità principale è stata del presidente del Consiglio: "Quando lo cito per un errore - dice scherzando - parlo in terza persona". E aggiunge: "Il premier ha fatto la bella pensata di non scendere in campo direttamente. Questa volta la campagna elettorale si è svolta in sordina".
"Vinceremo le elezioni". Berlusconi ne è "certo": "Mi sono armato di coraggio e ieri ho detto che per la quarta volta accetterò di essere io il candidato per la Cdl. Mi sento fortissimo e sui cento metri sfido tutti: non c'è gara". E' sicuro di poter contare sulla maggioranza degli italiani, che è "una maggioranza moderata”. "Quello che è importante - sottolinea - è che noi si possa offrire non solo un programma di riforme, ma qualcosa di nuovo che consenta ai vincitori di poter tradurre un progetto in realtà". E questo, secondo Berlusconi, è possibile solo con una nuova formazione politica. "Dobbiamo assumerci il carico - conclude il premier - di tutto ciò se vogliamo essere riformisti nel concreto".
L'attacco alla sinistra. "Per la prima volta dobbiamo fare una campagna elettorale di attacco alla sinistra" sostiene Berlusconi, che per le elezioni del 2006 suggerisce "bei manifesti" con scritto "La sinistra garantirà solo conflittualità", "Con la sinistra, più tasse per tutti". "La loro - insiste - è una coalizione che non è in grado di scrivere uno straccio di programma, appena ci provano risultano in disaccordo. C'è, però, di buono, che non dovranno mettere in atto ciò che scriveranno, perché le elezioni le vinceremo noi". E annuncia pure l'arrivo di "un libro nero del comunismo, reso in modo drammaturgico, con quattro giovani che leggono, curato personalmente da uno dei nostri senatori".
Moratti sindaco, Craxi candidata. "Letizia Moratti sarà il nuovo sindaco di Milano, ne sono sicuro", dice il presidente del Consiglio. Mentre "Stefania Craxi sarà nostra candidata in un importante collegio di Milano". "Anche a costo - ha detto alla figlia dell'ex segretario del Psi - di cederti il mio".
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CITAZIONE
TARGA A CRAXI - Volgendo lo sguardo al passato, il Cavaliere dice di appoggiare la decisione del Comune di Milano di dedicare una targa a Bettino Craxi, lo scomparso leader socialista. «Certamente sì, è una cosa giusta».
(Corsera 30-6)
[Nota per i giovani – Trattasi di noto pregiudicato per reati comuni morto latitante in Tunisia – Luciano Seno]
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LIBERAZIONE 30-5
EDITORIALE
Il Cavaliere imbalsamato
Ritanna Armeni
Silvio Berlusconi annuncia: sarà lui il leader della Casa della libertà nel 2006. Aggiunge -per quanto riguarda il partito unico - che per ora non se ne parla, che tutto è rinviato a dopo le elezioni politiche. Dichiara di essere convinto che Gianfranco Fini e Marco Follini rimarranno alla testa dei loro partiti e che la loro leadership non è in discussione.
Tutto quindi è come prima. Come se le elezioni regionali non ci fossero state. Come se la Casa della Libertà non fosse stata sconfitta in dodici regioni su quattordici. Come se l'economia del paese non avesse in questi mesi mostrato le sue ferite più profonde. Come se nel centro destra non fosse esplosa una crisi "della" leadership e "delle" leadership che ha sconquassato fino al limite della deflagrazione Alleanza nazionale, ha sconvolto gli equilibri dell'Udc, ha messo in discussione - e pesantemente - il capo indiscusso del centro destra. Come se nel paese la sfiducia e la paura del futuro non fossero aumentate.
Niente di tutto questo sembra essere accaduto. E' bastato un pranzo con Fini, Follini e Casini perché Berlusconi dicesse che niente è cambiato. Lui ancora una volta garantisce tutto.
Un segnale di forza, di riconquistata unità, di nuova carica? Esattamente il contrario. E' un segnale di enorme debolezza. E' evidente che la Casa della Libertà non può cambiare niente senza far esplodere tutto. E' evidente che nessuno se la sente di essere il leader di una sconfitta che viene data per certa. E' evidente che la Casa della libertà non riesce ad affrontare e a sciogliere le sue difficoltà. In questo momento riesce solo ad imbalsamarsi attendendo le elezioni del 2006. E così come per l'economia scarica tutto sul governo che verrà dopo e rinvia tutto al 2006 e al 2007 anche nella riorganizzazione dello schieramento politico adotta la la linea dell'immobilismo. E quanto al leader si tiene quello che ha semplicemente perché non può fare altrimenti.
L'unica speranza per Berlusconi è che i suoi avversari facciano degli errori. Che le opposizioni mandino al paese un segnale negativo che sposti per una ennesima disillusione il pendolo dalla sua parte. Per questo si aggrappa a sondaggi che danno fra i due schieramenti una differenza a favore dell'Unione solo dello 0,5 per cento. Basta poco - sembra dire - basta un piccolo errore perché la Casa delle Libertà possa rimontare. E che il cadavere imbalsamato, la mummia della Cdl, come nei più paurosi film dell'orrore, si svegli.


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MEDITAZIONE - 30/6/05

STAMPA 30-6
EDITORIALE
Scommessa su se stesso
di Riccardo Barenghi
Da tempo ormai arrancava, dimenandosi tra una sconfitta elettorale e una crisi della sua coalizione, l’economia che va male, l’Europa che mette l’Italia sotto schiaffo, gli italiani che non lo amano più come una volta. E lui che non riusciva a tirare fuori un’idea nuova, una di quelle sue trovate geniali che hanno contribuito a creare l’imprenditore e il politico, il personaggio Silvio Berlusconi. Stavolta invece l’idea l’ha avuta, quella cioè di ricandidarsi a premier l’anno prossimo. Ed è finalmente un’idea di nuo- vo geniale. Peccato però che lo sia per i suoi avversari, per Prodi e tutto il centrosinistra.
I quali non hanno ancora brindato solo per scaramanzia, l’uomo è volubile, potrebbe cambiare e ricambiare idea chissà quante volte. Meglio aspettare dunque. Ma se fosse vero, se alla fine fosse proprio Berlusconi il candidato del centrodestra, l’opposizione avrebbe mezza vittoria in tasca (l’altra mezza se la dovrà conquistare con le sue forze, il suo programma, la sua credibilità).
Non c’è mai stato in Italia un di- rigente politico così capace di mobilitare l’opinione pubblica. A suo favore spesso e volentieri ma anche - e a questo punto soprattutto - contro. Nemmeno Craxi, che pure non era molto amato a sinistra, fu capace di tale miracolo (era pur sempre un socialista, parlava un linguaggio comune, uno «di famiglia»). Berlusconi invece è l’avversario, anzi il nemico, considerato la causa dei più recenti mali d’Italia.
E’ quello che si è fatto le leggi a sua immagine e somiglianza, che ha spaccato i sindacati per poi ritrovarseli contro uniti, che ha varato «riforme» indigeribili per almeno mezzo Paese (il mercato del lavoro, gli immigrati, la giustizia, la scuola, la televisione), che si è schierato con Bush e la sua guerra in Iraq, che si è messo contro l’Europa e la sua cultura politica.
Lui si sarà anche fatto i suoi cal- coli, avrà valutato i sondaggi. Probabilmente pensa di essere l’unico capace di rimotivare un elettorato di centrodestra sfiancato da quattro anni di governo e di promesse (semi) mancate e di tenere insieme la sua Casa delle libertà. Magari ha pure ragione, ma quel che forse non ha messo in conto è la sua straordinaria capacità di motivare i suoi avversari. Se avesse abdicato in favore di Casini (e non è detto che non lo farà all’ultimo momento, sempre che il presidente della Camera a quel punto sia ancora disponibile), cioè il vol- to di una destra diversa, moderata, compatibile, europea, avrebbe messo nei guai l’opposizione e in particolare il suo leader.
Che invece con lui va a nozze, Prodi sa che grazie al Cavaliere riuscirà a tenere unita la sua eterogenea e spesso rissosa coalizione (l’antiberlusconismo fa miracoli). E sa soprattutto che parecchi elettori di sinistra, ma anche di centro, forse addirittura un po’ di destra, tenteranno di co- gliere l’occasione che gli viene gentilmente offerta: un semplice voto per seppellire l’epopea berlusconiana.

mercoledì, giugno 29, 2005

RESISTENZA - 29/6/05

ANTICA MASSIMA CLERICALE: “Fate come dico, non come faccio…”
REPUBBLICA on-line 29-6
CARTA CANTA
di Marco Travaglio
La difesa della Vita
"Personalmente sono in totale accordo con la posizione di Papa Benedetto XVI sulla difesa della Vita fin dal suo concepimento".
(Silvio Berlusconi durante la visita del Papa al Quirinale, 24 giugno 2005).
"Al quinto mese di gravidanza ho saputo che il bambino che aspettavo era malformato e per i due mesi successivi ho cercato di capire, con l'aiuto dei medici, che cosa potevo fare, che cosa fosse più giusto fare. Al settimo mese di gravidanza sono dolorosamente arrivata alla conclusione di dover abortire... Ancora oggi è doloroso condividere pubblicamente quell'esperienza".
(Veronica Berlusconi, Corriere della sera, 8 aprile 2005).
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Berlusconi: "Sono io il candidato alle politiche del 2006"
"L'anno prossimo vinceremo ancora noi"
ROMA - Il candidato della Casa delle libertà, alle elezioni politiche del 2006, "deve essere Silvio Berlusconi". A ribadirlo, una volta per tutte, è proprio il premier, al termine del pranzo a Montecitorio con il presidente della Camera Pierferdinando Casini, a cui hanno partecipato anche Gianfranco Fini, Marco Follini e Gianni Letta. "Oggi abbiamo deciso di mettere da parte questo problema", assicura il presidente del Consiglio. Quanto al partito unico, Berlusconi dice che si farà, ma solo dopo il voto del prossimo anno.
La sua candidatura. "Io sono una risorsa e non un problema - è il ragionamento di Berlusconi - se ci sono alternative possibili e migliorative che possono portare più voti alla nostra coalizione, io sono disponibile". E tuttavia, puntualizza, "oggi, come è emerso nella riunione di Forza italia e in altri colloqui, si è detto: 'mettiamo da parte questo problema perché non esiste'". In altre parole, conclude, il candidato per il 2006 resta lui: "L'opinione di Follini, Casini e Fini è stata tranchant, a questo riguardo". Quanto a un'eventuale sua mira sul Quirinale, viene liquidata con un "non ne abbiamo parlato".
"Vinceremo noi". Il premier si professa ottimista sul risultato del voto del prossimo anno: "sicuramente" a prevalere sarà la Cdl, "con un margine ancora più ampio del passato". A sostegno della tesi, vengono citati i sondaggi: "Abbiamo praticamente raggiunto la sinistra. Siamo al 47,9% contro il 48 del centrosinistra. E questo per un governo in Europa è addirittura un record".
Il partito unico. Ecco le parole del premier: "Pensiamo ad un'assemblea prima dell'estate che dia il via al comitato costituente per poi lavorare in quella direzione e confluire tutti nel partito unico dopo il momento elettorale" del 2006. I tempi, insomma, slittano. Comunque, aggiunge Berlusconi, "da parte di tutti c'è convergenza in questa direzione. Stiamo guardando i tempi del percorso perché la tecnicalità delle schede elettorali comporta la necessità di partecipare alle elezioni con i simboli di tutti i partiti perché non si perda alcun voto".
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L’UNITA’ on-line 29-6
Sommario di I pag.
Dal partito unico al candidato unico.
Berlusconi: nel 2006 ancora io
«Io sono una risorsa e non un problema. Oggi si è detto: mettiamo da parte questo problema, perché non esiste, il candidato della Cdl nel 2006 deve essere Silvio Berlusconi». L'annuncio del presidente del consiglio al termine di un incontro con Fini e Casini, che conferma senza entusiasmo: «Berlusconi candidato? Non l’avevo mai messo in dubbio». Congelato il partito unico: «Ora il comitato costituente, ma confluiremo dopo il momento elettorale». Infine le consuete previsioni: «Abbiamo raggiunto il centrosinistra, siamo sicuri di vincere noi».
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CORSERA 29-6
«Il candidato del 2006? E' deciso, sarò io»
Ma il partito unico slitta
ROMA – E poi, affrontando l'argomento leadership, garantisce che è deciso, «il candidato del 2006 sono io». Un modo per zittire le voci, alimentate dallo stesso premier, circa la possibilità di una successione in tempi stretti alla guida del centrodestra.
Il premier parla con i giornalisti fuori da Montecitorio dove aveva pranzato con il presidente della Camera, Pierferdinando Casini, con Fini e Follini.
Il premier mette la parola fine al tormentone sulla leadership della Cdl spiegando che sarà lui a correre per le politiche. «Io sono una risorsa e non un problema - ha precisato il Cavaliere - e se ci sono alternative possibili e migliorative, che possono portare più voti alla nostra coalizione, io sono disponibile». Però, aggiunge il presidente del Consiglio «Oggi, come è emerso nelle riunioni di Forza Italia e in altri colloqui, si è detto di mettere da parte questo problema perché non esiste: il candidato della Cdl per il 2006 deve essere Silvio Berlusconi».
Ma poi il premier rinvia il progetto della casa comune dei moderati, sul quale aveva molto insistito negli ultimi tempi. Ribadita l’intenzione di arrivare ad un'Assemblea costituente «prima dell’estate, che dia il via ad un Comitato costituente», spiega che «si tratta di lavorare in questa direzione e confluire tutti nel partito unico dopo il momento elettorale».
Berlusconi è sicuro di vincere contro l'Unione. E sciorina gli ultimi sondaggi secondo i quali «noi abbiamo il 47,9 per cento, la sinistra il 48». Per il Cavaliere non c'è «nessun dubbio sul fatto che le elezioni ci vedranno vincitori» e «non ho alcun dubbio che prevarremo e a mio parere con margine ancora più ampio».
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IL RIFORMISTA 29-6
EDITORIALE
Niente partiti unici - Solo candidati unici
Niente partiti unici, due candidati unici. Il lungo psicodramma pre-elettorale dei due poli sembra finito. Mai dire mai, intendiamoci, perché in politica una settimana è lunga un anno, e dunque il prossimo anno sarà lungo come un decennio. Ma le acque tempestose dell’Unione e della Casa sembrano essersi d’improvviso acchetate in una grande bonaccia delle Antille. Berlusconi ha smesso di sfogliare la margherita (la sua, non quella di Rutelli) e ha detto ciò che molti davano per scontato da tempo: il candidato c’est moi. Come Prodi, nella scelta tra la faticosa ricerca di un nuovo assetto politico dell’alleanza e la garanzia della propria leadership, ha scelto la seconda. Nel caso di Berlusconi, al calcolo politico si accompagna una tutta sua concezione del potere, molto patrimoniale, che gli proviene dalla cultura imprenditoriale: difficilmente un’azionista di maggioranza cede potere a un concorrente, in un’azienda. Magari vende, se le cose vanno male, ma non passa la mano come di solito avviene in politica.
Così ha avuto ragione Casini, il quale ha ribadito ieri che non aveva mai scommesso nemmeno per un attimo che il premier potesse fare il fatidico passo indietro. A meno che, e questa eventualità resta aperta, qualcosa (i sondaggi) non gli dica che è destinato a perdere. In questo caso, non è ancora escluso che Berlusconi passi la mano. Ma, per ora, il premier spera ancora. Resterà dunque sulla carta il partito unico, più chiacchiera primaverile che vero progetto politico.
Ma quello che oggi sembra un atto di forza del premier, se letto bene mostra anche tutta la debolezza che l’ha provocato. Forse Berlusconi si è reso conto che la furbata tattica di mantenere viva la suspence sulla sua leadership gli stava procurando più guai che altro. Si era messa in moto una specie di valanga mediatica, in grado di galvanizzare homines novi (prendi il caso di Formigoni, che aveva lanciato il delicato tema delle primarie) e dunque di erodere la sua leadership. Di questo passo, il tema del passo indietro poteva diventare quella che gli inglesi chiamano una «self fullfilling prophecy», una profezia che si autoavvera.
Forse Berlusconi ha anche valutato che dopo la chiusura della gara per la leadership nel centrosinistra non fosse saggio indugiare ancora nel fronteggiare Prodi e si sia precipitato a puntellare dal suo lato la diarchia dei leader che da un decennio dominano la scena politica italiana. Il risultato, se questo resterà fino alla fine, è la conferma di una preoccupante incapacità di autoriforma del sistema politico italiano, che si presenterà alla prossima consultazione elettorale con le stesse formazioni e con gli stessi giocatori del 1996.

martedì, giugno 28, 2005

MEDITAZIONE - 28/6/05

COL BERLUSCONISMO CHE DILAGA PURE A SINISTRA, MI SA CHE FINIREMO TUTTI “INKAZZATI” COME QUESTO DIVERTENTE “ANTI-POLITICO”…
Luciano Seno
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MALATEMPORA MAGAZINE 28-6
EDITORIALE
L'Italia è una telecrazia burocrato-mafiosa
Quando diciamo che l'Italia è una telecrazia burocrato-mafiosa usiamo un linguaggio crudo, duro, ma assolutamente esatto. Ora potremmo dire che stiamo avviandoci rapidamente verso le tre Italie, quella del Nord, Padania razzista Bossiana-ciellina, quella del centro, papalino-caciarona e quella del sud, mafioso-camorrista.
Ma cosa cambia davvero, si domanderebbe uno con un decimo della sensibilità di Pasolini, in questo paese sempre più ignobile, e invivibile?
Beh, non è difficile capirlo, persino TV e giornali messi lì per offuscare il reale per conto del padrone produttivo-pubblicitario cominciano a far trasparire il reale dalle crepe.
Un terzo dell'Italia arriva a fatica a fine mese. Un altro terzo ha figli precari a vita, o sono giovani precari a vita (e i naziskin razzisti sono la superfetazione di quelle paure, sono la puzza che fa la paura del vivere precario).
Il milione di ricchi ( e son più sinistresi che conservatori come è sempre stato nella élite cattocomunista nostrana) delle due tre case e duecentomila l'anno, sono indaffaratissimi a tenere su le baronie universitarie-medico-notarili-commercialiste-giornalistiche-mediatico-politiche-produttive che ormai non comprano più in borsa, ma comprano case e delocalizzano quei quattro stracci che facevamo (perché la Fiat ha smesso di fare utilitarie? perché non ha fatto per prima le macchine elettriche, o a idrogeno? etc. etc.).
Perché questo paese fa così schifo che ti viene voglia di scappare un giorno sì e uno sì? Perché nonostante tutto un pastone di ignoranti beceri fintogoderecci attaccati ai telefonini come droga di Stato ancora crede che la vita sia questa e non un'altra, ma la paura di finire in un paese di mediocri camerieri (non sappiamo neanche tenere i cessi puliti per i turisti) comincia a serpeggiare nei meno idioti.. ma non tutti i mali vengono per nuocere, ora che ci disferemo di quel buffone indecoroso già s'avanza il neocon papalino, per questa povera Italia di servi e guitti sciocchi, e di ricchi beceri pavidi e ignoranti...
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E POI DICONO CHE UNO SI “INKAZZA…
L.S:
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L’UNITA’ on-line 28-6
EDITORIALE
La questione immorale
di Antonio Padellaro
Quattrocento uffici di Inps, Inail e Inpdap venduti a prezzi stracciati, riaffittati agli ex proprietari e pronti per essere riacquistati dagli arrembanti padroni del mattone (l’Unità). I nuovi tangentisti all’attacco di autostrade e discariche (Report, Rai3). Enoteca d’Italia, un carrozzone nato all’ombra del ministero dell’Agricoltura che ha vendemmiato 11 avvisi di garanzia per reati come l’associazione per delinquere finalizzata alla truffa aggravata ai danni dello Stato (L’espresso).
Il potente capo della diplomazia italiana, coinvolto in inchieste per telefonate a luci rosse e altri affari, in procinto di assumere la presidenza dell’Istituto per il commercio estero (Diario). Che cosa lega queste quattro notizie italiane? Innanzitutto, le testate che le hanno pubblicate o trasmesse. Difficilmente, infatti, potrete leggere o vedere qualcosa di simile fuori dalla stretta cerchia giornalistica formata dal quotidiano che state sfogliando, da due superstiti settimanali d’inchiesta e da una trasmissione televisiva che è una sorta di prodigio visto che con quello che racconta non l’hanno ancora soppressa. Ma c’è anche un filo robusto che lega tra loro queste storie così diverse di immobiliaristi alla conquista dei palazzi statali, di faccendieri che brindano con i finanziamenti pubblici e di grand commis comunque intoccabili.
Il filo della destrezza nell’uso della legge sempre a proprio vantaggio. Il filo di un potere organizzato e smaliziato che opera contando sulla sostanziale indifferenza dell’opinione pubblica.
Perché non c’è più l’Italia che negli anni 60 s’indignava per gli scandali dei tabacchi e le malversazioni dei banchieri di Dio, e che negli anni 70 s’infiammava davanti alla questione morale di Enrico Berlinguer. Che oggi potremmo chiamare, invece, questione immorale considerato che dieci anni dopo Tangentopoli i disonesti sono stati riabilitati e sul banco degli accusati sono finiti i giudici di Mani Pulite. Questione immorale di cui la stampa non può farsi complice per distrazione o quieto vivere. Per questo ne scriviamo e continueremo a scriverne.

lunedì, giugno 27, 2005

MEDITAZIONE - 27/6/05

L’ITALIA IN ATTESA DELLA FINE DI BERLUSCONI
I valori morali sono quelli che contano
Gli italiani comprano meno vestiti, meno libri, vanno meno al cinema, mangiano di meno. E tutti si allarmano: la Confindustria, la Confcommercio, la Banca d’Italia, la Corte dei Conti, i giornali e perfino un po’ la televisione. La recessione è in atto, la crisi economica spaventa. L’ombra di una vita modestina, se non proprio miserella, sembra incombere sul popolo italiano, cioè la gente.
Ma ditemi, che importanza ha tutto questo, ora che l’embrione è al sicuro?
I valori morali sono quelli che contano.
Altro che i consumi come vorrebbe questa nostra civiltà occidentale materialista e edonista, questa stessa civiltà che i mullah islamici aborrono. È stato duro conquistare questi valori morali, bisogna dirlo, ha richiesto sacrifici, ci si è impegnato perfino Giuliano Ferrara, che a Loreto è apparso alla Madonna per farle sapere che finalmente aveva compreso dove sta il conquibus che da anni lo tormenta: nell'ovulo.
Ma finalmente l'Italia ce l'ha fatta e ora, fiera del traguardo raggiunto può andare a testa alta nel mondo: non feconderai un ovulo invano, è l'articolo 18 dello statuto delle spermatozoo che l'Italia dovrebbe portare in questa grigia Costituzione europea che in molti paesi non attacca. Un grande contributo morale che il Papa ha messo in evidenza davanti al Presidente di una Repubblica che si ostina ad avere una Costituzione ottusamente laica e che il Berlusconi e il Casini per sottolineare quanto da questa Costituzione essi siano distanti e quanto il Sacro Sillabo abbia ispirato la loro vita e le loro carriere, hanno voluto sottolineare con le loro alte parole. E questa volta senza esprimere stima a mafiosi, come a volte capita al Casini, e senza battute libidinose, come a volte capita al Berlusconi.
No, seriamente. Perbene, davvero perbene.
Il Pera tace. Forse aspetta settembre, quando l'uva è matura e il fico pende.
(Antonio Tabucchi – L’Unità)
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Portavoce di tutte le scemenze?
Forse bisognerà che i media si diano un'assestata, trovino una misura: possono continuare a fare da portavoce e da amplificatore di tutte le scemenze pronunciate dai governanti? Esempi ultimi? Il presidente del Consiglio, sventato e vanesio come sempre, dice di aver dovuto «fare il playboy» e corteggiare la presidente finlandese per conquistare all'Italia, a Parma, la sede dell'Agenzia europea per la sicurezza alimentare. E' una battuta? No, non fa ridere. E' una notizia? No, è una sciocchezza: immaginare un uomo di quasi settant'anni che fa il galante per la patria, tipo Contessa Castiglione... Il ministro delle Riforme dice che, come rimedio antistupri, l'unica è «la castrazione chimica e chirurgica». E' una battuta? No,non c'è proprio niente da ridere. E' una notizia? No, è una stupidaggine: il ministro, impegnato a veder di sostituire Bossi alla guida della Lega, con simili dichiarazioni pensa di rendersi gradito ai leghisti; pensa di figurare al posto d'onore sui media («parlate, parlate, qualcosa resterà»). Ha ragione, naturalmente: titoli vengono dedicati alla sua dichiarazione, e per chi vuole mettersi in mostra non c'è premio più ambito.
I media possono magari avere l'intenzione di dimostrare quale sia il livello dei nostri governanti? Ma, a parte il fatto che ormai li conosciamo fin troppo bene, registrare ogni scemenza, amplificarla chiedendo pareri in proposito a questo e a quello, a destra e a sinistra, oltre ad appagare le vanità individuali collabora all'infinita perdita di tempo della politica, contribuisce a trasformare la politica in uno show comico e ad aumentare il disprezzo dei cittadini. Questo i media lo sanno benissimo: ma non resistono al piacere del trascurabile, al timore della concorrenza («gli altri lo faranno, dobbiamo farlo anche noi»), alla speranza spesso malriposta che ascoltatori o lettori ne saranno a loro volta interessatissimi e sceglieranno sempre quella fonte d'informazione più spassosa anziché un'altra.
Ora, se i governanti si rivelano disistimabili, è anche un dovere parlarne e disistimarli. Se si rivelano divertenti, è anche un piacere divertirsi. Il fatto è che divertenti non sono mai, e che se compiono azioni criticabili non sempre vengono criticati: la gaffe risulta spesso più forte della notizia, l'irrilevanza risulta più facile della serietà. Nessuno invoca autocensure, ci mancherebbe altro, ma una certa misura negli spazi, nei toni e nel valutare le cose potrebbe forse essere utile a tutti: ai vanitosi dell'ostentazione, ai media e, moltissimo, ad ascoltatori o lettori.
(Lietta Tornabuoni – La Stampa)
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Il paese del meno
Meno carne, meno pesce, meno frutta, meno verdura. Ma anche: meno vestiti, meno scarpe, meno giornali, meno elettrodomestici, meno mobili. Ovviamente, meno vacanze. E anche (e da tempo): meno figli. L'Italia governata dal suo cittadino più ricco è decisamente il regno del meno. Non c'è giorno che i dati statistici non ci ricordino quella che è ormai l'evidenza; ultimi in ordine di tempo i numeri sfornati ieri dall'Istat, secondo i quali l'indice delle vendite al dettaglio ha avuto il suo crollo più consistente da quando quella misurazione esiste: una riduzione del 3,9 per cento delle vendite nei negozi. La crisi non è più un'opinione o uno spauracchio, è una realtà in cui siamo immersi fino al collo. Lo dicono i sindacati - anche se quando la Cgil iniziò a parlare di declino si beccò parecchi rimbrotti istituzionali - lo dicono gli industriali, lo dicono gli economisti, lo dicono i sociologi, lo dicono gli statistici. L'unico che la nega è Silvio Berlusconi, e non potrebbe fare altrimenti dato che l'immagine che questi dati ci rimandano nega e cancella la sua immagine e la politica che ci ha costruito sopra: ma le rassicurazioni di Berlusconi sulla recessione che non esiste somigliano sempre più a quelle di Don Ferrante che nega l'esistenza della peste finché non ne muore. E l'Italia che non consuma - più ancora dell'Italia che non produce - per il modello berlusconiano della vita e della politica è davvero pericolosa come la peste.
Ma la crisi italiana non è solo il fallimento di Berlusconi e del suo miracolo. E' anche il fallimento europeo dell'idea che, aggiustando un po' i conti pubblici e raddrizzando le politiche delle monete, tutto il resto dell'economia si sarebbe incamminato su un sentiero virtuoso. Invece le imprese italiane non si sono incamminate da nessuna parte e i bassi tassi di interesse - il vero successo dell'euro - non hanno spinto nessuno dei nostri capitani coraggiosi a investire un po' di più ma sono serviti solo a finanziare l'acquisto delle case e a gonfiare la bolla immobiliare. D'altro canto, i salari sempre più bassi e incerti hanno portato a ridurre i consumi: poi la spirale tra minori investimenti e minori consumi si è via via avvitata su se stessa, fino ad arrivare ai bollettini di guerra dell'economia 2005. Bollettini che solo apparentemente sono contraddittori: non c'è contraddizione tra il «meno» dei dati sulle vendite e il «più» di quelli sul lavoro. Infatti quello che cresce è il lavoro pagato poco o saltuario, mentre parallelamente cresce anche il numero di coloro - e sono purtroppo soprattutto donne e del Sud - che non cercano più lavoro.
In questo scenario gli scaffali pieni e i negozi vuoti non evocano la vecchia austerity né il sogno di un ecologista. Non sono un indirizzo politico-morale, né la scelta consapevole di una società e di un'economia mature ma il prodotto di un'economia bloccata e di una parte della società che sta continuamente sul bordo della povertà e riesce a non sprofondarci dentro controllando accuratamente i consumi, scegliendo i discount, riducendo le spese. Parallelamente si riapre la forbice delle diseguaglianze e aumentano i consumi dei pochi, quelli della piccola élite, ormai quasi completamente dedita alla rendita, che si è arricchita nonostante la crisi, o forse proprio grazie ad essa: ma questi, si sa, non si vedono sugli scaffali dei supermercati.
(Roberta Carlini – Il Manifesto)

domenica, giugno 26, 2005

RESISTENZA - 26/6/05

BLAIR COME BERLUSCONI
REPUBBLICA on-line 26-6
EDITORIALE (citazione)
Il programma di Blair per l’Europa è pura comunicazione
Di questa noi italiani siamo molto esperti - Abbiamo già dato - Grazie
EUGENIO SCALFARI
Dopo quattro anni di malgoverno, noi italiani continuiamo a essere un popolo privilegiato in termini di pura comunicazione.
Ricordate il contratto con gli italiani stipulato dall'aspirante "premier" con l'ausilio tecnico del notaio Bruno Vespa? Cinque clausole da rispettare entro il 2006 e se ne mancavano due e ne fossero state realizzate solo tre, definitivo ritiro dello stipulante dalla politica.
Cinque clausole: sicurezza privata contro il crimine, abbattimento della pressione fiscale, opere pubbliche di grandi e di normali dimensioni (catalogate una per una sulla carta geografica), disciplina dell'immigrazione, Mezzogiorno e occupazione giovanile.
Il bilancio è sotto gli occhi di tutti. Il ministro Siniscalco l'altro giorno, parlando ai commercianti in tumulto per il crollo dei consumi, ha continuato la solfa che il presidente del suo governo ci propina in mezzo al crescente disagio di chi è costretto ad ascoltarlo.
Siniscalco ha detto che la pressione fiscale è diminuita rispetto al 1997.
Chissà perché ha scelto il '97 come punto di riferimento. Io lo so: il '97 fu l'anno in cui Prodi e Ciampi misero in moto l'azione per agganciare l'euro.
Imposero al paese sacrifici finalizzati a quell'obiettivo.
Lo dissero. Gli italiani accettarono e l'obiettivo fu raggiunto. Perché Siniscalco non ha scelto il '95 o il '99 come riferimento o meglio ancora il 2001, anno di inizio del governo Berlusconi? Ma queste sono schermaglie e la verità è che l'Italia di oggi sta molto peggio di quella di quattro anni fa e starà ancora peggio tra qualche mese.
Non a caso, dopo aver suonato il tamburo sul taglio dell'Irap che avrebbe dovuto esser fatto a dir poco da due anni, il provvedimento è stato rinviato al 2006 per assoluta mancanza di risorse.
Si stringano le spese correnti, si combatta l'evasione. Con questo governo? Che fa l'elogio del sommerso? Che ha condonato in quattro anni tutto il condonabile tranne l'aria che respiriamo? Ma siamo seri.
Fino a qualche mese fa le famiglie del ceto medio fino a 30mila euro di reddito annuo, cioè la massa dei contribuenti, vedevano a rischio l'ultima settimana del mese. Adesso il fiato diventa corto già dopo le prime due settimane. I consumi ad aprile (ultimo dato disponibile) sono diminuiti del 3,9 per cento sull'anno precedente. Le esportazioni sono in rosso profondo, il fabbisogno del Tesoro è in aumento. Dal rincaro degli interessi ci salva l'euro (per ora) ma la Lega vuole andarsene e invoca un referendum senza che nessuno le ricordi che i referendum abrogativi sui trattati internazionali sono vietati dalla Costituzione.
Liberalizzazioni, zero. Politica della concorrenza, zero.
L'Italia è un paese corporativo, tenuto in mano da arciconfraternite come diceva Guido Carli. Berlusconi l'ha ricevuta così e così ce la restituisce intatta anzi ancora di più nelle mani delle corporazioni.
Il nostro premier guarda con interesse alle "comunicazioni" di Blair.
Come a quelle del cardinal Ruini. Il nuovo partito del quale cerca il nome potrebbe anche chiamarlo Guelfo, con tante scuse ai guelfi di un tempo. Ma è un nome troppo italiano e per l'Europa non va bene. Però quel progetto di Blair di rinnovare l'Europa, cambiarla, svegliarla, proiettarla nella sfida globale affidando compiti così immani ai governi nazionali e chiamando a raccolta i moderati; quel progetto così affascinante, seduttivo, condiviso da tutti perché, a parole almeno, tutti accontenta senza disturbare nessuno, per lui va benissimo. Anzi: è il suo progetto. L'ha già sbozzato quattro anni fa, ricordate? L'amico Tony lo fa suo nel 2005 il Cavaliere ce l'aveva ammannito nel 2001. Purtroppo non ha cambiato una virgola se non in peggio nella realtà italiana, ed ora ha ceduto a Tony il copyright.
Dobbiamo avvertirlo, il leader del New Labour: stia attento, non ecceda in promesse e speranze senza dire il dove il come e il quando. I precedenti - noi possiamo testimoniarlo - non sono stati affatto buoni.
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CITAZIONE
Noi italiani, che abbiamo avuto la vergogna del semestre italiano aperto da Berlusconi con l’insulto (”kapò”) all’eurodeputato Martin Schultz, dovremmo limitarci a guardare con ammirazione una persona normale, e anzi di talento, come Blair, che apre il suo mandato con un discorso ben scritto e ben detto. Però la vita continua anche sulle macerie di ciò che è stata l’era di Berlusconi. Adesso compare, giustamente ammirato, Tony Blair. Ovvero si vede un uomo che sa maneggiare come nessuno i media. C’è la possibilità, con Tony Blair e il suo semestre, che l’Europa conosca un momento molto alto di rappresentazione retorica. È meglio di niente. Ma basta a riprendere il cammino della Comunità, che sembra malamente interrotto? Se non basta, i discorsi di Blair, diventeranno una splendida lapide.
(Furio Colombo – L’Unità 26-6)
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BERLUSCONEIDE
CORSERA 26-6
Lettere al Corriere
Italia e Finlandia: le gaffes di Berlusconi
Mi piacerebbe sapere che cosa avrebbe scritto lei alla signora Tarja Halonen, presidente finlandese, in merito alle esternazioni del nostro premier. Ogni giorno di più mi allontano dal mio Paese e non sto scherzando perché abito a 40 km dal confine con l'Austria e la voglia di andarmene cresce sempre di più.
Gianni Milani, gianmiel@gmail.com
Risponde Sergio Romano
Caro Milani,
al presidente finlandese avrei scritto più o meno così:
Signora Presidente,
suppongo che il suo ministero degli Esteri l’abbia già tranquillizzata mandandole un elenco di alcune fra le principali stravaganze del presidente del Consiglio italiano. Una delle prime fu a Caserta, una sera del luglio 1994, quando lasciò capire, in occasione di un G7, che quella splendida notte napoletana avrebbe riacceso gi ardori delle coppie arrivate in Italia per il vertice. Poi ve ne furono altre: il «gesto delle corna» dietro le spalle del ministro degli Esteri spagnolo in occasione di una fotografia a Caceres nel febbraio 2002, la definizione di «kapò» lanciata contro un deputato socialdemocratico tedesco al Parlamento di Strasburgo nel luglio del 2003, il dito medio alzato contro i dimostranti in occasione di una manifestazione a Bolzano nel maggio di quest’anno. La stampa italiana e internazionale le ha definite gaffes o, come dicono gli americani con una vecchia espressione francese, «faux pas». Ma le gaffes sono generalmente gesti o battute sfuggiti in un momento di distrazione e di cui l’autore, a cose fatte, si pente e si scusa. Non credo che quelle di Berlusconi abbiano queste caratteristiche e non credo che l’autore, dopo avere accennato al suo corteggiamento, si sia morso la lingua. Proverò a spiegarne la ragione. Berlusconi è un seduttore. A scuola e all’università si è rapidamente accorto che riusciva senza difficoltà a ispirare simpatia e fiducia in buona parte dei suoi compagni. Dopo avere debuttato in affari come costruttore, ha scoperto una attività, quella televisiva, in cui l’impresario sopravvive soltanto se riesce a vendere spazi pubblicitari, vale a dire se riesce a scambiare il denaro del cliente contro un bene immateriale: un esercizio in cui l’arte della seduzione ha una fondamentale importanza. Le assemblee di venditori, negli anni in cui dirigeva personalmente l’impresa, erano spettacoli didattici in cui Berlusconi, con i suoi interventi e lo stile del suo abito, impartiva lezioni di galateo commerciale: qualche aneddoto, il racconto compiaciuto di un affare riuscito, un certo numero di barzellette, un vestito impeccabile e un sorriso smagliante. Quando decise di entrare in politica distribuì ai candidati di Forza Italia un kit composto da stemmi, adesivi e istruzioni per l’uso. Quando assunse provvisoriamente la direzione del ministero degli Esteri, dopo le dimissioni di Renato Ruggiero, spiegò ai funzionari che un buon diplomatico non deve mai avere le mani sudate. Perché ha conservato nella vita politica il suo stile di imprenditore? Perché la reazione degli italiani, soprattutto nelle elezioni del 1994 e in quelle del 2001, gli dette la sensazione che l’elettore del suo Paese avrebbe reagito esattamente come i suoi compagni d’università e i suoi clienti. Anziché interrogarci sullo stile di Berlusconi dovremmo chiederci, quindi, perché esso piaccia agli italiani. Per due ragioni. In primo luogo perché comprendono i suoi discorsi. Dopo avere ascoltato per molti anni la «lingua di legno» dei loro uomini politici (un politichese involuto, condito di termini coniati da politologi e sociologi), hanno accolto Berlusconi come una ventata d’aria fresca. In secondo luogo perché il presidente del Consiglio parla la lingua dei bar, degli stadi, delle cene in trattoria. Attenzione: la parla con eleganza, abilità, facondia e una certa ironia. Ma gli aneddoti piccanti e le storielle divertenti sono la materia prima delle chiacchiere degli italiani, il loro principale passatempo quotidiano. Sperando che Berlusconi si sia scusato in modo convincente, le dobbiamo quindi, Signora Presidente, delle scuse collettive.

sabato, giugno 25, 2005

RESISTENZA - 25/6/05

L’UNITA’ on-line 25-6
EDITORIALE
Berlusconi è davvero finito?
di Antonio Padellaro
Sempre più spesso sentiamo ripetere che ormai Berlusconi è alla frutta, che politicamente è da considerarsi finito. Parole ascoltate soprattutto negli ambienti dell’opposizione. Dove, in tempi non lontanissimi, si era convinti che del presidente-padrone non ci saremmo liberati per altri dieci anni almeno. Ma dove ora si sostiene, quasi con stanchezza, che il problema non più lui. Prendiamo le feste dell’Unità. Per anni l’argomento Berlusconi ha infiammato le platee. Ma oggi, nel luogo simbolo della sinistra, si parla sempre di meno del conflitto d’interessi mentre le domande all’ospite di turno vertono sulla crisi nella Margherita o sul programma per governare l’Italia che ancora non si vede.
Governo: ecco la parola attorno a cui ruota questa sorta di cambiamento epocale. Dopo la serie ininterrotta di successi elettorali, culminati con il 12 a 2 nelle Regionali dell’aprile scorso, l’opposizione ha smesso di sentirsi tale e ragiona come se l’avvento del premier e dei ministri del centrosinistra fosse ormai soltanto una questione di tempo: un anno o giù di lì. Un traguardo ritenuto così a portata di mano che quando, per l’appunto, Prodi e Rutelli litigavano sulla Fed o sul listone il popolo unionista, più che dividersi sulle ragioni dell’uno o dell’altro si chiedeva, compatto, come diavolo fosse possibile gettare all’ortiche una vittoria elettorale considerata praticamente già in tasca. Reazione, infatti, che ha suggerito ai due leader di raggiungere una tregua.
Torniamo però a Berlusconi e alla sua strategia del profilo basso. Fateci caso. Più il premier raccoglie in ogni dove fischi e proteste da industriali delusi, artigiani ignorati, commercianti con gli scaffali vuoti, magistrati contabili inorriditi dal buco di bilancio, semplici cittadini impoveriti, e più l’uomo che doveva rivoltare l’Italia come un calzino (e a suo modo lo ha fatto) si rifugia nel piagnisteo.
Se i consumi calano, i prezzi crescono, le fabbriche chiudono, lui non può farci niente. E quando questa infinita sequela di fallimenti gli viene fatta notare (magari da chi gli aveva dato il voto sperando nel miracolo), egli appare costernato da tanta ingratitudine. Come osate criticarmi, ha detto ai poveri artigiani, io che lavoro incessantemente per voi e per il paese. Visti i risultati non si capisce, tuttavia, a cosa si applichi realmente. Negli ultimi giorni, infatti, oltre a raccogliere rabbia e malcontento il presidente del Consiglio è sembrato soprattutto interessato ai rapporti diplomatici tra Italia e Finlandia messi in crisi con le sue vanterie da attempato playboy e alla campagna acquisti del Milan con la trattativa Gilardino.
Attenzione, però, al Berlusconi vittimista perché con questo sistema ha già colpito in passato contando proprio sull’elemento sorpresa. Nel ‘96, dopo essere stato battuto da Prodi accennò a un possibile ritiro dalla scena politica. Si parlò a lungo dei suoi possibili successori e lui stesso indicò alcuni nomi dicendosi pronto a mettersi da parte se si fosse trovato l’uomo giusto. Lo stesso teatrino che sta mettendo in piedi adesso. Lo fa per nascondersi meglio in attesa di sferrare il colpo decisivo. Che potrebbe essere l’Europa.
Appare trasparente, infatti, il tentativo della destra di speculare sulla crisi dell’Unione europea e di farne il capro espiatorio dei fallimenti della politica italiana. Le mosche cocchiere di questa operazione sono i leghisti con le mascherate padane, il rifiuto dell’euro e il ripristino della liretta e dell’italietta che fu. È l’antipasto di quella che, secondo D’Alema, sarà la campagna elettorale berlusconiana: addossare a Prodi le responsabilità, come ex presidente Ue di tutti mali italiani. Specialista nel rovesciamento della realtà, e delle responsabilità Berlusconi cercherà di giocare a suo favore tutti gli elementi che oggi gli sono contro. Non è difficile immaginare come. I consumi calano e i prezzi salgono? Colpa di Prodi (e di Ciampi) che hanno imposto una supermoneta inadatta alla fragile economia italiana. L’Europa traballa e non riesce a mettersi d’accordo su bilancio e costituzione? Colpa di Prodi che ha voluto l’allargamento ad est destabilizzando l’intera struttura. Mancano i soldi per abbassare le tasse e rilanciare la competitività delle imprese? Colpa di Prodi che si è battuto per la difesa dei vincoli del Patto di Stabilità. Le merci cinesi invadono i nostri mercati mettendo in ginocchio interi comparti industriali? Colpa di Prodi che da presidente della Comnissione non ha saputo alzare le necessarie barriere a difesa della produzione continentale.
Certo si tratta di argomenti privi di fondamento, inefficaci, facilmente confutabili. In un paese normale, forse. Non in Italia dove l’antagonista di Prodi possiede quasi tutte le televisioni e potrà imbastire qualunque campagna denigratoria, grazie a una schiera di agit-prop travestiti da conduttori equidistanti. Insomma, la vera la battaglia del 2006 deve ancora cominciare e il centrosinistra farebbe bene a non cantare vittoria troppo presto.

venerdì, giugno 24, 2005

RESISTENZA - 24/6/05

EUROPA on the Web 24-6
Il conflitto di interessi, ora e sempre
Rai-tv, terreno di scontro tra gli interessi del cavaliere Berlusconi e quelli del paese intero
di ENZO BALBONI
Che il conflitto di interessi avrebbe caratterizzato l’intera parabola politica dell’astro berlusconiano lo si era capito fin da subito, al momento della discesa in campo del Cavaliere nel febbraio 1994, quando la sua entrée fu amorevolmente seguita dal telegiornale di Fede con una diretta televisiva di un’ora e mezza. Eppure, esperti ed equilibrati giuristi – uno dei quali assurto successivamente ad un altissimo soglio giurisdizionale: ergo non un avvocaticchio qualsiasi – avevano subito prospettato il caso dell’ineleggibilità di chi era concessionario di un pubblico servizio nel ramo televisivo.
Ma tant’è: l’opposizione per quieto vivere e buonismo – a voler essere benevoli – aveva lasciato cadere la cosa, secondo quella sindrome “monacense” (nel senso dell’appeasement firmato a Monaco nel settembre 1938) che di quando in quando l’avviluppa e la narcotizza.
E, dunque, nuovamente, undici anni dopo, è la mitica Rai-tv il terreno di scontro tra gli interessi del cavaliere Berlusconi e quelli del paese intero.
Cosicché non ci si scandalizza più per la “gaffe” nella quale è incorso il presidente della camera che, incalzato dai giornalisti per sapere quando si sarebbe concluso il travagliato iter di formazione del nuovo Cda della Rai ha risposto candidamente: «Non dipende da noi. È il presidente del Consiglio che decide. Chiedete a lui». Altro che competenza del ministro dell’economia Siniscalco: quando il gioco si fa duro sono i duri che scendono in campo.
La legge Gasparri continua a far maturare i suoi frutti avvelenati (quod erat in votis); il servizio pubblico ogni giorno più indebolito si presenta sempre più disarmato nei luoghi della competizione di mercato; le risorse pubblicitarie si indirizzano in modo massiccio e pressoché esclusivo verso il competitor privato, generando a loro volta un surplus di profitti che potranno generosamente esser rivolti alla campagna elettorale.
Diverse volte, scrivendo su queste colonne a proposito di problemi costituzionali, si è avuto modo di avvertire che “qualunque” riforma istituzionale deve essere preceduta da una “sanatio” del bubbone rappresentato dal conflitto di interessi e dalla dominanza di un privato nel sistema dell’informazione televisiva e non solo. Che ne abbia parlato Ciampi, e con toni accorati ma sempre equilibrati, nel suo primo e finora unico messaggio alle camere (luglio 2002) dedicato al bene del pluralismo e dell’imparzialità dell’informazione, come base indefettibile e non negoziabile di ogni assetto democratico conta, ormai, solo per la storia della repubblica. Forse servirà come parametro per valutare come passeremo i mesi che ci separano dalle prossime elezioni politiche.
Il presidente della repubblica e, insieme a lui il presidente dell’Autorità garante per la concorrenza sul mercato, Tesauro, erano stati chiarissimi nella loro denuncia. Il primo, avendone la facoltà costituzionale, aveva poi rinviato alle camere con suo messaggio la legge Gasparri, che è stata, ovviamente, riapprovata dalla maggioranza, ma che è molto probabile venga sottoposta al giudizio di legittimità della Consulta.
Non so a che punto del programma politico di Prodi verrà collocata la questione dell’estirpazione del conflitto di interessi e l’instaurazione di un corretto ed efficace pluralismo dell’informazione, ma già da questo molti elettori capiranno se, almeno stavolta, si vuol fare sul serio.
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CITAZIONE
Berlusconi: «Comunismo è morte e terrore»
Il comunismo è un pericolo per la democrazia, «ha prodotto morte e terrore», «io in estate voglio portare i miei figli ad Auschwitz per far vedere loro cosa significa la privazione della liberta», «gli eredi» del vecchio Pci sono gli stessi di tanti anni fa, del resto «Bertinotti è una brava persona, ma sappiamo le sue idee». Sono alcune delle dichiarazioni di ieri di Silvio Berlusconi.
(Liberazione 24-6)
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WWW.CENTOMOVIMENTI.COM 24-6
Il "capolavoro" di Berlusconi
I finlandesi boicottano il made in Italy
La Central Union of Agricultural Producers and Forest Owners, confederazione che raggruppa oltre 170 mila produttori agricoli e forestali finlandesi, ha deciso di boicottare i prodotti "made in Italy". Il "merito", ovviamente, è del nostro presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, che alcuni giorni fa ha ripetutamente insultato la cucina del Paese nordico.
Il Cavaliere si era anche lasciato andare a folli rivelazioni a proposito di un suo corteggiamento "ai danni" della presidente finlandese Tarja Halonen, convinta con "metodi amorevoli" a lasciare all'Italia la sede dell'agenzia europea per la sicurezza alimentare.
"Quando si insegue un risultato si devono usare tutte le arti - aveva spiegato il premier - io ho rispolverato le arti da playboy".
Ma le dichiarazioni che hanno fatto andare veramente su tutte le furie la Central Union of Agricultural Producers and Forest Owners sono state quelle relative alla cucina finlandese.
"Un'agenzia alimentare in Finlandia sarebbe stata inaccettabile anche perché ero da poco stato in quel paese dovendo sottostare alla dieta finlandese - aveva affermato mentre si trovava in compagnia del presidente della Commissione europea José Manuel Durao Barroso - naturalmente non c'è nessuna possibilità di confronto tra quello che qui a Parma potremo offrire al presidente della Commissione rispetto a quanto avrebbe potuto assaggiare in Finlandia. Credo che Barroso gradirà molto di assaggiare il culatello rispetto alla renna affumicata".
L'organizzazione, per rispondere a queste esternazioni, ha chiesto a tutti i suoi associati di non comprare cibo italiano, soprattutto vino e olio d'oliva.
Com'è ormai noto, per quel che concerne le dichiarazioni sulla presidente norvegese, l'Esecutivo nordico aveva già convocato il nostro ambasciatore a Helsinki Ugo de Mohr per "esprimergli stupore".

giovedì, giugno 23, 2005

RESISTENZA - 23/6/05

L’UNITA’ on-line 23-6
Sommario di I pag.
Billè a Berlusconi: basta con le "riformicchie"
Anche il mondo del commercio sbotta dopo l’ennesima catastrofe economica del governo. Dopo i dati Istat di mercoledì, nella sua relazione all'Assemblea Generale di Confcommercio, il presidente Sergio Billè rilancia la proposta di un patto sociale per uscire dalla crisi, ma soprattutto fa una critica fuori dai denti al governo, chiedendo infrastrutture, liberalizzazioni, interventi per l’Italia meridionale, ma soprattutto un Dpef. Basta con «riformicchie, ne sono state tentate parecchie, ma ogni volta è come tagliare un pezzo di coda a una lucertola».
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Prodi: «Requisitoria antigovernativa»
«Non mi aspettavo una relazione così dura e spietata, è stata una requisitoria antigovernativa...»: puntuale e un po’ stupito il commento alla relazione Billè del leader dell’Unione Romano Prodi.
Sullo stesso tono la reazione del segretario dei Ds Piero Fassino che sottolinea la gravità dell’ennesimo campanello d’allarme sullo stato dell’economia italiana e sull’incapacità politica del governo di farne fronte: «Credo che anche da questa assemblea come da quelle della Confesercenti, della Confedilizia e della Confindustria venga una denuncia dell'assenza di una politica economica, di una politica industriale, di una politica di sostegno e sviluppo della produzione e dei consumi».
Sulla stessa linea la Cgil che sottolinea «la responsabilità esplicita del Governo» in questa situazione di crisi. «L' analisi di Billè - ha spiegato Epifani uscendo dall' assemblea della Confcommercio - coincide con quella che da tempo la Cgil sta facendo. Ma c'è la responsabilità esplicita del Governo che ha concorso a questa situazione».
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REPUBBLICA on-line 23-6
Commercianti contro Berlusconi
"Paese schiacciato dai problemi"
di ROSARIA AMATO
ROMA - Un appello alle istituzioni, ai partiti, ma anche alle imprese e ai sindacati perché "mettendo da parte egoismi corporativi", scendano in campo "con più coraggio, con più decisione e con maggiore senso dello Stato". Nella relazione all'Assemblea Generale 2005 di Confcommercio il presidente Sergio Billè ha rilanciato la proposta di un patto sociale per uscire dalla crisi (lanciata inizialmente da Confindustria e ripresa da più parti, ultimamente anche dal governo), e lo ha fatto anche con una certa autocritica, che però non ha escluso le critiche, ben più forti, rivolte al governo, al quale ha chiesto riforme, infrastrutture, liberalizzazioni, interventi per il Sud ma soprattutto un Dpef e una legge finanziaria rigorosa.
Dopo i ringraziamenti, sono cominciate le pesanti critiche, rivolte in particolar modo al governo. Al presidente del Consiglio Berlusconi che poco tempo fa di fronte ai dati economici sempre più scoraggianti aveva opposto la floridezza di un Paese dove tutti hanno il telefonino e molti la casa di proprietà, Billè ha replicato che "dietro questa facciata di floridezza, in parte vera, vive un Paese schiacciato da vecchi e nuovi problemi". Anche perché il nostro "è un Paese in cui vige la regola che la colpa di tutto sia sempre di qualcun altro".
Billè ha messo a segno una serie di affondi contro il governo: "Per scuoterci - ha detto all'inizio della sua relazione - ci serve una robusta dose di neorealismo alla De Sica. Solo così potremo trovare la forza necessaria per far cambiare rotta ad un Paese che ha innescato una pericolosa marcia indietro".
A cominciare dal presidente del Consiglio, al quale Billè ha ricordato che, certo, "c'è l'impegno del governo a cambiare questo stato di cose". "Ne prendiamo atto, ma ammetta, signor presidente del Consiglio - ha detto Billè - che per noi è difficile rimettere la mano sul fuoco, dopo che, come Muzio Scevola, ce ne siamo già bruciata una".
Ma non basta: per risollevare l'economia, sostiene ancora Billè, occorrono "concorrenza" e quindi "liberalizzazioni", e poi "regole e politiche che consentano alle imprese di crescere e confrontarsi fino in fondo con il mercato a parità di condizioni".
Il governo attuale è in grado di portare avanti tutto questo? Servono un Dpef e una nuova legge finanziaria "di straordinario impegno e fortemente innovativi per credibilità, indirizzo, spessore e qualità di interventi", altrimenti "la strada che ci aspetta è quella di una mulattiera".
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L’UNITA’ on-line 23-6
La stampa in Finlandia
«Gli italiani si vergognano di Berlusconi»
di Raffaella Benvenuto
Dopo il mito del presidente operaio di qualche anno fa, tramonta anche quello del presidente playboy. In Italia, Silvio Berlusconi ha liquidato con un laconico «è uno scandalo da nulla» le polemiche circa le sue dichiarazioni sulla presidente finlandese, signora Tarja Halonen. Ma la Finlandia non ha gradito. Dopo aver convocato l'ambasciatore italiano, Ugo Gabriele de Mohr, il ministero degli Esteri ha fatto sapere che il caso è chiuso.
Non è così però per i finlandesi. Su Helsingin Sanomat ("Il giornale di Helsinki"), il principale quotidiano locale e unico giornale nazionale del mattino, pubblica un articolo sull'argomento dal titolo "Gli italiani si vergognano di Berlusconi", che dopo una puntuale ricostruzione della gaffe di Berlusconi, era dedicato a come gli italiani hanno accolto la sparata del premier. «Molti italiani sembrano essere sinceramente dispiaciuti delle dichiarazioni offensive nei confronti della Finlandia pronunciate qualche giorno fa dal premier Silvio Berlusconi», si legge nell'articolo. «Questo si può desumere almeno dai messaggi di posta elettronica pervenuti dall'Italia alla segreteria del presidente».
«Nei messaggi gli italiani chiedono scusa del comportamento di Berlusconi, e in alcuni viene persino espressa vergogna per le parole del premier», continua l'articolo. «Il presidente Tarja Halonen non ha comunque voluto commentare le dichiarazioni italiane. É chiaro che per l'autorità del presidente non è assolutamente appropriato usare parole dello stesso genere. I portavoce di Berlusconi hanno fatto capire che, a parer loro, i finlandesi sono proprio seriosi e privi di senso dell'umorismo. Tuttavia, le persone più vicine alla presidente garantiscono che il senso dell'umorismo è tutt'altro che latitante, e anche coloro che conoscono bene Tarja Halonen sanno che questa è la pura verità». Ancor più arrabbiato è il quotidiano Iltalehti che in un articolo intitolato "Vergogna Berlusconi!" si può leggere che «gli italiani hanno chiesto scusa per le parole offensive del loro premier nei confronti della Finlandia. Nei messaggi di posta elettronica pervenuti alla segreteria del presidente si esprime persino vergogna per il comportamento maldestro di Berlusconi».
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STAMPA 26-3
Corsivo
Crepuscolo di un seduttore
di Massimo Gramellini
Berlusconi farà fatica a comprendere i motivi di sensibilità politica che hanno indotto il ministro degli Esteri di Helsinki a convocare d'urgenza l'ambasciatore italiano per chiedergli ragione della sua ultima gaffe. Come è noto alle cronache, purtroppo anche a quelle finlandesi, nel vantarsi di aver strappato alla patria delle renne l'Agenzia Alimentare Europea, il premier azzurro aveva sostenuto di esser stato costretto a rispolverare le sue arti di playboy della Riviera con la loro presidente, un donnone dalla mascella volitiva, dedicandole «tutta una serie di amorevoli sollecitazioni».
Forse il Nostro sospetterà una manovra ulivista (la presidente circuìta non è forse di sinistra?). Di sicuro deprecherà la seriosità rigida dei finlandesi, confermata dalle statistiche sul livello di corruzione della loro vita pubblica: il più basso del mondo. Dovrebbe piuttosto chiedersi perché proprio lui abbia smarrito la capacità di calcolare le conseguenze delle parole sull'uditorio, requisito essenziale di ogni seduttore. Basta ascoltare certe sue affermazioni festose sulla ricchezza degli italiani, che planando su portafogli sempre più asfittici risuonano irritanti e vagamente iettatorie. Nei periodi di crisi, da un leader non ci si aspettano battute corroboranti ma un po' di «gravitas». Invece è la solita storia da millenni: quando un potente, per conservare il potere, comincia a circondarsi solo di persone che non lo contraddicono mai, perde il contatto con la realtà e subito dopo il potere.
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IL RIFORMISTA 23-6
Corsivo
Dizionario - BUGIE
Berlusconi ha una straordinaria capacità di credere ai propri sogni, e ieri se n’è avuta conferma. Ha raccontato che quando era ragazzo, appena dodicenne studente dai Salesiani, una sera della campagna elettorale del ’48 andò ad attaccare i manifesti per la Dc, quelli in cui si avvertiva l’elettore che nel segreto dell’urna «Dio ti vede Stalin no». Ma una squadraccia di cattivoni comunisti passò di lì mentre il ragazzino era arrampicato su una scala pennellone alla mano, e lo buttò giù per terra. Ora il problema non è tanto quello di soffermarsi sulla credibilità dell’acerbo attacchino mingherlino innamorato di De Gasperi. Se non ci si immedesima nei panni dell’eroe al cinema, non si diventa mai protagonista, diceva John Wayne. Ma una cosa è sicura. Se non gli credette neppure mamma Rosa quel giorno, e gli diede un fracco di botte, non ci si chiederà che a crederci siamo noi oggi.
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CITAZIONI
Cinque o sei partiti unici
"Il partito unico dei moderati? Nessuna frenata: sono assolutamente convinto che il partito unico si farà. Anzi, è già fatto".
Silvio Berlusconi, 15 giugno 2005
(Marco Travaglio – Repubblica)
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La Fallaci Viagra del Cavaliere... parola di un esperto…
"Berlusconi potrebbe rilanciare il centrodestra come vincente con Oriana Fallaci. Sarebbe la mossa giusta. Oriana Fallaci sarebbe il Viagra del Cavaliere e di una rinascita generale. Intorno alla Fallaci, che sarebbe la leader militante, si radunerebbe il meglio da Feltri a Ferrara, a me e a Craxi. Restituirebbe anima al centrodestra"
(Vittorio Sgarbi – Libero)

mercoledì, giugno 22, 2005

RESISTENZA - 22/6/05

IL GAFFEUR PERDE IL PELO MA NON IL VIZIO
L’UNITA’ on-line 22-6
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Tristi amori: «Quando si insegue un risultato bisogna usare tutte le armi che si hanno a disposizione e quindi io ho rispolverato tutte le mie arti da playboy, ormai lontane nel tempo, e ho utilizzato una serie di sollecitazioni amorevoli nei confronti della signora presidente della Finlandia».
Silvio Berlusconi, Ansa, 21 giugno
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Sommario di I pag.
Berlusconi playboy: la Finlandia protesta con l'Italia
Una protesta formale, l'ambasciatore convocato ufficialmente dal ministro degli esteri. Il governo finlandese ha scelto di rispondere così al premier italiano che a Parma, alla cerimonia di inaugurazione della neonata Agenzia europea per la sicurezza alimentare, ha ironizzato sulla presidente finlandese Halonen, sostenendo di aver intrecciato, nelle trattative per assegnare la sede dell’agenzia, diplomazia e «arti da playboy».
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REPUBBLICA on-line 22-6
"Ho fatto il playboy con la presidente Halonen per l'agenzia alimentare a Parma"
La Finlandia: "Stupore per le affermazioni del premier"
ROMA - La Finlandia non ha gradito le battute del premier Berlusconi sui retroscena per l'assegnazione dell'Agenzia alimentare europea. E passa subito alle vie diplomatiche. Il ministero degli Esteri Finlandese ha convocato l'ambasciatore italiano ad Helsinki Ugo de Mohr, per "esprimere lo stupore del governo finlandese per le affermazioni del premier italiano Silvio Berlusconi a Parma sulla presidente della Finlandia, Tarja Halonen". E' stata la stessa ambasciata di Helsinki a rendere nota la convocazione alle agenzie di stampa.
La frase che ha scatenato l'incidente diplomatico Silvio Berlusconi l'ha pronunciata ieri durante durante l'insediamento a Parma dell'Agenzia europea per la sicurezza alimentare. "Per ottenere la presidenza italiana - aveva affermato il presidente del Consiglio - ho rispolverato tutte le mie arti da playboy, per utilizzare tutta una serie di sollecitazioni amorevoli nei confronti della signora presidente". La rievocazione della battaglia fatta per promuovere Parma non si era fermata a questo, perché Berlusconi aveva affermato tra l'altro che essendo stato in Finlandia aveva dovuto "sottostare alla dieta finlandese", scoprendo che "non c'era alcuna possibilità di confronto tra il culatello di Parma e la renna affumicata".
Il presidente del consiglio aveva rievocato il percorso che ha portato alla scelta di Parma come sede dell'Agenzia alimentare al posto della Finlandia, come stabilito in un primo momento da Bruxelles. Un esempio di successo, aveva sostenuto Berlusconi, ottenuto con l'ottimismo e un'Europa vicina a cittadini, anziché burocratica ed elitaria. "Quando abbiamo assunto la responsabilità del governo - aveva fatto notare il premier - non c'era nessuno che si sarebbe giocato un soldo sulla possibilità che un'agenzia ormai assegnata alla Finlandia, potesse cambiare indirizzo e venire in Italia". Ma, aveva sottolineato Berlusconi ieri, tutto è andato bene anche grazie alle "amorevoli cure rivolte alla presidentessa"
Ora toccherà innanzitutto al rappresentante a Helsinki ricomporre il dissidio. Ugo Gabriele de Mohr è ambasciatore d'Italia in Finlandia dal febbraio del 2004.
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CORSERA 22-6
Lettere al Corriere
Il sommerso: un problema italiano
Mi sembra che un Paese che abbia il 40 per cento di sommerso dovrebbe vergognarsene per la sfacciata prova di inefficienza e di corruzione che esso rappresenta, per l'inganno che esso perpetra nei confronti degli altri membri dell’Unione Europea, per la oltraggiosa e crudele beffa che esso quotidianamente infligge a quel 60 per cento di emerso che rispetta le norme e paga le imposte. Il nostro presidente del Consiglio invece lo vanta, in sede ufficiale europea, come una prova della «solidità» della nostra economia. Mah, sono francamente sconcertato. E lei?
Gianni de Felice , gdefel@tin.it
Risponde Sergio Romano:
Anch’io, naturalmente, sono sconcertato dalla «sfacciataggine» del presidente del Consiglio. In primo luogo, se il sommerso esiste occorre dirlo con franchezza. Berlusconi non avrebbe dovuto farne materia di una battuta e avrebbe dovuto cogliere l’occasione per spiegare al Paese come il governo intenda rimediare a questa grave anomalia.

martedì, giugno 21, 2005

RESISTENZA - 21/6/05

WWW.CENTOMOVIMENTI.COM 21-6
Berlusconi vuole la testa del Giudice
Di Nicola attacca il Cavaliere e finisce nella bufera
Chiedono le sue dimissioni e pretendono che il ministro della Giustizia organizzi una delle sue solite "spedizioni punitive". Il centrodestra vuole insomma la testa del Procuratore Capo di Bologna Enrico Di Nicola, colpevole di aver affermato che il premier Silvio Berlusconi non è un bell'esempio di legalità.
Interpellato dal quotidiano "Il Corriere della Sera" a proposito dello stupro subìto nel fine settimana da una ragazzina di quindici anni, la Toga aveva spiegato: "Quando si dice che il 40 per cento della ricchezza sommersa è un bene per il Paese (la frase è stata pronunciata la scorsa settimana dal capo del Governo, ndr), ritengo che si dica qualcosa non conforme ai valori costituzionali. E' la cultura dell'illegalità. Chi commette reati vede che certi valori mancano alla classe dirigente".
Dopo le prime reazioni a caldo, affidate alla bocca del forzista Fabrizio Cicchitto, il centrodestra ha deciso di fare sul serio. Il forzista Fabio Garagnani ha scritto al Guardasigilli Roberto Castelli per chiedergli di "verificare se ci sono gli estremi per una esemplare azione disciplinare".
"Le dichiarazioni del procuratore capo di Bologna Di Nicola costituiscono l'ennesima interferenza della magistratura nella politica e sono un vero e proprio attentato alla Costituzione - si legge nel documento - questa volta si è passato il segno".
L'esponente azzurro ha concluso affermando che, "se avesse un minimo di dignità, il procuratore dovrebbe dimettersi da capo della Procura per manifesta incapacità".
Il Procuratore Capo di Bologna era stato interpellato dal quotidiano di Via Solferino a proposito dello stupro subìto nel fine settimana da una ragazzina di quindici anni nel capoluogo emiliano.
"Di fronte ad un episodio così grave non ci resta che ricominciare da capo: per attuare i valori della Costituzione e introdurre la cultura della legalità - aveva spiegato - quando si dice che il 40 per cento della ricchezza sommersa è un bene per il Paese, ritengo che si dica qualcosa non conforme ai valori costituzionali. E' la cultura dell'illegalità. Chi commette reati vede che certi valori mancano alla classe dirigente".
Insomma, Di Nicola ha fatto intendere che i delinquenti che operano nel nostro Paese prendono esempio dagli uomini delle Istituzioni.
La frase alla quale si è riferito il Giudice è stata pronunciata da Silvio Berlusconi la scorsa settimana: "Smettiamola di preoccuparci così tanto per l'economia - aveva affermato - abbiamo un sommerso del 40 per cento, ma vi sembra che la nostra economia non tenga? Ma andiamo".
Ma, ovviamente, l'intervista del Giudice ha provocato reazioni indignate nel mondo politico. Un vero e proprio linciaggio bipartisan, con il forzista Fabrizio Cicchitto in prima linea nell'attacco al Magistrato bolognese.
"Chiamare in causa Berlusconi a proposito di un gravissimo reato di stupro ci sembra francamente un eccesso di faziosità ed anche la manifestazione di una certa confusione culturale e psicologica - ha tuonato il parlamentare azzurro - di fronte a reati cosi agghiaccianti sarebbe da attendersi dal capo della procura di Bologna qualcosa di diverso da peraltro confuse analisi sociologiche".
Del resto, anche Prodi ha bacchettato Berlusconi per le parole sul sommerso.
"E' da matti, se abbiamo un presidente del Consiglio che invita a non pagare le imposte e arriva a dire che l'Italia va bene perché c'è il 40 per cento di sommerso, vuol dire che siamo diventati matti".
"Smettiamola di preoccuparci così tanto per l'economia - aveva affermato Berlusconi - abbiamo un sommerso del 40 per cento, ma vi sembra che la nostra economia non tenga? Ma andiamo".
Esternazioni che erano state commentate con sdegno anche dal leader del partito dei Verdi Alfonso Pecoraro Scanio, secondo il quale il premier "ha recitato un inno all'illegalità parlando del sommerso come ricchezza dell'economia italiana".
"Che ci sia il 40 per cento di sommerso è un'altra sconfitta per il Governo - aveva invece affermato il segretario generale della Cgil Guglielmo Epifani - perché all'inizio della legislatura si era posto come obiettivo quello di contrastarlo".

sabato, giugno 18, 2005

RESISTENZA - 18/6/05

L’UNITA’ on-line 18-6
Berlusconi ci ripensa
Vuole un partito unico con nuovo simbolo, subito
Berlusconi ci ripensa, vuole un nuovo partito – unico ma trino – per il centrodestra, con tanto di nuovo simbolo. E lo vuole subito, entro luglio. «Nel 2006 - dice sicuro come un sommelier - offriremo agli italiani il porto sicuro di un nuovo grande partito di governo». Una proposta dettata via telefono, come un discorso-sfogo, che il premier ha fatto intervenendo da lontano al convegno organizzato da An a Milano sull'ipotesi della costituzione di una nuova forza politica che aggreghi tutte le forze del centrodestra.
«Mi auguro ora – aggiunge parlando di questo nuovo partito -- che anche An e l'Udc, che svolgono ai primi di luglio due importanti assise dei loro partiti, aderiscano a tale orizzonte».
«Nessuno di noi deve oggi rinunciare a identità cristallizzate e statiche – insiste -- Dobbiamo solo, tutti insieme, dare definitivo compimento al processo già cominciato, creando una sola grande forza popolare, liberale, nazionale, riformista».
Ha detto che lui con questa nuova formazione prevede «un futuro di nuove vittorie, a cominciare dalle politiche del 2006». Poi ha spiegato così il voltafaccia: «Qualcuno ha interpretato la mia recente dichiarazione sulla possibile presentazione alle elezioni di tutti i simboli storici della Casa delle libertà come una frenata rispetto a questo grande progetto. Niente affatto. Se il nuovo partito nascerà, come sono certo, è del tutto evidente che presenterà agli italiani il proprio nuovo simbolo e la propria lista unitaria. Se poi, stante l'attuale complessa legge, sembrerà giusto prevedere, allo scopo di non perdere neanche un singolo voto, la contemporanea presentazione dei nostri simboli di oggi, ciò -- ha sottolineato Berlusconi -- non altererà in nulla la forza del nuovo partito».
Anche sull’Europa e la crisi italiana, pur conservando il suo «ottimismo», corregge il tiro. Invita a «non drammatizzare» il fallimento del vertice europeo convinto com'è che alla fine un accordo sarà trovato nei tempi giusti.
Romano Prodi ammonisce a far coincidere l'interesse nazionale con quello europeo perché l'Italia -- dice -- è «il più fragile tra i grandi paesi europei». Berlusconi aveva detto solo due giorni fa che l’Italia era un paese meno in difficoltà di Francia e Germania.
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CITAZIONE
Il centro-sinistra “solo tenendo saldamente in pugno il timone del Paese potrà affrontare l’emergenza economica e sociale provocata dal peggiore governo che si ricordi (e da uno strano personaggio che ancora ieri dichiarava all’Europa che l’economia sommersa tira che è un piacere e che gli italiani vivono benone).”
(Antonio Padellaro)
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IL RIFORMISTA 18-6
Corsivo
Chi rappresenterà il governo lunedì, all'assemblea di Assolombarda a Milano? Dopo i fischi della Confartigianato, il Cavaliere non ne vuole sapere. Ma anche Siniscalco è stato categorico. Questo casino sull'Irap l'avete fatto voi - pare abbia detto il mite Domenico - non penserete davvero che ci vada io?

venerdì, giugno 17, 2005

RESISTENZA - 17/6/05

WWW.CENTOMOVIMENTI.COM 17-6
Silvio Berlusconi di nuovo sotto processo…
…ed eternamente in attesa di giudizio
Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi il prossimo 18 luglio sarà di nuovo sotto processo. Quel giorno, infatti, si aprirà al Tribunale di Milano il procedimento d'appello relativo alla vicenda Sme, che vede il premier imputato di corruzione. In primo grado il capo del Governo aveva incassato - la sentenza era stata emessa lo scorso 10 dicembre - una assoluzione e un proscioglimento per prescrizione. In sostanza, i Giudici avevano certificato che Berlusconi ha versato 430.000 dollari all'ex Giudice Renato Squillante con lo scopo di ottenere "l'aggiustamento di una sentenza", ma il leader della Casa delle Libertà aveva evitato la condanna grazie al riconoscimento delle attenuanti generiche, che determinarono la drastica riduzione dei termini di prescrizione.
Ma all'inizio del mese di giugno i pubblici ministeri Ilda Boccassini e Gherardo Colombo hanno presentato un ricorso di 136 pagine contro quel verdetto presso la cancelleria della corte d'appello di Milano.
"In riforma dell'impugnata sentenza - si leggeva nel documento - voglia dichiarare la responsabilità di Berlusconi per tutti i reati contestati e, esclusa la concessione delle attenuanti generiche, condannare il medesimo alla pena che riterrà di giustizia".
Lo scorso 13 maggio anche gli avvocati del leader di Forza Italia avevano depositato un ricorso contro il verdetto, auspicando un nuovo processo che possa determinare una piena assoluzione.
"E' provato che Silvio Berlusconi non si è mai occupato di vicende amministrative e finanziarie del gruppo - avevano scritto i legali del Cavaliere - è provato che il manager Gironi ha concordato e pagato in piena autonomia l'avvocato Cesare Previti senza alcuna compartecipazione e consapevolezza da parte di Silvio Berlusconi".
E' possibile che il processo d'Appello in cui è imputato Berlusconi verrà unificato con il troncone principale del procedimento, nel quale tra le persone sotto accusa c'è anche il parlamentare di Forza Italia Cesare Previti.
Ma i guai giudiziari del Cavaliere si proiettano nel futuro. Il prossimo 28 ottobre il Giudice Fabio Paparella deciderà se rinviare a Giudizio il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. La richiesta di mandare il Cavaliere sotto promesso è stata avanzata lo scorso 26 di aprile dai Pubblici ministeri milanesi Fabio De Pasquale e Alfredo Robledo.
Il premier potrebbe dunque tornare in Tribunale per rispondere di falso in bilancio, frode fiscale e appropriazione indebita.
Con lui rischiano il processo altre tredici persone, tra le quali anche il presidente di Mediaset Fedele Confalonieri.
L'inchiesta riguarda la presunta compravendita irregolare di diritti televisivi e cinematografici da parte dell'emittente televisiva privata dal capo del Governo, un affare di circa 470 milioni di euro.
Sono invece ancora in corso le indagini sulla presunta corruzione in atti giudiziari messa in atto da Berlusconi, accusato di aver pagato l'avvocato inglese David Mills affinché mentisse di fronte a un Giudice con lo scopo di scagionarlo da un'inchiesta.
La Casa delle Libertà, il giorno che i due Pm avevano avanzato la richiesta di rinvio a Giudizio, aveva denunciato un nuovo "vergognoso uso politico della giustizia", mentre il presidente dell'Italia dei Valori Antonio Di Pietro aveva chiarito che, "se il nostro fosse un Paese normale", Berlusconi avrebbe già "dovuto subire un impeachment".
Intanto, in previsione dei prossimi giudizi, perché i magistrati sappiano con chi hanno a che fare, continuano le azioni disciplinari contro i Pm che indagano sulla Fininvest.
Gli ispettori del ministero della Giustizia non hanno ravvisato alcuna irregolarità, ma il Guardasigilli Roberto Castelli non sembra avere intenzione di arrendersi. Il leghista ha infatti avviato un'azione disciplinare contro tre pubblici ministeri che hanno indagato sugli affari della Fininvest, una delle principali Aziende del premier Silvio Berlusconi. I Magistrati Margherita Taddei, Gherardo Colombo e Francesco Greco sono accusati di aver emesso parcelle troppo alte ai consulenti incaricati dalla Procura di compiere gli accertamenti tecnici necessari a verificare eventuali reati commessi dal gruppo televisivo del Cavaliere.
"Ho addebitato ai miei ispettori l'incapacità di rilevare queste cose - ha affermato l'esponente del Carroccio - ho letto personalmente le carte ed ho rilevato delle irregolarità che sicuramente hanno rilevanza disciplinare. Poi ci sono altri aspetti, ma non mi pronuncio".
Castelli ha spiegato che tra le varie attività svolte durante la sua carriera ha fatto "anche il consulente tecnico del Tribunale". "Vista la rilevante quantità di una parcella da 5,3 miliardi di lire più Iva - ha spiegato - mi sono incuriosito perché, quando facevo io il consulente, non ha mai emesso parcelle di questa natura". Il Guardasigilli ha già trasmesso gli atti al ministro del Tesoro.

giovedì, giugno 16, 2005

RESISTENZA - 16/6/05

TOUT VA TRÈS BIEN, MADAME LA MARQUISE
REPUBBLICA on-line 16-6
Berlusconi: "Basta con il pessimismo"
"Stiamo meglio noi di Germania e Francia"
BRUXELLES - "Smettiamola di preoccuparci così tanto per l'economia: abbiamo un sommerso del 40% , ma vi sembra che la nostra economia non tenga? Ma andiamo... ". Così Silvio Berlusconi ha risposto ai giornalisti poco prima dell'inizio dei lavori del consiglio europeo a Bruxelles. Berlusconi ha argomentato le sue dichiarazioni facendo un paragone con gli altri paesi europei: "Non capisco questa preoccupazione, è tutta l'Europa che non si sviluppa. La nostra situazione è meglio di quella di altri Paesi, tra cui i due giganti Francia e Germania".
Poi Berlusconi è tornato sulla riforma dell'Irap. "Non capisco le critiche che si sono sviluppate" ha detto.
Il presidente del Consiglio ha anche spiegato di aver deciso di prendersi "tre mesi di tempo per studiare, approfondire ed esaminare i pareri di tutte le parti sociali e prendere quindi una decisione condivisa nella finanziaria di settembre".
Il premier ha poi risposto alle domande dei cronisti sui conti pubblici italiani, sui quali grava l'apertura di infrazione da parte di Bruxelles. "Le procedure antideficit richieste dalla Commissione europea non portano a nulla, e sono un aiuto dato ai governi che in base ad esse possono fare degli interventi perché li chiede l'Europa".
Berlusconi ha poi aggiunto che altri paesi, come Francia e Germania, "da tre anni sono sopra al 3% (del rapporto deficit-Pil, ndr), hanno avuto anche loro la procedura, e con il nostro aiuto non è andata avanti". Pertanto, secondo Berlusconi, ogni preoccupazione riguardo al disavanzo italiano è fuori luogo ed eccessiva.
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L’UNITA’ on-line 16-6
EDITORIALE
L’immagine sfregiata
di Rinaldo Gianola
Sono stati i sei minuti più brutti per Berlusconi (esclusi, ovviamente, quelli calcistici a Istanbul) da quando è al governo. Ospite all’assemblea della Confartigianato, il premier pensava di poter fare la solita sfilata: con battute, pacche sulle spalle e magari le simpatiche corna, tanto per fraternizzare. Ma quando Guerrini, leader degli artigiani, s’è messo ad elencare le promesse mancate e gli errori del governo, allora Berlusconi ha capito che la giornata si metteva male.
Poi quando Guerrini, che picchiava come un martello mentre qualche temerario gridava «vergogna» all’insegna del premier, ha accusato il governo di discriminare gli artigiani per non averli invitati all’incontro del 16 maggio con le parti sociali, allora il presidente del Consiglio non ce l’ha fatta più: s’è diretto verso il palco, come se fosse a Drive in, e ha iniziato lo show. Ma è stato uno spettacolo disastroso: ha inanellato una serie di gaffes che resteranno negli annali di Blob.
Ha mostrato agli artigiani il fax di convocazione del vertice a Palazzo Chigi del giorno prima, che uno zelante quanto impreciso collaboratore gli aveva procurato: ma non era questa la contestazione di Guerrini, era di un mese prima la clamorosa esclusione. Poi, mentre si dilungava nella solita litania («Io lavoro, lavoro, vado a lavorare anche per voi...»), inciampava un’altra volta citando, come predecessore di Guerrini, «il presidente Spallanzani» che, però, non è lui. Un errore. Due errori. L’abbandono rabbioso della sala. Segni evidenti del nervosismo di Berlusconi che non è abituato alle contestazioni pubbliche, tanto meno a quelle del mondo imprenditoriale che, fin dalle Assise di Parma dei tempi di D’Amato, gli tributava ovazioni imbarazzanti. Il premier è sensibilissimo alla sua immagine pubblica e non tollera nemmeno la sola idea che un fischio o un urlo possa turbare una sua apparizione. Tanto che un giovane contestatore apparso al palazzo di Giustizia di Milano è stato addirittura perseguito per aver inviato il premier a farsi processare.
I fischi e la contestazione degli artigiani, accanto alla pubblica delusione della Confindustria per la beffa dell’Irap, sono un segnale importante che dimostra il distacco crescente tra il presidente del Consiglio e l’opinione pubblica, il mondo imprenditoriale e del lavoro. Forse ha ragione Berlusconi quando, alla luce dei risultati del referendum, dice che i moderati sono la maggioranza nel Paese. Ma ci sono moderati, come gli artigiani, che non stanno più col governo.
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STAMPA 16-6
Corsivo
Aspirine scadute
di Massimo Gramellini
Chi ha votato Berlusconi premier, ma forse soprattutto chi non lo ha votato, era convinto che un uomo d'impresa abituato a prendere oltre cento decisioni al giorno (parole sue) avrebbe tentato di rivoltare l'Italia come un calzino. Agli uni sembrava una benedizione, agli altri un regime, ma che si sarebbe verificato erano in pochi a dubitarne.
Fra quei pochi Montanelli, che già negli Anni 50 descriveva l'Italia come un malato che invoca il grande chirurgo ma finisce sempre per affidarsi al medico condotto, quale secondo lui era stato persino Mussolini fra le due guerre, quando anziché impugnare il bisturi si era limitato a prescrivere le solite aspirine.
Ci inchiniamo al fiuto del grande Indro: anche Berlusconi ha governato con le aspirine, e pure scadute, come dimostra lo spettacolo avvilente di queste ore, con un governo che continua a coniugare al futuro i tagli di qualsiasi tassa, non tocca un solo interesse consolidato per paura di perdere le elezioni e non riesce a trovare una soluzione decente per la presidenza Rai e neppure a far lavorare i suoi parlamentari, costringendo i ministri a correre alla Camera per rimpinguare le pigre schiere della maggioranza. Sarebbe dunque questo il thatcherismo che ci era stato venduto in offerta speciale? Al confronto Rumor e Forlani erano decisionisti. Governare da democristiani è un lusso che non ci si può concedere in tempi di crisi. Tanto più se a comportarsi come tali non sono nemmeno i titolari del brevetto, ma qualcuno che ne fa goffamente le veci.
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CITAZIONE
Referendum – Risultato zero? Proprio no
Ci vuole proprio uno come Berlusconi per definirlo un trionfo moderato significativo. Ma culturalmente è stato prezioso. Ci ha dato pure un'idea più esatta dello stato del Paese, dei risultati di pressioni e ricatti reciproci, del comportamento di alcuni leader ai quali invano il presidente Ciampi raccomanderebbe di «tenere la schiena dritta», del peso del Vaticano negli affari pubblici d'Italia. Magari non sono informazioni rassicuranti: però, come sempre, meglio sapere che ignorare.
(Lietta Tornabuoni – Stampa 16-6)
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ESPRESSO on-line 16-6
Il burka di Berlusconi
I ministri leghisti sparano bengala che illuminano la strada delle fanterie poliste
Eugenio Scalfari
Ce la prendiamo spesso con la Lega, con Bossi, ma soprattutto con i suoi folkloristici rappresentanti nel governo, i ministri Castelli (Giustizia), Calderoli (Riforme), Maroni (Lavoro). L'accusa è sempre la stessa: ballisti, estremisti, irresponsabili, xenofobi o addirittura razzisti, provocatori, sfasciacarrozze. Di volta in volta applicata ai casi specifici che i suddetti leghisti suscitano a getto continuo. Vivono di questo. È il loro nutrimento, il loro modo di essere senza il quale scomparirebbero.
Questo modo di essere disturba, ovviamente, gli altri partiti del centro-destra, quello di Fini e quello di Follini. E anche qualche settore di Forza Italia. Ma non disturba affatto Berlusconi. Perché? Non disturba Tremonti, che anzi è stato 'affiliato' dalla Lega. Perché?
La difesa della Lega da parte di Berlusconi-Tremonti per queste sue scomposte e spesso triviali estemporaneità, è molto semplice: lo fanno per mantenere la presa sulla loro gente che altrimenti si disperderebbe. A quello che dicono e propongono non ci credono neppure loro, perché dunque dovremmo crederci noi e dargli peso? D'altra parte i loro voti sono necessari per vincere nel Lombardo-Veneto. Quindi rompere con loro non si può.

In realtà c'è dell'altro e lo si è sempre potuto verificare con i fatti. Le intemperanze della Lega altro non sono che la proiezione estrema e ammantata di folklore padano del Berlusconi-pensiero. La Lega le spara grosse, ma nella direzione in cui si muove l'azione politica del premier. La Lega funge da spericolata avanguardia; il grosso arriva subito dopo e l'avanguardia rientra nelle linee per ripartire su altri e più avanzati obiettivi. Questo doppio pedale di acceleratore e freno costituisce l'essenza della tattica berlusconiana e serve a coinvolgere gruppi sociali importanti nel Lombardo-Veneto e non soltanto.
La piccola e piccolissima impresa, una parte dell'artigianato, una parte del ceto medio impaurito dall'immigrazione e dalla globalizzazione. Oggi probabilmente la miscela Forza Italia-Lega non basta più a nascondere il fallimento e il disincanto dopo quattro anni di bugie e di annunci mai seguiti dai fatti. Ma senza quella miscela il tonfo elettorale berlusconiano sarebbe ancor più massiccio e irreversibile. La Lega è un tappo che serve a trattenere la crisi. E magari a superarne alcuni aspetti.
Nei giorni scorsi lo 'stop and go' tra Berlusconi e Lega ha raggiunto punte di sguaiataggine politica di rara radicalità. Ha cominciato il faceto Calderoli, col suo viso da pupone stupefatto di se stesso e di ciò che dice. C'è andato giù duro contro Ciampi (del resto non è la prima volta, è il suo bersaglio preferito) accusato non solo di aver voluto l'euro ma di aver lasciato in eredità, dopo il suo passaggio al Tesoro, una finanza pubblica in totale dissesto.
Di rincalzo a queste piacevolezze a ruota libera si è fatto luce Maroni, puntato su un obiettivo più specifico e più corposo: l'uscita dell'Italia dall'euro e la rinascita della lira, con tutto quello che di bello e di comodo (secondo Maroni) ne potrebbe conseguire: svalutazioni monetarie a sostegno degli esportatori, protezionismo, debito pubblico in aumento per sostenere imprese, micro-aziende, gruppi e clientele. Il tasso di cambio? Agganciamolo al dollaro. In fondo Bush è un amico a tutta prova.
Il ministro della Giustizia dal canto suo, non volendo esser da meno dei colleghi ma avendo trovato il terreno economico già sufficientemente sconvolto dalle bombe-carta dei due compari di governo, ha lanciato l'idea di far arrestare quelle donne musulmane che osassero andare in giro in Italia col volto coperto dal burka. Non c'è bisogno di una legge, ha spiegato Castelli; la legge c'è già e il reato da punire è già previsto dal codice che vieta di mascherarsi se non in occasione delle feste di Carnevale. Dunque non resta che istruire la polizia e procedere ai relativi fermi e alla successiva rieducazione di quei soggetti, anzi di quelle soggette.
Qualcuno ha fatto osservare al ministro che in Italia non vi sono donne che indossino il burka, abbigliamento usato soltanto in Afghanistan. Vi sono tutt'al più donne musulmane che indossano il velo egiziano. Ma a Castelli questi dettagli di realtà e di fattibilità non potrebbero interessare di meno. A lui bastava lanciare nell'oscura notte di perdita dei valori il razzo Bengala dell'anti-burka inteso come anti-Islam. E chi se ne frega se il collega dell'Interno non è d'accordo. Castelli è un buon seguace del celodurismo bossiano e lo dimostra.
Berlusconi-Tremonti, del problema burka o non burka non si occupano. Sul tema dell'anti-ciampismo il 'premier' ha aspettato ventiquattr'ore (di troppo) prima di farsi vivo con il Quirinale e far diffondere un comitato di solidarietà verso il capo dello Stato e una raccomandazione a tutti i membri del governo di astenersi da ogni critica nei confronti delle alte cariche istituzionali. Sull'euro semplicemente: il problema non è all'ordine del giorno. E sull'Europa? C'è molto da rivedere. "Noi ", ha ricordato il premier,"siamo da sempre contro l'eccessivo burocratismo e l'eccessiva regolamentazione della Commissione di Bruxelles. Lì c'è molto da rivedere e ne parleremo nei prossimi incontri del Consiglio dei ministri europei. Bisogna snellire l'Unione europea e accrescere, nei temi di rilievo economico e finanziario, l'autonomia degli Stati nazionali e soprattutto del mercato".
Tradotto in linguaggio comune: far saltare il patto di stabilità europeo, i parametri concordati a Maastricht, i poteri dell'antitrust affidata alla Commissione europea. Questa è la linea, nel marasma del 'liberi tutti' seguito ai referendum francese e olandese, che il nostro governo porterà avanti. I razzi Bengala dei leghisti sono così egregiamente serviti ad illuminare la strada delle fanterie berlusconiane.
Purtroppo è un po' che non si sente il leghista Borghezio ed è da qualche mese silente il Gentilini di Treviso: due personaggi da cabaret che erano due stelle nell'avanspettacolo leghista per dovizia di battute e originalità di sketch. Personalmente mi permetto di incitarli a calcare di nuovo le scene: in tempi tanto tristi c'è bisogno di clown che ci aiutino a 'passà a nuttata'.

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MEDITAZIONE - 16/6/05

STAMPA 16-6
EDITORIALE
Incapaci di decidere
di Mario Deaglio
Per un Paese come l’Italia, che non può far crescere il proprio deficit e deve ridurre il proprio debito pubblico, l’aritmetica fiscale è molto chiara: a ogni riduzione di imposta deve corrispondere un pari aumento di altre imposte, oppure un uguale taglio delle spese, oppure una combinazione di queste due manovre.
In altre parole, come amano ripetere gli economisti, nessun pasto, neppure quello fiscale, è gratis e il conto dei tagli fiscali alla fine qualcuno lo deve pagare; in caso contrario, non solo l’Italia violerebbe un trattato internazionale ma soprattutto la sua credibilità sul mercato finanziario mondiale subirebbe un colpo durissimo si dovrebbero sopportare tassi di interesse più elevati sul denaro preso a prestito, il che manderebbe in fumo anni di sforzi per il risanamento fiscale.
Sembra tutto chiarissimo. Eppure, all’interno del governo, questa chiarezza appare largamente carente; come chi al ristorante ordina senza badare a spese, molti si sono sbizzarriti a prospettare un menù di riduzioni fiscali - in particolare la riduzione dell’Irap, correttamente identificata come la via più efficace per sbloccare il motore inceppato dell’economia italiana - senza preoccuparsi del conto e di chi lo avrebbe pagato; e al momento in cui hanno tirato le somme, sono emersi i contrasti.
Il presidente del Consiglio, per motivi di scelta politica, ha bocciato l’idea di finanziare il taglio dell’Irap con l’aumento della tassazione sulle rendite finanziarie; una parte della maggioranza ha bocciato l’idea di finanziarlo mediante un aumento dell’Iva, timorosa che in questo modo a soffrirne sarebbero state le piccole imprese. Venuti meno questi due pilastri di una possibile manovra, è cominciata la litania della riduzione degli sprechi e dell’inefficienza, dei tagli alle «macchine blu», del recupero all’evasione fiscale che produce risultati incerti in tempi lunghi, Il ministro dell’Economia è rimasto pressoché solo a difendere le ragioni della coerenza contabile contro quelle di una politica miope.
Morale di questa triste storia: la riduzione dell'Irap, per la quale si erano convocate con una certa solennità le parti sociali, è rinviata ancora una volta. Come già per il contratto agli statali, il governo sembra paralizzato dai veti incrociati, o forse dall’incapacità di concepire una manovra finanziaria in tutte le sue parti invece che in singoli pezzi. Sembra di cogliere una doppia carenza: di aritmetica e di visione politica.
Questo slittamento è avvenuto nello stesso giorno in cui è slittata ancora una volta la nomina del presidente della Rai e il Parlamento è riuscito a nominare solo uno invece di due giudici della Corte Costituzionale, una vicenda che si trascina vergognosamente da troppo tempo. Un Paese in cui la politica perde la capacità di decidere ben difficilmente potrà avviarsi sulla strada del rilancio economico.

mercoledì, giugno 15, 2005

RESISTENZA - 15/6/05

E’ ALLA FRUTTA...
...E SE PROVA A GOVERNARE GLI VA BUCA
WWW.CENTOMOVIMENTI.COM 15-6
Il declino del Cavaliere
Berlusconi contestato dagli imprenditori
Solo quattro anni fa era "l'uomo dei miracoli", oggi Silvio Berlusconi è la causa principale di tutti i mali del Paese. E' il definitivo declino del presidente operaio più amato dal popolo delle partite Iva.
La fine dell'idillio tra il Cavaliere e gli imprenditori si è consumata durante l'assemblea della Confartigianato di questa mattina, solo pochi minuti dopo che il leader degli industriali Luca Cordero di Montezemolo si era lasciato andare all'ennesimo sfogo contro un Governo che non "mette le imprese tra le sue priorità".
Il leader della Casa delle Libertà, un tempo applaudito, oggi è stato duramente contestato. Il presidente della Confartigianato Giorgio Guerrini lo ha accusato di aver lasciato la sua categoria ai margini delle trattative con le parti sociali sull'Irap.
"Se volete collaborare, non dovete ribaltare la realtà - ha replicato il premier tra i fischi dell'Auditorium - se ribaltiamo la realtà non andiamo da nessuna parte. C'é sempre stata collaborazione con la vostra categoria. Ora vado a lavorare, anche per voi".
Puntualissimi e pungenti sono arrivati i commenti dei leader delle opposizioni. Il segretario dei Ds Piero Fassino ha trovato "francamente imbarazzante l'intervento del presidente del Consiglio che non ha mostrato alcuna sensibilità nei confronti del disagio degli artigiani".
"Un presidente del Consiglio che non riesce a dialogare nemmeno con la classe imprenditoriale dalla quale proviene (come dimostrano le critiche odierne di Confartigianato e di Confindustria), è la chiara dimostrazione che egli e il suo Governo sono distanti dai bisogni reali del Paese - gli ha fatto eco il leader di Italia dei Valori Antonio Di Pietro - l'assoluta mancanza di una politica economica seria ed efficace obbligherebbe questo governo a rassegnare le proprie dimissioni al più presto".
"E' un'ulteriore occasione perduta". Questo il duro commento del presidente della Confindustria Luca Cordero di Montezemolo alla notizia che il Governo Berlusconi, rimangiandosi gli impegni presi, taglierà l'Irap in tre anni e solo a partire dal 2006.
"E' un'ulteriore dimostrazione - ha affermato non nascondendo la propria delusione - che la competitività del sistema delle imprese, che sono la colonna portante del Paese, e la competitività dell'economia in momenti così negativi non sono priorità del Governo".
Molto deluso anche il presidente della Confcommercio Sergio Billé, secondo il quale "dal baco dell'Irap è uscita solo una farfallina".
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LIBERAZIONE 15-6
Prove tecniche di governo
Irap, Berlusconi bocciato due volte
Non è piaciuta a nessuno l'ipotesi del governo sulla riforma dell'Irap: tagli di 1.700 milioni di euro per 2005, ai quali se ne aggiungeranno entro il 2007 altri 5. Il problema riguarda la copertura finanziaria per sostituire questa imposta dichiarata moritura dalla corte di giustizia europea. Il piano elaborato da Berlusconi e Siniscalco prevede 3.500 milioni di tagli alla spesa pubblica, 3.500 milioni dalla lotta all'evasione fiscale e altri 3mila milioni da maggiori entrate. Questo è quanto hanno presentato ieri prima agli enti locali (l'Irap infatti è una tassa regionale) e poi alle parti sociali. I presidenti di Regione e di Provincia si sono detti «sospettosi», data la poca chiarezza delle intenzioni dell'esecutivo: «Non c'è stata chiarita quale sarà la copertura e questo elemento è molto preoccupante» ha commentato Vasco Errani, presidente della conferenza delle Regioni, a sintetizzare una posizione comune di tutti gli amministratori locali. Più o meno lo stesso commento che hanno riservato i sindacati nel corso del loro incontro. Cgil, Cisl e Uil hanno espresso la loro preoccupazione per le ricadute del provvedimento sui lavoratori: «L'unica copertura è l'aumento dell'Iva e quindi un'ulteriore penalizzazione dei consumi dei lavoratori dipendenti e dei pensionati. Si tratta di un provvedimento che peggiorerà i conti pubblici e non aiuterà la crescita» ha detto Marigia Maulucci, Cgil, mentre Savino Pezzotta si è detto «rammaricato per la genericità del confronto»; Luigi Angeletti infine ha definito il decreto «incomprensibile» e ha proposto di trovare le risorse dalla lotta all'evasione fiscale «che l'Italia non può più permettersi». Forti critiche anche da banche, assicurazioni e consumatori.