giovedì, marzo 31, 2005

RESISTENZA - 31/3/05

L’UNITA’ on-line 31-3
Sommario di I pag.
Berlusconi inquina il voto a reti unificate
«Se vince l'Unione, democrazia in pericolo»
Dopo lo show in diretta Rai dalla fiera di Milano, la registrazione nel salotto amico di Bruno Vespa, la seconda in una settimana. Insulti al centrosinistra a rerti unificate. Aggressivo come gli riesce nei suoi giorni peggiori (ovvero spesso), Berlusconi ha scelto parole esasperate, trasformando la competizione elettorale in una lotta per la democrazia: «Temiamo che in caso di vittoria dell'Unione si possano produrre azioni contro l'altra parte: azioni non democratiche».
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La fiera che non c'è
Prima di raggiungere gli studi della Rai, il presidente del consiglio è andato a Milano, a fianco del governatore forzista Roberto Formigoni. L’occasione per un altro megaspottone televisivo è stata l’inaugurazione della nuova Fiera di Milano. Un’opera progettata e finanziata dal centrosinistra, ma questo non conta. Come non conta che l’area, ancora in costruzione, sarà realmente aperta al pubblico tra cinque o sei mesi. Le elezioni sono adesso, non il prossimo autunno.
Il premier ha bisogno di farsi bello ora, di incassare, se possibile, un successo d’immagine dopo il flop della kermesse di Scelli a Firenze. E Milano è l’occasione giusta per smentire quanto detto fino a una settimana fa: «Questo è un voto amministrativo che ha un'importanza politica».
Al taglio del nastro non c’era l’architetto della nuova struttura, Massimiliano Fuksas: «Un'inaugurazione così vicina alle elezioni – ha spiegato - mostra una visione ristretta e molto piccola, a volte provinciale.»
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REPUBBLICA on-line 31-3
Berlusconi ammette di non essere ottimista sul voto regionale
"Quando l'economia non va bene l'opposizione è in vantaggio"
ROMA - "Temiamo che in caso di vittoria dell'Unione si possano produrre azioni contro l'altra parte: azioni non democratiche. Che possano scatenare giudici politicizzati o portare a termine provvedimenti economici contro una classe sociale". Lo dichiara il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, nella registrazione di "Porta a porta". In cui il premier definisce Prodi, e in generale la sinistra, "una fabbrica di bugie", autori di "una rappresentazione falsa della realtà". Insomma un leader davvero scatenato, quello che si presenta nel salotto di Bruno Vespa; eppure, malgrado la carica con cui affronta gli avversari, Berlusconi ammette di non essere "ottimista" sul voto di domenica prossima. Ecco i passaggi-clou del suo intervento.
Il valore del voto di domenica
Fino a questa mattina, Berlusconi aveva riconosciuto il valore politico generale di queste elezioni regionali. Da Vespa però ricorda che in realtà sono "elezioni amministrative, l'ho sempre detto. Ora mi si dice che sono entrato in campo, ma io partecipo solo a qualche trasmissione televisiva". Il problema, sostiene, è che "Storace è stato attaccato dal giornale ufficiale dell'ex Partito comunista, dei Ds, e mi ha chiesto di partecipare con un piccolo intervento alla manifestazione di domani. Non potevo far mancare la mia solidarietà". Un impegno, conclude, molto diverso da quello di Massimo D'Alema, "che si è vantato di fare 113 comizi elettorali".
L'opposizione favorita
E' un Berlusconi un po' pessimista, quello che parla del voto di domenica: ''Non faccio pronostici sul numero delle Regioni che potremmo conquistare alle prossime elezioni, perché sono consapevole che in questo momento non favorevole per quanto riguarda l'economia è l'opposizione che ha un vantaggio''. Questo perché "nei momenti di tensione economica si scarica sul governo tutto il malcontento. Quindi questo mi induce a non essere ottimista''. Da qui l'appello agli elettori di centrodestra: "Andare a votare, andare a votare, andare a votare".
Le colpe del comunismo
Il presidente del Consiglio, ricordiamolo, aveva negato di aver attributo alla sinistra italiana l'ormai famoso "miseria, terrore e morte" causato dal comunismo nel mondo. Ma oggi, tornando su quell'affermazione, finisce per rincarare la dose: sottolineando come sia singolare che "professionisti della politica possano aver sempre sbagliato tutto e aver condiviso per decenni quella ideologia, essendo complici anche di tutte le efferatezze che quell'ideologia ha prodotto nel mondo".
Il Cavaliere e la Rai
Quando l'attuale opposizione era al governo in Viale Mazzini "io ero continuamente diffamato", spiega Berlusconi. "Nelle televisioni che appartengono alla mia famiglia - prosegue - si citino testimonianze in cui invece oggi sono loro a essere diffamati. Quelle sono tv libere, che hanno un solo padrone: il pubblico". Quanto alla legge Gasparri, in realtà, sostiene il presidente del Consiglio, daneggia Mediaset, che "avrà molti più concorrenti sul mercato che si contenderanno la pubblicità".
Biagi, Santoro e Luttazzi
Il conduttore chiede del famoso episodio in Bulgaria, quando il premier lanciò un anatema contro i tre personaggi, poi spariti dalla tv di Stato: "Allora avevo individuato un comportamento scorretto - spiega oggi - ho parlato di uso criminoso della tv. Ma ero di fronte ad una serie di imprenditori, non sapevo ci fossero giornalisti. Se fosse stata un'occasione ufficiale avrei utilizzato un linguaggio formale".
Meno soldati in Iraq
"C'è già un piano - spiega il premier - di circa trecento soldati in meno entro la fine di settembre. Quando avremo l'accordo con gli alleati e il governo iracheno e ci sarà una decisione definitiva andrò in Parlamento. In questo modo non si indebolirà il livello di sicurezza".
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CITAZIONE
La verità è che siamo stanchi di questo regime di ometti prepotenti. E siamo stanchi dei loro servi e dei loro manutengoli. La verità è che non ne possiamo più di questa continua, indecente, immorale strage di verità.
(Antonio Padellaro, L’Unità 31-3)

mercoledì, marzo 30, 2005

RESISTENZA - 30/3/05

REPUBBLICA on-line 30-3
CARTA CANTA
di Marco Travaglio
Alexis de Arcorville
"Questa sinistra si presenta quindi con programmi diversi per ciascun partito che, tuttavia, non vengono neppure manifestati perché per la sinistra il programma non è importante come lo è invece per i liberali, per quella che si chiama la Casa delle libertà. Per noi la politica una volta raggiunto il governo del Paese è realizzare il programma di cambiamento annunciato agli elettori. Per la sinistra, al contrario, quel che conta è conquistare e poi gestire il potere: è questo l'unico e il vero programma della sinistra".
(Silvio Berlusconi, intervistato da Piero Vigorelli per Mediaset, 25 marzo 2005).
"I problemi di competitività dell'Italia hanno radici profonde non solo nell'economia, ma anche nella cultura, che venera la famiglia e l'impresa di tipo familiare... Il governo italiano in tema di economia è schizofrenico. La coalizione ha un'ala più statalista e interventista, guidata dall'ex-neo-fascista Alleanza Nazionale e, parallelamente, un elemento che dovrebbe essere più liberale costituito dal partito del primo ministro, Forza Italia, e dalla Lega Nord, populista e localista. Tuttavia la retorica dello stesso Berlusconi è percorsa da lodi per l'impresa familiare (come si addice al fondatore di un impero d'affari guidato da una famiglia). La Lega, poi, fa presto a sbarazzarsi dei suoi princìpi liberali appena si profila qualche minaccia per gli interessi dei suoi elettori. Molti di loro possiedono o lavorano per aziende di abbigliamento che, dopo la fine del sistema di quote globali, patiscono le conseguenze dell'export cinese a buon mercato. La settimana scorsa, la Lega Nord stava per far saltare il pacchetto di leggi per la competitività pretendendo dazi sui prodotti asiatici, che l'Italia non ha la possibilità di imporre, dal momento che la politica commerciale è materia comunitaria. Berlusconi li ha rabboniti impegnandosi a far presenti le loro preoccupazioni a Bruxelles, e un ministro è stato doverosamente spedito a conferire con Peter Mandelson, il commissario europeo per il Commercio. Tutto ciò è deprimente per chiunque desideri un'Italia in crescita: un attacco di protezionismo sarebbe proprio l'ultima cosa di cui l'Italia avrebbe bisogno".
(da "Italy's economy", The Economist, 17 marzo 2005).
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Prodi: "La riforma costituzionale mina le radici dello Stato"
Ma “Berlusconi parla di terrore"
ROMA - "E' una campagna partita dall' espressione dantesca di Berlusconi che ha parlato di terrore, miseria e morte. Io ho cercato di calare i toni con una bonomia emiliana, ma se rappresento terrore, miseria e morte certo qualche problema lo creo". Romano Prodi a "Radio Anch'io" risponde così ad una domanda sulla violenza dei toni in campagna elettorale.
“Quando cominciano gli insulti diventa abbastanza difficile dire chi ha ragione e chi torto. E' una campagna elettorale che è nata aspra, ma nell'ultima fase tutto sommato non si è ulteriormente inasprita" commenta il leader dell'Unione.
Statali. "Sta accadendo l'ira di Dio sul contratto degli statali. An sventola una bandiera, Forza Italia un'altra e l'Udc un'altra ancora. Non si capisce davvero più nulla di quanto sta accadendo e dopo le regionali sarà anche peggio". Romano Prodi mette l'accento sulle divisioni del centrodestra.
Riforme. Prodi conferma le sue forti critiche alla riforma della Costituzione voluta dalla Cdl. "Un testo che ridicolizza il Presidente della Repubblica, il Parlamento viene mandato a casa dal premier, la Corte costituzionale viene eletta dall'Esecutivo e il potere giudiziario dipende dal potere esecutivo.“
Prodi ricorda di aver usato un termine ideato dai costituzionalisti americani, "dittatura dell'Esecutivo" – Così si minano le radici del nostro Stato".
I bilanci di Mediaset. Prodi critica la situazione del sistema informativo del nostro paese che è "tutto sbilanciato" e non ha eguali al mondo. "Berlusconi possiede quasi metà sistema televisivo, il 46% del mercato, ne controlla l'altra metà e questo non esiste in nessun altro paese nel mondo". Poi passa ad analizzare i conti di Mediaset e Publitalia: "I bilanci di Mediaset, buon per lui, dieci anni fa erano miserevoli e oggi sono per centinaia di milioni di dollari in profitto. E non ho parlato di Publitalia, che sta praticamente massacrando ed erodendo il mercato pubblicitario di tutto il paese e restringendo spazio a tutti. E sto facendo un'analisi molto serena e molto semplice, da economista".
"Anticomunismo patetico". Ad un ascoltatore che richiama una volta di più il problema dell'alleanza con Bertinotti, Prodi replica: "C'è questo meraviglioso anticomunismo, mi meraviglio come non vengano ripescate dottrine come quella dei quaccheri di qualche secolo fa, questo senso che nel mondo nulla cambia e tutto deve rimanere congelato come nel 1945. E' qualcosa di patetico e tragico per la politica italiana".
Lavoro. Prodi parla del mercato del lavoro e della legge Biagi: si sta creando "una generazione di precari massacrati per un'interpretazione sbagliata del liberalismo".
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L’UNITA’ on-line 30-3
Sommario di I pag.
Prodi commenta l'era Berlusconi: «Quattro anni di sfascio etico»
Sfascio etico, ira di Dio. Romano Prodi, intervenuto mercoledì a Radio Anch’io non usa sfumature e mezzi termini per descrivere l’Italia dopo quattro anni di Berlusconi. «In questo periodo è stato dato un messaggio chiaro e sistematico – afferma il leader dell’Unione - le leggi potevano essere rispettate, ma se non si rispettavano poi arrivavano i condoni». Di qui deriva «la costruzione di nuova etica di basso valore morale, e quindi lo sfascio etico».
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MANIFESTO 29-3
L'equilibrismo del cavaliere alle strette
Berlusconi costretto a caricare le regionali di una valenza politica generale
ANDREA COLOMBO
Berlusconi si è buttato in campagna elettorale e, come sempre, lo ha fatto calandosi fino al collo nella parte. Però ha poco da dire, e si ritrova a martellare sempre sugli stessi tasti, la sinistra che mira solo al potere ed è rimasta comunista nell'anima, il suo governo che ha rispettato fino in fondo il famigerato contratto, più infinite variazioni sui due monotoni tormentoni. Se stavolta il cavaliere dice ancor meno del pochissimo a cui ci ha abituati nell'ultimo decennio non è perché sia fuori forma. Al contrario, gli intervistatori gareggiano per testimoniare con il tono più entusiasta che sprizza energia da tutti i pori. Per quanto energico e combattivo, deve tuttavia camminare su un filo sospeso, e in circostanze simili non si può chiedere a un povero miliardario di dire anche qualcosa di sensato. L'importante è non perdere l'equilibrio. Il non precipitare basta e avanza.
Di sapienza equilibrista raramente il prestigiatore di Arcore ha avuto più bisogno. Ha tutto il diritto di intervenire con la pesantezza del caso nella campagna per le regionali, e chi si scandalizza è ipocrita: cinque anni fa D'Alema fece anche di più, e lo fece per un periodo certo più lungo dell'ultima settimana prima del voto. Proprio per questo, però, il leader diessino pagò con le dimissioni la sconfitta. Avendo caricato, con la sua stessa sovraesposizione, di significati politici complessivi la prova regionale, non poteva non prendere atto di un verdetto negativo che si rifletteva su di lui ancor più che sui candidati battuti.
Berlusconi non aveva alcuna intenzione di infilarsi nella stessa trappola. La sua intenzione originaria era di tenersi per quanto possibile fuori dall'agone e rispondeva appunto alla necessità di vanificare in partenza il tentativo dell'opposizione, ovvio, di trasformare le regionali in un test sul governo.
Il premier è stato costretto a tornare sulla sua decisione dalla minaccia di una sconfitta schiacciante quale sarebbe, checché ne dicano oggi gli interessati, la conferma delle amministrazioni di centrodestra solo nelle roccaforti lombarda e veneta. Per provare ad allontanare questa minaccia, il capo della Cdl deve giocare proprio la carta rischiosa che avrebbe preferito non dover mai calare. Deve investire la prova regionale di una valenza politica complessiva, e per questo deve spendersi in prima persona. Si spiega così la vaghezza che campeggia nell'ultima raffica di interviste pasquali e che tornerà anche nelle bordate dei prossimi giorni. Berlusconi deve ammettere che la posta in gioco nelle prossime elezioni riguarda il governo centrale e non solo quelli regionali, perché altrimenti rischia la rotta, ma allo stesso tempo deve negare vibratamente che il medesimo carattere politico generale esista, per non esporre troppo il fianco in caso di sconfitta domenica prossima.
Certo, anche se battuto Berlusconi non seguirebbe di certo l'esempio di D'Alema. Cercherebbe alibi, come già sta facendo col tentativo di questi giorni di mettere le mani avanti spiegando che un'eventuale sconfitta quest'anno non pregiudicherebbe affatto le possibilità di vittoria nel 2006. Ma queste sono favole che il premier può raccontare ai giornalisti, certo non ai suoi alleati e colonnelli. I quali sanno perfettamente che una sconfitta tonda alle regionali renderebbe difficilissima la battaglia per le politiche, e ciascuno ne trarrebbe le conseguenze anche a costo di riportare la Cdl in quella condizione di formicaio impazzito nella quale si trovava sino a pochi mesi fa. Berlusconi, da parte sua, perderebbe probabilmente ogni residua remora e tenterebbe di tutto, anche a costo di imporsi con le cattive sui soci, per tentare di evitare il disastro. Nella partita conclusiva della lunga transizione italiana, il test di domenica non è un prologo. E' a tutti gli effetti il primo tempo.
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CITAZIONI
Il premier a reti unificate è diventato ormai un dogma di fede. Chi osa criticare tale dogma è un infedele da espellere immediatamente dalla comunità politica e mediatica. Questi signori vorrebbero fare letteralmente a pezzi quel poco che ancora resta dell’articolo 21 della Costituzione. Ci sono tanti motivi per mandarli a casa. Questo non ci sembra davvero uno degli ultimi.
(Giuseppe Giulietti, L’Unità 30-3)
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I pensieri del Cavaliere - lo capisco delle sue reazioni a ogni fatto politico - sono concentrati sull’esito, molto incerto, delle elezioni del 2006, soprattutto se, come pare, le regionali gli andranno male. Infatti, se perde, non sarà come nel 1996, non preparerà la rivincita per il 2011: il Cavaliere chiude con la politica. E si chiudono tante altre cose. Cosa ne sarà di Forza Italia? Forse si sfascerà, e qualcuno pensa già a una formazione centrista. Esisterà ancora la Casa delle libertà? Non credo. Tutto lo scenario cambia. Le cose non sarebbero tranquille neppure a Mediaset, dove i profitti, in questi anni di premierato, sono lievitati. Insomma, gli scenari possibili sono da incubo per il Cavaliere, già oggi nervoso.
(Emanuele Macaluso, Il Riformista 30-3)

martedì, marzo 29, 2005

RESISTENZA - 29/3/05

REPUBBLICA on-line 29-3
Berlusconi al rush finale
"Scendo in campo perché queste elezioni sono un test politico"
Ma "Qualsiasi cosa accada, andrò avanti"
ROMA - Quattro città in quattro giorni. Tre manifestazioni pubbliche. Due esternazioni mediatiche nazionali, una alla radio oggi, l'altra nel più visto salotto tv, giovedì. Sarà un rush finale a dir poco impegnativo per Silvio Berlusconi. Dopo aver annunciato che non avrebbe fatto campagna elettorale, come noto il premier ci ha ripensato di fronte al complicarsi delle sfide, quattordici Regioni in palio, otto presidenti attualmente di centrodestra, sei di centrosinistra e il rischio concreto di non riconquistarne più di tre al massimo quattro. "E' anche un voto politico", ha confermato Berlusconi intervistato dai giornali del Gruppo Espresso.
La settimana di fuoco del premier si apre dunque oggi, con una diretta mattutina a Radioanch'io. Domani, mercoledì, Berlusconi volerà prima a Reggio Calabria, per scoprire un busto in memoria di Nicola Calipari, poi a Firenze, dove nel pomeriggio è previsto al Palamandela il varo di "Onda azzurra", il movimento giovanile parallelo a Forza Italia che dovrebbe fornire attivisti under 30 in vista delle elezioni politiche del prossimo anno.
Il difficile compito di arruolare e formare i ragazzi è stato affidato dal Cavaliere a Maurizio Scelli, commissario uscente della Croce rossa. La presenza del presidente del Consiglio sarà solo "istituzionale", assicura l'ex commissario, poiché "Berlusconi è molto sensibile alle esigenze dei giovani".
Giovedì il premier sarà di nuovo a Milano, per inaugurare con Roberto Formigoni la nuova Fiera. Appuntamento istituzionale, giurano a Palazzo Chigi. La coincidenza col voto però non è sfuggita all'architetto che ha creato il nuovo polo fieristico, Massimiliano Fuksas, il quale ha fatto sapere che alla solenne cerimonia lui non ci sarà: "C'è un eccessivo odore di elezioni", ha spiegato.
Sempre giovedì, Berlusconi rientrerà subito a Roma per intervenire a Porta a porta. E' la seconda volta in due settimane, secondo la nota regola Rai per cui una volta Berlusconi viene invitato in quanto presidente del Consiglio e la volta dopo da leader di partito.
Venerdì, infine, il gran finale. Insieme a Gianfranco Fini e Marco Follini, al Palalottomatica di Roma, per chiudere la campagna elettorale di Francesco Storace. Impegno assolutamente straordinario, come si diceva, deciso solo all'ultimo momento. Ma inevitabile dal momento che quelle di domenica prossima saranno, l'ha detto Berlusconi, "anche elezioni politiche".
"Qualsiasi cosa accadrà il 4 aprile, dopo le elezioni Regionali, il governo andrà avanti". Silvio Berlusconi, ospite questa mattina alla trasmisione della Rai "Radio Anch'io", esclude ricadute sul governo in casi di sconfitta alle prossime regionali. Non si può nemmeno immaginare che il governo venga meno agli impegni assunti con gli elettori e non porti a termine la legislatura", dice Berlusconi, aggiungendo che "il segnale politico del voto sarà dato dalla differenza tra i voti ottenuti complessivamente da questa maggioranza rispetto a quelli dell' opposizione". Perché, ha insistito il premier, "c'è una differenza tra regione e regione: prendere la Lombardia non è come vincere in Basilicata o nelle altre regioni dell' Italia centrale".
Opposizione disfattista. "Senza fiducia non si va da nessuna parte: e il motore è l'incentivo ai consumi. Invece vedo nell' opposizione una voglia di declino e di disfattismo". Berlusconi, dai microfoni di 'Radio anch'io' torna ad attaccare il centrosinistra.
Par condicio. Per quanto rigarda la comunicazione politica, "la situazione dell'Italia non è da paese democratico". Berlusconi conferma l'intenzione di cambiare la legge sulla par condicio entro la fine della legislatura.
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CITAZIONE
Del fatto che la scelta dei governi regionali, da parte delle popolazioni e dei territori, fosse il preludio del voto nazionale, se ne era già accorto Massimo D'Alema al turno elettorale del 2000, tanto da essere costretto, dopo la batosta del 9 a 6 che fece sprofondare il centrosinistra, a cedere lo scranno alto di Palazzo Chigi. Se ne sta accorgendo, adesso, anche Silvio Berlusconi, che dopo aver negato ostinatamente tale valenza, e di voler scendere in campo a sostegno degli uomini e delle (poche) donne della sua coalizione, si sta rassegnando e affrettando, da ultimo, a correre in soccorso delle traballanti sorti dei governatori del Lazio e delle altre regioni "a rischio"; con un impegno personale che se da un lato è rivelatore della fragilità delle liste e delle candidature vecchie e nuove della Casa delle Libertà, dall'altro esporrà il premier ai contraccolpi che ne deriveranno, sul terreno politico generale, se dovessero concretizzarsi i risultati dei sondaggi, che - a parte il Lazio "indeciso" e il Piemonte "difficile" - attribuiscono alla CdL con risultati netti soltanto la Lombardia e il Veneto.
(Gemma Contin, Liberazione 29-3)

lunedì, marzo 28, 2005

MEDITAZIONE - 28/3/05

LA COSTITUZIONE? BOH…
WWW.CENTOMOVIMENTI.COM 28-3
Il legittimo sospetto della complicità
RICCARDO LENZI
Qualcuno ha correttamente individuato nello stupore e nell’incredulità le reazioni che accomunano i commentatori stranieri (di destra e di sinistra) di fronte alle vicende italiane. Il fatto che la metà degli italiani non sia nemmeno al corrente della riforma costituzionale in corso d’opera (vedi Mannheimer sul Corriere della Sera pasquale) è di per sé una risposta esaustiva per qualunque analista comprensibilmente sbigottito.
D’altronde nessun governo dal 1948 in poi si è mai preoccupato di insegnare agli italiani il valore e i contenuti della nostra carta costituzionale. Lo stesso Andreotti avrebbe fatto meglio ad occuparsi di questo doveroso impegno pedagogico, piuttosto che “convivere” con la mafia (almeno fino al 1980). E’ questo infatti - e non la veneranda età, come affermato con oltraggiosa impudenza dall’inconsapevole ministro Giovanardi - l’elemento biografico che rende (o dovrebbe rendere) irrilevante qualunque opinione politica espressa dal senatore a vita. Benché spesso si tratti di opinioni condivisibili. Certo è che chiunque altro avesse azzardato un parallelo tra il 23 marzo 1919 (fondazione del Fascio di combattimento) e il 23 marzo 2005 (sfascio della Costituzione repubblicana), sarebbe stato linciato sulla pubblica piazza mediatica.
Fanno bene i sondaggisti, gli analisti e i cosiddetti esperti a segnalare la impopolarità e il disinteresse che circondano la Costituzione e l’antifascismo. Lo sappiamo tutti e lo sanno bene anche quegli esponenti del centrosinistra che da anni sostengono la necessità di una riforma della Carta del 1948 e di una “pacificazione” tra vinti e vincitori. Lo spirito riformatore dei politici italiani è veramente bipartisan: tutti i partiti ci raccontano da anni quanto sia indispensabile rinnovare obsoleti contratti sociali, mentre loro non riescono nemmeno a riformare sé stessi.
Anzi, per sopravvivere sono costretti a legittimarsi a vicenda (persino falsificando le firme di chi, Costituzione alla mano, non dovrebbe nemmeno avere il diritto di partecipare alle elezioni). Intanto l’Italia non fa figli. Se non fosse per la gravità della situazione, verrebbe da dire: aspettiamo che la natura faccia il suo corso...
Se parlar male dei “professionisti della politica” (categoria della quale ormai, gli piaccia o no, anche Silvio fa parte) oggi è come sparare sulla croce rossa, meno scontato ma altrettanto doveroso è rifiutarsi di tollerare le innumerevoli, pedanti lezioncine di certi professori prestati alla politica, spesso trasformati in politicanti prestati alla disinformazione. La prostituzione è, come si dice, il più antico dei mestieri. Un tempo però erano rare le vocazioni in questo senso: di solito era un mestiere scelto per necessità. Oggi le vocazioni sono aumentate vertiginosamente.
C’è chi addirittura “gode” facendo l’informatore della Cia (Giuliano Ferrara). E chi, più pudicamente, si limita a raccontare frottole alla gente, fingendo di andare contro corrente; in realtà remano anch’essi col vento in... poppa. Mi riferisco, ad esempio, ai professori Cacciari e Barbera che da tempo impartiscono saccenti lezioni dal loro doppio pulpito (accademico e politico). Il primo straparla di antifascismo definendolo un “luogo comune” condiviso ormai da tutti tranne la Mussolini, per ovvi motivi pubblicitari. Il che significa pensare che un terrorista fascista ex latitante come Roberto Fiore, purché non prenda troppi voti, è libero di fare politica in Italia. Peccato che il problema non sia circoscrivibile a pochi residui bellici: l’attuale presidente del Consiglio non ha mai partecipato ad una celebrazione del 25 aprile. Ma questo non fa notizia. Il problema per il filosofo-candidato è che ai giovani non gliene frega niente. E invece di chiedersi se anche lui, in quanto membro della cosiddetta classe dirigente, ha qualche responsabilità in merito, il filosofo-candidato ci indica la strada maestra: “In-no-va-re, tras-for-ma-re!”. Con tanto di punto esclamativo.
La stessa scuola di pensiero (?) ha prodotto un altro prestigioso sostenitore di bugie accademiche. Si chiama Augusto Barbera ed è tra i più noti (nel senso di “famosi”) costituzionalisti.
Egli afferma con compiaciuto ottimismo che gran parte degli allarmismi sulla riforma costituzionale approvata dal Senato il 23 marzo sono infondati. La dittatura della maggioranza? Ma quando mai. I superpoteri del premier? Un falso problema. L’umiliazione del Presidente della Repubblica e del Parlamento? Solo insignificanti effetti collaterali. E così via.
In un Paese già distratto questi pompieri civici fanno poca fatica a spegnere i fuocherelli della polemica politica. La confusione dei (pochi) lettori di quotidiani, che in questi giorni cercano di capirci qualcosa, aumenta di giorno in giorno. Questi professori-candidati sono pertanto complici della destra nel creare questo caos informativo. Resta da vedere se la complicità - loro e di chi non li smentisce con forza - si ferma qui. Qualcuno - più “autorevole” del sottoscritto - può spiegare a questi presunti educatori della nazione che l’unico, insopportabile luogo comune bipartisan di cui ci si dovrebbe liberare è la presunta necessità di una riforma costituzionale? Che per almeno altri dieci anni la Costituzione va con-ser-va-ta, applicata e insegnata ai giovani. E che se l’Italia vive un periodo drammatico della sua breve storia unitaria la colpa non è della qualità delle istituzioni, ma della mediocrità di una classe dirigente (politici, intellettuali, giornalisti, imprenditori e “professori”) che ha giustamente perso ogni credibilità e, perciò, ogni capacità di influenzare l’opinione pubblica. Quest’ansia riformatrice ha un che di rivoluzionario. Speriamo che tra gli effetti collaterali di questo curioso rinnovamento, operato dall’alto (in senso lato...) delle istituzioni berlusconizzate, ci sia quello di gettare dalla finestra insieme al bambino della convivenza civile anche l’acqua sporca e fetida del compromesso sottobanco. Tra l’inciucio e la guerra civile esiste una ragionevole via di mezzo: si chiama politica. Ed è, questa sì, una cosa seria.

domenica, marzo 27, 2005

RESISTENZA - 27/3/05

REPUBBLICA on-line 27-3
EDITORIALE
Chi gioca a rubamazzo col popolo sovrano
Berlusconi sta in piedi fino a quando la gente scopre quel niente che c'è dentro
di EUGENIO SCALFARI
MOLTE esternazioni si sono lette e ascoltate dopo il voto del Senato sulla riforma costituzionale. Da destra, da sinistra, dal centro nelle sue varie declinazioni. Bossi ha pianto di gioia. Prodi ha chiamato il Paese alle armi (politiche). Fini e soprattutto Follini hanno votato turandosi il naso. Tutti gli altri compari inneggiano.
Ma l'esternazione più significante è quella venuta dal nostro "premier": "Non capisco perché Prodi si lamenta. Se fosse sicuro di vincere le elezioni del 2006 dovrebbe rallegrarsi perché io gli ho preparato un premierato fortissimo. Se se ne lamenta è segno che è sicuro di perdere".
Sembra una barzelletta, invece non lo è. E' la quintessenza del pensiero berlusconiano. Anzi dell'antropologia berlusconiana. L'uomo berlusconiano è uno che naviga a vista e punta sui risultati immediati. Produrre valore, subito. Mungere la vacca, subito. Far passare una legge, subito, per decreto o con maxi-emendamento blindato dalla fiducia. Trovare i soldi che mancano all'erario, subito, con condoni e prestiti finanziari contratti il 30 dicembre e rimborsati il 2 gennaio. Si chiama finanza creativa e serve ad imbellettare il bilancio per tre giorni su 365. L'uomo berlusconiano privilegia gli effetti di annuncio. L'annuncio infatti produce effetti immediati. Purtroppo durano poco se non sono corroborati dai fatti successivi.
E' un guaio, ma si può scongiurare lanciando un secondo annuncio e poi un terzo, un quarto, un quinto, all'infinito. Un annuncio sorregge il precedente e prepara il successivo. Un castello di carte tenuto insieme con lo scotch, dentro il quale c'è il vuoto. Sta in piedi fino a quando i destinatari scoprono quel niente che c'è dentro. Allora e soltanto allora la gente smette di credere agli annunci e all'euforia subentra il disincanto. Così è stato per la riduzione delle imposte, per i cantieri non-aperti, per i reati non diminuiti, per i militari in Iraq non ritirati e tantomeno ritirabili, per la ripresa economica sempre annunciata e mai cominciata.
Il nocciolo della riforma costituzionale è, come ha detto Prodi, la dittatura della maggioranza e quella del "premier". Quindi, se Prodi spera di vincere le elezioni sarà lui il dittatore. E non è contento? Che cosa c'è di meglio che avere poteri dittatoriali? Che un galantuomo democratico si rifiuti di prenderne possesso e di usarli a sua discrezione è un paradosso inconcepibile e incomprensibile per l'uomo berlusconiano. Per il democratico berlusconiano, per il liberale berlusconiano. Per il liberista berlusconiano.
È la bulimia del potere. Il fascino del monopolio. Tutto il resto sono chiacchiere, demagogia, populismo. Fuffa.
Dittatura della maggioranza è ben detto. Sappiamo che ne parlava anche Tocqueville come di un "monstrum" devastante di ogni sistema basato sull'equilibrio e sulla separazione dei poteri. In sostanza, l'opposto di uno Stato di diritto. Sta di fatto che la dittatura della maggioranza è l'anticamera del regime totalitario.
Tuttavia il nocciolo della riforma berlusconiana contrattata con Bossi in contropartita con la devoluzione, sta nella dittatura del "premier" sulla sua maggioranza. Questo è il cuore della questione e ciò che rende inaccettabile l'impianto complessivo della riforma. Perché può scioglierla quando vuole, rimandarla a casa quando vuole, promuovere una nuova votazione quando vuole.
Questo premier dispone di mezzi finanziari propri imponenti e di mezzi di comunicazione altrettanto imponenti. Dispone quindi di un potere esorbitante che non è solo quello, pur abnorme, scritto nella riforma costituzionale, ma suo proprio; un potere privato che dispone di strumenti persuasivi di ogni genere, capaci di contrarre alleanze, comprare o ripartire favori, corrompere corpi e anime, manipolare il consenso. Insomma instaurare e blindare quello che Umberto Eco ha definito un regime populista-mediatico, già in fase di avanzata costruzione.
La riforma approvata dalle Camere in prima lettura rappresenta il tocco finale di quella costruzione. Quando sarà stata approvata anche in seconda lettura e confermata dal referendum previsto dalla Costituzione, il regime sarà pienamente operante.
Giulio Andreotti, che ha votato contro la riforma, ha ricordato con l'aria svagata che assume tutte le volte che vuole dire cose importanti, che la riforma votata dal Senato il 23 marzo coincide con la data in cui, nel 1919, fu fondato a Milano in piazza San Sepolcro il "Fascio di combattimento".
E' una coincidenza casuale ma degna di attenzione. Non perché il 23 marzo del 2005 si siano messe le premesse della rinascita del fascismo. Chi pensa questo commette una sciocchezza. Ma è vero che il 23 marzo del 2005 si è fatto un decisivo passo avanti nella costruzione di un regime populista-mediatico imperniato su Silvio Berlusconi e blindato dal patrimonio privato e dalle proprietà televisive di Silvio Berlusconi, presidente del Consiglio, leader di Forza Italia e della Casa delle libertà nonché concessionario dello Stato per le frequenze televisive via etere e dell'accesso privilegiato al digitale terrestre sulla base della legge Gasparri, titolare del potere di nomina del presidente della Rai e del potere di nomina del presidente dell'Autorità delle comunicazioni.
Tutto questo è in gran parte già avvenuto sotto gli occhi plaudenti o distratti della maggioranza degli italiani.
Tutto questo se il centrodestra dovesse vincere nelle elezioni del 2006. Ma se dovesse invece perdere?
Ebbene, scomparirà e loro lo sanno. Se le tracce di un centrosinistra sconfitto saranno molto labili, quelle della Casa delle libertà non esisteranno più fin dal giorno stesso della perdita del potere perché il potere è l'unico cemento che li tiene insieme. Ci ricorderemo ancora di Bondi, Cicchitto, Schifani, Vito, Galan, Marzano, Tremonti, Urbani, Onofrio e compagni?
Berlusconi sì, ce lo ricorderemo per un pezzo. A lui del resto non mancherà né il pane né il companatico che sono già al sicuro e nessuno certo glieli porterà via. Ma la perdita del potere, del monopolio assoluto, del "ghe pensi mi" ovunque e comunque, quello sì gli brucerà disperatamente.
Attenti perciò. I dodici mesi che ci stanno dinanzi saranno durissimi. Tutti i mezzi saranno impiegati, nessun colpo basso sarà escluso, nessun errore sarà perdonato. La regola confacente all'antropologia dei "berluscones" - lo sappiamo - è quella di bastonare il cane finché affoghi.

sabato, marzo 26, 2005

RESISTENZA - 26/3/05

L’UNITA’ on-line 26-3
BANNER
«La Costituzione approvata in Senato è uno schifo, uno schifo, uno schifo. È un testo di un’arroganza straordinaria che elimina pesi e contrappesi: il Capo dello Stato non conterà più, la Consulta è impacchettata, la magistratura indebolita. Sarà un dispotismo elettivo».
Giovanni Sartori, 25 marzo
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LIBERAZIONE 26-3
La notte della Repubblica
La resistibile ascesa di uno smisurato padrone senza qualità
di Raniero La Valle
Meno male che ci sono le vedove. Sulla sovversione istituzionale votata mercoledì dal Senato ha parlato la vedova di Sandro Pertini, "il presidente più amato dagli italiani", che certamente avrebbe bloccato questa controriforma con un messaggio alle Camere prima che arrivasse a un voto decisivo.
Sua moglie, Carla Voltolina, ha fatto l'unico paragone appropriato che è quello tra la nuova Costituzione e le "leggi fascistissime del ‘25"; e Giulio Andreotti ha ricordato che il 28 ottobre del 1922 Luigi Sturzo avrebbe detto: «con trenta deputati, che cosa possono fare questi fascisti?»; e invece fu l'inizio della fine.
Il fascismo è stato dunque esplicitamente evocato dopo il voto del Senato sul nuovo testo costituzionale che stravolge la forma repubblicana dello Stato e instaura la potestà diretta, immediata e incondizionata del Primo Ministro. La resistibile ascesa di uno smisurato padrone senza qualità comincia qui.
Il fascismo padano ha colpito ancora. La prima volta travolse un fragile regno liberal-moderato che era alle prime armi della democrazia di massa; questa volta, per mano della Lega, attacca la Repubblica democratica, nata dalla Liberazione e costruita attraverso l'incontro di tutte le culture democratiche del Paese. Se l'attacco conseguirà il suo fine, le lettere dei condannati a morte della Resistenza italiana ed europea, saranno state scritte invano. Affinché la notte nella quale i popoli europei erano caduti non avesse a tornare, quelle vittime non proclamavano ideali astratti di giustizia e di libertà, ma invocavano che se ne stabilisse la condizione - la democrazia - che vuol dire poteri distribuiti, partecipati, diffusi, istituti di garanzia, rappresentanze pluralistiche; di questo è fatta la seconda parte della Costituzione oggi stracciata; i valori, le libertà, i diritti, hanno infatti bisogno di strumenti, di istituzioni che li tutelino e li realizzino; perciò la norma costituzionale dice che è compito della Repubblica rendere effettiva l'eguaglianza dei cittadini e rimuovere gli ostacoli economici e sociali che impediscono il pieno sviluppo della personalità di ciascuno. Questa è l'antropologia della Costituzione. Quando il costituente Lelio Basso propose ad Aldo Moro questa formulazione dell'art. 3, gli disse: questo per noi è il socialismo. Moro studiò la proposta, e poi gli rispose: chiamatelo come volete, ma proprio questo è ciò che anche noi vogliamo.
Il voto del Senato travolge questo ordinamento e dà inizio alla notte della Repubblica.
È chiaro che sarà il popolo, in ultima istanza, a difenderla. Ma occorre che esso non sia lasciato solo, senza leadership, in questa sacrosanta battaglia che culminerà, dopo un altro passaggio parlamentare, nel referendum contestativo. Solo allora sarà deciso, col voto, se davvero alla Repubblica sarà staccata la spina.

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MEDITAZIONE - 26/3/05

ESPRESSO
L'opinione pubblica narcotizzata dalla tv
La fabbrica delle leggi ad personam lavora a getto continuo ma nessuno più reagisce neppure nella nostra sinistra
Ma i fatti sono fatti e a negare l'esistenza di un regime ci vuole una bella faccia tosta
Giorgio Bocca
Flavia Vento, creatura televisiva, ha così spiegato il suo passaggio dalla sinistra al neofascismo di Francesco Storace, candidato alla presidenza della Regione Lazio: "Mi hanno chiamata e ho risposto". Brava. Meglio dichiararsi voltagabbana tout court che inventare spiegazioni assurde e ipocrite per giustificare i salti della quaglia verso stipendi più confacenti alla propria autostima.
Quel che succede oggi in Italia non è una novità, anzi, e ha un inconfondibile marchio politico: il trasformismo.
Ma i fatti sono fatti e a negare l'esistenza di un regime ci vuole una bella faccia tosta. Cronache degli ultimi giorni. La maggioranza che vota quel che vuole il padrone ha deciso che i palazzi del potere, le case e le ville del presidente del Consiglio, dei suoi collaboratori, amici e parenti godano di extraterritorialità, siano esenti da controlli. È un ritorno alla Francia del re Sole, all'Inghilterra ante Cromwell, a prima della democrazia borghese, a prima delle riforme socialdemocratiche.
L'opinione pubblica insorge? L'opinione pubblica non c'è più, l'ha sostituita la televisione dei quiz e dei festival canori.
Ma i fatti sono fatti. La fabbrica delle leggi imposte dal padrone lavora a getto continuo. Basta con i regolamenti edilizi e con la riscossione delle tasse. Per pagare la campagna elettorale continua, la fabbrica delle promesse impossibili si svende tutto, si 'cartolarizzano' (ma dove lo inventano questo italiano truffaldino?) i pubblici edifici, si passa da un condono all'altro, finito uno legale se ne inventa un altro di fatto, ma è premiato chi non ha pagato le tasse, chi ha violato le leggi, chi ha costruito nelle riserve naturali, o a due passi da Trinità dei Monti, nei giardini del Quirinale.
Le pene per il falso in bilancio sono troppe alte? Le si diminuisce. Quelle per la corruzione di pubblico ufficiale portano in galera? Le si sostituisce con le altre che ti conservano in qualche alta carica dello Stato. È tutto un fiorire di leggi ad personam, una frenesia di leggi che assolvono i briganti e puniscono gli onesti. Non si fermano, non riposano quelli che Vittorio Alfieri chiamava gli infrangileggi, quelli che le leggi "possono farle, distruggerle, interpretarle, impedirle, sospenderle o anche solo eluderle con sicurezza di impunità". E chi ha questo potere è un tiranno e ogni società che lo ammetta è tirannide, ogni popolo schiavo.
Non è un regime questo? Non è una tirannide del denaro questa in cui il capo del governo premia chi ha versato al suo partito 500 mila euro invitandolo in tribuna d'onore a una partita di calcio, che sembra una favola dei tempi di Riccardo cuor di leone?
Ma è proprio questo che vogliono molti buonisti della nostra sinistra, provare anche loro un po' di dolce vita. La pensano tutti un po' come Bettino Craxi. Lo informano che un suo capetto usa come bische le sezioni del partito e lui dice: lo so, ma io ho bisogno dei suoi voti, io prima voglio fare politica, arrivare al governo e poi darò la caccia ai ladri. Arrivò al governo, la caccia ai ladri non la diede e un giorno la diedero a lui.

venerdì, marzo 25, 2005

RESISTENZA - 25/3/05

REPUBBLICA on-line 25-3
La grande paura di Berlusconi - "Se cade il Lazio tutti a casa"
Per questo ha raccolto l'appello di Storace
di MASSIMO GIANNINI
FORSE esagera Rutelli, quando dice: "Berlusconi fa il comizio conclusivo con Storace? Allora Marrazzo ha già vinto". Ma è vero che la mossa del Cavaliere, a 10 giorni dalle regionali, tradisce una duplice debolezza. Quella di Berlusconi, che aveva annunciato l'intenzione di tenersi fuori dalla campagna elettorale. E quella di Storace, che rischia seriamente di uscire sconfitto dal voto del 4 aprile. L'una e l'altra, sono le due facce di una stessa, consapevole paura: se perde il Lazio, il centrodestra perde le regionali. E se cade il Lazio, può cadere anche il governo. In queste ore, tra gli stati maggiori della Casa delle Libertà si respira un clima pesante.
La previsione ricorrente, sull'esito delle prossime elezioni, è preoccupante. "Potrebbe finire 11 a 3 per il centrosinistra", si sente ripetere. Il Polo, cioè, vincerebbe solo in Lombardia, in Veneto e in Puglia. Si infrangerebbe così quella "linea Maginot" sulla quale si erano attestati, fino a qualche giorno fa, il Cavaliere e i suoi alleati. Il ragionamento era il seguente: “Se anche perdiamo 9 a 5, noi conserviamo la guida delle "macro-regioni", più importanti sul piano geo-politico: Lombardia, Veneto, Piemonte, Lazio e Puglia". Era questo il senso della sortita di Berlusconi, quando un paio di settimane fa aveva detto: "Quello che conta, alla fine, è il numero complessivo di elettori che avranno votato per noi".
Oggi, sondaggi alla mano, il premier ha perduto anche questa certezza. Ma adesso a questo spauracchio se ne aggiunge un altro. Il Polo non è più così certo di vincere nel Lazio. L'effetto dello scandalo Mussolini si è rivelato più pericoloso del previsto.
Il messaggio che Storace ha affidato l'altro ieri al Riformista parla da solo: "Il valore nazionale di queste elezioni dipende dal fatto che il Lazio è diventata la regione più importante del Paese... E se si perde il Lazio, il successore di Berlusconi non può che essere Prodi".
E questo spiega anche il perché premier e vicepremier, a stretto giro e contravvenendo a una promessa che avevano formulato nelle settimane scorse, hanno raccolto subito l'appello di Storace, assicurandogli il sostegno all'ultimo appuntamento di piazza della campagna elettorale. Nel Lazio si gioca ormai la posta più alta. Se Storace perde, An si sfascia e va in frantumi l'asse moderato che, insieme all'Udc, tenta timidamente di resistere alla ritrovata tenaglia Berlusconi-Bossi. Se cede questo già precario equilibrio, viene giù la Casa delle Libertà.
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CITAZIONI
(dal Manifesto)
Berlusconi: è tutto chiaro
«Non commento i fatti giudiziari, ma gli italiani hanno capito tutto benissimo». Il premier Silvio Berlusconi non aggiunge altro sulle nuove accuse nei suoi confronti nell'ambito dell'inchiesta sui diritti cinematografici. Ci pensa il presidente di Mediaset Fedele Confalonieri a specificare: «È la solita storia, con un chiaro carattere elettorale. In Italia c'è una lotta politica che si fa con tutti i mezzi, anche con la magistratura». Gli fa eco il ministro delle comunicazioni Maurizio Gasparri: «Si vota e quindi si indaga su Berlusconi».
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Il «coming out» del premier
«Vado a canonizzarmi perché mi sono ritrovato gay e di sinistra». Così Silvio Berlusconi si rivolgeva ai giornalisti martedì sera a Bruxelles, al termine del consiglio europeo, spiegando che «se uno vuole santificarsi in Italia deve essere sia l'uno che l'altro».
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L’UNITA’ on line 25-3
Sommario di I pag.
Prodi e Berlusconi, sfida a distanza in televisione
Due interviste parallele, in onda domani su Rete4. Da una parte Prodi, dall'altra Berlusconi. Per il presidente del Consiglio l'Italia va benone, l'impoverimento delle famiglie semplicemente «non c'è». E alle regionali, per stabilire chi ha vinto, non si dovrà contare il numero dei governatori, ma i voti presi, come in una competizione proporzionale. Per il leader dell'Unione a forza di condoni si è persa la cultura della legalità, il governo sta smantellando lo Stato con la devolution e quanto alle grandi opere, le uniche inaugurate sono quelle fatte dal centrosinistra.
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WWW.CENTOMOVIMENTI.COM 25-3
Il golpe del 23 marzo
Salvare la Costituzione e la Democrazia antifascista per liberarci di un'anomalia unica al mondo e di una minaccia mortale per il futuro sereno e democratico del nostro Paese
EDUARDO RINA
C'è ancora chi si illude di trovarsi in un sistema "democratico" e di "Diritto Costituzionale". Riporto alla memoria dichiarazioni di autorevoli esponenti del centrosinistra circa la "disputa" sull'esistenza o meno di un "regime berlusconiano" in Italia: "Berlusconi non bisogna demonizzarlo ... Berlusconi ha vinto democraticamente le elezioni ... con le televisioni non si vincono le elezioni ... le inchieste della Magistratura fanno il gioco del Cavaliere". Infatti nessuno parla dell'indagine e dell'ultimo capo d'imputazione al presidente del Consiglio per l'inchiesta sui "diritti televisivi" di Mediaset con la corruzione dell'avvocato David Mills! E se in qualsiasi altro Paese al mondo ci si sarebbe "lacerati" sul destino del governo, in Italia si "approva" in cinque (dicasi cinque) ore di dibattito parlamentare la "Costituzione di Lorenzago", frutto di ruspanti "partite di tresette o di scopone tra i "costituzionalisti" Tremonti, D'Onofrio, Calderoli e Nania!
Le alte e nobili ragioni della modifica alla Costituzione antifascista e agli ordinamenti della Repubblica Italiana nata dalla Resistenza e dalla vittoria sul nazifascismo sono riassumibili in due punti (su tanti): la realizzazione del "patto notarile" tra Bossi e Berlusconi per una secessione mascherata da "pseudofederalismo" (da giocarsi al Nord come vittoria politica "leghista") e lo smantellamento dello Stato di Diritto, con inevitabili ricadute sullo Stato Sociale, fondato su equilibri e contrappesi democratici tra i vari "vertici" e "istituzioni" della Repubblica, con la configurazione di uno Stato Autoritario basato sul potere fortissimo del "Premier" e sull'indebolimento (o la soppressione?) delle Garanzie democratiche e degli equilibri tra le Istituzioni della Repubblica. Qualche decennio fa si sarebbe parlato di golpe antidemocratico, anche se a prefigurarlo fossero state "forze politiche democratiche e antifasciste". E la mobilitazione possente delle forze della democrazia avrebbe sventato sul nascere qualsiasi velleità anticostituzionale.
Oggi, invece, dove sono e come si "muovono" i leader nazionali dell'opposizione? A parte Romano Prodi (che parla di "dittatura" in maniera aperta e chiara) e Antonio Di Pietro (che da sempre richiama allo "sforzo unitario" per contrastare la deriva del regime mass-mediatico e del monopolio dell'Informazione piduista), cosa dicono e, soprattutto, cosa fanno i leaders dei partiti maggiori?
E vero che ci sono le Elezioni regionali tra una settimana e si spera tutti di dare il colpo di grazia al "liftato unto del Signore", ma se non si "volta pagina" nell'approccio e nella risoluzione dell'urgente questione dell'Informazione di regime (sempre più totalitaria e arrogante) e nella creazione sul territorio di centinaia e di migliaia di "Comitati e Coordinamenti per Salvare la Costituzione e la Democrazia antifascista", avremmo perso l'ennesima occasione per "liberarci" di un'anomalia unica al mondo e di una "minaccia mortale" per il futuro "sereno e democratico" del nostro Paese. Con un serio e sempre più realistico "rischio" per la "convivenza civile".

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MEDITAZIONE - 25/3/05

FORZA DELLA COSTITUZIONE
CONTRO
COSTITUZIONE DELLA FORZA
REPUBBLICA on-line 25-3
Riforma, ingenua illusione
di GIUSEPPE D'AVANZO
ANCORA oggi c'è chi pensa che della riforma della Costituzione, alla fine, non se ne farà nulla. Il referendum la cancellerà, si dice con avventatezza. Nel mondo politico, della cultura e dell'informazione, per non parlare dell'opinione pubblica, c'è chi è - ancora oggi - fiducioso che "il limite" non sarà oltrepassato. L'ingenua illusione può provocare disastri imponenti se non si affronta con realismo quel che è accaduto al Senato con l'approvazione della "Riforma dell'ordinamento della Repubblica" (primo firmatario Silvio Berlusconi). Ha vinto una cultura politica che crede sia la forza il reale fondamento della convivenza umana (…)
Sembra quasi che la Carta debba essere affare di Corti Costituzionali, di giudici, di garanzie e non anche l'impegno comune che custodisce un modello di società condiviso, la rappresentazione di un fine e di un futuro collettivo. È proprio vero che bisogna "svegliarsi". Quel che attende il Paese con il referendum è un confronto tra culture politiche. Della cultura "cesaristica" di Berlusconi si sa e si è detto, ma quella che ha ispirato la Costituzione del 1947 dov'è? È ancora viva? Se è viva, perché tace, perché non si mostra?
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MANIFESTO 24-3
La riga mancante
STEFANO BENNI
Apro l'Unità e leggo: «Muore la Costituzione, dittatura del premier». Sento un leggero disagio, che inizialmente attribuisco alla parola «premier» e all'orribile immagine della sua tricointermittenza, ma subito dopo capisco che il motivo è un altro. Al titolo manca qualcosa, precisamente una seconda riga. Questo mi viene confermato da una mia amica francese che un po' sadicamente dice: ma insomma, muore la Costituzione, c'è dittatura del premier e siete ancora qui a bere il cappuccino? Non do la colpa di questa riga mancante ai giornalisti de l'Unità, essendo spesso più settario e confuso di loro. Il mio disagio nasce perché in quella riga mancante, c'è tutto ciò che mi fa imbufalire della sinistra istituzionale italiana, a pochi giorni dal voto.
Immaginiamo che i casi siano due. O è vero, come talvolta appare nei discorsi dei dirigenti della sinistra, anche i più pacati, che stiamo vivendo un vero e proprio regime, retto da un premier seminatore di odio, bugiardo e plurinquisito, affiancato da un lato dal suo avvocato condannato per corruzione, e dall'altro dal suo palafreniere condannato per mafia. Un premieruzzo vittimista che si fa ricattare da una banda di finti dimissionari e veri razzisti, a parole integerrimi padani, in realtà matricianari democristiani affamati di comando. Che si appoggia alla modernissima nuova destra Fini-Ikea, poltronara e divanara, molto più interessata a spartirsi la Rai o spiarsi via computer che alla sua base sociale. Un regime che ha violato ogni regola democratica, che ha sfornato leggi ad personam, che ha instaurato una dittatura del maggioritario (parlamentare, non civile), che teme e disprezza la Costituzione, l'indipendenza della magistratura, i diritti dei lavoratori e dei deboli. Un regime sotto cui la camorra e la mafia vivono un momento d'oro e si sono perfettamente saldate con la grande economia, passando dalla gestione della droga alle autostrade e alle banche.
Un regime in cui l'informazione è tornata a livelli di censura da Minculpop e in cui la Rai affastella mediocrità e servilismo, in cui la cultura è una minaccia, in cui si avvilisce e si svende il patrimonio artistico e naturale. Un regime che ha impoverito l'economia italiana a un punto tale che ormai anche il premieruzzo è costretto a ammetterlo, un regime che contro la volontà popolare è sceso in guerra, e che continua questa guerra in totale servilismo dell'America, al punto di non sapere neanche difendere la memoria di un suo funzionario accoppato, e questo termine vale anche in caso di incidente, perché quando affermi di aver portato la pace e l'ordine in un paese, hai anche la responsabilità di mostrarlo.
Oppure dobbiamo dare retta agli ondivaghi pentimenti e dietro-front e correzioni degli stessi dirigenti della sinistra. Non si tratta di regime, ma di prove di regime, di coitus interruptus di regime, di Ceasescu con seltz. Tutto quanto detto nel primo caso era frutto di trance agonistica, non vale più e viene automaticamente trasferito in bocca agli estremisti e alla sinistra che vuole perdere. Siamo di fronte a un premier che ha lievi problemi non solo con i suoi trapianti ma anche con la magistratura, un uomo distratto che non sa scegliere i suoi amici, che è spalleggiato da una Lega i cui toni sono spesso eccessivi e da una destra variegata in cui possiamo scegliere se dare le nostre simpatie a Storace o alla Mussolini. E' vero, ogni tanto alla camera si sfiora la rissa ma poi ci si spiega, e Casini ci dà le pastiglie Valda se abbiamo urlato troppo, e male che vada abbandoniamo l'aula. Sulla Costituzione speriamo che Ciampi e la Corte costituzionale ci possano mettere una toppa, in quanto alla mafia Pomicino e Cuffaro hanno giurato che hanno perso il vizio, comunque la mafia è sempre stata legata al potere e forse come dice Castelli, dobbiamo abituarci.
Non esageriamo sull'informazione, in fondo ogni giorno sono garantiti un'intervistina a Fassino, una poltroncina a Rutelli, uno strapuntino a Pecoraro Scanio, un parere calcistico a D'Alema, cinque secondi a Di Pietro, e una fettina di Tigitrè. Non si vede mai Bocca ma abbiamo tutto lo Zecchi che vogliamo. La cultura serve soprattutto a riempire le piazze durante i concertoni, gli Uffizi li andremo a vedere a Las Vegas, tanto sempre quadri restano. In quanto al parco nazionale d'Abruzzo, compagni, bisogna essere realisti, gli orsi non votano. Per finire, quando si parla di economia siamo tutti sulla stessa barca, cooperatori o speculatori con diversi ideali ma uguali esigenze di bilancio, bisogna seguire la linea di Montezemolo e non quella degli operai rivendicativi. Sulla guerra Bush forse è stato troppo intransigente ma un po' di intransigenza ogni tanto non guasta, vedi Serbia, e in fondo possiamo anche restare in Iraq, basta che non ci allontaniamo troppo dalla caserma, e Calipari in fondo se l'è cercata, doveva circolare con una cinquecento tricolore, un damigiana di vino sul tetto e la scritta: siamo paisà.
C'è una terza via tra queste visioni, tra dissociazione e antagonismo, tra apocalisse e farsa, tra regime e guasto alla democrazia? Forse sì, comunque non sta in mezzo ma è decisamente orientata verso una delle due parti e richiede comportamenti non ambigui. Oppure la via c'era qualche tempo fa, ma è stata offuscata e distrutta da un premier fallimentare che, lo ripeto ancora una volta, non è una vittima, ma il primo seminatore di odio e divisione in questo paese. E quindi, nell'imminenza del voto (non perché sia un momento sacro, ma perché è un momento in cui a volte ti ascoltano, o fingono di farlo) sarebbe dovere della sinistra ufficiale smetterla di ondeggiare ed essere chiara e responsabile di ciò che dice.
Quindi la riga che manca (e ripeto, non la devono scrivere i giornalisti) potrebbe essere una di queste: prima riga: «Muore la Costituzione, dittatura del premier». Seconda riga: «Ma tanto lo sapevamo». Oppure: «Appello a Ciampi». Oppure: «Vibrante protesta in aula». Oppure: «Intervista con Fassino». Oppure: «Comunque resteremo nella Nato». Oppure: «Ma il vero problema restano gli arbitraggi». Oppure: «Referendum subito, ma prima votateci». Oppure: «Italia in piazza, sciopero generale». Oppure: «Italia in piazza per una settimana, sciopero generale a oltranza finché non sarà ripristinata la legalità democratica». Oppure: «Emilia, Toscana e Umbria pronte alla secessione». Oppure: «Alle armi».
Non dico qual è la mia riga preferita, sicuramente ne esistono altre più divertenti o più sensate. Ma nei giorni che mancano alle elezioni i dirigenti della sinistra potrebbero spiegarci quale di queste righe, o quale altra, completa la prima, e se la prima resta valida o va corretta. Dovrebbero spiegare chiaramente quali fatti seguiranno all'alluvione di manifesti, slogan e parole con cui ci chiedono il voto. Fatti nuovi, direi, che vadano al di là della presenza in parlamento, luogo che disprezza e non riflette più la complessità politica del paese. Può tornare a rappresentarla? Speriamo. Ma per il momento, il potere non è più lo stesso, l'opposizione non può più essere la stessa. Impegnarsi su questo aiuterebbe a decidere se e come votare. A avere un briciolo di speranza sull'importanza e la serietà di questo voto, a credere ancora che il desiderio di democrazia e l'impegno caparbio di tanti della sinistra (e di qualcuno dall'altra parte) non venga, per l'ennesima volta dissipato e tradito. Certe parole forti legano a forti responsabilità, a sfide, a coraggio. Dateci un titolo di due righe. Se no, mettetevi il fila da Vespa, a ridire tutto e il contrario di tutto. E non spiegate soltanto cosa succederà se prendiamo (o prendete) il cinquantun per cento, ma cosa succederà se prendiamo il quarantanove per cento: come saremo rispettati e ascoltati, e come ci si batterà per garantirlo.
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CITAZIONI
Viene in mente la favola di Pierino e il lupo. A forza di urlare fuori luogo "al lupo! al lupo! ", si finisce col credere che i lupi non esistano. E quando il lupo arriva veramente, pochissimi se ne accorgono. A scorrere i giornali, c'è di che restare basiti. La maggioranza ha mantenuto la promessa: ha sfigurato la Costituzione. Insomma, la destra ha modificato di sana pianta la forma dello Stato repubblicano. E noi siamo qui come se nulla fosse, come se si trattasse di una notizia di cronaca, da confinare in taglio basso, tra un reportage e un'intervista sulla bioetica.
(Alberto Burgio, Liberazione 25-3)
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Tutto questo pastrocchio dev’essere respinto dagli italiani col referendum confermativo, che si dovrà tenere tre mesi dopo il secondo voto di Camera e Senato. Ma Berlusconi, sapendo che lo perderà, dopo aver fatto a Bossi il regalo di Pasqua ha informato che il referendum si terrà solo dopo le elezioni del 2006: e questo significa che Camera e Senato daranno il secondo voto solo fra un anno, appena alla vigilia delle elezioni politiche: affinché queste si svolgano per la destra al riparo dalla mazzata che gli italiani le daranno nel referendum. Se c’era bisogno di provare l’infinita malafede dei quadrumviri Berlusconi-Bossi-Fini-Follini, i tempi lunghi per la seconda lettura (che invece potrebbe aver luogo addirittura fra tre mesi) e il rinvio del referendum, ne sono prove inoppugnabili.
(Federico Orlando, Europa 25-3)

giovedì, marzo 24, 2005

RESISTENZA - 24/3/05

REPUBBLICA on-line 24-3
Marcia indietro di Berlusconi
Chiuderà la campagna di Storace
Rutelli ironizza: "Quando si muove, vinciamo noi"
ROMA - Sarà Silvio Berlusconi a chiudere venerdì sera al Palalottomatica, insieme a Fini e Follini, la campagna elettorale di Francesco Storace.
Per il presidente del Consiglio si tratta di una decisa marcia indietro: solo pochi giorni fa aveva ribadito che non avrebbe fatto campagna per questa tornata elettorale. "Ma è così, il premier non sta facendo comizi" assicura il forzista Sandro Bondi.
Ma Alessandra Mussolini di Alternativa sociale attacca: "La Cdl annette a queste elezioni regionali un valore politico che sinora aveva energicamente smentito" . Mentre i Ds puntano l'indice sulla mancanza della Lega alla manifestazione di chiusura: "Perchè la Casa della Libertà chiude la campagna elettorale senza la partecipazione del partito di Bossi?". Ironica la reazione di Francesco Rutelli: "Tutte le volte che Berlusconi è andato a concludere la campagna elettorale di qualcuno, da due anni a questa parte, abbiamo vinto noi".
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CITAZIONI
Aveva detto che un presidente del consiglio non fa campagna elettorale. E invece si è riservato l’ultimo comizio. Venerdì primo aprile, a fianco di Francesco Storace. Silvio Berlusconi corre in soccorso del vacillante presidente della regione Lazio, che del resto ha già detto chiaramente: «Se perdo io nel Lazio, Berlusconi va ad Arcore e torna Prodi».
(L’Unità 24-3)
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Storace ha ottenuto ciò che voleva quando ha dichiarato al nostro giornale: «Se perdo in Lazio il successore di Berlusconi sarà Romano Prodi». Era un avviso ai naviganti del Polo. Al premier, che aveva tentato di tirarsi fuori dalle regionali per paura che un risultato negativo si abbattesse sul governo. A Fini, che dalla Farnesina costruisce la successione a Berlusconi, ma rischia di non succedere a nessuno se le regionali innescano l’effetto valanga per il centrosinistra. Così il premier lo ha ricevuto a palazzo Grazioli ed ha capitolato: combatterà per Storace come se si trattasse di se stesso.
(Il Riformista 24-3)
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I TRIONFI DEL CAVALIERE
(dal Manifesto)
Berlusconi indagato per corruzione
L'accusa è gravissima: corruzione in atti giudiziari. Si tratta di uno stralcio d'indagine nell'ambito dell'inchiesta già chiusa sulla compravendita dei diritti cinematografici da parte di Mediaset. Nel troncone principale d'inchiesta coinvolti anche Fedele Confalonieri e Marina Berlusconi.
Per il capo del governo la stagione giudiziaria non è affatto chiusa, come credevano in molti. Anzi, si annunciano terremoti: Silvio Berlusconi e l'avvocato inglese David Mills risultano iscritti nel registro degli indagati della Procura della Repubblica di Milano con l'accusa di corruzione in atti giudiziari; il legale è accusato anche di falsa testimonianza, nell'ambito di uno stralcio dell' inchiesta sulla compravendita di diritti cinematografici da parte di Mediaset.
Mentre i grilli parlanti del cavaliere ricominciano a gridare al complotto, nei corridoi della procura di Milano una spiegazione te la danno: è stata chiesta la proroga delle indagini di uno degli stralci dell'inchiesta avviata, e ormai conclusa, sulla compravendita di diritti cinematografici da parte di Mediaset. In questo secondo troncone sono indagati per corruzione in atti giudiziari e falsa testimonianza Silvio Berlusconi e l'avvocato inglese David Mills.
Gli indagati della Procura sono l'avvocato inglese David Mills, l'uomo che ha ideato in passato il sistema delle società offshore, e Silvio Berlusconi. L'ipotesi d'accusa è di corruzione in atti giudiziari e, per quel che riguarda l'avvocato Mills, anche di falsa testimonianza.
Mentre Romano Prodi preferisce non inveire sull'avversario, sostenendo che non è elegante commentare gli atti giudiziari, Antonio Di Pietro ci va pesante: «In un Paese normale un premier accusato di frode fiscale e di aver comprato la testimonianza di persone, per scagionarsi, dovrebbe dimettersi immediatamente. Siccome queste persone non hanno senso dell'onore, né alcuna dignità politica ci appelliamo al voto degli elettori per poterli mandare a casa».
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La Corte dei conti gli boccia le Grandi Opere
Progettazioni «in ritardo», banche e assicurazioni «restie ad assumere i rischi connessi alla remuneratività delle grandi opere» e cantieri «in arretrato rispetto al programma iniziale». E' un grande flop quello che la Corte dei conti disegna per le cosiddette «grandi opere» del governo Berlusconi, quelle che avrebbero dovuto lasciare un segno tangibile di cinque anni di amministrazione del Polo delle libertà. Dal Ponte sullo Stretto di Messina mai avviato alle autostrade Salerno-Reggio Calabria, che avanza al ritmo di appena sette km all'anno, e Palermo-Messina, inaugurata e poi richiusa. «Malgrado il notevole sforzo sostenuto dalle amministrazioni statali, regionali e degli enti locali interessate, in sede di concertazione per definire e selezionare i singoli interventi. E’ stato accertato uno stato di ritardo delle progettazioni generali e del perfezionamento dei nuovi istituti promossi dalla legge obiettivo per la realizzazione delle grandi infrastrutture», scrive la magistratura contabile.
Ha così gioco facile l'opposizione a denunciare i fallimenti del governo. Per Tino Iannuzzi della Margherita si tratta di una «bocciatura senza appello della politica infrastrutturale di Berlusconi», mentre secondo Mauro Fabris dell'Udeur la Corte smaschera «il grande bluff di Berlusconi» e per il capogruppo della commissione Ambiente alla Camera, il diessino Fabrizio Vigni, si tratta invece di «un'altra conferma dei fallimenti del governo».
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(dallUnità)
L'Italia è ferma: la crescita è solo dell'1 per cento
L’azienda Italia, denominazione tanto cara al presidente del Consiglio Berlusconi, è ferma, il motore in folle. L’Istat ha reso noto giovedì la valutazione finale sulla crescita del Prodotto interno lordo e l’indice della crescita economica nel 2004, corretto per i giorni lavorativi e destagionalizzato, è pari all’1 per cento secco. È vero che, sempre secondo l’Istat, nel 2003 il Pil era risultato addirittura più basso, la media annuale era infatti pari allo 0,4 per cento. Ma c’è poco da stare allegri.
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ABOLIRE IL “BERLUSCONISMO”
L’UNITA’ on-line 24-3
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«Le modifiche costituzionali introdotte prefigurano una Repubblica di tipo “bonapartista”. Esse riecheggiano per taluni aspetti, aggiungo senza troppo sforzo di fantasia, le leggi fascistissime del ’25. La festa del 25 Aprile sarà il primo appuntamento per rinnovare unitariamente l’impegno a difesa della libertà».
Carla Voltolina Pertini, 23 marzo 2005
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REPUBBLICA on-line 24-3
Le garanzie cancellate
di ANDREA MANZELLA
Non c'è stata dunque tregua nella corsa per sradicare la nostra Costituzione dai suoi principi originari. L'estrema difesa sembra ormai affidata al referendum impeditivo. Tutte le previsioni dicono che in quel referendum prevarrà la grande maggioranza moderata degli italiani: di centro, di sinistra e anche di destra. E che sarà battuto l'estremismo di chi predica e pratica ogni giorno, da quattro anni, un bipolarismo feroce: nelle leggi, nelle nomine, nell'informazione, nella immagine esterna del Paese. Il clima di divisione nazionale, appunto, cristallizzato nel disegno governativo.
Maestri giuristi ci spiegano anche che questo progetto comunque non funzionerà. I maldestri meccanici che vi hanno lavorato hanno avvitato bulloni a casaccio. Ne è uscito fuori un macchinario che sembra privo di logica motrice. Ma il punto non è in tutto questo.
La stessa contestata procedura seguita in modo convulso per cambiare 53 articoli della Costituzione, con fortissima limitazione dei diritti dell'opposizione, dimostra, per sé sola, che in questo Paese il governo ormai può tutto. E può di più quando, come nel caso della revisione costituzionale, sono tecnicamente fuori gioco sia il Presidente della Repubblica sia, forse, la Corte costituzionale.
Sono in giuoco, poi, le garanzie per il regime parlamentare. C'è già ora il disprezzo di un primo ministro che rifiuta di andare in parlamento non solo per rispondere ad un cortese question time di importazione, ma perfino sull'indecifrabile destino di tremila soldati italiani, trascinati in un teatro di guerra. Il progetto consolida e legittima questa retrocessione del parlamento.
Una sovranità elettorale assoluta cancella ogni autonomia delle Assemblee rappresentative. Il rapporto a due parlamento-governo che è la vita stessa del principio parlamentare è bruciato fin dal giorno delle elezioni. La legge elettorale, si dice, deve "favorire la formazione di una maggioranza collegata al candidato alla carica di primo ministro". Con voti bloccati, questioni di fiducia, minaccia di scioglimento la stessa maggioranza parlamentare non ha alcuna possibilità di confronto e men che meno di controllo sull'operato del governo.
Quanto all'opposizione, i suoi voti sono considerati costituzionalmente appestati e non le si concede neppure il rimedio tipico delle democrazie maggioritarie: il ricorso preventivo al tribunale costituzionale almeno nei casi di sospetti abusi nel procedimento legislativo.
Nessun temperamento dunque all'attuale situazione di prevaricazione governativa. Vi è semmai il suo aggravarsi: con uno squilibrio ancor più forte a favore di una figura di primo ministro che assorbe in sé praticamente anche la rappresentanza parlamentare, cancellandone la differente identità.
È compromessa, infine, la garanzia dell'unità territoriale della Repubblica. Compromessa dall'inserimento della clausola di "esclusività" nelle competenze legislative delle regioni.
Per tutte queste ragioni il referendum non potrà esaurisi in un semplice "no". Con esso si devono ridefinire le condizioni e i principi repubblicani per un coabitare mite in Costituzione.
Ecco perché, alla fine, questo referendum avrà logicamente una forte influenza sulle elezioni politiche del 2006. Quale che sarà la data del suo svolgimento, esso consentirà ai cittadini di valutare l'intera posta in giuoco e di riappropriarsi di valori costituzionali che si sono fatti lontani. E che, come ogni cosa lontana, rischiano di essere perduti per sempre.

mercoledì, marzo 23, 2005

RESISTENZA - 23/3/05

REPUBBLICA on-line 23-3
CARTA CANTA
di Marco Travaglio
Teletruffe/2
"Un nuovo boom economico come quello del dopoguerra? Non abbiamo mai detto domani o dopodomani. Non è un fatto istantaneo. Sono convinto però che parta un ciclo positivo che vede l'Italia registrare un differenziale a suo favore rispetto agli altri paesi dell'Ue. Ho prospettato la possibilità che il Paese nell'arco di alcuni anni, a partire da ora, raggiunga un ciclo positivo. Si tratta di una stagione che si avvicina".
(Giulio Tremonti, ministro dell'Economia, La7, 8 settembre 2001).
"Non sono tranquillo per l'andamento dell'economia".
(Silvio Berlusconi a Confindustria, 19 marzo 2005).
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L’UNITA’ on-line 23-3
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Oggi la striscia rossa è nera in segno di protesta contro la pericolosa manomissione della Costituzione italiana voluta dal governo di Berlusconi, Bossi, Fini, Follini e dalla loro maggioranza.
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CITAZIONI
Da dieci anni viviamo in piena anomalia costituzionale. Oggi è al potere un soggetto che vive in flagrante conflitto di interessi, domina quasi completamente i media, aspira ad ottenere tutti i poteri. Se gli italiani continueranno a votarlo e l'opposizione non li convincerà ad abbandonarlo, è fatale che si vada alla dittatura del primo ministro.
(Nicola Tranfaglia)
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Con la nuova riforma costituzionale «sono calpestati» il ruolo «del Presidente della Repubblica, e prima ancora del Parlamento e della Corte Costituzionale, della Magistratura». Per questo «noi dovremo prepararci fin da ora a un referendum che ponga fine a questo scempio».
(Romano Prodi)
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Berlusconi «Ha paura. Anzi è letteralmente terrorizzato da un referendum popolare che sa benissimo che spazzerebbe via questo obbrobrio. Questo ci porta alla considerazioneche anche Berlusconi considera questa legge impresentabile al giudizio del popolo italiano».
(Gavino Angius)
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EDITORIALE
Un giorno nero della Repubblica
di Antonio Padellaro
Non è con la via giudiziaria ma con le libere elezioni che si conquista il governo del Paese e dunque la notizia di Silvio Berlusconi indagato per corruzione di testimone dalla Procura di Milano è solo un nuovo capitolo di quella storia imbarazzante che ha come protagonista il premier più imputato che si ricordi. Tuttavia, non si può non osservare che il Berlusconi che da anni è chiamato a difendersi davanti ai tribunali della Repubblica per accuse infamanti, con grande dispiegamento di avvocati e prescrizioni, è lo stesso Berlusconi capo della maggioranza di governo che stravolge la Costituzione a suo uso e consumo.
Accade al Senato nella violazione delle più elementari regole parlamentari. Sotto ricatto leghista e prona agli ordini del capo, la maggioranza soffoca il dibattito e impone lo stravolgimento di 43 articoli del testo che per quasi sessanta anni ha garantito la libertà di tutti. Una prepotenza inaccettabile, ha detto Romano Prodi, mentre i leader dell’Unione chiedono il referendum contro un mostro legislativo spacciato dalle televisioni del presidente-padrone come una grande riforma che farà bene all’Italia e agli Italiani. È l’esatto contrario. Con la sua devoluzione Bossi può adesso procedere alla disarticolazione dell’Italia, non più una e indivisibile come l’avevano voluto i padri costituenti. Quanto agli Italiani, solo qualche testardo giornale dell’opposizione ha tentato di spiegare loro che con la nuova costituzione avranno meno democrazia, e dunque meno libertà e meno giustizia.
Grazie ai manipolatori di regime, e alla grande stampa cautelosa e terzista quando si accorgeranno dell’imbroglio sarà troppo tardi. Perché una democrazia dove si tolgono poteri essenziali di garanzia al capo dello Stato e al Parlamento, per concentrarli sul premier (che può sciogliere le Camere e nominare e revocare ministri quando e come vuole) è, in realtà, una democrazia dimezzata. E in una democrazia timorosa e incerta anche il potere giudiziario è destinato, fatalmente, a finire sotto il tallone del più forte. Cosicché l’imputato Berlusconi potrà finalmente dormire sonni tranquilli. Non così i suoi giudici.
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CITAZIONE
Il punto è che per accertarsi dell’onestà del presidente del Consiglio e dell’onestà del processo elettorale nel Lazio, due punti che in una democrazia matura dovrebbero essere dati per acquisiti, bisogna ancora una volta fidarsi dei giudici, della loro imparzialità, del loro timing. L’Italia sta diventando una grande Florida.
(Il Riformista 23-3)

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MEDITAZIONE - 23/3/05

REPUBBLICA on-line 23-3
Berlusconi: "Se uno vuole santificarsi in Italia deve essere gay e di sinistra"
Il decalogo del perfetto premier gay
Grillini "L'omosessualità logora chi non ce l'ha"
ROMA - Berlusconi "piuttosto che fare dell'ironia sui gay, farebbe bene a occuparsi delle violazioni dei loro diritti": così il presidente nazionale di Arcigay, Sergio Lo Giudice, commenta le parole del premier Silvio Berlusconi, che ieri sera a Bruxelles aveva detto che in Italia "se uno vuole santificarsi deve essere gay e di sinistra".
E il deputato Ds Franco Grillini, presidente onorario di Arcigay, ha messo insieme dieci consigli a Berlusconi per "essere un perfetto presidente del Consiglio gay". Ne ha parlato oggi a Bari dove è intervenuto alla presentazione dell'unica candidata lesbica dichiarata in Italia. Grillini ha ricordato che "sulle orme del premier inglese Tony Blair, che ha affermato la possibilità che nei prossimi anni in Inghilterra un omosessuale diventi presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi ha affermato che in Italia per essere santificati bisogna essere gay o comunisti e che ha intenzione, di iniziare un processo di canonizzazione". "Lo prendiamo in parola - - ha aggiunto - e gli mandiamo questi dieci preziosi consigli per essere un perfetto 'pres. del cons.' omosessuale".
1) "Liberarsi immediatamente dei vecchi 'arnesi' del fascismo che gli danno del 'culattone'. Non è bello essere gay ed essere circondato da omofobi".
2) "Liberarsi dei ministri 'velati'. I ministri omosessuali che si nascondono finiscono per sparare a zero tutti i giorni sugli omosessuali per allontanare da sé il sospetto. Meglio ministri e ministre esplicitamente gay".
3) "Accettare finalmente la propria calvizie e radersi a zero. I 'rapati', nella comunità omosessuale, sono considerati molto attraenti perché sembrerebbero più virili".
4) "Abbandonare il doppio petto: ingessa".
5) "Dotarsi di un partner adeguato con cui presentarsi in società. Nel Parlamento italiano Berlusconi non avrebbe che l'imbarazzo della scelta anche nelle sue file".
6) "Associarsi alla Lega italiana delle famiglie di fatto per rivendicare parità dei diritti".
7) "Partecipare ai Gay Pride con abbigliamento consono e rappresentanza del Consiglio dei ministri al seguito".
8) "Evitare assolutamente dichiarazioni maschiliste come 'In Italia abbiamo anche bellissime segretarie, delle bellissime ragazze... venite in Italia ad investire...' ".
9) "In occasione del Gay Pride pubblicare un calendario con tutti i giocatori del Milan in costume adamitico".
10) "Dare vita al ministero dell'Omosessualità perché, come noto, 'l'omosessualità logora chi non ce l'ha...".

martedì, marzo 22, 2005

RESISTENZA - 22/3/05

REPUBBLICA on-line 22-3
CARTA CANTA
di Marco Travaglio
Teletruffe
"L'autunno non sarà un autunno di preoccupazione, noi vogliamo trasmettere al paese la fiducia che abbiamo. Sarà un autunno positivo per l'economia e per la gente. Non sarà un autunno problematico, sarà l'avvio di quello che noi pensiamo possibile: un nuovo miracolo economico".
(Giulio Tremonti, ministro dell'Economia, 25 agosto 2001).
"Non sono tranquillo per l'andamento dell'economia".
(Silvio Berlusconi a Confindustria, 19 marzo 2005).
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Mediaset, Berlusconi indagato
"Corruzione in atti giudiziari"
MILANO - Silvio Berlusconi e l'avvocato inglese David Mills risultano iscritti con l'accusa di corruzione in atti giudiziari, mentre il legale è accusato anche di falsa testimonianza, nell'ambito di uno stralcio dell'inchiesta sulla compravendita di diritti cinematografici da parte di Mediaset. Nelle settimane scorse la Procura di Milano aveva chiuso l'inchiesta principale in cui è indagato lo stesso Berlusconi. Nell'ambito dello stralcio i pm hanno chiesto nei giorni scorsi una proroga delle indagini, richiesta che è all'esame del gip Maurizio Grigo. La vicenda riguarderebbe la testimonianza resa da Mills nell'ambito dell'inchiesta.
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L’UNITA’ on-line 22-3
Sommario di I pag.
Berlusconi ancora nei guai
Indagato a Milano anche per corruzione
Il presidente del consiglio Silvio Berlusconi avrebbe «comprato» la testimonianza dell'avvocato inglese David Mills. Questa l'ipotesi di reato formulata dai Pm Alfredo Robledo e Fabio De Pasquale, che hanno iscritto il premier nel registro degli indagati con l'accusa di corruzione in atti giudiziari, nell'ambito dell'inchiesta sulla compravendita dei diritti tv di Mediaset. Silvio Berlusconi è già indagato, nel filone principale dell'inchiesta, per appropriazione indebita, falso in bilancio e frode fiscale. L'avvocato inglese David Mills è colui che ha creato il sistema di società off-shore utilizzato dalla Fininvest. I pm milanesi, inoltre, hanno depositato davanti al Gip, Maurizio Grigo, la richiesta di una proroga di indagini per altri 6 mesi. I primi sei mesi scadono domani
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CITAZIONE
"In un paese normale un premier accusato di frode fiscale e di aver comprato la testimonianza di persone, per scagionarsi, dovrebbe dimettersi immediatamente - ha commentato il leader dell'Italia dei Valori Antonio Di Pietro - in un paese normale dovrebbero dimettersi anche i presidenti di Regioni come la Lombardia e la Sicilia, Formigoni e Cuffaro, rispettivamente accusati di aver violato l'embargo petrolifero con l'Iraq e di avere collusioni con la mafia. Siccome queste persone non hanno senso dell'onore, né alcuna dignità politica, ci appelliamo al voto degli elettori per poterli mandare a casa".
(www.centomovimenti.com 22-3)
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MANIFESTO 20-3
Dall'Iraq all'Irap
IL rischio è che con i nervi del Cav. saltino le ultime residue regole del gioco, non solo nell'economia
ROBERTA CARLINI
Miracolo, è sparito il miracolo. A undici anni dalla «discesa in campo» e a quattro dalla rielezione, dopo innumerevoli talk show, spot, manifesti, porta-a-porta, opuscoli e comizi tv, Silvio Berlusconi ha ammesso: non tutto va bene. Addirittura ha aggiunto: non sono tranquillo. E' successo davanti a una platea di industriali a Bari, a conclusione di una settimana iniziata con l'annuncio falso del prossimo ritiro delle truppe dall'Iraq e proseguita con la bocciatura dell'Eurostat sui conti pubblici. Un Berlusconi dai toni inauditamente dimessi e prudenti. Che però è durato un attimo: subito dopo è tornato in sé, per dire che un imprenditore è comunque meglio di un professore e per promettere per il quinto anno di seguito l'immediata abolizione dell'Irap.
Anche davanti a tale disincantato pubblico Berlusconi ha riproposto la riduzione delle tasse, in particolare dell'odiata Irap sulla quale è calata la censura anche dall'Europa (che in questo caso, secondo l'europeismo à la carte della nostra destra, va bene).
Ma c'è di più, in quell'iniziale tono dimesso e quasi sensato di Berlusconi: il sospetto che la promessa riduzione delle tasse non paghi più neanche elettoralmente. Da qualche mese è in busta paga il «taglio» dell'Irpef, e nessuno se ne è accorto. Per fare mosse più forti e clamorose, servirebbero risorse che non ci sono, e non ci sarebbero neanche se a dirigere l'Eurostat ci andasse Siniscalco. La connessione tra il taglio alle imposte e quello alla spesa fa scoppiare la sua stessa maggioranza, come mostra il caso del contratto del pubblico impiego. In più, siamo immersi fino al collo in una guerra che nessuno vuole, Bush pretende il rispetto degli ordini e Ciampi quello della Costituzione. A due settimane dal voto regionale, c'è di che far saltare i nervi a Berlusconi - e non solo a lui, si veda lo scandalo del Lazio. E il rischio è che con i loro nervi saltino le ultime residue regole del gioco, non solo nell'economia.

lunedì, marzo 21, 2005

RESISTENZA - 21/3/05

REPUBBLICA on-line 21-3
CARTA CANTA
di Marco Travaglio
Senti chi parla
"Il dato della pagella della Commissione europea di Bruxelles sull'economia italiana è molto più negativo di quanto non sia espresso nella differenza numerica dello 0,2 per cento. Il traguardo del 3 per cento non è irraggiungibile, basta che questo Governo, com'è sua abitudine, metta qualche nuova tassa e il gioco è fatto.
Credo che il governo stia prendendo in giro gli italiani: tutti hanno capito che la finanza pubblica non si rimette al passo con tasse o artifizi contabili. Non vedo come i nostri partner possano accettare una situazione del genere. Noi diamo un giudizio negativo sull'operato di questo governo e una previsione negativa su quello che questo governo potrà fare per migliorare i conti pubblici e soprattutto rilanciare l'economia".
(Silvio Berlusconi, quando al governo c'era Prodi, Ansa, 23 aprile 1997).
"L'Europa è percepita dai cittadini come un freno allo sviluppo e deve decidere se vuole diventare competitiva. Servono meno lacci per il Gulliver europeo bloccato dagli ominidi, dai burocrati dell'Unione".
(Silvio Berlusconi dopo la bocciatura di Eurostat, ora che al governo c'è lui, 20 marzo 2005).
"Mi pare che nelle critiche di Eurostat all'Italia ci sia lo zampino di Romano Prodi. C'è una manina italiana dietro queste vicende abbastanza chiara. Hanno lasciato anche le impronte. Prodi e la sinistra puntano sistematicamente ad attaccare l'Italia, a delegittimarla proprio quando l'Italia ha sul piano politico internazionale il massimo di autorevolezza e di credibilità. Sono anni che fanno così: continuano a utilizzare la platea internazionale per colpire al cuore gli interessi del nostro paese. C'è chi lavora per l'Italia e c'è chi lavora contro l'Italia. Gli italiani devono saperlo".
(Sandro Bondi ora che al governo c'è Berlusconi, Ansa, 19 marzo 2005).
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L’UNITA’ on-line 21-3
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«Il vero problema dell’Italia è che non c’è il governo. Il Paese lo sente benissimo. Ogni giorno ce n’è una. Prendiamo soltanto l’ultima settimana: la sceneggiata sull’Iraq, le dimissioni, vedremo se irrevocabili, del ministro Calderoli. Governare significa lavoro continuo, serio, per far funzionare l’amministrazione.»
Romano Prodi, 20 marzo
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EDITORIALE
Il gelo che scende dal Colle
Il 25 APRILE fa venire l’orticaria a Berlusconi
di Vincenzo Vasile
Si sa quanto il presidente Carlo Azeglio Ciampi ci tenga: tra poco più di un mese si appresta a celebrare a Roma e a Milano i 60 anni della Liberazione dalla dittatura e dal nazifascismo. E Silvio Berlusconi, che quell’appuntamento del 25 Aprile ha sempre accuratamente disertato - una volta accusando un «giradito», un’altra dedicandosi al riposo nella sua villa in Sardegna - si prepara a fargli l’ultimo, ennesimo dispetto: lascerà il capo dello Stato a onorare in quasi perfetta solitudine istituzionale (tranne la presenza nel cortile del Quirinale dei ministri Martino e Pisanu e sul palco di Milano di qualche altro, dimesso «delegato» del governo) la scadenza di calendario in cui culmina il «viaggio nella memoria» del presidente Ciampi.
L’itinerario in cui il capo dello Stato s’è impegnato durante il suo settennato nel tentativo di recuperare valori condivisi, come si sa, è partito dal Risorgimento, fondatore dell’unità nazionale.
È passato per le varie fasi della Resistenza,­ l’8 settembre, considerato non solo nel segno della disfatta ma come il momento di uno scatto d’orgoglio nazionale, e poi il filone militare, e quello popolare della lotta di Liberazione - e approda adesso al momento culminante, quest’anno allo scoccare dei sessant’anni, non a caso con una doppia cerimonia: il raduno solenne nel cortile del Quirinale con Ciampi e la manifestazione in piazza Duomo a Milano.
Berlusconi ha già fatto sapere che non ci sarà, e anche se l’annuncio è in linea con la scostante tepidezza già mostrata negli anni scorsi, il prossimo 25 aprile è destinato a certificare il solco sempre più profondo che si va scavando nel fine settennato tra Quirinale e palazzo Chigi. La metafora del vaso ricolmo e della goccia che lo fa traboccare non si presta per lo stillicidio di frizioni, incidenti, scontri, che si accumulano, invece, come una montagna di detriti che oscura l’orizzonte, impedendo ormai la vista dei segnali di fumo tra i due Palazzi, numerosi nella prima parte della coabitazione di Ciampi e Berlusconi.
La politica estera confusa e caotica del governo, tradotta in uno spot pubblicitario a “Porta a Porta” ­ con l’annuncio del ritiro dall’Iraq, contraddetto dagli Alleati, smentito da Berlusconi con la solita giravolta - s’è trascinato dietro un tema di quelli grossi: il carattere parlamentare della nostra Costituzione repubblicana. Ciampi parlando da Oxford con i giornalisti italiani, l’ha rivendicato, a sorpresa, con parole forti, semplici e chiare: non c’è democrazia senza un Parlamento funzionante. Le discussioni davanti alle Camere non sono mai inutili. I mass media, la tv vengono dopo.
Per un Berlusconi ossessionato dagli infausti sondaggi pre-elettorali, questo ultimo anno di Ciampi è l’anno del tutto e per tutto. Riforme costituzionali, legge elettorale, stravolgimento della par condicio, legge Cirielli, (provvedimenti tutti considerati in vario modo sotto scopa rispetto alle prerogative del Quirinale) sono le prime pedine da muovere in una partita a scacchi che di qui a poco potrebbe diventare una sfida disperata. Molto dipenderà dal risultato delle elezioni regionali, ma un esito negativo per il centrodestra potrebbe indurre Berlusconi a innestare una marcia ancora più aggressiva. E l’assalto al Colle, prefigurato dalle indiscrezioni di questi giorni sugli intenti bellicosi del presidente del Consiglio, potrebbe diventare la prossima manovra diversiva, intossicante e pericolosa.

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MEDITAZIONE - 21/3/05

LIBERAZIONE 21-3
Vogliono scardinare la Repubblica
di Raniero La Valle
Mancato l'obiettivo che era stato fissato per l'8 marzo (le donne non avrebbero gradito) il Senato voterà la nuova Costituzione mercoledì prossimo, che una volta si chiamava mercoledì santo. Ciò facendo il Senato voterà non solo contro l'ordinamento della Repubblica, per dare vita a un nuovo regime, ma voterà anche contro se stesso; infatti nel nuovo sistema il Senato non avrà più alcuna funzione politica di controllo del governo del Paese, e perderà anche il suo ruolo nella formazione delle leggi, tranne di quelle che, attraverso un complicato gioco di competenze gli verrebbero ancora date in esame in quanto interessanti le regioni. Il Senato pertanto, benché col nuovo nome pretenzioso di "Senato federale", diverrebbe una "Camera muerta", come ha detto il sen. D'Amico della Margherita, alludendo al nome irriverente con cui è chiamata la seconda Camera spagnola.
Forse è per questa riluttanza al suicidio che i senatori hanno fatto mancare più volte il numero legale, provocando l'ira di Calderoli e facendo scattare l'ennesimo ricatto della Lega, che vuole a tutti i costi la riforma prima delle elezioni regionali, e perciò prima di Pasqua. Se dunque anche questa volta il ricatto funzionerà ("bastano cinque ore e mezzo di lavoro", ha detto Berlusconi), la nuova Costituzione completerà tra poche ore la sua prima lettura parlamentare, quella nella quale le storture più vistose della riforma potevano ancora essere corrette. Dopo il voto del Senato, o la nuova Costituzione, con la sua seconda parte interamente rifatta, arriverà fino in fondo in questa forma, o non ci arriverà affatto. Ma quando questo avverrà dipende esclusivamente dai calcoli elettorali del presidente del Consiglio (si chiama ancora così) che deciderà se accorciare o allungare i tempi della seconda lettura parlamentare, da tre mesi ad un anno, unicamente in base a quelle che ritiene le sue convenienze, come del resto accade per tutto il resto, truppe in Iraq, tasse, ponte sullo Stretto ecc., che andranno avanti o indietro a seconda dei sondaggi e dei supposti vantaggi elettorali per il cavaliere.
Così anche la Costituzione della Repubblica è pronta ad essere scambiata per un piatto di lenticchie; se sarà elettoralmente conveniente, il trofeo sarà consegnato a Bossi prima dell'estate, così che il referendum costituzionale si svolgerebbe prima delle elezioni politiche del 2006; altrimenti i tempi della seconda lettura saranno ritardati, e la Lega continuerà a minacciare sfracelli.
Questo gioco sui tempi, che agita le acque della maggioranza di governo, è molto significativo, perché vuol dire che l'illusione della destra di un cambio di regime indolore, fatto senza che la gente se ne accorga, senza rischiare l'impopolarità, sta tramontando. La tattica dell'occultamento, del silenzio, della dissimulazione del sovvertimento della Repubblica dietro la maschera della "devolution" e del federalismo, ha funzionato per mesi, per anni, grazie anche alla complicità, o alla trascuratezza, o alla incredulità dei giornali, della TV, e della stessa sinistra.
Ma basta che il velo si squarci, che la vera natura della riforma si venga a sapere, perché l'opinione pubblica si allarmi, chieda di essere informata, si accorga di avere nella Costituzione un bene che sta per perdere e si prepari a combattere nel referendum, come possono attestare tutti quelli che in questi giorni girano l'Italia per difendere la Costituzione, a cominciare dal presidente Scalfaro, gratificato dal più totale silenzio-stampa. E mentre la gente si sveglia, l'operazione coperta, clandestina, intrapresa dalla destra si rivela perdente e indifendibile.
Una clamorosa conferma di ciò si è avuta nelle reazioni furenti che si sono scatenate contro Prodi quando infine ha denunciato questo "assalto alle istituzioni" proprio perché "nessuno possa dire domani che non sapeva, che non vedeva, che non capiva". La virulenza delle contumelie rovesciate su Prodi, l'irrisione, la caricatura, la volontà di screditarlo e delegittimarlo, senza in nessun modo entrare nel merito della sua critica, da Berlusconi a Fini a Schifani, sono state così esacerbate e adirate da mostrare che non ce l'avevano con quello che Prodi aveva detto, ma col fatto che l'avesse detto, cioè che avesse rotto l'omertà, la finzione, l'inganno, e avesse detto: il Re è nudo.
Dunque è essenziale che si faccia chiarezza su quello che è il vero obiettivo della riforma: questo obiettivo è la Repubblica. Si è creduto o si è fatto finta di credere che la Lega avesse rinunziato al suo proposito di scardinare lo Stato, passando dal programma secessionista ai più miti consigli del federalismo. Ma il 12 marzo scorso Bossi ha detto al Corriere della Sera: "La devoluzione è la leva per scardinare il sistema. Fatto il federalismo politico, sarà difficile tornare indietro. Quando la gente potrà decidere i programmi, reclamerà i soldi per realizzarli". Il fisco come tessuto connettivo dello Stato moderno; distrutto il fisco, è distrutto lo Stato. E nella manifestazione leghista di Verona contro il giudice Papalia, una lapide in marmo celebrava insieme la morte metaforica del procuratore-capo Guido Papalia, "con la morte della Repubblica italiana".
Berlusconi invece non vuole dividere la Repubblica, ma unificarla sotto il proprio potere sovrano. Tale è la riforma che, proprio come ha detto Prodi, esautora il Presidente della Repubblica, umilia le Camere, limita il ruolo delle istituzioni di garanzia, espropria le opposizioni (perfino del voto in Parlamento), instaura la dittatura del primo ministro, e insomma trasforma la Repubblica parlamentare e rappresentativa nel feudo inalienabile di un monarca, benché ancora formalmente elettivo. Sicché non sarà nemmeno proponibile il paragone tra la nuova Costituzione e quella del '47 oggi vigente; il vero confronto dovrà farsi per analogia col precedente della legge 24 dicembre 1925 in cui venne istituito "il governo del re" esercitato dal "capo del governo, primo ministro, segretario di Stato", che sanciva la subordinazione del Parlamento al potere esecutivo, sicché il capo del governo, primo ministro e segretario di Stato (e Mussolini aggiunse di suo: duce del fascismo), poteva far di nuovo votare e approvare senza discussione una proposta di legge rigettata da una Camera; fu quello l'inizio del regime. Quando Brecht si chiedeva nel suo dramma come era potuta avvenire "la resistibile ascesa di Arturo Ui", ecco, era avvenuta così. E a chi non vuol sentir parlare di regime, basti dire che secondo la nuova Costituzione i poteri del primo ministro non incontrerebbero limiti istituzionali; e ciò è tanto vero che un difensore della riforma, il senatore di Forza Italia Vizzini, intervenendo al Senato ha esortato a non preoccuparsi per la "deriva bonapartista", perché in ogni caso a frenare "il potere governante" interverrebbero "altri fattori di natura extraistituzionale, quale ad esempio la cultura politica dominante nel Paese". Questo è dunque l'avversario nei cui confronti vuole affermarsi il nuovo potere, questo è l'antagonista contro cui la riforma è fatta: "la cultura politica dominante", cioè la cultura democratica del Paese.
E in effetti è proprio questa che deve salvare la Repubblica. Anche ricordando che c'è uno specifico divieto costituzionale che rende radicalmente illegittima la riforma in corso d'opera: è l'art. 139 della Costituzione, l'ultimo, il quale stabilisce che "la forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale". Ciò non riguardava i Savoia, a cui pensava un'altra norma, transitoria e finale, della Costituzione. Riguardava la forma repubblicana, cioè parlamentare e rappresentativa dello Stato, che è appunto quella che la riforma demolitrice, il cui obiettivo è la Repubblica, verrebbe a travolgere.

domenica, marzo 20, 2005

MEDITAZIONE - 20/3/05

L’UNITA’ on-line 20-3
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«Corruzione, mafia e giustizia sono mistura da capogiro. Aggiungeteci Silvio Berlusconi, la sua enorme ricchezza, il suo smisurato potere mediatico, il suo approccio alla politica altamente personale e il suo singolare modo di guardare al passato e il cocktail diventa ancora più forte».
David Lane, «L’ombra del potere», Laterza Editore, 2005
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DEL PENSIERO UNICO
di Antiwar.com
Come funziona il controllo del pensiero in società che si definiscono libere? Perché giornalisti famosi sono così pronti a minimizzare le colpe di leaders politici come Bush e Blair, che condividono la responsabilità di aver attaccato senza ragione un popolo indifeso, di aver distrutto la sua terra, di aver ucciso almeno 100.000 persone, la maggior parte delle quali civili, usando come giustificazione per questo crimine epico delle bugie conclamate? Perché un reporter della BBC descrive l'invasione dell'Iraq come una "rivalsa per Blair"? Come mai in TV non vengono mai associati al terrorismo i governi americano e britannico? Perché questi comunicatori privilegiati, con illimitato accesso ai fatti, si allineano nel descrivere come "libera e trasparente" una elezione non verificata, senza osservatori, illegittima e cinicamente manipolata, svoltasi sotto una brutale occupazione militare?
Non leggono la storia? O la storia che essi conoscono - o scelgono di conoscere - e' soggetta a tali amnesie ed omissioni da produrre una visione del mondo morale completamente a senso unico? Non e' un'ipotesi di cospirazione. Questo specchio morale a senso unico garantisce che la maggior parte dell'umanità sia valutata in termini di quanto sia utile a "noi", di quanto sia desiderabile, di valore, utilizzabile da "noi": ad esempio, la nozione di curdi "buoni" in Iraq e di curdi "cattivi" in Turchia. La presunzione mai messa in dubbio che "noi", nell'occidente dominante, possediamo standard morali superiori a "loro". Uno dei "loro" dittatori (spesso un nostro ex-amico, come Saddam Hussein), uccide migliaia di persone e viene definito "mostro", il secondo Hitler. Quando uno dei nostri leaders fa la stessa cosa, viene considerato, al massimo, come Blair, in termini shakespeariani. Chi uccide la gente con le auto-bombe e' un "terrorista"; chi ne uccide molta di più con le bombe a frammentazione e' il nobile occupante di una "palude".
L'amnesia storica si diffonde rapidamente. Solo 10 anni dopo la guerra al Vietnam, di cui ero reporter, un sondaggio di opinione condotto negli USA rivelò che un terzo degli americani non ricordava neppure quale parte il loro governo avesse supportato. Ciò dimostrò l'insidioso potere della propaganda dominante, cioè che la guerra era essenzialmente un conflitto tra vietnamiti "buoni" e "cattivi", in cui gli americani si erano lasciati coinvolgere per portare la democrazia al popolo del Vietnam del sud, minacciato dalla "minaccia comunista". Tale falsa e disonesta assunzione permeò la copertura dei media, con poche, onorevoli eccezioni. La verità era che la più lunga guerra del 20esimo secolo fu sferrata dall'America contro il Vietnam, nord e sud, comunista ed anti-comunista. Si trattò di un'invasione non provocata contro la loro terra e le loro vite, proprio come l'invasione dell'Iraq. L'amnesia garantisce che la morte di oltre 5 milioni di vietnamiti sia consegnata all'oblio, mentre le vittime relativamente basse tra gli invasori sono ricordate costantemente.
Qual e' la radice di tutto ciò? Sicuramente la "cultura popolare", specie i film hollywoodiani, e' in grado di decidere cosa e quanto ricordare. UN'educazione selettiva impartita sin dalla più tenera età contribuisce allo stesso obiettivo. Ho consultato un testo di storia moderna sul Vietnam e la Guerra Fredda comunemente usato in Gran Bretagna da ragazzi di un'età compresa tra i 14 ed i 16 anni - in preparazione per la fatidica maturità. Esso dovrebbe informarli su un periodo storico decisivo, che potrebbe influenzare la loro coscienza degli avvenimenti odierni, per ciò che concerne l' Iraq ed altrove.
E' sconvolgente. Dice che, secondo gli accordi di Ginevra del 1954, "il Vietnam fu diviso nel nord comunista e nel sud democratico". In una sola frase, l'occultamento della verità. La dichiarazione finale della conferenza di Ginevra divise "temporaneamente" il Vietnam fino a che non fossero state tenute elezioni nazionali libere il 26 luglio 1956. Non vi erano dubbi che Ho Chi Minh si apprestava a vincere ed a formare il primo governo vietnamita democraticamente eletto. Di certo, il presidente Eisenhower non aveva dubbi su ciò. "Non ho ancora parlato con una persona che abbia conoscenza degli affari indocinesi, la quale non sa stata d'accordo", disse, "... sul fatto che l'80% della popolazione avrebbe scelto come suo leader il comunista Ho Chi Minh".
Non solo gli Stati UNiti rifiutarono di permettere all'ONU di amministrare le elezioni due anni dopo, ma il regime "democratico" nel sud era solo un'invenzione. Uno degli inventori, il funzionario della CIA Ralph McGehee, descrive nel suo libro Deadly Deceits (Inganni Mortali) come un brutale mandarino in esilio, Ngo Dienh Diem, fu importato dal New Jersey per divenire "presidente" di un governo fantoccio messo in piedi a tale scopo. "La CIA", scrive, "ebbe il compito di diffondere quell' illusione attraverso la propaganda giornalistica.
Furono fatte delle finte elezioni, che l'occidente definì "libere e trasparenti", con i dirigenti americani che fabbricarono "una partecipazione dell'83% nonostante il terrorismo vietcong". Col nome di "terroristi" il testo si riferisce anche ai sud-vietnamiti che difendevano la loro terra dall'invasione americana e la cui resistenza godeva di molta popolarità. Per Vietnam, leggi Iraq.
Il tono di questo estratto e' dal "nostro" punto di vista. Non vi e' alcun senso nell'esistenza di un movimento di liberazione nazionale in Vietnam, solo una "minaccia comunista", solo la propaganda secondo cui "gli USA erano preoccupati che altri paesi potessero entrare nell'orbita comunista ed aiutare l'URSS - non volevano essere sorpassati" - solo che il presidente Johnson era determinato a mantenere il Vietnam del sud libero dal comunismo. Si procede dunque rapidamente all'Offensiva Tet del 1968, che "terminò con la perdita di migliaia di vite americane - 14.000 nel 1969 - gran parte delle quali appartenevano a giovani". Non vi e' alcuna menzione dei milioni di vietnamiti che persero la vita nel corso dell'offensiva. L'America iniziò meramente "una campagna di bombardamenti": non vi e' alcun accenno al fatto che si trattò della più grande quantità di bombe mai sganciate nella storia delle guerre, di una strategia militare pianificata deliberatamente per forzare milioni di persone ad abbandonare le loro case, e di armi chimiche che cambiarono profondamente l'ambiente e l'ordine genetico, sicché un paese una volta fertile cadde completamente in rovina.
Questo testo riflette le distorsioni e lo squilibrio dei piani di studio ufficiali, come quello prestigioso di Oxford e Cambridge, usato come modello in tutto il mondo. La sua sezione sulla Guerra Fredda si riferisce all' "espansionismo" sovietico ed alla "diffusione" del comunismo; non vi e' parola sull'espansionismo della rapace America. Una delle sue "questioni chiave" e' la seguente: "Quanto efficacemente gli USA riuscirono a contenere la diffusione del comunismo?". Il bene contro il male per menti ancora vergini. L'Impero Britannico non vi e' mai stato; né vi e' accenno alle atroci guerre coloniali che sono state di esempio alla potenza successiva, l'America, in Indonesia, Vietnam, Cile, El Salvador, Nicaragua, solo per ricordarne alcune nel sentiero di sangue dell'imperialismo moderno, di cui l'Iraq rappresenta l'ultimo capitolo.
Ed ora l'Iran? I tamburi hanno già cominciato ad essere suonati. Quanti altri innocenti dovranno morire prima che coloro che filtrano il presente ed il passato si sveglino di fronte alla loro responsabilità morale per proteggere il nostro ricordo e la vita degli esseri umani?