lunedì, dicembre 29, 2003

CORSERA 28-12

La stagione dei consolatori

Silvio Berlusconi, chi lo avrebbe detto, è presidente del Consiglio

di ENZO BIAGI

Tanti auguri, brava gente. Se è possibile, di giorni sereni. «Felicità» mi sembra una parola da canzonette: «Sei tu chimera, felicità», dice la romanza di una operetta. È la stagione dei così detti «grandi comunicatori» che di solito raccontano balle. «Meno tasse» era lo slogan di una recente campagna propagandistica. Infatti. Poi, la colpa è della situazione internazionale che non permette la falcidia delle imposte. Ma non lamentiamoci: ogni Paese, del resto, ha il governo che si merita, ma bisogna dire ai ragazzi che Putin non era solo un comunista, ma addirittura del Kgb. E forse è ridicolo battersi contro il comunismo, una dottrina e un sistema falliti; mi vengono in mente i versi di un poeta satirico: «Così colui, del colpo non accorto / andava combattendo ed era morto».

Se c’è qualcuno che ha qualcosa di serio e di importante da proporre, si faccia avanti: e per fortuna al Quirinale c’è Ciampi, un grande galantuomo che non concepisce la politica senza la morale. Mi auguro che tenga un diario.

Silvio Berlusconi, chi lo avrebbe detto, è presidente del Consiglio, democraticamente eletto. Non ho nulla da offrirgli e niente da chiedergli. No, solo un piccolo favore: chieda al ministro Tremonti, non dico che provi a sorridere, ma che la smetta di assumere quell’aria da preside: non abbiamo fatto nulla di male né scritto parolacce sulla lavagna.

«Allegria», direbbe Mike Bongiorno, il consolatore, che è un po’ come gettare coriandoli a un funerale. Non è, come crede qualcuno, che la gente non voglia spendere: non ha soldi, non è dispettosa. Speriamo in bene e consoliamoci con quella breve poesia di Trilussa che insegnavo alle mie bambine: «C’è un’ape che si posa / su un bocciolo di rosa: / lo succhia e se ne va. / Tutto sommato la felicità / è una piccola cosa».

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L’UNITA’ on-line 28-12

La pappa mediatica

Berlusconi è un maleducato da marciapiedi che possiede il governo e firma, da presidente, una legge per se stesso imprenditore

di Furio Colombo

Quando la Fiat è stata pronta con la nuova Panda, aveva anche un nuovo nome. Si chiamava Gingo. Ma quel nome assomigliava troppo al nome di una automobile francese già sul mercato da alcuni anni, la Twingo della Renault. Un universo di storia e di immagine separa le due aziende e i rispettivi mercati. Chi avrebbe mai confuso, in Europa, una Fiat con una Renault? L’azienda francese è stata irremovibile, ha minacciato causa e danni. Neppure un dettaglio, ha sostenuto, deve confondere i consumatori.

E gli elettori? Ho visto al Tg1 una delle innumerevoli trasmissioni a sostegno del libro di Bruno Vespa. Fausto Bertinotti parlava di fronte alla gigantografia della copertina di quel libro, con quel nome alle spalle. Mi sono chiesto che cosa avranno visto e capito i cittadini da lontano, gli stessi cittadini che, a milioni, sono guidati con fermezza implacabile a passare davanti a frasi brevissime, contraddittorie e smozzicate dei leader dell’opposizione, per poi essere condotti davanti a Bondi, Cicchitto o Schifani, in modo da sentirsi spiegare come stanno veramente le cose.

Credo di poter rispondere: vedono e ascoltano una pappa mediatica. In essa si agitano ombre, non importa quanto nobili o sdegnate. Esse sono condotte, in entrata e in uscita di ogni programma diciamo così politico, da un Caronte che provvede a definire il tema, provvede a dare a quel tema una cornice chiara, elementare. Nessuno sarà in grado di dire se è falsa, perché mentre ti intervistano non sai quale frase sarà usata, e come sarà montata, e mentre partecipi al cosidetto talk show, tutta la sorpresa, le svolte, gli ingressi e le uscite dagli argomenti sono nelle mani di chi conduce.

Esemplare è la conferenza stampa di Natale del presidente del Consiglio. La definizione affettuosa (conferenza stampa di Natale) non ha niente a che fare con la maleducazione con cui quella conferenza stampa è stata condotta dal premier italiano, un tono che nessuna opinione pubblica, nessun corpo di giornalisti, in nessun Paese libero, avrebbe accettato. Non sarebbe stato permesso al capo di un governo democratico di occupare uno spazio senza limiti nella rete tv che mette in onda il programma. Non gli sarebbe stato permesso di cancellare il telegiornale. Poca perdita, direte voi, visto che il telegiornale cancellato, il Tg1, esiste solo per ripetere con slancio fondamentalista le parole di Berlusconi e dei suoi profeti. Ma persino in queste condizioni il Tg1 è stato umiliato.

Un conto è servire, un conto è vedere davanti a tutti che io di te posso fare quello che voglio, quando voglio e come voglio. C’è stato, come molti ricorderanno, l’episodio in cui il presidente del Consiglio, invece di rispondere alla domanda della giornalista dell’Unità, Marcella Ciarnelli, («Presidente non prova imbarazzo a firmare, da presidente, un decreto per salvare una azienda che le appartiene come imprenditore?») ha detto, con una ritorsione da litigata di strada: «E lei non prova imbarazzo a scrivere su un giornale come l’Unità?»

Sono in tanti a sapere, anche fra i giornalisti professionisti che erano presenti nella sala stampa, che la risposta di Berlusconi è particolarmente grave. Non solo perché la normale maleducazione dei marciapiedi e dei litigi condominiali non è permessa quando si guida il governo di un Paese libero. Ma perché l’effetto di intimidazione, che ha pesantemente a che fare con la libertà, è stato il risultato più evidente di un simile modo di comportarsi da parte di un potente, due volte potente: possiede tutto e possiede il governo che usa senza controllo, come si vede nella questione citata dalla nostra giornalista: firma, da presidente, una legge per se stesso imprenditore.

Gli effetti dell’intimidazione si sono visti subito. Non un solo giornalista professionista italiano presente nella sala stampa di Palazzo Chigi quel giorno, ha ritenuto prudente riproporre una seconda volta quella stessa legittima domanda. Soltanto Lorenzo Del Boca (presidente dell’Ordine dei Giornalisti) più tardi, ha fatto notare il tono «improprio» del presidente del Consiglio. Viene in mente il giudizio molto grave che la Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione Europea (Osce) ha dato della Russia di Putin dopo che 500 osservatori avevano analizzato lo stato delle informazioni in quel Paese durante le ultime elezioni: «La situazione appare fondamentalmente distorta in favore di alcuni partiti e candidati, a causa dell’abuso di risorse durante la campagna elettorale, e sopratutto per la copertura preferenziale accordata dai media ai sostenitori di Putin».

Pesa dunque su di noi una profonda distorsione che riguarda tutto ciò che vediamo, tutto ciò che sappiamo e persino la percezione dei fatti quotidiani. Non sappiamo più quale rapporto stabilire fra ciò che dice la stampa e la televisione del mondo a proposito del nostro capo del governo e del nostro Paese, e ciò che viene detto ufficialmente, pomposamente, con continua autocelebrazione, all’interno dei nostri confini. La trovata di accusare le poche voci libere di inclinazioni delinquenziali e di tendenze omicide, per punire il mancato omaggio al padrone, funziona a causa del silenzio degli altri. Funziona perché chi è presente e potrebbe interloquire non lo fa, coloro a cui toccherebbe rispondere evitano, anche se sono presenti all’insulto, forse temendo di essere essi stessi inclusi nella lista nera mediatica.

Funziona anche il coraggio dell’insulto diretto, un tratto aggressivo e squadristico che si sta diffondendo e si verifica «a scambio»: una volta sono il presidente del Consiglio e i suoi associati ad insultare chi si oppone, e i suoi giornali riprendono e ripetono gli insulti mentre tutti gli altri tacciono. Altre volte sono i giornali e i settimanali di proprietà del presidente del Consiglio che provvedono a lanciare l’insulto o l’invettiva che viene prontamente raccolta da Berlusconi e dai suoi. Certe volte si realizza una simbiosi totale, come quando il presidente del Consiglio annuncia di avere subito 37 minacce di morte a causa dei titoli dell’Unità, e lo fa dalle pagine di un libro di Bruno Vespa, lo stesso conduttore televisivo che ha lanciato e permesso che si lanciassero le stesse accuse con le stesse parole contro questo giornale, nel suo studio e nella sua trasmissione. E poi ripete le stesse accuse dalle pagine del suo libro che - negli stessi giorni - viene presentato da molti esponenti della opposizione. Si intende che dal punto di vista di un analista politico presentare un libro non vuol dire condividerlo. Ma che cosa vedono, da lontano, tutti i cittadini, ovvero gli elettori dei prossimi mesi? Vedono che le persone che partecipano alla trasmissione «Porta a Porta» sono le stesse che si impegnano con la loro presenza a garantire il libro di Vespa che contiene, come abbiamo detto, le non irrilevanti accuse di Berlusconi-Vespa contro chi fa opposizione. È molto difficile che ciascuno di essi possa realizzare un «distinguo» politico fra Berlusconi, le sue accuse, Bruno Vespa, le sue accuse identiche a quelle di Berlusconi, i partecipanti di «Porta a Porta» che sono anche i presentatori del libro e che sembrano in tal modo parte di un unico mondo. Non è certo l’intenzione, ma è il risultato. Insomma, come abbiamo già detto, la pappa mediatica.

Tutto ciò presume che nessuno si ribellerà. E infatti nessuno si ribella. Si va a «Porta a Porta» attenti a stare al proprio posto, in un ruolo e in un ambito che è già stato disegnato, nel quale l’impostazione iniziale e la conclusione finale non possono variare in alcun modo, perché rispondono a uno schema ben controllato. Il sistema non è privo di abilità: è fatto in modo che non si possa distinguere esattamente chi è chi, perché il gioco consiste nel sottostare, nel senso del tono, dei modi, dei tempi, alla scaletta rigorosamente prefabbricata. Per esempio, entra il senatore Angius e subito gli viene chiesto, con la dovuta brutalità, che cosa intende fare, lui, di sinistra, per salvare i mille posti di lavoro di Rete4 che il rinvio alle Camere della legge Gasparri, da parte del presidente della Repubblica, «mette in pericolo».

Il problema non è la fermezza della risposta di Angius. Il problema è che è già scattato il trucco: non si parla del clamoroso conflitto di interessi, non si parla della grave incostituzionalità della legge Gasparri, e dei rilievi precisi mossi dal presidente della Repubblica. Non c’è modo di precisare che la materia è già stata decisa dalla Corte Costituzionale, che le frequenze di Rete4 sono già state assegnate a un’altra televisione (Europa 7, ora ingiustamente esclusa) in grado di assumere tutti coloro che restassero fuori. Manca l’occasione per chiarire che il favolistico nesso fra Rete4 e Rai3 non esiste, perché su Rai3 la Corte Costituzionale non ha prescritto nulla e perciò il richiamo del presidente della Repubblica all’osservanza di quella sentenza riguarda Rete4 e non Rai3, che non corre alcun rischio. È tutto inutile. Una nube di confusione (l’Osce direbbe: «distorsione») pesa irreversibilmente sulla informazione italiana e impedisce al più volenteroso partecipante di chiarire. Impedisce al pubblico di sapere. La macchina è truccata.

Il risultato, dal punto di vista degli elettori liberi e non soggetti al dominio congiunto di Berlusconi, Mediaset, Forza Italia e dei collaboratori volontari che ragionevolmente sperano in un vantaggio per il solo fatto di stare dalla parte giusta, è la pappa mediatica.

Funziona così. Il presidente-padrone parla quando vuole, come vuole, ora minaccia, ora fa ridere, ma non c’è alcuna forma di riscontro critico, alcuna nota o osservazione o obiezione dei disciplinati giornalisti al seguito. Agli oppositori viene detto, subito e comunque, che devono abbassare i toni, perché sono essi la causa del disordine. Ogni espressione critica viene definita «odio» (si vedano le lettere di Bruno Vespa a questo giornale) in modo da suggerire che ogni dissenso è delitto. Ogni intervento che denoti indipendenza e libertà viene bollato come un incoraggiamento al terrorismo. Nei talk show tutti diventano ragionevolmente prudenti perché vengono spinti in un cunicolo prefabbricato di domande rigorosamente angolate sul punto di vista del presidente del Consiglio e di chi lo sostiene, in modo che risulta possibile fare obiezioni qua e là nei dettagli, ma è impossibile offrire ai milioni di spettatori una idea diversa sul modo in cui stanno le cose.

È vera, è fondata l’obiezione di chi rappresenta l’opposizione: se non ti presenti con loro chi ti vede, dove, quando? Ma per quanto fondata, la domanda nasconde un equivoco. L’equivoco è che vi sia qualcosa di istituzionale (come presentarsi alla Camera o al Senato) nel comparire insieme in televisione. È vero che non si può scomparire nel silenzio. Ma è altrettanto vero che alcune trasmissioni hanno talmente degradato il livello della comunicazione democratica, lo hanno talmente manomesso, che sarebbe bene, per la tutela del proprio nome, del proprio legame con gli elettori, non farsi vedere in quei programmi tv.

Che cosa ci fa un importante leader politico da cui tanti cittadini sperano di essere guidati fuori da questo momento disonesto e confuso, fallimentare e pericoloso, che cosa ci fa insieme con un tale che usa tutte le trasmissioni della televisione e della radio pubblica (tutte) e fa girare nelle librerie tutti gli ospiti, per quanto illustri, delle sue trasmissioni, al solo scopo di vendere più copie del suo libro, lucrando quindi sulle presenze che riesce a ottenere in studio e a trasferire in libreria, e dalla libreria ai telegiornali quotidiani che prontamente trasmettono tutto anche varie volte al giorno?

Che cosa dirà questo leader agli editori che non sono gli editori del celebre libro, agli autori che non sono il manipolatore televisivo di cui stiamo parlando, quando chiederanno conto di quella pesante, diffusa, visibilissima concorrenza sleale? Perché si dovrebbe diventare soci della sua impresa, che, come tutte quelle che gravitano intorno a Berlusconi, si fonda su interessi privati? Noi non sappiamo se e quali modi avrebbero avuto i leader politici russi che sono stati così aspramente battuti dagli uomini di Putin nelle ultime elezioni di quel Paese, per sottrarsi alla «grave distorsione» di cui parla l’Osce e per ridurre il danno.

Sappiamo, però, che in Italia esistono ancora aree televisive di dignità e di decenza dove non è dannoso alla propria immagine presentarsi e dove è possibile dire in modo chiaro e completo le cose che si desidera dire, sapendo con esattezza, fin dal principio, chi partecipa in studio, chi su grande schermo, e senza subire il «mobbing» congiunto del cosidetto moderatore unito agli uomini di casa Berlusconi. Sappiamo inoltre che ci sono, e ci sono state, punizioni e licenziamenti che hanno gravemente sfigurato la credibilità della Rai. Un modo per dire che non si è insensibili alla eliminazione di Biagi, Santoro, Luttazzi, Guzzanti è anche di sottrarsi alla trasmissione più direttamente legata al proprietario delle comunicazioni italiane, l’uomo che ha emesso il famoso editto di Sofia. Si tratta di evitare il luogo in cui si è compiuto quel losco scherzo noto come «il contratto con gli italiani». Si tratta di evitare lo studio (unico nel mondo democratico) in cui lui, Berlusconi, si presenta da solo, esaltato e celebrato, senza interlocutori, senza domande, senza contraddittorio, come ha dimostrato, in un articolo di denuncia che ha fatto il giro del mondo, il “Financial Times” del 28 giugno 2003.

Se questa argomentazione fosse infondata, perché credete che si stiano impegnando con tanta bizzosa tenacia per abolire la «par condicio», ovvero l’occasione di avere una modesta striscia di trasmissioni in cui vi è parità di tempi, in cui non ci sono confusioni, in cui si deve per forza incontrare l’avversario e non si possono inviare cassette prefabbricate, in cui si può ascoltare l’intera storia di una parte e dell’altra, per capire qual’è la posta in gioco?

Loro sono contro la «par condicio» perché sono gli inventori della pappa mediatica in cui ognuno diventa uno come loro, un pezzo del loro gioco. È una buona ragione per dire «no, grazie».

MEDITAZIONE

WWW.INMOVIMENTO.IT 28-12

Finanza o economia?

La più straordinaria allucinazione collettiva sta nella presunta imprenditorialità di Silvio Berlusconi

di Wind

Più volte si è sottolineato come questo governo e la sua maggioranza usi le norme, soprattutto quelle costituzionali e quelle dei regolamenti parlamentari, per esprimere in modo sempre più evidente l'insofferenza alle regole della democrazia e l'inclinazione verso una filosofia aziendalista, incompatibile con l'amministrazione della cosa pubblica.

Ha ragione Jacopo Fo quando afferma: “Pochi si rendono conto che invece quando la sinistra governava non poteva fare quello che voleva... Anzi non riusciva a concludere quasi niente. Perchè? La risposta è elementare per chi abbia un minimo di concezione materialistica della storia: il Parlamento detiene il potere formale ma deve tenere conto di quel che pensa chi ha il potere economico nel paese.“

Ed infatti i Calvi, i Gardini, i Cragnotti, i Tanzi , i BERLUSCONI , i Furbi, rappresentano o no una bella fetta del mondo economico italiano? Se le cose stanno così, l'Italia è già deputata a capitolare in un sistema centroamericano, una svolta Argentina, ricatto scritto fra le righe del provvedimento varato dal Consiglio dei ministri a favore delle aziende in crisi.

Io invece sono dell'opinione che non è proprio così.

Quelle famiglie, assieme ad altre, costituiscono il mercato finanziario slegato dal mondo della produzione, infiltrato nel tessuto economico con effetto lacerante, presenza costante e dannosa di un parassita tutto nostrano, sistemico solo nella economia capitalista italiana.

E' la parte malata del sistema che sottrae risorse alla produzione ed alla ricchezza del Paese; quella che crea plusvalore fittizio quando va bene e crack finanziari quando le cose arrivano allo snodo finanza/produzione.

Quando cioè l'economia reale chiede il conto.

Ma in quel momento è ormai tardi per recuperare la ricchezza dissipata dai pochi e sudata per anni da tutti i lavoratori della filiera produttiva, dell'indotto industriale, compreso aziende e professionisti seri.

Tutti gabbati dal furbo di turno.

Lo Stato interviene come fa un mago che riesce a dividere le cose contro natura. Finanza ed economia sono una figlia dell'altra.

Se si scopre solo oggi che la prima è gravemente malata, d'una malattia conclamata da anni tra la popolazione delle aziende italiane, bisogna almeno avere il pudore d'una dichiarazione del fallimento di quelle regole che avrebbero dovuto garantire il sacrosanto sudore della gente che lavora ed impedire lo sciacallaggio a danno di tutta l'economia sana.

Ma quel male potrebbe considerarsi "sistemico", nel senso che una certa visione del mondo e degli affari, ritrovata in quel che non si tiene ben fermo tra finanza e produzione, il fulcro e la ragione profonda d'una scellerata idea di libertà.

Quella stessa funzione della libertà al fondo di questo governo ma soprattutto radice d’ogni pensiero di Berlusconi.

Una libertà a dir poco primitiva, fondata su di una sola norma generale: le regole vanno scritte di volta in volta, causa e conseguenza dei problemi da risolvere.

La norma spogliata d’ogni valore “preventivamente” condiviso da una comunità, lontana d’ogni principio etico a garanzia della intima legittimità che sente ogni individuo quale limite alla voracità animalesca.

Una siffatta norma è l’antitesi d’uno stato di diritto, rappresenta l’antistato, incompatibile con le moderne democrazie.

Un popolo guidato e governato dalla filosofia di tutti contro tutti, è destinato a cancellare la storia centenaria di conquista del senso dello stato, da Hobbes in poi, fino a calpestare la Costituzione italiana.

Pretendere di amministrare una comunità civile di donne ed uomini, così come si conduce un’azienda, non solo è sbagliato sotto il profilo etico e metodologico ma è di per sé incompatibile con lo spirito, le norme ed il dettato della Costituzione italiana.

In USA, che a dire di “Lor Signori” sembra il paese più libero e democratico mai esistito, quel buco nero speculativo finanza /produzione/economia reale, è corposamente transennato da norme severissime e repressive.

Una concreta manifestazione di quanto il sistema capitalista serio sia, per un verso fondamentalista; per un altro, garante della libera concorrenza tra aziende e fra cittadini in un sistema complesso di competizioni. Infatti in USA la falsificazione di documenti e bilanci allo scopo di trarne profitto danneggiando i terzi, è punita con pene severissime, alla stregua di un omicidio con delle buone attenuanti. Insomma la pena è di 20 anni di galera.

Ma si sa, le regole statunitensi avrebbero reso semplicemente impossibile la competizione politica per Berlusconi, grazie ad un sistema che censura sin sul nascere il conflitto di interessi tra politica ed economia. Quindi appare oltremodo superfluo il raffronto americano.

Qui da noi invece accade di tutto. Proprio mentre la competizione si fa dura, anche a causa d’una generale recessione economica, i furbi vengono premiati e stimolati a far meglio, nei modi più vari: dalla depenalizzazione del falso in bilancio, al condono fiscale (reiterato!), al condono edilizio.

Allora c'è da chiedersi se questa Italia sta diventando il luogo della eccezione capitalista, del permissivismo dei potenti, dei revisionismi storici di maniera (a destra quanto a sinistra), delle regole su misura per chi governa, dell’economia impazzita fra libertà animalesche primordiali e protezionismi patriarcali su misura; tra concorrenza malata ed assistenzialismo ad personam.

C’è da chiedersi quanto il sistema economico italiano spende in più di pubblicità, in virtù d’un regime della comunicazione molto prossimo al monopolio.

Quindi, questa “azienda Italia”, come piace chiamare lo Stato a Lor Signori, laddove spende e spande in finanza malata ed in rendite finanziarie improduttive, necessita d’un conseguente congruo recupero sul versante dei salari, delle pensioni, della ricerca scientifica, della sanità, dei trasporti; laddove si allarga nel paternalismo protettivo a favore di pochi, si contrae sul terreno dei diritti sociali, delle protezioni delle categorie deboli e paga ogni maltolto al popolo cattolico in tema di diritti sociali, con la moneta dell’etica religiosa (ad esempio, fecondazione assistita) così che tutto resta in un eterno equilibrio circense.

Ma il più luccicante, effervescente effetto visivo, la più straordinaria allucinazione collettiva sta nella presunta imprenditorialità di Silvio Berlusconi.

Ed infatti la confusione che regna nell’immaginario collettivo tra finanza ed economia reale è la stessa che offusca il limite tra l’idea d’un buon imprenditore e quella d’uno speculatore.

Il primo investe e reinveste nella propria azienda, crea ricchezza per sé e per il mercato e posti di lavoro; l’altro compra e vende aziende alla stregua d’una qualsiasi merce, senza alcuna considerazione verso le persone coinvolte, verso il mercato né verso alcun’altro elemento che non sia la somma algebrica tra il costo d’acquisto ed il prezzo di vendita.

In questo quadro è oltremodo urgente tornare a sottolineare le diverse e rispettive autonomie tra Stato ed aziende.

Gli imprenditori seri e capaci si confrontino con il mercato, nel rispetto delle regole generali e dei diritti dei lavoratori.

Competere con la Cina, ad esempio, non può significare abbassare il costo della tutela sociale in Italia ed in Europa, ma l’esatto contrario: contribuire a dare diritti e tutele ai lavoratori cinesi!

Lo Stato, invece, torni a produrre ed a far rispettare regole e norme che garantiscano la competizione fra le aziende sane, i diritti sociali inalienabili, tutele per le soggettività più deboli.

Per far questo è necessario investire nella giustizia, nella cultura, nella ricerca scientifica e nella sanità.

Possibile che il mondo della politica tradizionale non riesca a trovare un accordo e ad indicare un programma comune su queste poche cose?
L’UNITA’ on-line 27-12

BANNER

«Berlusconi considera carta straccia le promesse elettorali e manifesta un’allarmante mancanza di rispetto per le istituzioni; utilizza la carica che ricopre solo per i propri scopi e perverte il connubio tra capitalismo e democrazia. Un simile conflitto di interessi risulterebbe surreale in qualunque altro Paese europeo»

(El Pais, editoriale del 26 dicembre)

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REPUBBLICA on-line 27-12

CARTA CANTA

di Marco Travaglio

Dedicato a Gasparri/1

''Bisognerebbe far scattare la legge per il ricostituito Partito Fascista. Questi (di Forza Italia) sono quella cosa lì. E si può dimostrare facilmente. Al loro interno non hanno nessun meccanismo elettivo. Questo partito è messo in piedi da una banda di dieci persone che lo controllano nascosti dietro paraventi, non rispettano le regole della Costituzione, chiamano golpista il presidente della Repubblica, svuotano di potere il Parlamento e vogliono fare un esecutivo senza nessun controllo superiore. Inoltre usano le televisioni, che sono strumenti politici messi insieme da Berlusconi quando era nella P2, secondo il progetto Gelli: dove il Paese dal punto di vista politico doveva essere costituito da uno schieramento destra contro sinistra dopo la rottura del meccanismo consociativo che faceva da ammortizzatore. Hanno usato le televisioni come un randello per fare e disfare. Si tratta di una banda antidemocratica su cui è bene che ci sia qualche magistrato che indaghi se viene commesso il reato diricostituzione del partito fascista''.

(Umberto Bossi, Ansa, 19 gennaio 1995).

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Dedicato a Gasparri/2

''Richiamo le istituzioni a verificare se nei confronti della Fininvest non esistano gli estremi per configurare in quelle televisioni lo strumento per la ricostituzione del Partito Fascista. Se così fosse, si proceda ad oscurare quelle televisioni''

(Umberto Bossi al congresso della Lega Nord, Ansa, 12 febbraio 1995).

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MESSAGGERO 27-12

«Pensano di aggirare il Colle? Li fermerà la Corte»

A parte l’avanspettacolo, il provvedimento porta la firma di Berlusconi, altro che

di NINO BERTOLONI MELI

ROMA «Quindici mesi per la legge Gasparri, quindici minuti per il decreto a favore di Rete 4». Così Paolo Gentiloni, l’esperto di comunicazioni della Margherita nonché braccio destro di Rutelli, bolla il decreto di Natale che ha ”salvato” Fede dal satellite e Rai 3 dal prosciugamento della pubblicità.

Ma, onorevole Gentiloni, al momento del varo del decreto Berlusconi è uscito dalla sala dei ministri.

«Quello fa parte dell’avanspettacolo. Il provvedimento porta la firma di Berlusconi, altro che. Mai il conflitto di interessi è emerso in maniera così esplicita, lampante. Ci sono voluti solo quindici minuti per approvare un decreto per non far perdere miliardi al premier in quanto proprietario di Mediaset».

Il premier perderebbe miliardi?

«E’ stato lo stesso Berlusconi in conferenza stampa a spiegare che senza quel decreto le sue aziende avrebbero perso 488 miliardi di vecchie lire».

Vuol dire in sostanza che Berlusconi è uscito dalla stanza ma i miliardi sono rientrati dalla finestra?

«Proprio così. Non a caso è stato ribattezzato ”il decreto Berlusconi per Berlusconi”. Ma voglio sottolineare una cosa: tutta questa operazione sarebbe stata impossibile se per caso e per avventura nel frattempo fosse stata approvata quella legge che prende il nome da Frattini e riguarda il conflitto di interessi».

Strano questo suo elogio della proposta Frattini: per caso la votereste, questa legge?

«Ovvio che no. Sto facendo un ragionamento per paradossi. Intendo dire che l’enormità del conflitto d’interessi è talmente eclatante in questo caso, che finanche una proposta foglia di fico come quella di Frattini sarebbe entrata in conflitto. Dico di più. Per la sua approvazione mancano solo un voto tecnico sulla copertura finanziaria e il voto finale: in tutto tre ore. Perché dal 22 luglio non si sono trovate queste tre ore?».

Lo dica lei.

«Perfino questa legge senza denti avrebbe messo nelle mani dell’Antitrust di Tesauro un’arma letale contro Berlusconi. Per tutto questo, penso che finiranno per approvarla, se lo faranno, solo quando sarà risolto il problema di Rete 4».

In Parlamento adesso ci sono la legge Gasparri ”riformata” da Ciampi e il decreto Berlusconi-Gasparri: che succederà?

«Semplice: l’anno nuovo si apre all’insegna di un Parlamento monopolizzato dalla controriforma tv. La partita vera si giocherà sulla legge».

Una partita in cui l’opposizione pensa di esercitare un qualche ruolo?

«Vedremo se nella maggioranza c’è chi è pronto ad accogliere sul serio le modifiche proposte da Ciampi oppure se, come temo, vincerà la linea del ”passata la festa, gabbato il Presidente”. Dietro i tanti ossequi formali, infatti, non ho ancora visto impegni seri di modifica tranne che nelle parole di Follini e Tabacci».

Quali sarebbero queste famose modifiche?

«Sono tre. Primo: tornare alla legge precedente sugli affollamenti pubblicitari, le telepromozioni non possono essere un regalo aggiuntivo a Mediaset a danno della carta stampata. Secondo: ridurre l’oceano del Sic a qualcosa che assomigli al mercato rilevante per le tlc. Terzo: indicare una data certa per la fine delle varie proroghe che hanno finora impedito di attuare una decisione, la migrazione sul satellite di Rete 4».

E se nella maggioranza dovessero prevalere le posizioni dei Follini e dei Tabacci?

«Ci sarebbero allora le basi per un confronto serio i cui confini non vanno inventati: sono le modifiche proposte da Ciampi».

Ma lei non ci crede tanto, vero?

«Visto com’è andata finora... Se nella maggioranza prevarranno i falchi, come temo, a quel punto noi faremo il più intransigente degli ostruzionismi, consci che la maggioranza ha ripreso una folle corsa contro un muro».

Ma Ciampi una seconda volta quel provvedimento lo dovrà comunque firmare, no?

«Il muro in questo caso sarebbe la Corte costituzionale che, con alle spalle le sue ultime cinque sentenze in materia e i due messaggi del capo dello Stato, stroncherebbe senza appello una Gasparri bis senza modifiche vere e serie».

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L’UNITA’ on-line 27-12

Salva la rete, non la Costituzione

La vicenda tragicomica della sedia vuota

di Roberto Zaccaria

Il 24 dicembre il presidente Ciampi ha firmato il decreto legge «salva Rete4» e non poteva fare diversamente. Il rifiuto di promulgazione adottato nei giorni precedenti rispetto al Ddl Gasparri e soprattutto il contenuto estremamente ampio e rigoroso dei rilievi contenuti nel messaggio inviato alle Camere rendevano praticamente (anche se non teoricamente) obbligata questa soluzione. Sarebbe bastato, come in effetti è bastato, un minimo di contenuto prescrittivo collegato ai rilievi presidenziali per rendere questa soluzione inevitabile. Del resto il presidente aveva già compiuto un atto di grande rilievo costituzionale con il rinvio alle Camere di una legge «blindata» come la Gasparri e ben difficilmente, dati anche i precedenti in materia, avrebbe potuto prolungare il braccio di ferro con il governo, senza rischiare palesemente uno scontro istituzionale.

La firma del presidente della Repubblica sul decreto legge natalizio «salva Rete4» non significa peraltro, come è stato ripetuto molte volte, anche in altre situazioni, un certificato di costituzionalità di questo provvedimento.

Significa soltanto che non c’erano gli estremi per un intervento limite del Capo dello Stato.

I dubbi e i rilievi espressi nei giorni scorsi da più parti, anche a livello costituzionale, rimangono intatti. Innanzitutto dovranno essere verificate le «circostanze straordinarie di necessità e di urgenza che ne giustificano l’adozione» secondo quanto prescrive l’art. 15 della legge 23 agosto 1988 n.400 in applicazione dell’art. 77 della Costituzione.

Questo giudizio dovrà essere compiuto prima di tutto dalle due Camere ed eventualmente anche dalla Corte costituzionale ove chiamata a decidere e non potrà dipendere da un semplice ritardo «accumulato» dal legislatore. Non dimentichiamo infatti che già nel novembre de 2002 la Corte costituzionale aveva dichiarato che il termine ultimo per applicare le misure deconcentrative avrebbe dovuto essere quello del 31 dicembre 2003. Quindi ci dovrà essere una giustificazione specifica ed ulteriore che renda plausibile questo «slittamento» di ulteriori quattro mesi.

C’è poi la questione del conflitto d’interessi: il «monumento» al conflitto di interessi, come è stato detto efficacemente. Il fatto che il Ddl Frattini sia stato spostato ancora una volta nell’agenda parlamentare, per evitare l’imbarazzo di un contrasto con le sue pur deboli prescrizioni, è naturalmente grave perché rende plateale questa operazione. La vicenda tragicomica della sedia vuota in Consiglio dei ministri aggiunge elementi, quasi pedagogici, a questo nuovo capitolo di storia italiana. Ma nonostante tutto, quello che non si può cancellare è ovviamente la Costituzione. Gli articoli 3 e 97 della Carta restano come macigni in tutta questa vicenda. Il principio di eguaglianza e il principio di imparzialità dell’amministrazione, insieme ad altri probabilmente, sono brutalizzati in tutta questa vicenda e non c’è finzione giuridica che regga di fronte ad una così palese, sfacciata, esibizione di «spirito di parte».

Ed arriviamo all’ultima questione che riguarda il merito del decreto legge ed in particolare il compito affidato all’Authority di accertare entro quattro mesi il rispetto del pluralismo, tenendo conto del digitale terrestre. A parte il fatto che la Gasparri non è operante e quindi non vi sono più gli obblighi a carico della Rai di realizzare una certa copertura della popolazione (il 50 per cento entro il dicembre 2003), ammettiamo pure che questa copertura venga realizzata ugualmente dalla Rai o anche da altri (forse Mediaset): sarà sufficiente che vi sia questa copertura di segnale, che vi sia qualche nuovo programma in digitale, che vi siano in giro «decoder» a basso costo o non sarà necessario piuttosto che quelle cifre di copertura siano effettive e corrispondano ad una capacità effettiva di ricevere i nuovi programmi?

Ancora una volta c’è di mezzo i principio di eguaglianza ed il pluralismo non potrà dirsi effettivamente rispettato se tutti i parametri di trasmissione e di ricezione non verranno contemporaneamente accertati.

Ripetiamo allora la proposta già fatta dal collega Grandinetti. Se quel pluralismo sarà ritenuto sufficiente, alla fine di aprile l’Autorità abbia il coraggio di mandare Rete4 a «sperimentare» concretamente la nuova tecnologia digitale e avremo una bella dimostrazione di indipendenza. Nessuno potrà essere più contento del ministro delle Comunicazioni.

MEDITAZIONE

STAMPA 27-12

Marx perde il pelo ma non i fan

di Angelo d'Orsi

Al passaggio di millennio, nell'anno 2000, il Times di Londra aveva indetto un sondaggio tra i suoi lettori chiedendo loro chi fosse l'uomo più importante dei dieci secoli ormai conclusi. Con grande sorpresa generale, i compassati britannici risposero, in maggioranza, attribuendo la palma del secondo millennio dell'era volgare a Karl Marx. Il risultato generò sconcerto, specie tra i tanti ex del marxismo, ivi compresi alcuni politici italiani, i quali commentarono dicendo che in fondo c'erano anche altri nomi significativi in quel millennio. Molti eccepirono sui dati numerici, dicendo trattarsi di un sondaggio troppo limitato per essere significativo. Ebbene, abbiamo ora un altro sondaggio, questa volta tedesco: e i germanici, si sa, fanno le cose con grande serietà. Infatti, nella scorsa estate, la televisione di Stato tedesca(ZDF) promosse un maxiconcorso intitolato: Chi sono i tedeschi più importanti? In una fase iniziale durata un paio di mesi (luglio ed agosto) si mise a punto una rosa di 200 nomi tratti dai vari ambiti dell'agire umano: politica, religione, cultura, spettacolo, sport...

Una trasmissione televisiva settimanale (da settembre a novembre), si incaricò di stabilire al termine dell'esperimento il tedesco più importante della storia. L'elezione avvenne attraverso il telefono, gli sms, o per normale telefono, con l'accertata impossibilità, per i soliti furbi, di votare più volte! Si è trattato di un fatto di massa, insieme di intrattenimento, ma anche di vivace dibattito politico-culturale: addirittura con raccolte di fondi, volantini e manifesti per sostenere i «candidati», interventi parlamentari, grande coinvolgimento di personaggi del presente a sostegno dei vari personaggi del passato.

In una fase finale i candidati giunti alla «top ten» (il gruppo dei primi dieci), si sono sfidati davanti al pubblico televisivo per interposta persona, ossia grazi ai propri sostenitori che ne cantavano le lodi spiegando perché il pubblico dovesse votare Einstein o Goethe, Bach o Lutero, Adenauer o Brandt…Ma, sorpresa, nella classifica compariva, sia pur decimo, Karl Marx! Ebbene, agli scontri diretti il vecchio barbone dell'autore del Capitale la spuntava sia sull'elmo chiodato di Otto von Bismarck, sia sulla faccia perbene di Willy Brandt. Infine, nelle votazioni finali, giunte dopo dibattiti condotti senza esclusioni di colpi (compresa la storia della sua relazione clandestina con la collaboratrice domestica!), Marx si è aggiudicato un molto onorevole terzo posto: meglio di lui hanno fatto soltanto il cancelliere della ricostruzione Konrad Adenauer (vincitore del sondaggio) e il padre del Protestantesimo, Martin Lutero. Interessante osservare che se il distacco da Adenauer è stato cospicuo, leggerissimo quello da Lutero; in totale Marx ha ottenuto oltre mezzo milioni di voti ed è risultato il «candidato» più votato nelle regioni dell'Est, oltre che nelle grandi città (Berlino, Amburgo, Brema). Come se non bastasse a corroborare il proprio piazzamento giungeva un primo posto nella categoria «Attualità».

E ora in attesa di commenti che ci dicano che il sondaggio non vale nulla, non rimane forse che prendere atto di due fatti. 1) quella di Marx è una presenza forte e ineliminabile nella storia del mondo; 2) oggi, davanti alla complessità della globalizzazione e alla sua difficile «governance», davanti a un processo di concentrazione crescente di ricchezze e di risorse sulla scena mondiale, davanti alla condizione di guerra permanente, riaffiorano, con un che di beffardo, le analisi marxiane. Forse anche chi non crede nel comunismo come soluzione ai mali del mondo, non farà male a tirar fuori dallo scaffale i testi del «Moro» (come lo chiamava il suo amico Engels).

REPUBBLICA on-line 26-12

CARTA CANTA

di Marco Travaglio

Promemoria per Pier

"La legge sul conflitto d'interessi è stata tenuta strumentalmente in frigorifero per due anni dalla sinistra e in vista delle elezioni è stata riproposta per esercitare una pressione indebita su Berlusconi. Comunque, il primo atto che faremo noi al governo sarà di proporre immediatamente regole su questo''

(Ansa, 1 marzo 2001)

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SONDAGGIO

Cambiare la par condicio?

Il presidente del Consiglio ha annunciato di voler cambiare la legge sulla par condicio, che regolamenta gli spazi in tv prima delle elezioni. Siete d'accordo?

1 - Sì

2 - No

3 - Non so

Risultati:

1 - 6%

2 - 94%

3 - 1%

9091 voti alle 19:14 del 26-12

sondaggio aperto alle 08:06 del 19-12-2003

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WWW.INMOVIMENTO.IT 26-12

Flagrante conferma del conflitto d'interessi

Silvio Berlusconi salva per decreto una delle sue reti

da Reporter senza Frontiere

Silvio Berlusconi, allo stesso tempo presidente del Consiglio e proprietario di un impero mediatico, ha firmato il 23 dicembre 2003 un decreto-legge che consente a Rete4 di continuare a trasmettere in analogico. Con questo provvedimento approvato dal Consiglio dei ministri, si evita quindi a Rete4 il passaggio sul satellite che avrebbe comportato una perdita importante del valore commerciale dell’emittente privata. Rete4 che appartiene al gruppo Mediaset, di cui è proprietario lo stesso presidente del Consiglio, potrà quindi conservare la sua rete analogica fino al 30 aprile 2004, data in cui l’Autorità per le comunicazioni dovrà prendere una nuova decisione.

"Il messaggio del presidente della Repubblica, di eccezionale rilievo peraltro, è rimasto inascoltato. A meno di una settimana di distanza, il presidente del Consiglio ha deciso di mettere la sua stessa firma a un testo che difende i suoi interessi privati. Questo provvedimento è quindi l’illustrazione più flagrante del conflitto di interessi nei media di Silvio Berlusconi", ha dichiarato Robert Ménard, segretario generale di Reporter senza frontiere, che ha aggiunto : "Non si tratta certo di una qualunque decisione economica. Prendiamo atto con inquietudine della portata di questo gesto autocratico e delle sue conseguenze sul pluralismo dell’informazione in Italia".

Il decreto-legge firmato da Silvio Berlusconi e adottato dal Consiglio dei ministri la vigilia di Natale, è successivo alla bocciatura della legge " Gasparri " sulla riforma del sistema radiotelevisivo. Con la decisione di rinviarla alle Camere, il Presidente aveva valutatato evidentemente che il testo, adottato dal Parlamento il 2 dicembre scorso, conteneva degli elementi contrari alla Costituzione. La legge "Gasparri", che aveva per obiettivo ufficiale di preparare il passaggio dalla televisione analogica al sistema digitale terrestre, prevedeva di eliminare l’interdizione di detenere, nelle mani dello stesso proprietario, più di due reti analogiche nazionali e altri interessi plurimediali. Silvio Berlusconi avrebbe quindi potuto conservare la proprietà delle sue tre reti nazionali (Italia 1, Canale 5 e Rete4). Il 20 novembre 2002, la Corte istituzionale fissava al 31 dicembre 2003 la fine del regime transitorio e quindi, dal 1° gennaio 2004, Rete4 avrebbe dovuto passare al satellite in nome del rispetto delle leggi sulla concorrenza.

Reporter senza frontiere ricorda che il progetto di legge sul conflitto di interessi deve ancora essere approvato dal Senato. Il testo afferma che la gestione di un’azienda a scopo di lucro è incompatibile con un incarico governativo, ma che non c’è conflitto di interessi se la gestione dell’azienda stessa è affidata a una terza persona. Ora, il nome di Silvio Berlusconi non compare in nessun organigramma delle aziende di sua proprietà. In questo caso particolare dunque, secondo il disegno di legge che prossimamente passerà all’esame del Senato, la questione del conflitto di interessi non ha più motivo di sussistere.

In un rapporto intitolato "Conflitto di interessi nei media: l’anomalia italiana", pubblicato nell’aprile 2003, Reporter senza frontiere ha analizzato le conseguenze del conflitto di interessi di Silvio Berlusconi sul pluralismo dell’informazione in Italia, posizionata al 53° posto nella classifica mondiale della libertà di stampa nel 2003.

MEDITAZIONE

LA STAMPA

Annus Andreottianus

di Massimo Gramellini

Nel 2025 il papa sarà Benedetto XVI e come un Briatore qualsiasi avrà uno yacht e lo chiamerà Immacolata Concezione. La vera battuta è che a farla non sia stato Dario Fo, ma Andreotti. Al termine di un anno dal quale tutti i politici escono con le ossa ammaccate, l'unico ad aver ritrovato il buonumore è proprio lui, che lo aveva iniziato da imputato e lo chiude da innocente, simbolo restaurato di una Prima Repubblica che gli italiani cominciano a sospettare fosse un po' più seria di questa. La freddura sullo yacht papale fa parte di un racconto dedicato al prossimo Giubileo. L'autore immagina un Papa che, al pari degli ayatollah, mette la tecnologia al servizio della tradizione. Porte Sante che si aprono con un pulsante e la nazionale del Vaticano che partecipa agli Europei, ma anche tonaca obbligatoria per i preti ed esami di latino per i vescovi (li invoca pure Borghezio, che però nonostante le apparenze non è una creatura di fantasia). Sullo sfondo un'Italia in cui i partiti «dopo le recenti semplificazioni» sono stati ridotti a 62, mentre si discute di un Giubileo straordinario nel 2033, bimillesimo anniversario della Croce.

Come ai tempi in cui comandava, ci si torna a chiedere: a chi avrà voluto alludere Andreotti? Possibile che dietro le sue punture si nasconda un giudizio sulla deriva modernista di parte della Chiesa? E soprattutto, nel 2025 lui dove sarà? Perché sul fatto che ci sarà nessuno nutre seri dubbi. Anzi, è una delle poche certezze che il 2003 non si è portato via.

giovedì, dicembre 25, 2003

MEDITAZIONE

L’UNITA’ on-line 25-12

Le pagine strappate della storia

di Abdon Alinovi

Il pellegrinaggio di Fini a Gerusalemme e le «parole come pietre» pronunciate sull’olocausto e sul fascismo come «male assoluto» hanno fatto rumore nei media per qualche giorno e poi tutto è stato archiviato. Come mai un evento che cambia la fisionomia politica e le radici stesse della destra italiana è stato quasi annullato dalla «verità» mediatica? L’interrogativo non può non interessare anzitutto la sinistra. Dopo le spericolate affermazioni del fedelissimo Pera è abbastanza chiaro che vi è stata e vi è un’operazione che fa capo alla cabina di regia berlusconiana.

I cavalieri del sire di Arcore avevano ed hanno interesse a voltare, anzi strappare la pagina, per vari motivi. Era stato proprio lui, Berlusconi, a rivalutare Mussolini dinanzi ad un'Europa scandalizzata, a dire che in fondo il duce aveva mandato i suoi avversari a godersi paradisi marini - come Gramsci e Pertini a Turi di Bari o Carlo Levi ad Alianello - e che, tutto sommato, il suo governo aveva fatto delle cose buone. Le battute, poi minimizzate e metabolizzate grazie al monopolio mediatico, erano servite solo a mettere un po’ in difficoltà il suo «vice» di governo alla vigilia del viaggio annunciato ed, anzi, a legittimare, stimolare «opportune» reazioni anti-Fini dentro An. Ma questa mossa valeva solo per il breve periodo ed ha corso il rischio di trasformarsi in un boomerang. La strategia si è raffinata e, divenuta più complessa, opera su piani diversi.

Fanno giuoco per il berlusconismo, le adunate di Storace a Roma e a Napoli, i proclami dell’ex «governatore» della Campania di essere «fascista» e di rimanere tale, mentre ricopre un alto ruolo in un delicato organo giurisdizionale. Così pure gl’inguaribili nostalgici, che tappezzano i muri di grandi città italiane con manifesti sul «tradimento» di Fini, contribuiscono a tenere Fini sotto la pressione fascistoide per costringerlo a subire una perenne doppiezza nel suo partito e ad ostacolare comunque ogni tentativo di dar vita ad una destra normale. Ripudiato l’antisemitismo ed il razzismo, avendo rotto irreversibilmente con il passato fascista, questa potrebbe collocarsi nel solco della costituzione antifascista. Il più spinto nel condurre la partita doppia, non a caso, è stato proprio il Gasparri che, mentre varava la berlusconiana legge anticostituzionale, traduceva la linea in indicazioni concrete: il fascismo? Cose positive e cose negative... come se potessero porsi sullo stesso piano il «prosciugamento delle paludi pontine o i treni in orario» con l’assassinio di Matteotti, Amendola, Gramsci, don Minzoni e dei fratelli Rosselli.

Ma anche questi servizi, che una parte di An rende al «capo di casa», si sono dimostrati utili fino ad un certo punto. Una strategia per il dominio deve muoversi, aggressivamente, contro la sinistra. Ecco allora le menti ispiratrici (guarda caso quasi tutte provenienti dal vecchio Pci o dalla sinistra Psi) che non consentono l'approfondimento, anzi archiviano la svolta di Fini. Essa potrebbe suscitare - specie in questo presente storico, con le ricorrenze del 60° anniversario del ‘43, ‘44, ‘45 - la scoperta universale dei delitti del fascismo, in Italia ed in campo internazionale. «Male assoluto» il fascismo? Ricordare? Neanche per sogno; insieme ai pannolini per i bebè, agl’italiani, specialmente alle «massaie» (termine ducesco rilanciato da Berlusconi), i media debbono fornire notizie e commenti sullo scottante ed attualissimo tema dei gulag sovietici, anzi «comunisti», per chiederne conto ai veri responsabili dei crimini di Stalin e soci, cioè alla sinistra italiana del XXI secolo. Eccellente l’editoriale del direttore di questo giornale di domenica scorsa che ha smascherato il grottesco di quest’operazione.

Però va riconosciuto che l'antifascismo e la sinistra hanno sottovalutato il carattere dirompente delle novità introdotte da Fini, sin da Fiuggi. Eppure in quel congresso un apprezzamento politico generoso era stato dato da un personaggio alto del movimento partigiano, garibaldino e comunista. Non si trattava né si tratta di dare patenti ad un uomo politico che certo fa i suoi calcoli di convenienza e resta un avversario. Il problema era ed è quello di cogliere una grossa occasione per aprire un discorso sull’«epoca delle catastrofi» che, Parri ci ammoniva, non può essere fatto una volta per sempre. Non ci si è resi conto che mentre vanno a scomparire i mostri del XX secolo, si può cogliere meglio che il pericolo principale, oggi, per la democrazia sta nel sistema politico inedito, poggiato sopra il dominio di un potentato della finanza affaristica, di dubbia accumulazione. Per questo bisogna essere grati alla finezza ed all’ardimento pedagogici del professor Luzzatto: egli ha ottenuto un risultato non solo per l'ebraismo, ma per la democrazia italiana. Sbaglierebbero quegli amici palestinesi che si dolessero per l’avallo di Fini al «muro» di Sharon, il prezzo pagato all’accoglienza di quel governo. Gli Sharon passano, l’ebraismo, con le sue articolazioni, resta ed esso è parte essenziale ed integrante dell’antifascismo e della democrazia italiana, i veri sostenitori della sicurezza di Israele come del diritto palestinese alla propria indipendenza statuale.

Con buona pace del professor Pera non si può rinunciare alla memoria. Il fascismo non fu uno strano «accidente della storia». Esso raccoglieva tutte le sedimentazioni reazionarie, oppressive, avventuristiche della storia post-unitaria. Non è questo che ci ha detto Gramsci? Considerare, quindi, un «mito» l’antifascismo e la resistenza, negare a queste realtà il «valore fondante» della Repubblica e della costituzione significa recidere le autentiche radici (Ciampi e predecessori da Einaudi a Saragat, Pertini, Scalfaro). È assai grave che una revisione tanto banale quanto pericolosa provenga dalla seconda carica dello stato.

Il Pera si considera «sfortunato» perché la sua generazione avrebbe ricevuto in dote la cultura dell’antifascismo e della resistenza. È lecito dubitarne. Molti, tanti, la maggioranza forse (altri si persero al servizio di Salò) di quelli della generazione precedente alla sua hanno avuto la fortuna di scoprire, ma tardi, le menzogne che erano state propinate nella scuola ed hanno fatto appena in tempo a fare qualcosa perché la libertà e l'onore degli italiani venissero riscattati. Per questo il mio compagno di ginnasio e liceo, il partigiano spoletino Paolo Schiavetti, ferito, catturato da una banda fascista, torturato perché indicasse la base della sua brigata, venne assassinato presso Norcia. A che varrebbe quella Medaglia d’Oro al Valor Militare se si pretendesse l’oblio, a danno non dei morti, ma dei vivi, dei giovani e del loro futuro? Nelle scuole, dove sono talvolta chiamato come testimone del tempo, mi accade di constatare che non solo i ragazzi, ma i docenti non sanno che la «riconquista» fascista della Libia fu fatta con migliaia e migliaia di impiccati esposti al sole dal colonnello Graziani, il futuro comandante delle milizie di Salò; non sanno dei gas asfissianti impiegati nell’aggressione all'Etiopia, non sanno nulla dei rovesci militari su tutti i fronti nella guerra voluta dal fascismo, non sanno neppure della dichiarazione di guerra persino agli Usa. In questo quadro di ignoranza del vissuto dei padri e dei nonni - non della lontana epoca augustea - riemerge l’antisemitismo, si diffondono razzismo e xenofobia, si offre alimento al terrorismo.

Siamo in tempo: l’operazione del professor Luzzatto dà fiducia, purchè il segnale sia raccolto.

Giu dal satellite!

MANIFESTO 24-12

Senza vergogna

Un decreto Berlusconi per una tv Berlusconi

NORMA RANGERI

Il presidente Ciampi aveva appena riaperto una importante, cruciale partita per la democrazia italiana, che il presidente Berlusconi l'ha subito richiusa apponendo la sua firma in calce al decreto che salva una televisione altrimenti fuori legge. La sua. Si tratta di circa trecento milioni di euro (alias Rete4), un malloppo che deve restare dov'è. Se ne riparlerà tra cinque mesi. Forse, sempre che un altro decreto non si aggiunga a spostare più in là i termini di nuovi salvataggi. Sembra una di quelle barzellette che non fanno ridere, invece è quel che è successo ieri, a palazzo Chigi, in quindici minuti.

La decisione del consiglio dei ministri di favorire, con un apposito decreto, il core-business di Berlusconi, sbatte in faccia a tutti gli italiani il sigillo del Biscione e segna un punto di non ritorno nella ventennale storia del berlusconismo. In passato, per ottenere decreti utili alle sue televisioni, il Cavaliere doveva fare anticamera, rivolgersi all'amico Craxi che lo accontentava volentieri. Oggi fa da sé. Altro che favola metropolitana, come l'inquilino di palazzo Chigi ha definito, con irridente strafottenza, il conflitto di interessi. Questo è un incubo.

In quale paese civile può accadere che il capo del governo firmi un decreto ad hoc per difendere il suo portafoglio? E da oggi con quali argomenti si impedirà ai lavoratori minacciati di licenziamento, ma privi del privilegio di essere dipendenti di Berlusconi, di rispettare le regole anziché erigere barricate per manifesta ingiustizia?

I telegiornali hanno battuto la grancassa delle tv da salvare, infilando nel calderone anche Raitre e facendo grande attenzione a non dire che il governo si apprestava a varare semplicemente un decreto Berlusconi in difesa di una tv di Berlusconi. Direttori e mezzibusti hanno ubbidito all'ordine di scuderia dettato dal direttore generale di viale Mazzini. Flavio Cattaneo ha cantato in coro con i ministri di palazzo Chigi agitando lo spauracchio dei licenziamenti. Così da indurre a credere che, con Fede sul satellite, si sarebbe mortificato il pluralismo dell'informazione e togliendo la pubblicità a Raitre si sarebbe recato un grave danno economico al servizio pubblico. Falso. La Terza Rete con la sentenza della Corte Costituzionale non c'entra nulla, e il bollettino di partito di Fede (che in molti insistono a chiamare telegiornale) si sarebbe finalmente potuto giovare delle nuove tecnologie (satellite e digitale) della legge Gasparri. O sono bufale anche quelle?

La verità che sfonda il fragile muro del pudore, mostrando al «pubblico» cosa c'è dietro il venditore di sogni, è che il decreto Berlusconi salva solo le tasche di Berlusconi, particolarmente gonfie dopo questi primi anni di governo. Gli uomini di Mediaset hanno passato l'autunno a sventolare gli utili da record dell'azienda di famiglia (362 milioni di euro nello scorso anno, un incremento pubblicitario ancora nel 2003) e con la legge Gasparri si preparavano a festeggiare il regale bottino. Il presidente della repubblica gli ha tolto il boccone di bocca, ma la famiglia non si è persa d'animo.

Altro che licenziamenti e dipendenti senza il panettone. Colpire anche solo un anello della catena Mediaset, come sarebbe accaduto rendendo esecutiva la sentenza della Corte, avrebbe interrotto il ciclo economico dell'unica macchina televisiva europea capace di accumulare una vertiginosa rendita. Forse era questo che l'ex presidente del consiglio, Massimo D'Alema, intendeva quando, per rassicurare l'avversario sulla sua politica di buon vicinato, disse che Mediaset era «una ricchezza e un valore del paese».

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IL RIFORMISTA 24-12

Corsivo

Berlusconi cambia idea e scarica l’euroProdi

Em.ma

Berlusconi ha iniziato la campagna elettorale europea con grande anticipo. La conferenza stampa su Rai Uno ha indicato i temi, tutti incentrati sul ruolo internazionale del Presidente del Consiglio. Infatti Mediaset ne ha trasmesso dei brani come pubblicità. E' chiaro che, per invadere tutto l'etere, il Cavaliere ha bisogno anche di abolire la legge sulla par condicio. A quanto pare, il tema centrale che verrà usato sarà questo: l'euro è responsabile dell'inflazione e dei rincari abusivi imposti ai consumatori. E chi ha voluto l'euro? Prodi. Ecco trovato il responsabile del malcontento popolare. Ho visto, in Tv, Schifani gridare che proprio Prodi ha voluto l'euro e quindi i rincari abusivi. Si dice che su questo punto i sondaggi sono favorevoli al Cavaliere. Ma, quando l'Italia agganciò l'Europa e l'euro, fu proprio il Cavaliere a sostenere che quel risultato era stato possibile grazie al contributo e al comportamento dell'opposizione di allora. Ed è vero, anche se c'erano tanti scettici. Può un governante, che vuole atteggiarsi a statista e ad uomo dell'Europa, svendere per un pugno di voti una conquista che egli stesso aveva glorificato come conquista del paese? Ebbene sì.

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LIBERAZIONE 24-12

L'Express: «Le fiasco de Berlusconi»

«La presidenza europea ha dimostrato che egli non è all'altezza né dell'Europa né del suo paese»

Red. Pol.

Tutte le gaffes e le sconfitte del premier nell'ultimo numero in edicola del settimanale francese. «Gli italiani - dice la rivista - cominciano a stancarsi»

«Costellata di gaffes e di topiche diplomatiche, la presidenza europea del dirigente italiano ha dimostrato soprattutto che egli non è all'altezza né dell'Europa né del suo paese», è quanto si legge nell'ultimo numero de "l'Express" in edicola. A giudizio del settimanale francese, Berlusconi si è comportato al recente vertice Ue di Bruxelles «meglio che durante il resto della sua presidenza europea» ma in generale «ha dimostrato la sua incomprensione del progetto europeo, così come la sua incultura, politica e storica». «Le sue battute e le sue sbandate verbali - sostiene "L'Express" - servono essenzialmente ad attenuare le vere poste in gioco del dibattito politico. Come se la vita politica fosse uno "show" televisivo». Le maggiori critiche che il settimanale rivolge al premier italiano riguardano la condotta sul piano della politica estera che, a più riprese, si è allontanata dalle linee di condotta fissate dall'Unione Europea. Innanzitutto dichiara il settimanale: «A luglio egli ha ceduto alle pressioni del governo israeliano e ha rinunciato ad avere un colloquio con il premier palestinese Yasser Arafat, violando così una delle regole d'oro degli Stati membri dell'Unione: ascoltare sempre le ragioni di tutte le parti in conflitto».

«La retta via», secondo la rivista, è stata abbandonata anche a novembre quando ricevendo il presidente russo Vladimir Putin, in visita a Roma, egli fece la parte del suo avvocato difensore, esprimendo un parere personale sulla questione cecena, facendo intendere di parlare a nome di tutti, un parere che in realtà non era affatto condiviso dalla maggior parte dei Paesi Europei. Inoltre l'accusa rivolta ai giornalisti di divulgare informazioni false sulla Russia non ha potuto non suscitare indignazione nell'opinione pubblica europea.

«Gli italiani - scrive ancora il settimanale - incominciano a stancarsi. I sondaggi più recenti mostrano che la sua popolarità è scesa in modo sensibile. E non a causa dell'Europa, come dichiara con un po' di fretta il suo entourage, ma piuttosto perché non ha tenuto fede alle sue promesse, soprattutto in materia di riduzione delle tasse, e perché la riforma delle pensioni, che si impone in Italia come altrove, è forzatamente dolorosa» conclude duramente il settimanale francese.

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EUROPA on the Web 24-12

Sommario

Berlusconi salva Berlusconi, il Quirinale lo marca stretto

Il trionfo del conflitto di interessi: Silvio Berlusconi “cede” la presidenza a Fini, lascia la riunione del consiglio dei ministri e dopo quindici minuti rientra e trova bello pronto da firmare il decreto che salva, per altri cinque mesi, la “sua” Retequattro.

A fine maggio, se le condizioni attuali non fossero mutate (e come potrebbero?) Retequattro dovrebbe finire sul satellite. Ma il governo spera che entro quella data sia già stata approvata una nuova versione della Gasparri, con una soluzione “migliore”.

Ma come ricorda in un’intervista a Europa Bruno Tabacci dell’Udc, il problema non è il contenuto del decreto, ma che cosa conterrà la nuova legge. Su questo, nella Casa delle libertà è ancora guerra, sotto l’incalzare della polemica delle opposizioni.

Resta la brutta figura mondiale: oggi il Financial Times titola proprio sul fatto che «il governo italiano ha pubblicato un decreto d’emergenza per risolvere una controversia sui media» e salva due canali uno dei quali «appartiene all’impero economico del premier Silvio Berlusconi».

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EDITORIALE

La partita vera comincia ora

Passate le feste, gabbato il presidente?

di PAOLO GENTILONI

Il decreto varato ieri dal governo non decide le sorti della partita sulla controriforma del sistema tv. Dimostra, piuttosto, a quale punto di indecenza sia giunto il conflitto di interessi: perfino la legge “senza denti” che su questo tema è stata proposta da Frattini avrebbe impedito a Berlusconi di firmare un decreto che regala centinaia di milioni alla propria famiglia. Ma quella legge è ferma da mesi ed è stata di nuovo rinviata sine die.

Il 7 gennaio, invece, a Montecitorio tornerà la Gasparri. Lì vedremo se la maggioranza prenderà atto della bocciatura del Quirinale su tre dei quattro pilastri della controriforma: il sistema integrato delle comunicazioni, che favorisce le posizioni dominanti; gli eccessi della pubblicità tv, che inaridiscono la carta stampata; e la fine del regime transitorio che per sei anni ha consentito a Retequattro di non migrare sul satellite.

Su questo terzo punto sarà molto difficile aggirare il combinato disposto tra sentenze della corte costituzionale e messaggi presidenziali. Un anno fa la Corte aveva parlato chiaro: la situazione attuale non garantisce il pluralismo informativo.

L’unica via d’uscita avrebbe potuto essere che entro il 31 dicembre 2003, con le nuove tecnologie digitali terrestri, buona parte delle famiglie italiane avesse a disposizione “in chiaro” nuove reti. Basta accendere qualunque televisore per verificare che così non è. Non lo sarà di qui al 30 aprile, e neanche prima di sei-dieci anni. La verifica decisa ieri per decreto è dunque solo un time out di quattro mesi, non una soluzione.

Vedremo presto se la maggioranza vorrà prendere atto seriamente dei rilievi del presidente, dopo aver cercato di ignorare il giudicato della corte costituzionale e i moniti delle Autorità di garanzia.

Qualche parola dell’onorevole Follini indurrebbe a ben sperare, salvo marce indietro. Ma il polverone innalzato in questi giorni, prima per minimizzare il messaggio di Ciampi (arrivando a descrivere il capo dello stato come un debole, soggetto alle pressioni di lobbies editoriali) poi per diffondere un ingiustificato allarme occupazionale e per ottenere la maxi-proroga fa temere il peggio.

Fa temere cioè che nei confronti del messaggio di Ciampi si adotti la stessa tattica usata per aggirare le sentenze della Corte e le leggi in vigore: cavilli, rinvii, lunghe indagini per accertare l’evidenza, per poi riaccertarla e accertarla ancora una volta… Passate le feste, gabbato il presidente?

MEDITAZIONE

ESPRESSO on-line 24-12

Santa Eterologa dacci un aiutino

Ora è ufficiale: gameti e ovociti potranno congiungersi solo dopo essere stati presentati ai futuri suoceri

Michele Serra

Prima di giudicare la nuova legge sulla fecondazione assistita, bisognerebbe conoscerla meglio. Tranne la posizione di Buttiglione e la posizione del missionario, chiarissime entrambe, e coincidenti, le idee sono infatti piuttosto confuse. Vediamo, nel dettaglio, i punti-chiave delle norme votate dal Parlamento.

1 È consentito, senza limitazioni, solo un caso di fecondazione assistita: quella in cui alla fecondazione assiste un catechista, filmando i momenti più entusiasmanti dell'amplesso e commentandoli, a cose fatte, con i giovani sposi.

2 In caso di sterilità, le coppie che intendono riprodursi devono comprovare davanti a un'apposita commissione (formata da un vescovo, da uno psicologo e da un ginnasta) di avere sperimentato tutte le possibili forme di inseminazione naturale, allegando documentazione fotografica. Una volta accertata la buona fede dei candidati, i due soli centri specializzati e convenzionati con lo Stato (l'Ospedale delle Piccole Sorelle Piagate e Sofferenti di Forlì e 'Domenica in') potranno ospitare le coppie più meritevoli. Un reality-show a reti unificate, condotto da Antonio Socci, provvederà a eleggere con il televoto gli Immacolati d'Italia, l'unica coppia sterile che avrà il diritto di accedere alla fecondazione medica pronunciando la tradizionale e solenne formula televisiva: mi dia un aiutino.

La tecnica (metodo Buttiglione-Beretta) è molto semplice: con un fucile da caccia, una rosa di spermatozoi del marito viene sparata contro la camicia da notte della moglie, posta su un trespolo al centro dello studio. Le probabilità che avvenga la fecondazione sono una su dieci miliardi, più probabile che rimanga gravido il pubblico delle prime file. Ma la spettacolarità dell'evento piace a Fabrizio Del Noce e Giorgio Gori ed entusiasma le gerarchie ecclesiastiche, che sottolineano, in una nota ufficiale, l'alto significato di un atto riproduttivo che finalmente evita di smanacciare nei genitali altrui, e tutte quelle porcherie.

3 Gli embrioni attualmente congelati verranno battezzati e iscritti all'ufficio di collocamento. Per gli embrioni italiani all'estero, Mirko Tremaglia sta preparando un progetto di legge che prevede il diritto di voto.

4 L'ovocita femminile e il gamete maschile potranno essere presentati ai futuri suoceri solo dopo uno scambio di telefonate che rassicuri le famiglie d'origine sulla serietà delle loro intenzioni. I rapporti prematrimoniali sono consentiti solo in forma epistolare. In caso di polluzione notturna, l'adolescente maschio dovrà raccogliere con delicatezza il seme disperso e conservarlo nel diario scolastico fino a nuova disposizione ministeriale.

5 Aborto e divorzio saranno sottoposti a un riesame accurato del Parlamento. Il riesame avrà validità retrospettiva. Tutte le coppie divorziate devono sottoporsi al giudizio di un'apposita commissione (costituita da un vescovo, da uno psicologo e da un pazzo) che stabilirà i modi e i tempi della riconciliazione. Rocco Buttiglione in persona si occuperà dei casi più difficili, munito di giubbotto antiproiettile.

6 Il prossimo meeting di Rimini sarà intitolato alla straordinaria e misconosciuta figura di Nuccia Cusumano, una sposa siciliana che continuò a servire sorridente il marito e i suoi sette figli (tutti avuti da altre donne) nonostante lui la torturasse con la fiamma ossidrica. Violentata a turno dai cinque compagni della squadra di calcetto del marito, Nuccia volle partorire a sua volta altri cinque figli, e per giunta fu costretta a chiamarli tutti e cinque Diego Armando. Verrà beatificata con il nome di Santa Eterologa, a dimostrazione che la morale cattolica non è poi così ostile alla sperimentazione.

mercoledì, dicembre 24, 2003

L’UNITA’ on-line 23-12

BANNER

«In Italia c’è una situazione di pericolo per la libertà di informazione. Silvio Berlusconi darà, con la legge Gasparri, la stretta mortale ai media italiani».

Johannes von Dohnanyi, Osce, settore libertà d’informazione

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MANIFESTO 23-12

EDITORIALE

Fermatelo

ROSSANA ROSSANDA

Tempo ventiquattr'ore e ogni dichiarazione del presidente Berlusconi è declassata a battuta e dimenticata. Finché non rispunta, poco dopo, in forma di indecenti progetti di legge. I quali passano lasciando un segno indelebile nelle nostre già malconce istituzioni. Ecco le ultime. Ciampi rinvia la Gasparri alle Camere e il premier, interrogato a Bruxelles sulle note severe che lo accompagnano, sbotta: non le ho lette e non le leggerò. Il giorno dopo siamo informati che un decreto ne conserva ed elude due punti brucianti, indicando la linea che il governo seguirà qualora la Corte costituzionale la bocciasse, o bocciasse il lodo Schifani. Il Corriere della Sera si chiede se uno scontro fra le istituzioni non sia più grave che una cattiva legge: non c'è pericolo. Berlusconi sa come aggirare gli scontri. Ha recepito il rinvio della Gasparri come un fastidioso tentativo di moral suasion da parte di un Colle influenzato dalle lobbies della stampa. Egli sa d'altronde che se ripresentata la Gasparri tale e quale, Ciampi non potrà ormai che firmarla - così lontana dai padri costituenti era l'idea che a una maggioranza del parere del Presidente della Repubblica non potesse, per dirla alla romana, fregar di meno. E una.

Stessa accoglienza all'ammonimento del Presidente della Camera Casini sulla insopportabilità dell'aver sottratto al dibattito la legge finanziaria, trasformandola in tre emendamenti. Berlusconi gli ha gioiosamente risposto che sì, il metodo va cambiato: d'ora in poi la finanziaria sarà un unico blocco blindato, niente dibattito, prendere o lasciare. Se si lascia, il governo va a casa. Siccome fino al 2006 c'è una maggioranza che prende, è il parlamento ad essere di fatto mandato a casa. L'esistenza dell'opposizione è un incidente trascurabile di percorso, se c'è una discussione da ascoltare è soltanto dentro la maggioranza e perlopiù in sedi non istituzionali fra le quali è prediletta la cena. Dal voto degli elettori, che purtroppo va affrontato ogni cinque anni, la Casa delle Libertà deduce che il potere è assoluto per chi le vince. E due.

Per garantirsi il più possibile la vittoria, il premier ha annunciato che abolirà la par condicio: chi è uscito più forte dalle elezioni precedenti avrà più spazio per la campagna elettorale in tv, chi ne è uscito minoritario ne avrà di meno, chi non ne è uscito affatto si presume non ne avrà alcuna. La riproduzione del medesimo scenario politico è pressoché assicurata. Il miglior valletto del premier ha aggiunto un punto filosofico: il pluralismo è antidemocratico, in quanto limita la sola vera libertà che è quella dell'impresa. E tre.

Berlusconi sa che il paese è un po' nervoso, non tanto per il vulnus alla democrazia, quanto perché le tasse non sono state abbassate come promesso e la vita è troppo cara. Colpa dell'euro, ha subito conclamato: se non ci fosse la moneta unica andrebbe tutto per il meglio. Come in Gran Bretagna. Prodi, beccati questa. E quattro.

Si potrebbe continuare con le enormità. Esse non hanno turbato granché i colleghi inviati alla conferenza stampa, cui la diretta offriva la sola ma imparabile possibilità di emettere un boato quando il premier ne diceva di più grosse. I nostri colleghi si sono limitati a presentare le rispettose domande, e la sola, l'inviata de L'Unità che ne ha avanzato una pungente, s'è beccata un «si vergogni». L'indomani i giornalisti si sono sfogati un poco per iscritto, ma quando hanno in faccia il Presidente si paralizzano come davanti al Santissimo. Perché dovrebbe sussultare l'uomo della strada? La Rai, della quale non si capisce che cosa stia garantendo Lucia Annunziata, gli assicura che non c'è di che.

Ma è così che avanza un regime. Chiediamo a tutta l'opposizione, da Rifondazione alla Margherita, di segnare un alt: che sia una mozione o un altro strumento, il governo e il premier in persona debbono essere chiamati davanti alle Camere a discutere di quel che surrettiziamente vanno dicendo e facendo. Impossibile continuare in estenuanti diatribe fra tricicli e policicli e non mandare al paese un allarme solenne sulla degenerazione delle forme e della sostanza della Repubblica. O il 2004 comincerà con questo atto o finirà ancor peggio del 2003.

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REPUBBLICA on-line 23-12

Berlusconi si firma il decreto "salva Rete4"

Fassino: "La conferma del conflitto di interesse"

ROMA - Via libera la decreto "salva Rete4". Il Consiglio dei ministri ha approvato il provvedimento con cui si permette alla rete Mediaset di continuare a trasmettere in analogico e con il quale Raitre potrà continuare a raccogliere pubblicità.

Il provvedimento è stato firmato dal presidente del Consiglio su proposta, appunto, del ministro delle Comunicazioni. Ma Berlusconi, nella fase in cui il consiglio ha esaminato e approvato il dl, non ha preso parte alla discussione, presieduta dal vicepremier Gianfranco Fini.

Secondo il leader Ds Piero Fassino "il decreto conferma quanto sia gigantesco il conflitto di interesse nel nostro Paese dato che il presidente del Consiglio è costretto a firmare un provvedimento che riguarda una sua azienda".

Durissimo anche il giudizio di Paolo Gentiloni, responsabile informazione della Margherita: una giornata nera per la democrazia. "Il presidente del Consiglio - dice Gentiloni - con un decreto legge dà un grande beneficio a un'azienda di famiglia: è un decreto fai da te, e spero che in Parlamento la maggioranza faccia corrispondere atti concreti alle belle parole su Ciampi".

Ancora più severo il commento del leader dei Verdi Alfonso Pecoraro Scanio, secondo il quale "il governo ha scelto la strada dello scontro istituzionale". Per Pecoraro "Berlusconi e la sua cricca non hanno più freni: insultano la Corte Costituzionale, ignorano con arroganza il richiamo del Capo dello Stato in nome di una difesa indecente di affari privati. Vanno fermati".

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CORSERA 23-12

LETTERE

Il conflitto di interessi e il gatto con gli stivali

Leggo sul Corriere in un articolo di Marco Galluzzo che il presidente del Consiglio ha detto di non avere alcuna difficoltà a firmare il decreto salva Retequattro perché occorre salvaguardare centinaia di posti di lavoro. A suo dire il conflitto di interessi non esiste. Subito il mio pensiero è andato ai lavoratori del polo tessile di Cetraro i quali da mesi lottano contro un'assurda decisione dell'azienda che ha deciso di spostare la produzione nei Paesi dell'Est; ai lavoratori dell'Afor (azienda forestale) di Bovalino che da anni vivono una lenta agonia che porterà allo smantellamento dell'unico stabilimento del paese; ai lavoratori delle officine Omeca di Reggio Calabria che vivono un'analoga tragedia...

Giuseppe Iaconis - Bovalino (Rc)

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Risponde PAOLO MIELI

Caro signor Iaconis,

lei pone una questione che mi hanno sottoposto in molti: perché un'azienda che è di proprietà del presidente del Consiglio, nel caso specifico Retequattro, deve godere, rispetto a tutte le altre i cui operai corrono il rischio di finire sul marciapiedi, di un trattamento di riguardo? Non si potrebbe fare un decretino per tutte? Ovvio che no ed è qui che, come lei osserva, si riaffaccia l'annosa questione del conflitto di interessi. Una faccenda che il capo del governo ha risolto così: si tratta, ha detto, di «favole metropolitane» (leggende come, a suo dire, quella della resistenza in Cecenia): «chi ci crede - ha aggiunto - crede anche al gatto con gli stivali». E la promessa che fece nella primavera del 2001 di risolvere la questione nei primi tre mesi che avrebbe trascorso a Palazzo Chigi? «Ho mantenuto gli impegni con gli elettori, il governo ha approvato il disegno di legge nei primi cento giorni e l'ha trasmesso al Parlamento dove l'opposizione ha fatto una guerra e ne ha impedito l'approvazione perché ha "interesse" a usare strumentalmente la questione contro il governo».

Incredibile. Il conflitto di interessi è talmente evidente che, a prender per buono il sillogismo berlusconiano, si è costretti a prestar fede anche alla favola del gatto con gli stivali.

Non esistono al mondo Paesi civili nei quali non sia in vigore una legislazione atta a colpire i monopoli e i cui governanti, non esigano che sia rispettata. Negli Stati Uniti è ancora vivo il ricordo dell'offensiva anticoncentrazione del 1911 contro la compagnia petrolifera Standard Oil di John D. Rockefeller sostenuta dalla Casa Bianca in applicazione della legge Sherman del 1890. Nel 1981 il giudice Harold Green in base alle leggi sulla concorrenza condannò alla divisione il colosso telefonico AT&T che valeva 53 miliardi di dollari; il gigante della telefonia si oppose con ogni mezzo, ma il presidente statunitense Ronald Reagan fu irremovibile nel far applicare quel verdetto e il 1° gennaio 1984 la scure si abbatté su AT&T. E gli effetti sono stati positivi sia in termini di innovazione tecnologica che di qualità dei servizi e di beneficio per gli azionisti.

E se il presidente Usa dovesse essere coinvolto in qualche modo con le aziende prese di mira dalle leggi antitrust? Dappertutto tranne che in Italia ci sono norme severe che affrontano questa eventualità e non esiste al mondo Paese civile in cui un uomo di governo non si sottoponga alle procedure che regolano il conflitto di interessi. Come è noto, il vicepresidente americano Dick Cheney proprio in questi giorni è costretto a piegarsi all'autorità della Corte suprema per essere stato, prima (sottolineo: prima) di affiancare Bush, a capo della società Halliburton che poi (sottolineo: poi) è stata coinvolta in una brutta vicenda di gonfiamento dei prezzi in margine alla guerra dell'Iraq.

Altro che polo tessile di Cetraro e Afor di Bovalino, caro Iaconis. Qui in Italia, il nostro gatto con gli stivali si fa beffe di sentenze contro le concentrazioni nel sistema televisivo e accusa i topi di non aver voluto norme che vincolino i suoi comportamenti. L'abile felino ha trasformato la presidenza del Consiglio in un ufficio che cura esclusivamente i suoi interessi giudiziari, le sue proprietà, gli affari della sua famiglia e dei suoi famigli. Davvero incredibile.

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LIBERAZIONE 23-12

EDITORIALE

Il Cavaliere sta per scatenare la crisi della Repubblica

Il 2003 è stato l'annus horribilis di Silvio Berlusconi. Lo certifica il settimanale americano Newsweek, elencando i "disastri politici" del presidente del Consiglio italiano nella rassegna politica di fine anno. Il Cavaliere, nell'anno che muore, non ne ha azzeccata una. Nemmeno come presidente semestrale dell'Unione Europea: «Il suo incarico effettivo è iniziato paragonando un europarlamentare tedesco ad un kapò nazista e si è concluso con il disastro del recente summit costituzionale di Bruxelles». Un fallimento dietro l'altro, anche e soprattutto in politica interna, tanto che gli analisti, riporta Newsweek, «sono sempre più convinti che gli restino solo le elezioni anticipate».

Si sa come sono questi giornalisti americani: personalizzano troppo (sino a far passare in secondo piano il fatto, ben più preoccupante, che proprio per il disastroso stile, la cultura illiberale e i contenuti anti-popolari del governo-Berlusconi, il 2003 è stato un annus horribilis per il Paese). Proprio Newsweek, poi, ha una vecchia partita aperta con il premier italiano. E ricordare lo stop di Ciampi alla legge Gasparri è ormai come sparare sulla Croce Rossa. Il presidente della Repubblica italiana ricorda impietosamente che il Newsweek, «si è fatto avanti per fermare una riforma del sistema dell'informazione che avrebbe giovato in primo luogo all'impero mediatico di Berlusconi, e lo ha fatto usando, come accade raramente, il suo potere di veto per impedire a Berlusconi di promulgare una legge a proprio favore». Si aggiunga il crollo nei sondaggi (l'indice di gradimento del Cavaliere sarebbe sceso sotto il 30%) e la crescente opposizione alla presenza italiana in Iraq e alla stretta alleanza con Washington. La stessa crisi della maggioranza, egemonizzata dal «leader nazionalista xenofobo Umberto Bossi» difficilmente potrà essere arginata con il rimpasto di governo. Ora, conclude il settimanale, «molti analisti pensano che Berlusconi sarà costretto ad elezioni anticipate nella prossima primavera, e che le potrà facilmente perdere». Ma non basta: «Al danno si aggiunge la beffa: il recente cd di canzone napoletane firmato da Berlusconi non è nemmeno entrato in classifica. Tuttavia almeno un riconoscimento l'ha ottenuto: l'Associazione della Stampa Estera lo ha nominato: Peggior comunicatore del 2003».

Veramente un bel bilancio per colui che amava rappresentarsi - e farsi cortigianamente rappresentare - come il miglior comunicatore del bigoncio. Ma ha proprio ragione Newsweek? Ed è credibile che il Cavaliere pensi alle elezioni anticipate?

Una ben più accreditata conferma di questo scenario - e comunque dello stato d'animo belligerante che si sarebbe impossessato o meglio reimpossessato di Berlusconi - arriva da tutt'altra fonte, Giuliano Ferrara, sofisticato conoscitore (e a volte efficace suscitatore) degli istinti primordiali del Cavaliere. «La politica professionale di palazzo», spiega Ferrara, «non è il mestiere di un leader dell'antipolitica, e quando quella politica minaccia di insidiarlo, il leader reagisce come può e come sa: si appella al popolo e passa alla comunicazione, cioè al contatto diretto con gli italiani». Di qui l'impossessamento per oltre due ore di RaiUno per la conferenza di fine anno, l'attacco alla par condicio, la "faccia feroce agli alleati", gli insulti a Ciampi, il parlar "male del sacro euro", lo stringersi "al leader che gli è più affine, Bossi", le briglia sciolte al Tremonti scatenato contro l'establishment bancario, l'attacco a giornalisti ed editori... «Porta tutta la situazione, dopo la svolta del rinvio alle Camere della Gasparri, verso un punto limite oltre il quale la sfida ridiventa una scommessa per la vita o la morte, giocata nel gran teatro del consenso: o me o loro».

Non è la prima volta. Ferrara ricorda che Berlusconi si impegnò in una «scommessa per la vita o la morte» anche ai tempi in cui fece fallire la Bicamerale. «Si rinserrò nel fortino di Forza Italia, portò la gente in piazza, diede il via a una campagna elettorale interminabile che passò per le elezioni europee (1999), per le elezioni regionali (2000) e infine approdò alla vittoria delle elezioni politiche (2001)».

Si appresta dunque, ora, a fare la stessa cosa. Con una sola differenza, onestamente rilevata da Ferrara: che allora era all'opposizione e adesso è al governo. «Se apre una crisi istituzionale con Ciampi, che fino ad ora aveva funzionato come elemento di garanzia, anche a vantaggio della stabilità del suo governo, rischia di passare lui per manovratore infido di una crisi repubblicana». Proprio così: il manovratore eversivo di una pericolosissima crisi della Repubblica. Altro che annus horribilis!

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IL RIFORMISTA 23-12

BERLUSCONIANA

You don't know the history di Petit Chou statua del presepe

Cara Miriam, devo convenire che ha ragione Luigino quando dice che il padre è come Willy il coyote: precipita dalle altezze più impervie, si sfracella al suolo e dopo pochi secondi eccolo di nuovo in piedi con un bel sorriso stampato sul viso che si spolvera il vestito, pronto a ricominciare. Avresti dovuto vedere, sabato scorso, di quale smisurata professione di ottimismo è stato capace alla conferenza stampa di fine anno; l'ho seguita per caso, durante il massaggio, e non riuscivo a credere che quell'uomo così sicuro delle sue possibilità fosse lo stesso che nel giro di pochi giorni aveva collezionato una serie di rovesci che avrebbero steso un toro. So io come si sentiva dopo Bruxelles, e com'era livido dopo il regalino di Natale del Presidente. Eppure era lì che profondeva fiducia e ottimismo, come se nulla fosse accaduto. Devo pensare davvero di aver sposato un cartone animato? Che non rinuncia mai, come il povero coyote, a fare di tutto per conquistare l'amore della gente? In realtà è proprio per quel suo ostinato ottimismo che l'ho sposato perché lo sai, quando ce lo trovammo davanti la prima volta con in mano quel cespuglio di rose capimmo subito che non era quell'uomo ideale, fisicamente intendo, che avevamo sognato piangendo insieme davanti al nostro amato “The way we were”.

Il bambinello e la new age. E' la sua qualità, anche in politica: il Presidente è autorevole, D'Alema è intelligente e lui è ottimista. Insomma cara Miriam, alla fine del massaggio, senza farlo apposta, avevo recuperato i motivi profondi del mio amore per mio marito, ed ero contenta. Senonché domenica, quando Petit Chou è passato a salutarci, l'incantesimo si è rotto, come uno specchio. Dopo averlo accolto con trasporto lo avevo lasciato per andare in cucina a dare disposizioni per la cena quando all'improvviso, dal salotto, un urlo. Devi sapere che quella mattina avevo fatto il presepio insieme a Luigino e Eleonora e di comune accordo avevamo allestito una versione multietnica ed ecumenica della Natività, mischiando tra i classici pastorelli statuette di fedeli di altre religioni, con tanto di bandierine, ma tutti in adorazione del bambinello. Non mi sembrava scandaloso augurarmi che tutte le religioni adorassero, sotto diverse fogge, lo stesso Dio. Beh, la mia buona fede non mi ha salvato dall'accusa di aver stravolto il presepe per colpa - neanche a dirlo - della mia “maledetta new age”: «Come hai osato, in casa mia, che mi sono battuto come un leone per affermare le radici cristiane del nostro continente!». E ha cominciato a smontare tutto, senza alcun riguardo per il nostro lavoro.

Che c'azzecca Di Pietro? E quando, dietro a una palma, ha trovato una vecchia statuetta che mi era stata regalata per gioco tanti anni fa da una mia amica che l'aveva acquistata al mercatino di San Gregorio Armeno è sbiancato in volto: «Ma questo è Di Pietro!». «E allora? Adesso anche Giuliano ci conversa amabilmente. Luigino l'ha trovata e ce l'ha messa in segno di riconciliazione». Niente, nonostante lo aspettassero ad Arcore per una riunione, si è messo in maniche di camicia e ha rifatto il presepio. Nel quale adesso trionfa una statuetta di Petit Chou che Apicella ha comprato in quello stesso mercatino per regalarla al suo mecenate. No, non sono la moglie di Willy il coyote, ma di zio Paperone. Te lo ricordi il carattere del vegliardo?

MEDITAZIONE

L’UNITA’ on-line 23-12

Tanzi (Parmalat) mica ha sequestrato il governo a fini privati…

di Furio Colombo

«Il Riformista» del 22 dicembre manda una lettera alla sinistra. La avverte che deve confrontarsi subito con una grave questione morale. La questione è Tanzi. «Il Riformista», che quando appare nei suoi talk show tv si presenta dicendo «piacere, sono la sinistra», dagli spalti del giornale si riserva un aristocratico distacco. Deve aver capito che fa trend accusare la sinistra di qualcosa. «Il Riformista» attacca: perché la sinistra è così gentile con Tanzi e gli risparmia la cattiveria che, in una situazione equivalente, dedicherebbe a Berlusconi? Sono giovani, sono ansiosi di mettersi in vista e si può capire quel tipo di irruenza con cui uno acciuffa l’idea appena gli viene in mente e parla prima di riflettere.

Sarebbe facile rispondere: ma santo cielo, ragazzi, come mai non ci avete pensato da soli? La ragione è grande come una casa e la vedono anche le casalinghe di Rete 4: Tanzi non governa. Tanzi non sposta le quote latte a suo piacimento. Se ha scritto una lettera falsa sul credito della Bank of America, l’ha fatta lui, non il governo italiano. Il Consiglio di Amministrazione che ha votato i provvedimenti che adesso sono al vaglio della magistratura non era il Consiglio dei ministri. L’assemblea dei Soci che, per qualche ragione, si è lasciata persuadere ed è stata al gioco, non era il Parlamento italiano. L’uomo chiave - a quel che si sente dire dai media - era un certo Tonna, residente a Collecchio, non era Tremonti, Gasparri o Castelli, rispettivamente ministri della Economia, delle Comunicazioni e della Giustizia della Repubblica italiana e stretti sodali di Berlusconi nel preparare le leggi personali e di azienda. E Calisto Tanzi, per quanto benvoluto dalle banche e prediletto nel mondo del credito, non è nella lista delle cinque persone esenti per sempre da ogni indagine o processo, come il presidente del Consiglio italiano. Dunque, bene o male, dovrà rispondere. Non è una differenza da poco.

E’ vero che vi sono analogie fra i due. Infatti la stampa americana - come ci insegna «Il Riformista» - li definirebbe con la stessa parola, «tycoon». Ma Tanzi è un tycoon normale. Si è fatto da solo e da solo ha dato vita, con la dovuta disinvoltura, a regole di convenienza che, come tutti i tycoon, ha saputo imporre e giocare a suo favore fino all’estremo. Ma per i tycoon normali c’è un punto d’arrivo, che viene quando ti sporgi sull’abisso. A quel punto l’opinione pubblica vede la mossa azzardata, «lo scoperto» pazzesco e non c’è più niente da fare. Tanzi - come il celebre ispettore della brillantina Linetti - ha commesso un errore, nell’Italia in cui stiamo vivendo. Non è mai entrato in politica. Non ha mai usato la massa della sua ricchezza per farsi eleggere e poi reclamare - contro ogni accusa di malefatte - la legittimazione del popolo.

Per questo, deliberatamente, non abbiamo notato certe somiglianze che «il Riformista» vorrebbe mettere in vista sotto i nostri occhi parziali, fra Tanzi e Berlusconi, che hanno potere personale. che hanno le squadre di calcio, che hanno i paradisi fiscali alle Cayman e alle Bahamas. Manca una cosa, ragazzi. Manca il controllo del governo, la stesura delle leggi per una persona o,(come sta per avvenire nel caso di Rete 4) per una propria azienda. Manca una legione tebana altrimenti detta «maggioranza», ma così definitiva dal sen. D’Onofrio per elogiare la compattezza con cui loro votano tutti per uno, senza esitazioni e senza secondi pensieri.

C’è, è vero, un punto, uno solo di coincidenza sorprendente fra Tanzi e Berlusconi: entrambi beneficiano della legge che depenalizza il falso in bilancio (per il quale invece la Parmalat andrà incontro a guai molto seri negli Stati Uniti, che, essendo un Paese liberale, non tollera falsi che danneggiano i cittadini) Ma quella legge per Tanzi è una coincidenza miracolosa. Berlusconi invece è il politico-imprenditore che l’ha pensata, scritta, presentata, calcolata e fatta approvare a maggioranza bulgara per se stesso.

Mi accorgo adesso che ho risposto, magari anche con toni troppo alti (noi dell’Unità abbiamo questo incorreggibile difetto) a nome della sinistra, e non ne avevo diritto. «Il Riformista» che - come dichiara regolarmente nelle trasmissioni televisive - è così vicino alla sinistra da far dire che la rappresenta - riceverà certo una risposta autorizzata, da chi ha il diritto di darla. Per noi dell’Unità invoco una attenuante: «il Riformista» ci ha chiamato in causa. Rimprovera al nostro giornale, di essere stato tenero (cita due articoli molto belli di Chierici e Pivetta) verso Tanzi, che pure assomiglia tanto a Berlusconi. A nostra giustificazione, proponiamo le seguenti risposte: a) perché Tanzi non è Berlusconi (vedi sopra); b) per non dispiacere a Boselli e non essere avvicinati al Terror do Mundo Antonio Di Pietro; c) perché la vicenda di Tanzi, (e la immensa ingiustizia fatta ai risparmiatori) è un fatto grave e pericoloso e per questo si deve rendere conto alla giustizia (come vedete, gira e rigira, la sindrome di Di Pietro è sempre in agguato). Però non è il sequestro del governo a fini privati, organizzati in modo da impedire qualsiasi interferenza di indagini, verifiche e tribunali. Qui il tribunale c’è e basta lasciarlo lavorare.

I colleghi del Riformista ci danno una bella lezione ammonendoci che «bisogna amare il capitalismo». Noi non avevamo sentito dire questa frase neppure dalla scuola di Chicago e da Milton Friedman in persona, che pure qualche volta abbiamo frequentato. Non siamo sicuri di esser all’altezza di un simile trasporto sentimentale. Ma siamo certi che chi ama il capitalismo (vedi il Financial Times, The Economist, il New Yorker, New York Magazine, Nesweek) detesta il conflitto di interessi. Perché il conflitto di interessi è una roulette truccata e i veri giocatori la disprezzano. «Il Riformista», invece, ama il capitalismo ma non ha fatto caso al dettaglio.
L’UNITA’ on-line 22-12

Newsweek: l'annus horribilis di Berlusconi

«Ormai gli restano solo le elezioni anticipate»

di red

Il popolare settimanale americano Newsweek ha dedicato uno spazio della sua rassegna politica di fine anno ai disastri politici di Silvio Berlusconi. Il presidente del consiglio italiano, secondo l'autorevole giornale, nel 2003 non ne ha azzeccata una. Ormai, dice Newsweek, gli analisti sono sempre più convinti che gli restino solo le elezioni anticipate. Un fallimento dietro l'altro. A partire dalla presidenza Ue: «Il suo incarico effettivo è iniziato paragonando un europarlamentare tedesco ad un kapò nazista e si è concluso con il disastro del recente summit costituzionale di Bruxelles.»

Poi è arrivato lo stop di Ciampi alla legge Gasparri: «il presidente italiano Carlo Azeglio Ciampi - scrive Newsweek - si è fatto avanti per fermare una riforma del sistema dell’informazione che avrebbe giovato in primo luogo all’impero mediatico di Berlusconi, e lo ha fatto usando, come accade raramente, il suo potere di veto per impedire a Berlusconi di promulgare una legge a proprio favore». A questo si aggiunge il crollo nei sondaggi (l'indice di gradimento sarebbe sceso sotto il 30%) e la crescente opposizione alla presenza italiana in Iraq e alla stretta alleanza con Washington. Infine, prosegue Newsweek, la crisi della maggioranza, egemonizzata dal «leader nazionalista xenofobo Umberto Bossi» sarà difficilmente arginata con il rimpasto di governo.

«Ora - conclude il settimanale - molti analisti pensano che Berlusconi sarà costretto ad elezioni anticipate nella prossima primavera, e che le potrà facilmente perdere». Ma non basta: «Al danno si aggiunge la beffa: il recente cd di canzoni napoletane firmato da Berlusconi non è nemmeno entrato in classifica. Tuttavia almeno un riconoscimento l’ha ottenuto: l’Associazione della Stampa Estera lo ha nominato Peggior comunicatore del 2003».

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ESPRESSO on-line 22-12

Le rapide giravolte dei neotrasformisti

Il padrone Berlusconi fonda una Casa della Libertà… con dentro Craxi, Putin e i fascisti

Giorgio Bocca

I giornali riportano le dichiarazioni del neofascista Giovanni Alemanno, ministro berlusconiano in visita a Israele e al sacrario dell'Olocausto: "Mai più, mai più, mai più". E il vice presidente del Consiglio Gianfranco Fini ha appena finito di dichiarare: "Il fascismo male assoluto, la repubblica di Salò una vergogna". Che si sia già iscritto all'Anpi, l'Associazione nazionale partigiani italiani?

Il trasformismo italiano è vertiginoso, rovescia la storia come fosse uno stuoino, non ha limiti, non ha esitazioni, rosso e nero per lui pari sono. E non gli basta cancellare, dimenticare, ciò che è stato per mezzo secolo: trasforma gli eredi del fascismo crepuscolare e radicale in campioni dei diritti umani e della democrazia. E fa di più: sale in cattedra, mette sotto accusa l'antifascismo. È un rovesciamento delle parti da togliere il fiato.

Dove sta la più bieca conservazione? Nei sindacati, sono loro a impedire che vengano finalmente tagliati i lacci e laccioli che impediscono lo sviluppo.

Chi sono i cattivi maestri? Sono Norberto Bobbio e Vittorio Foa, hanno nascosto le loro debolezze verso l'autoritarismo fascista e comunista, hanno firmato domande di grazia a Mussolini, hanno taciuto sullo stalinismo. Sepolcri imbiancati! Li aveva già smascherati Guglielmo Giannini padre del qualunquismo, lui sì un vero democratico. Lui sì aveva capito che gli azionisti di Giustizia e libertà erano delle vipere, dei giustizieri feroci.

Il trasformismo italiano è sempre stato stupefacente, funambolico, acrobatico. Nei primi giorni di Mani pulite Silvio Berlusconi al solo sentir nominare Bettino Craxi faceva delle smorfiacce di un disgusto che gli toglieva la parola, dei gesti con le mani come a dire non parlatemene e l'altro giorno è stato ad Hammamet per deporre un mezzo di fiori sulla tomba dell'amico Craxi, "compagno nella comune persecuzione dei giustizialisti", che poi sarebbero sempre i perfidi azionisti che imperversano nella informazione "all'ottantacinque per cento ancora comunista", come dice Silvio, monopolista della televisione.

Un trasformismo che sorpassa se stesso, che si inebria dei suoi contorcimenti. Chi sono i veri corrotti? I moralisti, gli onesti. Ma andiamo solo gli sciocchi non capiscono che sono degli ipocriti. Chi i veri liberali e liberisti? I Berlusconi e i Murdoch, padroni della televisione ma fondatori delle 'case della libertà', anticomunisti integrali ma amici dei Putin allevati nel Kgb.

Non le hanno inventate loro la televisione e la pubblicità, ma sono tipi così che hanno loro impresso un ritmo infernale, ne hanno fatto un ballo di San Vito, hanno scatenato - per difendersi si intende - la stampa gialla dei diffamatori a pagamento, dei revisionisti su ordinazione.

Per questo trasformismo il tempo e le opere non contano. Sei stato filofascista per mezzo secolo? Non importa, hai licenza di proclamarti antifascista. Hai difeso la democrazia a rischio della vita, l'hai faticosamente costruita nei decenni? Non vale: hai anche tu le tue debolezze da nascondere. Tutti colpevoli nessun colpevole.

Il trasformismo di oggi è più rapido, più sciolto che nel passato. Per fare del Mussolini socialista il Mussolini fascista ci vollero almeno sei anni e sì che l'uomo era svelto nelle giravolte; per fare dei suoi eredi degli apostati pochi giorni, il tempo di prendere un aereo e di andare a Gerusalemme con in tasca la kippah blu, lo zucchetto, per la visita al sacrario dell'Olocausto.

Del resto la prova di supertrasformismo l'avevano già superata quando erano a Salò; nel fascismo estremo, che dopo vent'anni di dittatura antioperaia inventava la socializzazione. "La parola socialista", diceva Mussolini,"può di nuovo circolare". Non è la prova che i veri reazionari sono coloro che a quella socializzazione si opposero in armi?