sabato, luglio 31, 2004

MEDITAZIONE - 31/7/04

APRILEONLINE 31-7

LE VACANZE DEL CENTRODESTRA

Il pendolo del re che non vuole abdicare

Economia in rosso, devolution, conflittualità latenti sulla data delle elezioni politiche. La corsa contro il tempo del Berlusconi con l’accetta

A.G

Come saranno le vacanze politiche della destra? Si sa che il capo indiscusso andrà a godersi le ferie in una delle sue ville in Sardegna, quella che in barba alle disposizioni paesaggistiche e ai vincoli urbanistici si sta trasformando in bunker come se Berlusconi dovesse rimanere primo ministro a vita. Non sappiamo se anche quest’anno verrà raggiunto da Vladimir Putin.

Al di là delle vacanze, ci interessa capire cosa abbia lasciato sotto la cenere l’interminabile “verifica” conclusasi con il benservito a Tremonti, l’opzione di Bossi per il Parlamento di Bruxelles, le new entry ministeriali di Calderoli (Riforme) e Siniscalco (Tesoro), l’approvazione a colpi di fiducia della riforma delle pensioni.

Il primo quesito riguarda l’Udc di Marco Follini, croce e delizia dei bookmakers che quotano il borsino dello stato di salute del governo di centrodestra. Possibile, si chiedono in molti, che l’ex segretario dei giovani democristiani dell’era Forlani si sia accontentato di un pugno di mosche dopo aver alzato così tanto la voce?

Partiamo da una indiscrezione, rivelata ieri da “il Riformista”. Stefano Ceccanti, costituzionalista di area Ds, proveniente dai Cristiano sociali, ha scritto qualche giorno fa l’ennesimo articolo sulle “primarie” del centrosinistra, dicendo che forse lo stesso problema si pone sul versante destro della politica italiana. Follini ha alzato il telefono e si è congratulato con Ceccanti. “Eh sì, mi hai dato una buona idea”, pare gli abbia detto. Del resto, Follini – dopo le elezioni europee e amministrative – era stato il solo a parlare del bisogno di superare la monarchia berlusconiana nel centrodestra. Ceccanti gli ha fornito lo strumento tecnico-politico da usare già in previsione delle elezioni regionali del 2005. Se si usassero le “primarie”, non è detto che la conflittualità latente tra An, Forza Italia, Lega e Udc non venga allo scoperto per dividersi le candidature a governatori regionali. Il fido Sandro Bondi, fido di Arcore, ha già fatto sapere che alle “primarie” non ci sta. Forse teme che la monarchia non possa designare l’erede, in caso di abdicazione forzata.

Ma i problemi, ben oltre le manovrine, sono politici. Un governatore di una Regione del sud che si è incontrato nei giorni scorsi con Berlusconi e il suo staff per discutere della Finanziaria, ci ha raccontato che il premier faceva un po’ impressione: “Parlava di tagli e situazione economica ai limiti del collasso. Diceva che lui fa fatica a recitare la parte di colui che deve ridurre spesa pubblica e servizi con l’accetta di un taglialegna, perché nella sua carriera da industriale non l’ha mai fatto. In quei panni si sente stretto. Poi ha lasciato parlare il ministro Siniscalco, che con rudezza ci ha esposto i numeri di un deficit pubblico davvero terrificante”.

Queste impressioni riportate da una riunione a Palazzo Chigi confermano che il principale rovello di Berlusconi è uno solo: anticipare le elezioni politiche al 2005 o trascinare la legislatura, tra un colpo d’accetta e l’altro, fino al 2006? Nel frattempo, che fare della “devolution” dopo averla promessa all’infermo Bossi e dopo aver ottenuto il ritiro (per ora) degli emendamenti dell’Udc?

In quella riforma fanno capolino anche riforme istituzionali da premierato forte o da semi Repubblica presidenziale che farebbero tanto comodo a Berlusconi. La riforma potrebbe tornare al Senato entro ottobre e poi affrontare, come vuole la Costituzione, le quattro letture parlamentari necessarie al via libera al referendum confermativo. Il testo di riforma, licenziato in prima lettura dal Senato, uscirà dunque modificato a settembre dalla Camera. Non per volere dell’Udc bensì per volere di alcuni costituzionalisti vicini alla destra: il testo originario potrebbe essere bloccato dalla Corte costituzionale per alcune norme confliggenti, se non subisce ritocchi. Il referendum, poi, salvo sorprese di percorso, potrebbe svolgersi in concomitanza con le elezioni politiche del 2006. Il che da alcuni a destra viene ritenuto un vantaggio (la Lega) e da altri uno svantaggio (An).

Ma a far oscillare il pendolo da una parte (2005) o dall’altra (2006) non ci penseranno solo le conflittualità latenti nel centrodestra. Un ruolo decisivo lo svolgerà l’autunno che ci aspetta. I sindacati hanno annunciato manifestazioni e scioperi (sulle pensioni, sul rinnovo dei contratti, sui salari). Il centrosinistra e Rifondazione potrebbero accelerare la propria unità programmatica.


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venerdì, luglio 30, 2004

RESISTENZA - 30/7/04

Caro Siniscalco,

ho l'impressione che la prossima Finanziaria dovrà scriverla in cinese, un po' per occultare dove troverà questi maledetti 24 miliardi, ma soprattutto perché saranno loro a dettare legge.

Enrico Cisnetto, Il Messaggero 30-7


LIBERAZIONE 30-7

Dpef, il governo dà i numeri

Berlusconi liquida la riforma fiscale con uno spot e dichiara chiusa la verifica

Frida Nacinovich

Berlusconi dà i numeri. Non è la prima volta, non sarà l'ultima. Il numero sul fisco non gli viene particolarmente bene. Lui dice meno tasse per tutti, nessuno ci ride, gli risponde, ci crede. «Ci saranno tre nuove aliquote rispettivamente del 23%, 33% e 39%. Avremmo voluto farne due, ma non è stato possibile». Che peccato. Sembra Mike Bongiorno nel celebre spot della grappa Bocchino. E davvero ci vorrebbe un ammazzacaffé - uno di quelli forti - per buttar giù il Dpef. «L'Italia conta di più ed è ascoltata», assicura sua maestà il presidente del Consiglio. Allegria.

Il governo riesce nella non facile impresa di far nascere il documento di programmazione economica e finanziaria alla fine di luglio. Un mese di ritardo, la gestazione è stata difficile. L'odiato Romano Prodi lo presentava addirittura in primavera. Guai a dirlo ad alta voce. Il nazional alleato Ignazio La Russa rivendica con virile fermezza che il governo delle libertà è pronto a «lavorare anche in estate». Prima le pensioni poi le vacanze: gli eroi del socialismo reale non avrebbero saputo fare di meglio. Stakanovisti o ciarlatani? Mah. Di sicuro il ministro Lunardi è arrabbiatissimo. Il signore delle gallerie sostiene che «l'ipotesi di un pedaggio sulle strade statali è il prodotto di una montatura». Un complotto. «L'inserimento del pedaggio - spiega Lunardi - riguarda solo le superstrade che saranno trasformate in autostrade». Ci vuole poco per fare una grande opera, basta cambiare un super con un auto e la strada è servita. A pagamento, s'intende.

Lunardi pensa ai caselli, Berlusconi chiede al paese di avere pazienza. Non è una presa in giro. Il reuccio cita De Gasperi, la sua grande passione. «La politica è pazienza, pazienza, soltanto pazienza». Ogni riferimento a Marco Follini e all'Udc è puramente casuale. Il PresDelCons manda anche un sms agli alleati: «La verifica è chiusa». E Buttiglione è in Europa. Rocco il filosofo è partito per Bruxelles. L'ultima sera l'ha passata con gli amici che l'hanno preferito a Mario Monti. Non quelli dell'Udc. Proprio vero, chi trova un cavaliere trova un tesoro.

Un passo indietro, nel buio. Verso l'una e mezza di notte la Camera ha approvato la delega al governo per la controriforma delle pensioni. Il voto è arrivato dopo che il governo aveva ottenuto la fiducia nonostante la durissima contestazione delle opposizioni. Ma per Berlusconi non è finita. Silvio dei miracoli deve pagare pegno alla Lega e concedergli il voto sul federalismo prima della chiusura del Parlamento.

Patti chiari amicizia lunga: prima la devolution, poi il Dpef. Pierferdinando Casini manda tutti al diavolo, il programma stabilito non si tocca. Quando è troppo è troppo. Anche per un democristiano come il, presidente della Camera.

Secondo Sandro Bondi «il voto sulle pensioni ha confermato che questo è veramente il governo delle riforme». L'uomo immagine (del padrone) di Forza Italia è un autentico tesoro, che l'ex invincibile armata berlusconiana dovrebbe conservare come l'oro di Fort Knox. Bondi infatti sa bene che la Lega era prontissima ad affossare la riforma delle pensioni. Il fatto che l'avesse scritta il ministro padano Roberto Maroni era un particolare irrilevante. Come a Scherzi a parte. Alla fine la Lega non ha ripudiato la figlia, e la manovra pensionistica è finita come un diadema sulla corona del gran capo. Mancava solo quella, alla galleria degli orrori allestita dal governo delle libertà. E come a scherzi a parte, quelli dell'Udc non hanno ritirato gli emendamenti sul federalismo. Buonanotte.

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EUROPA on the Web 30-7

Berlusconi continua a ballare e non vede lÂ’orlo del baratro

Il premier insiste sui tagli alle tasse -- Ma i numeri di Siniscalco raccontano un’altra realtà

Ventitrè, trentatrè, trentanove. Un, due, tre, stella.I primi tre numeri indicano le famose aliquote fiscali contenute nella riforma che ha in mente Silvio Berlusconi.

I secondi, i passi che, in modo figurato, separano il presidente del consiglio dal baratro in cui rischia di precipitare se prima non avrà un sussulto di saggezza che lo riconduca alla realtà. Una realtà che ha il profi- lo disegnato dalle cifre della nostra economia. Quelle che finalmente il ministro Siniscalco ha tirato fuori dai cassetti in cui le aveva rinchiuse il suo predecessore. I parametri economici sono tutti drammaticamente in rosso. Il governo, che ha di fronte una finanziari da far tremare i polsi, è riuscito a stento a far digerire alla sua maggioranza una manovra correttiva che, a confronto, è poco più che un brodino. E in questo scenario Berlusconi insiste, rilancia. Continua a spacciare sogni e illusioni. Ricorrendo a quelle “immagini” che una volta colpivano la fantasia dei suoi elettori, ma che oggi suscitano solo rabbia e irritazione. Scherza, Berlusconi, e sfoggia il suo inguaribile ottimismo, quando dice che si tratterà di «dimagrire, rafforzando i muscoli». Solo che il paese non si fida più di questo stravagante “personal trainer”, per restare alla metafora berlusconiana, capace solo di far stringere la cinghia. Naturalmente agli altri. I muscoli, intanto, li mostra lui, ai suoi alleati. Li avverte che la verifica è finita, e che nessuno deve illudersi di riaprirla. «Le fibrillazioni – spiega – sono dovute a chi è abituato a prepararsi presto a cambiamenti di sottosegretari e ministri». Ma ora si cambia musica: altro che rimpasto, allÂ’orizzonte c’è la caserma che prenderà presto il posto della Casa delle libertà. Lo chiama il Ppe italiano, ma in realtà è lo strumento attraverso il quale realizzare lÂ’annessione degli alleati ribelli. Come ad esempio quel Marco Follini...

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APRILEONLINE 30-7

EDITORIALE

La maggioranza è a pezzi ma per il Cavaliere le difficoltà sono state superate

[Alessandro Cardulli]

UnÂ’ammucchiata dalla quale il governo cerca di uscire in modo autoritario, unica strada percorribile per mascherare la crisi nei rapporti fra i partiti della maggioranza. Dalle pensioni, ai provvedimenti economici, alla devolution, il parlamento viene esautorato.

Carlo Leoni, capogruppo Ds in Commisssione Affari costituzionali della Camera, parla di una linea “ai limiti dell’eversione”. All’esterno, l’ineffabile Bondi, ministri ciarlieri, affermano che tutto va per il meglio ma ogni giorno ci sono ricatti, veti incrociati, manovre non proprio pulite che segnano gli ultimi fuochi dell’attività politica e parlamentare.

Taglia corto Berlusconi quando, con arroganza, afferma che le verifiche sono finite e che nessuno pensi di alzare più i toni perché la sua pazienza, come le verifiche, è finita. Il Consiglio dei ministri esamina il documento di programmazione economica e finanziaria per poi scaricarlo al Senato che in poche ora dovrà discuterlo e approvarlo. Il voto è previsto per martedì dopo un passaggio nelle Commissioni. Sempre Berlusconi si inventa le tre aliquote per la riduzione delle tasse, ma la situazione economica ne consiglia tre anche se fa notare che, grazie a lui, le difficoltà sono superate. Guarda caso mentre l’inflazione programmata nel Dpef viene prevista all’1,6, l’Istat, come un sol uomo, annuncia che l’inflazione è in calo. Secondo i dati delle città campione passerebbe dal 2,4 al 2,3. I sindacati parlano di dati non veritieri. Così come dicono di non voler neppure prendere in considerazione quell’1,6 per l’inflazione programmata in base alla quale si dovrebbero adeguare gli aumenti retributivi.

A protestare non sono solo i sindacati confederali ma anche, l’Ugl, quello vicino ad An. Del resto proprio l’Istat rende noto che nel 2003 le famiglie italiane hanno speso 119 euro in più per ogni mese rispetto all’anno precedente per un totale di 2313 euro annui. Evidentemente la mano destra dell’Istituto non sa cosa fa la sinistra. Che la situazione sia pesante, che l’inflazione reale non abbia abbassato la testa, che alla fine del mese non si arriva, i cittadini lo sperimentano sulla loro pelle. Basta trascorrere una giornata al mare o fare il pieno di benzina. Cgil, Cisl, Uil incontrano l'Associazione dei Comuni per un esame congiunto della situazione che si determinerà a causa dei tagli previsti nella manovra da 7,5 miliardi approvati dal Senato. I dirigenti sindacali ribadiscono il loro giudizio negativo sui provvedimenti del governo sia per quanto riguarda le pensioni che le scelte formulate nel Dpef. Il segretario generale della Cisl, Pezzotta, riferendosi alla controriforma delle pensioni sottolinea che “sarà lo stesso governo a doverla cambiare”. Dalle questioni economiche e sociali a quelle istituzionali, la musica non cambia. I deputati dell’opposizione continuano la battaglia per evitare che si faccia carta straccia della Costituzione in poche battute. Carlo Leoni fa il punto: “Il tentativo di non far sviluppare il necessario dibattito nelle aule parlamentari sulle modifiche proposte per ben quaranta articoli della Costituzione dà il segno della pericolosità del centrodestra, ai limiti dell’eversione”. Se i deputati del centrosinistra non riusciranno, con i loro interventi su vari provvedimenti in discussione in aula, a superare la soglia di pericolo dell’apertura della discussione generale, all’inizio di settembre scatterà, come da regolamento della Camera, il contingentamento dei tempi. “Per questo - prosegue Leoni - continuiamo con l’ostruzionismo come abbiamo fatto per la controriforma delle pensioni e il voto di fiducia. Era inimmaginabile che si potesse arrivare a questo punto, che si potesse limitare il confronto, si mostrasse fastidio addirittura perché, anche se con tempi ristretti, si deve pur discutere. Continueremo a batterci a fondo”. I leghisti, con la benedizione di Berlusconi, non mollano. Chiedono al presidente della Camera, Casini, di aprire la discussione generale sulla devolution e agli altri partiti di mantenere fede ai patti: la Lega ha votato la fiducia sulle pensioni il cambio dei tempi rapidi per la distruzione della Costituzione. Ora presenta il conto.

Follini ha qualcosa da dire? C’è ancora qualche ora di tempo per evitare il peggio. Può usarla.


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MEDITAZIONE - 30/7/04

APRILEONLINE 30-7

Quelli che ci faranno perdere

C’è una strana sindrome a sinistra. Appena si paventa la possibilità di vincere le elezioni, qualcuno si mette di buzzo buono per fare in modo che la sfida diventi meno scontata. Iniziatore e maestro in quest’arte è Massimo D’Alema che, come molti ricordano, alla vigilia delle amministrative di Bologna, 5 anni fa, dichiarò che si dovevano riformare le pensioni. Degno allievo, oggi, è il suo consigliere economico Nicola Rossi, deputato pugliese dei Ds, economista, fondatore di banche.

Intervistato dal Corriere della Sera il Nostro non ha trovato di meglio che affondare, con un sol colpo, tutta la battaglia che il centrosinistra ha combattuto contro la riforma previdenziale di Maroni. Secondo Rossi si tratta di una riforma iniqua, ma una volta al governo il centrosinistra non dovrebbe cancellarla. Non sforzatevi di capire la logica di tale ragionamento: non c’è. C’è invece la solita, atavica rincorsa della destra sul suo terreno. Il centrosinistra, secondo Rossi&C., non dovrebbe smantellare le leggi ingiuste e vergognose di questo governo, ma al limite emendarle, migliorarle, attutirne gli effetti macroscopicamente più deleteri. C’è lo scalone? Allora livelliamolo un po’, magari anticipando l’entrata in vigore della riforma. Come dire: visto che i lavoratori devono togliersi questo dente, facciamo in fretta così non se ne parla più.

Costoro si autodefiniscono riformisti, ma il termine è sbagliato. Riformista è chi fa le riforme, mentre loro anelano a conservare quelle fatte dall’avversario. Continuisti, forse sarebbe questo il termine più adatto.

Prendiamo un’altra riforma strategica del centrodestra: quella sulla scuola. Secondo la dalemian-amatiana fondazione Italianieuropei, ad esempio, essa è in continuità con la riforma di Berlinguer e quindi non dovrà essere cancellata, ma solo migliorata.

Altro punto caldo: l’Iraq. A quanto pare, la vittoria di Kerry dovrebbe magicamente produrre la “svolta” tanto invocata dal centrosinistra. A Fassino e Rutelli è bastato sapere che Kerry telefonerà a Chirac e Schroeder a differenza di Bush che normalmente li insultava a distanza. Forse Kerry ripristinerà anche il nome di “French chips” per le patatine, caduto in disuso dopo il tradimento di Parigi. Tutto ciò è sufficiente, a detta dei “Continuisti”, per avallare la presenza italiana in Iraq.

C’è da chiedersi quale sarà la prossima riforma berlusconiana da non abolire. Nel frattempo che aspettiamo le rivelazioni su ciò che il centrosinistra non farà al governo, un timore ci attanaglia: non sarà che con questi chiari di luna l’elettore potrebbe pensare che in fondo, se l’Ulivo andasse al governo, non cambierebbe un granché rispetto ad oggi? E se dovesse convincersene, non potrebbe anche decidere di non votarlo? A quel punto sì che le riforme del governo rimarrebbero in piedi. Con piena soddisfazione di Nicola Rossi e dei “Continuisti” del centrosinistra.

''Sbagliato non rimettere mano agli interventi del governo su scuola, fisco e mercato del lavoro''

Beniamino Lapadula, responsabile economico della Cgil, a fronte dell’intervista rilasciata al Corriere della sera da Nicola Rossi, ex consigliere economico di Massimo D’Alema, non ha parole. E’ fra l’incredulo, lo sbigottito, l’arrabbiato e non perché – dice - io sono uno di sinistra e quindi la penso in un certo modo. La mia “non è una critica da sinistra. Se, come fa Rossi, accettiamo l’impostazione del governo gli riconosciamo dei meriti che non ha e che neppure il mondo imprenditoriale gli riconosce. Gli si riconoscerebbe la messa in campo e l’attuazione di provvedimenti che si muovono nel senso della modernizzazione del Paese". “Questo - dice Lapadudula – fa a pugni con la realtà”. Non è un caso - rileva - che mentre nell’intervista Rossi esprime consenso ai provvedimenti sulle pensioni, i parlamentari del centrosinistra hanno condotto e conducono una dura battaglia, fino all’ostruzionismo come hanno fatto nella seduta in cui si è votata la fiducia richiesta dal governo”. Ora il dirigente della Cgil diventa un torrente in piena. “Le posizioni espresse da Rossi – afferma – sono inaccettabili per due motivi in particolare. "In primo luogo la controriforma approvata con il voto di fiducia è iniqua socialmente, affossa la vera riforma, quella Dini, e poi i provvedimenti varati dal governo Prodi".

Ma non c’è solo l’iniquità sociale che sembrerebbe andar bene a Rossi. Anche dal punto di vista dell’efficienza economica siamo a zero. "Lo scalino che scatta nel 2008 sarà ingestibile da parte delle imprese. Da un giorno all’altro ci saranno lavoratori che si vedono allungare l’età pensionabile. Non c’è giustificazione alcuna per le posizioni espresse nell’intervista”. La conseguenza logica di quanto afferma Lapadula, porta ad un discorso di fondo che riguarda tutto il complesso delle scelte e dei provvedimenti adottati dal governo. Se il centrosinistra vince le elezioni che farà? La risposta è netta: “Il governo di centrosinistra si troverà nella necessità di mettere mano a quest’intervento che ha il solo obiettivo di rassicurare Bruxelles, l’Ecofin e i mercati finanziari, le società che danno il voto alla nostra economia, che misurano la nostra crisi. Dovrà affrontare i gravi problemi che la controriforma delle pensioni pone e saranno le stesse imprese a chiedere radicali modifiche. L’idea che si possa evitare questa revisione è profondamente sbagliata. Il solo pensarlo è sbagliato, come sarebbe sbagliato non rimettere mano agli interventi che questo governo ha fatto nel campo della scuola, del mercato del lavoro e del fisco”. Non è un caso che proprio questo “pacchetto” che Lapadula critica duramente sia il cavallo di battaglia del sottosegretario al lavoro, Sacconi, che sprizza antisindacalismo da tutti i pori, e che vede la Cgil come il fumo negli occhi. Non si può infatti evitare di notare la singolare analogia fra le posizioni di Rossi e quelle di Sacconi.

Il responsabile economico della Cgil ribadisce ancora che la sua non è una “critica da sinistra", che sarebbe del tutto legittima e doverosa. “La legge 30 - dice - non solo deve essere giudicata negativamente per i suoi effetti sociali. Il mercato del lavoro, come si configura oggi, crea confusione nelle imprese, i rapporti di lavoro diventano difficilmente gestibili. La controriforma Moratti fa a pugni con il documento sull’economia della conoscenza varato a Lisbona. Divide i cittadini fra chi ha possibilità di un elevato livello d’istruzione e chi, quando va bene, di un lavoro a bassa qualifica. Per il fisco la linea seguita da Tremonti si richiama ai fondamentalisti statunitensi, ai neocon, è da respingere con forza. Qualsiasi posizione del centrosinistra che ritenga di poter gestire quanto fatto dal governo Berlusconi è sbagliata. Berlusconi non ha fatto il lavoro sporco per cui ora ci sarebbe da fare la parte pulita. Il governo ha affastellato provvedimenti di forti contenuti ideologici che non hanno affrontato i problemi veri.” E Lapadula sbotta: “Altro che modernizzazione, altro che il volto della modernità con cui Forza Italia ha tentato di presentarsi al paese. Le risposte date dal centrodestra ai problemi sono tutte regressive, nel segno dell’arretratezza e non della modernità".

Buttiamo là una domanda: che senso hanno, che logica seguono, posizioni come quelle espresse nell’intervista? Difficile trovare una “logica”, ribatte Lapadula. Forse bisogna risalire a qualche anno fa, al Congresso dei Ds di Pesaro quando nelle analisi sullo stato della società italiana si lasciava intravedere una qualche di modernità, perlomeno la voglia di presentarsi con il volto della modernità. “Ma anche nei ds - conclude il responsabile economico della Cgil - nella maggioranza che guida il partito, da questo punto di vista ci sono state evoluzioni. I fatti, i danni prodotti dalle politiche del centrodestra sono sotto gli occhi di tutti, così come le lotte che nel paese e nelle istituzioni si sono sviluppate. Basterebbe frequentare non dico le piazze, ma le aule della Camera e del Senato”.

[Alessandro Cardulli]


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giovedì, luglio 29, 2004

MEDITAZIONE - 29/7/04

PER CHI AVESSE DIMENTICATO CON CHI ABBIAMO A CHE FARE


REPUBBLICA on-line 28-7

CARTA CANTA

di Marco Travaglio

Subito, anzi mai

"Nel primo Consiglio dei ministri da me presieduto è stata decisa la formazione di una commissione di esperti per trovare delle soluzioni entro la fine del mese di settembre al problema del conflitto di interessi".

(Silvio Berlusconi, presentando il suo primo governo alla Camera, 16 maggio 1994)

"Mi auguro che la legge sul conflitto di interesse venga approvata entro i primi cento giorni della nuova legislatura, se vincerò le elezioni. Dopodiché il cittadino Silvio Berlusconi si adeguerà a quella legge''.

(Silvio Berlusconi in campagna elettorale a 'Telecamere', Rai3, 26 aprile 2001)

"Silvio Berlusconi si è impegnato 'a fare nei primi cento giorni di governo quello che la sinistra non ha fatto in sei anni', e cioè la presentazione e l'approvazione in sede di consiglio dei ministri di un disegno di legge che affronti il problema 'in sintonia con le leggi che disciplinano in altri paesi occidentali questo problema'. 'I tre saggi a cui mi sono rivolto - ha aggiunto - entro fine maggio mi daranno il frutto del loro lavoro'''.

(Ansa, 9 maggio 2001)

''Prendo l'impegno, nei primi cento giorni del mio governo, di approvare in Consiglio dei ministri e inviare al Parlamento una regolamentazione del conflitto di interessi".

(Silvio Berlusconi al Corriere della Sera, 10 maggio 2001)

''In cento giorni farò quello che la sinistra non ha fatto in sei anni e mezzo, cioè approverò un disegno di legge che regolamenterà i rapporti tra il Presidente del Consiglio e il gruppo che lui avrà (sic) fondato da imprenditore''.

(Silvio Berlusconi al Tg5, 11 maggio 2001)

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REPUBBLICA on-line 29-7

CARTA CANTA

di Marco Travaglio

Mi vendo

"Ho dato incarico ai miei manager di avviare le dismissioni delle mie proprietà."

(Silvio Berlusconi 23 marzo 1994)

"Le mie aziende o le congelo o le vendo. Voglio assolutamente dividere gli interessi privati che ho come azionista Fininvest dalla attività pubblica che svolgerò nell'interesse di tutti."

(Silvio Berlusconi, 11 aprile 1994)

"Vendo la Standa e le altre aziende, mi credano, seguiranno la stessa sorte." (Silvio Berlusconi, 12 aprile 1994)


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RESISTENZA - 29/7/04

CORSERA 29-7

LA COSTITUZIONE AL MERCATO

Per Berlusconi è solo quello della vacche

di GIOVANNI SARTORI

È uscita di recente una raccolta di scritti del grosso dei nostri costituzionalisti che risultano pressoché unanimi - 60 su 63 - nel valutare negativamente e con fortissime riserve la riforma costituzionale in corso. Il titolo del volume è Costituzione: una riforma sbagliata (a cura di Franco Bassanini, Passigli editore), e il titolo dice già tutto. E non si tratta di un volume di sinistra. Il grosso dei costituzionalisti è costituito da studiosi che si occupano del loro mestiere. E poi le Costituzioni non sono né di destra né di sinistra; sono riuscite o malfatte, funzionanti o no. Dunque, per gli esperti il disegno di legge 2544 non va, non è accettabile. E in un Paese serio un massiccio verdetto negativo dei costituzionalisti - di chi di Costituzioni si intende - farebbe rumore, verrebbe ampiamente ripreso dai media, e metterebbe in difficoltà il governo. Ma da noi finora non si è mossa foglia.

L’altro giorno origliavo da una serratura della presidenza del Consiglio a Palazzo Chigi, e ho captato queste frasi: i costituzionalisti? Chi sono? Cosa vogliono? Perché «rompono»? No - correggo - questi brani di conversazione non li ho veramente sentiti. Ma un sesto senso mi assicura che quel dire è autentico, che questo è davvero il sentire del Palazzo. Perché il Palazzo non vuole consigli e non vuole estranei (gli esperti) tra i piedi. Non è che Berlusconi, Bossi (o l’odontoiatra che ora lo sostituisce, il neoministro delle Riforme Calderoli) si intendano di Costituzioni: non ne sanno proprio niente.

Berlusconi non ha mai spiegato al Paese perché il federalismo bossiano vada bene, non ha mai risposto a nessuna critica. Dice soltanto: si deve fare perché l’ho promesso. Che gentiluomo! Troppo gentiluomo. In verità, agli elettori Berlusconi ha solo promesso una riforma federalista più avanzata. Ma gli elettori non conoscevano il testo federalista prodotto due anni dopo dai cosiddetti «saggi di Lorenzago». E dunque quel testo non costituisce un impegno elettorale.

La prosaica realtà, allora, è che per la trinità Berlusconi-Bossi-Fini la riforma dello Stato si risolve in un mercato delle vacche: una vacca a te in cambio di una vacca a me, e poi vacchine un po’ a tutti (una anche a Bruxelles) per comprarli e tenerli contenti. A Berlusconi della devolution non importa nulla. Bossi gli chiede questa vacca, e lui gliela dà. In cambio ottiene due vacche per sé: l’intoccabilità in questa legislatura e, meglio ancora, la grossissima vacca del «premierato assoluto» (uno strapotere che i soliti rompiscatole, i costituzionalisti, condannano non meno della devolution) per le legislature che verranno. E questo è il quadro di insieme nel quale inquadrare da un lato lo «strappo» di Follini e, dall’altro, lo spregiudicato «manovrismo» di Fini.

Secondo me, Fini manovra e basta. Prima produce con Bossi una legge restrittiva sull’immigrazione, e poi ne rimangia lo spirito proponendo una cittadinanza facile. Prima si fa sostenere da Follini nell’assalto a Tremonti, e poi isola l’Udc per tornare a fare il berlusconiano di ferro. Da An ci dovremmo aspettare una difesa dello Stato unitario, e invece ora Fini preme su Follini perché voti la devolution. E la vacca? Fini ne intravede due: o la eventuale successione a Berlusconi, o l’ascesa al Quirinale. Quanto a Follini, per lui (è il solo) non ci sono vacche in vista. Lui rischia per difendere buone cause. Speriamo che gli elettori se ne ricordino anche se finirà sconfitto.

Ero partito per dire che una Costituzione che ignora i costituzionalisti può soltanto riuscire male. Poi il discorso sulle vacche mi ha un po’ preso la mano. Ma il nesso c’è; e al buon lettore non dovrebbe sfuggire.

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LÂ’UNITAÂ’ on-line 29-8

EDITORIALE

Il fantasma di Bossi

di Furio Colombo

 Non abbiamo alcuna ragione di dubitare che Bossi stia meglio e glielo auguriamo di cuore. Ma abbiamo molte ragioni per non credere a ciò che ci viene detto su improvvise soluzioni di crisi di governo dovute a complesse mediazioni telefoniche del leader della Lega.

Sono affermazioni nel vuoto. Ma quel vuoto condiziona e addirittura forma percorsi politici e decisioni di governo. Sulla base di voci nel vuoto si muove tutto il Parlamento, si forma una agenda politica, si mettono in riga, di volta in volta, i diversi alleati riottosi.

Uno dei quattro partiti su cui si fonda l’equilibrio di Berlusconi - anzi, il più importante - si esprime con risposte o proposte di grande importanza che conosciamo solo attraverso le dichiarazioni di una parte drammaticamente interessata, Berlusconi, appunto.

Se si sapesse che quella voce dice cose diverse (o non le dice) il destino politico di Berlusconi potrebbe cambiare. E cambierebbe il corso della politica italiana.

Ma lo scherzo della voce fantasma è possibile perché è stata accettata una straordinaria alterazione del normale comportamento in caso di malattia di un rilevante personaggio pubblico (per giunta ministro della Repubblica fino a pochi giorni fa): il bollettino medico giornaliero.

In altre parole, tutto dipende non dai medici, non dai familiari, non dai colleghi di partito, non da una qualsiasi forma di verifica indipendente. Tutto dipende da un Berlusconi ventriloquo che provvede da solo ad aprire o chiudere le crisi.

Nessuno, nella Lega, sa in modo diretto ciò che la voce di Bossi sussurra a Berlusconi. Non lo sa nessuno nella maggioranza e alle Camere. Forse il Parlamento europeo vorrà saperne di più. Per l’Italia, le sue istituzioni, la sua stampa, basta la parola di uno dei giocatori, quello il cui destino dipende dalla voce fantasma.

Sarà meglio preparare una versione dignitosa e accettabile di questa storia un po’ tragica e un po’ ridicola, per gli ambasciatori italiani riuniti in questi giorni alla Farnesina. In qualche luogo del mondo, in cui sono in funzione democrazia e libertà di stampa, qualcuno vorrà sapere come sta Bossi. Che vuol dire: come sta Berlusconi?

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IL RIFORMISTA 29-7

Corsivo

Craxi al vertice tarallucci e vino

Em.ma

La notizia c'era, ma i giornali l'hanno ignorata o sottovalutata: al vertice convocato per ratificare la decisione di Berlusconi di porre la fiducia sulla riforma delle pensioni, c'era anche Bobo Craxi. Un giornale scriveva che c'era anche il segretario del partito repubblicano, Nugara. Finalmente il “nuovo Psi” è stato ammesso a un vertice. Una vetta insperata. Ne ha parlato anche la tv. Con questo salto di qualità il “Psi” è veramente nuovo, cioè un altro. Il Cavaliere, ci informa il Giornale, ha regalato agli ospiti una scatola azzurra con sei cravatte Marinella. Non sappiamo se Bobo sia stato destinatario di un pacchetto-dono, sappiamo che non c'è alcun cenno della sua presenza nella discussione (si fa per dire) che si sarebbe svolta tra i commensali. Dalla Stampa abbiamo appreso che «la riunione condominiale della Casa delle libertà è finita a tarallucci e vino con il premier che ha donato cravatte». Anche in questa cronaca non si dice chi ha avuto le cravatte e chi i tarallucci. Buttiglione ci aveva detto che è diventato commissario europeo grazie alla generosità del Cavaliere, siamo quindi certi che tutti gli ospiti hanno avuto cravatte o taralli. Tuttavia un dubbio ci assilla: Nugara c'era o non c'era?


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RESISTENZA - 28/7/04

MANIFESTO 28-7

Sommario di I pag.

Berlusconi vuol dire fiducia

«Avanti con fiducia», aveva detto Berlusconi due mesi fa, e ora mantiene: il governo è costretto a chiedere il voto di fiducia anche sulle pensioni. E' la terza fiducia in un mese e non sarà l'ultima, lo stesso premier avverte: la chiederò anche per la par condicio. E il parlamento diventa un optional.

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EDITORIALE

Zombi

MICAELA BONGI

Silvio Berlusconi non ha mai amato il teatrino della politica. Ma non è per questa ragione, né per eccesso di decisionismo, che ancora una volta sfodera arroganza. La riforma delle pensioni sarà approvata oggi, perché il ministro Siniscalco ha un disperato bisogno di far tornare, almeno in apparenza, i conti del Dpef. E per l'ennesima volta il governo chiede un voto di fiducia, come ha fatto (e ancora farà: al senato) sul decreto taglia spese e prima ancora su decine di provvedimenti. Di fronte alle minacce incrociate, agli ultimatum che pure ultimativi lo sono a giorni alterni, come dimostrano le «bandiere» solennemente piantate da Marco Follini sulla riforma costituzionale per poi essere sommessamente ammainate, il presidente del consiglio, diventato il fantasma di se stesso, alza impaurito le barricate: datemi fiducia, ripete. Ovvero: non mi fido di voi, non ci fidiamo più l'uno dell'altro - se mai ci siamo fidati - non fate scherzi o la Casa ci travolgerà con le sue macerie. Muoia Sansone con tutti i filistei, si era ritrovato recentemente a dire il premier di fronte allo scalpitare dell'Udc. E invece anche i filistei quest'estate andranno al mare. Silvio Berlusconi non ha mai amato il teatrino della politica, dunque ha deciso di organizzare i «giochi senza frontiere», affidandone la conduzione a Roberto Calderoli. Niente baita del Cadore, quest'anno. Destinazione: una spiaggia del sud per trovare la nuova «quadra» su forma dello stato e forma di governo. Nel corso della cosiddetta «Lorenzago 2» i «saggi» dovranno rispondere a interrogativi di quelli da togliere il sonno: fino a che punto andrà stravolta la Costituzione? Non troppo, implora l'anima ciccidì del partito di centro. Premierato forte, invocano i nazional-alleati paladini della collegialità. Devoluzione o morte (del governo) minacciano come sempre le camicie verdi. La «verifica» continua, il dibattito è aperto: non nelle aule del parlamento, ormai obsolete, come dimostra il continuo ricorso al voto di fiducia del quale il presidente Casini, dopo aver condotto a più miti consigli il riottoso segretario del suo partito, ora si dice «rammaricato»: il parlamento non è una buca delle lettere. Pazienza, il governo balneare preferisce le discussioni al mare, l'opposizione e il pubblico pagante saranno informati dalle tv addomesticate. Chissà se la Costituzione promessa, che fu il collante tossico dell'asse padano, vedrà mai la luce. La controriforma del sistema previdenziale, sicuramente sì, senza discussione. Questione di fiducia: quella che manca tra gli inquilini della casa berlusconiana e che dovrebbe mancare sempre più anche ai loro elettori. La Lega ancora una volta incassa e rilancia. Ottenuto il ritiro degli emendamenti centristi alle riforme e andata in visibilio per lo schiaffo assestato dal premier e i suoi valletti Buttiglione e Giovanardi a Marco Follini, i padani avevano chiesto il rinvio a settembre del voto sulle pensioni: mai fidarsi dei «democristianoni». Ma alla fine sosterranno la fiducia. «Questa è l'ultima», avevano giurato su Alberto da Giussano i leghisti appena la settimana scorsa, approvando la «manovrina». Gli scombussolati folliniani assicurano che le loro «bandiere» sventolano ancora alte ma che intendono solo concedere un supplemento di riflessione agli «alleati». Gianfranco Fini rimpiangerà Giulio Tremonti, senza il quale non sa più a che aggrapparsi tanto che ora è disperatamente aggrappato a quel Cavaliere al quale aveva addirittura sognato di fare le scarpe.

Chiunque a settembre dovesse risultare il vincitore della «Lorenzago 2», a uscire pieni di lividi dalla rissa perenne non saranno soltanto gli sconfitti della maggioranza, lo sono già il paese e le istituzioni piegate alle esigenze sceniche di sua emittenza. Se il governo riuscirà a restare in piedi molto probabilmente sarà uno zombi. E ciò non dovrebbe essere affatto rassicurante.

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CITAZIONI

La tregua che Silvio Berlusconi ha rivendicato davanti ai deputati di FI come frutto della propria «azione positiva» fatica a consolidarsi. Anzi, rischia di confermarsi fragile, quasi da fine legislatura. Ma, soprattutto, il centrodestra ha finito per offrire un’immagine logorata con il ricorso al voto di fiducia.

(Massimo Franco, Corsera 28-7)

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Vertici improvvisi, colazioni di lavoro, telefonate fra Berlusconi e Bossi, sussurri e grida per il possibile rinvio del voto sulla delega per le pensioni ipotizzato dalla Lega, tramite articolo pubblicato dalla “Padania”. Nel frattempo il governo, proprio alla Camera, andava a bagno. Per tre volte la maggioranza diventava minoranza sul decreto sulla Pubblica amministrazione: due emendamenti proposti dalla Lega erano votati dal centrosinistra, uno del centrosinistra era votato dalla Lega. Insomma solo quando pone la fiducia il governo si salva.

Alessandro Cardulli, Aprileonline 28-7

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LIBERAZIONE 28-7

Corsivo

EÂ’ solo questione di grana...

DON PANCRAZIO

Le pensioni? Rinviate a settembre. Prima la Lega doveva assicurarsi il via libera al federalismo. Tutto il popolo padano era fermo su questa linea del Piave. E questo hanno perentoriamente ribadito con fermezza ieri i sub-boss leghisti Maroni e Calderoli a Berlusconi, durante il vertice della Casa delle Libertà. Ma a quel punto il premier li ha gentilmente informati di aver telefonato a Bossi e di averne ottenuto il nullaosta della Lega alla fiducia sulle pensioni posta oggi dal governo alla Camera. I due poverini "sono rimasti basiti", riferiscono le cronache. Non sapevano nulla della telefonata. E soprattutto, si chiedevano, come avrà fatto il Cavaliere a convincere il rude condottiero del popolo padano, per quanto provato dalla malattia, a svendere così, a costo zero, il sì alle pensioni e questa preziosa arma per garantirsi il federalismo? Che c'entrasse il patto notarile in base al quale la Lega sarebbe costretta a restituire immediatamente al plutocrate della CdL tutti i "prestiti" da questi concessi e garantiti per sostenere i costi dell'organizzazione e della propaganda del partito alleato? No, i due lo escludevano con nettezza. Un generoso gentiluomo come il Cavaliere mai sarebbe potuto scendere a tanto...


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mercoledì, luglio 28, 2004

MEDITAZIONE - 28/7/04

STAMPA

I piccoli socialisti

Filippo Ceccarelli

Molto si è visto, molto si è detto, molto si è scritto, nelle ultime settimane, a proposito degli ex democristiani. Ma anche gli ex socialisti non scherzano mica.

Faceva osservare l’altro giorno un antico lombardiano come Filippo Fiandrotti, commentando la promozione del professor Siniscalco all’Economia: «Ehi, pure lui dopo tutto veniva dal psi. Come Tremonti, del resto: covata di Franco Reviglio». Ne seguiva una meravigliata constatazione: «Ma guarda, abbiamo più potere oggi che ai tempi di Craxi».

Ora, pur con tutte le riserve ispirate dal caso e dalla necessità, sarebbe ingiusto ritenere Berlusconi, semplicemente, una creatura di Craxi. Ma questi ebbe certamente parte nel successo della Fininvest e poi nella nascita di Forza Italia. Così come, senza dubbio - e sull'altro fronte - si deve a Craxi di aver lanciato la fortunatissima e inconclusa carriera di Giuliano Amato, fra tutti i «quirinabili» oggi il più brillante e forse anche il meglio piazzato.

C’è poi De Michelis, che mai trova pace, e che con il suo due per cento una ne pensa e cento ne fa, non di rado anche in contraddizione, e pure in paradossale eccentricità. Prima del voto, per dire, ha fatto affiggere per le vie d’Italia due enormi manifesti. In uno si vedeva lui e la scritta diceva: «Non sono indispensabili le facce nuove. Sono indispensabili le idee chiare». In un altro c'era una giovane deputata, Chiara Moroni, con la scritta: «Largo alle facce nuove. Con le idee chiare vengono le facce nuove».

De Michelis è l'ideale suggeritore della manovretta o manovrona che sia. Di recente ha messo su un informale e ingombrante think-tank con Lorenzo Necci e Paolo Cirino Pomicino sullo sviluppo economico della nazione. La Velina Azzurra, una crudele agenzia che si definisce «foglio estemporaneo di utile lettura per quanti si tormentano a chiedersi se il centrodestra riuscirà a sopravvivere a coloro che lo guidano», sostiene che De Michelis è il vero reggitore del ministero degli Esteri.

Ma anche il titolare ufficiale della Farnesina, Franco Frattini, ha avuto a che fare con il psi e i socialisti. Fabrizio Cicchitto, del resto, è il numero due di Forza Italia e anche la sua guardia bianca. Qualche settimana fa si è messo a strepitare in Transatlantico con l’ex dc Bruno Tabacci: «E falla questa crisi di governo, così diamo uno spettacolo pietoso!». Sembrava di essere tornati ai bei tempi della collaborazione-competizione. Giampaolo Sodano è il capo dei berlusconiani del Lazio; Maurizio Sacconi è sulla trincea del Welfare.

E insomma, eccoli. Agitati, generosi, narcisi. Per seconda o terza volta Claudio Martelli ha annunciato l’addio alla politica, ma intanto è ben tornato in tv. E anche questa settimana Carlo Ripa di Meana è su Novella2000. Nesi, frattanto, ha rotto con Diliberto; Carmelo Conte ha stretto un’alleanza contro Bassolino; Formica ha telefonato a Tremonti; Signorile ha raccolto i suoi in una convention a Napoli. Neanche a farlo apposta, nei giorni della verifica, Paris Dell’Unto e Giulio Di Donato passeggiavano nella Galleria Colonna. S’è rivisto addirittura il mitico sottosegretario pugliese Gaetano Scamarcio, che fece tremare Spadolini e che oggi come avvocato e tribuno dei risparmiatori ha denunciato il governatore Fazio.

L'ardore insomma non manca. Ma è come se una illustre cultura politica si fosse ridotta a miniatura, a vignetta satirica. I socialisti non sono divenuti migliori. Si notano meglio, anzi, le magagne che hanno accecato e poi perso un nobile partito. La smania ciarliera, l'anima rissaiola, la discordia famigliare. Non vanno d'accordo nemmeno i fratelli Craxi; idem a Cosenza, dove gli eredi di Mancini si lacerano sulla Fondazione.

Più contano, si direbbe, più litigano, più si dimenano e meno concludono, più sono piccoli e più pensano in grande. Forse solo così vincono il vuoto, la noia, vecchi cari «dissocialisti» italiani.


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RESISTENZA - 27/7/04

IL RIFORMISTA 27-7

Corsivo

Forza Italia si affida alla coerenza di Cicchitto

Em.ma

Cicchitto intervistato dal “Giornale”: 1) «bisogna prendere atto che la Cdl si è trasformata in una coalizione…è necessaria la mediazione e una ripartizione delle nomine sulla base del peso politico». Ergo, non ci sono più le virtù taumaturgiche del Cavaliere: siamo negli anni dei dorotei di Rumor. 2) «An, dopo essersi assunta la responsabilità di avere destabilizzato la maggioranza con la richiesta di dimissioni di Tremonti ha capito che rischiava di favorire una manovra centrista che la emarginerebbe inesorabilmente». Ergo, Fini è un cretino politico. 3) «L’Udc non ha preso nessun impegno risolutivo sulla riforma federale. Ciò ha portato la situazione sull’orlo del baratro perché la Lega stava per uscire dal governo». Ergo, Follini è un irresponsabile e Bossi un ricattatore. 4) «Gli sconfittisti dell’Udc vogliono un rapido logoramento del governo Berlusconi». Obiettivo raggiunto. Ecco la frase che chiude l’intervista, ben condotta da Mario Sechi: «abbiamo fiducia nella capacità taumaturgica di Berlusconi, ci appelliamo alla lucidità politica di Fini, al realismo politico di Follini e alla durezza politica di Bossi». Aggiungiamo noi: e Forza Italia si affida alla lucida coerenza di Cicchitto (e Bondi).

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L’UNITA’ on-line 27-7

La differenza

La Thatcher? Magari di destra, però persona per bene – il confronto con Berlusconi non tiene

di Furio Colombo

 Preoccupato per le sorti dell’opposizione che vive in tempi difficili, benché non riesca a eguagliare la disastrosa immagine che sta dando di sé, da settimane, la maggioranza di centro destra e il suo leader, Stefano Folli, scrive sul Corriere della Sera di domenica 25 luglio: «Forse il centro sinistra sarebbe più sicuro del suo futuro imitando Blair». Intende dire: Blair non ha rinnegato o disprezzato il lavoro svolto da Margaret Thatcher. Semplicemente è andato avanti. L’idea è buona ma è il confronto che non tiene. Le leggi della Thatcher erano di destra ma non incostituzionali. Le sue riforme riflettevano una visione conservatrice ma non erano state fatte per gli interessi personali della Thatcher. Sceglieva e nominava persone di sua fiducia, ma non come voto di scambio con i notabili litigiosi della sua coalizione. Era antipatica a chi non condivideva il suo mondo, ma non c’era intorno a lei il gigantesco conflitto di interessi che ha reso così penosa l’immagine dell’Italia nel mondo, non ha mai interferito sul potere giudiziario né definito i giudici inglesi mentecatti, non ha licenziato dirigenti della BBC solo perché non erano abbastanza conservatori, non si è fatta una Legge Gasparri per piazzare le sue aziende mediatiche, in posizione di privilegio (e di notevole vantaggio economico). Non ha mai detto a una sua cittadina: «Lei ha una bella faccia di merda». Secondo noi questi dettagli fanno differenza.

Dopo il voto che avrà spazzato Berlusconi, ci saranno macerie morali, rovine contabili, un drammatico problema di rapporti con l’Unione Europea di cui siamo parte, lo stato disperante degli affari, la cattiveria con cui si è cercato di accendere lo scontro sociale. E bisognerà riportare a casa i soldati impegnati, con grave rischio, in una guerra che la Costituzione non consente e che è stata travestita da «missione di pace».

Prima del voto non si potrà e non si dovrà far finta che questa sia un’alternanza normale, una tipica oscillazione del pendolo della opinione pubblica che si sposta nel tempo da un punto all’altro dello spettro politico.

Infatti la situazione italiana è di emergenza, il rischio costituzionale è alto, la rottura col passato vistosa e drammatica, persino a confronto con le brutte esperienze che l’Italia democratica ha avuto in passato. Ce lo ricorda con impegno lo stesso presidente del Consiglio, tutti i giorni, con tutte le illegalità, le volgarità, i baratti per cui è portato. E con la frase esemplare con cui definisce una signora che non è d’accordo con lui «faccia di merda». Di una cosa l’opposizione dovrà essere grata a questo miliardario abile nella cura degli affari privati e maldestro nel gestire la politica. Impedisce di dimenticare. O di fingere che quelli di Berlusconi siano tempi normali.

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LIBERAZIONE 27-7

Corsivo

Berlusconi ha una "faccia da culo" o una "faccia da cazzo"?

DON PANCRAZIO

Le cronache riferiscono di un presidente del Consiglio italiano che, dopo aver cenato a Gabicce con il cancelliere tedesco, raggiunge il lungomare di Rimini a mezzanotte, per un gelato alla vaniglia e un bagno di folla. In realtà viene accolto da tanti "Vai via! ", "Tornatene a casa! ", "Buffone! " (o "Puffone", non si capisce bene), "La Romagna rossa non ti vuole". Ad un certo punto si trova faccia a faccia con una distinta signora in bicicletta che gli grida: "Vai a casa". Allora lui non ce la fa più e risponde, educatamente: "A casa vacci tu". E lei: "Ma io sono a casa mia". Col suo leggendario sorriso e la sua proverbiale eleganza, il premier replica: "Lei ha una bella faccia da str... ". Allora la signora si è sentita in diritto di rispondergli a tono: "E tu hai una bella faccia da c... ". Che si tratti di Silvio Berlusconi è certo. Che "str... " stia per "stronza" lo è altrettanto. L'unico dubbio rimane su quella pudica "c... " usata dai giornali. Non sapremo mai, dunque, se al premier in carica sia stato dato della "faccia da culo" o "faccia da cazzo".

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ESPRESSO on-line 27-7

Interessi loro e cavoli nostri

Enzo Biagi

Tv armate - Arie agitate a Roma. In una commedia di Forzano, Cavour diceva: "L'è nervus anc La Marmora". Senza ricorrere al teatro, possiamo dire che è molto teso anche il Primo Ministro (chi sa il secondo) Silvio Berlusconi che, sconvolto da una rissa con Follini, lo minaccia: "Ti scaglio contro le mie televisioni". Non mi stupisce l'eventuale ricorso all'arma contundente della tv, mi meraviglia la considerazione che ha dei suoi giornalisti: "Ragazzi, all'attacco, via". E quelli, se quel discorso ha un minimo di attendibilità, scattano. Ho 84 anni, e faccio questo mestiere da quando ne avevo diciassette. Solo al tempo del Duce c'era un foglio di disposizioni quotidiano: "Attaccare", "Tacere", "Minimizzare". E c'era chi aggrediva, chi ragionava, chi taceva. Chi è che va all'assalto agli ordini del generale Berlusconi, quale Bastiglia c'è da conquistare perché la verità trionfi? Anche la mia categoria ha tutte le fragilità umane, ma a proposito di Berlusconi, in questo caso, mi pare giusta la frase che doveva dimostrare l'efficienza della nostra contraerea di fronte agli attacchi dei 'Liberators': "Fecero bum con la bocca ottenendo lo stesso risultato".

Bilanci falsi - È stata approvata la legge sul conflitto d'interessi: mi pare superflua perché badano soprattutto al loro. Esempio: guardate come proprio questo governo ha sistemato il falso in bilancio, e non vi venga in mente di presentare una falsa dichiarazione dei redditi. Ho assistito a una scena comica che avrebbe entusiasmato perfino Charlie Chaplin: un reparto della Guardia di finanza che presentava le armi a una altissima autorità che forse ha qualche pendenza col fisco. Ma, insisto, come diceva Orwell, la legge è uguale per tutti, ma per qualcuno di più.

La Storia - Ogni tanto mi capita di dare un'occhiata stupita alle prose di un ex socialista oggi aggregato a Forza Italia: vorrei fargli notare che, con tutto il rispetto per i defunti, Bettino Craxi (che ebbe il merito di rilanciare il partito socialista, poi la responsabilità di distruggerlo) non era un esule, ma un cittadino che evitava di mettere a posto certi conti, giusti o no, coi tribunali italiani. Non falsifichiamo la storia, almeno quella che abbiamo vissuto.


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martedì, luglio 27, 2004

MEDITAZIONE - 27/7/04

APRILEONLINE 27-7

Tutti al mare, ci pensa lui

[Sandro Carli]

Vacanze amare, un agosto con il bilancino mentre si disserta sulla manovra. I conti in tasca, quelli veri, di milioni di persone fanno a pugni con i bilanci che il governo ci propina e che la stampa, manipolata per gran parte dal governo e dal suo capo, rilancia. Le televisioni e i network, pubblici e privati, rispondono al medesimo padrone, danno un�?immagine sulle condizioni del nostro paese che dovrebbe tranquillizzarci tutti. Ci invitano ad andare in vacanza senza pensieri, a noi cittadini pensa Berlusconi, a noi ci pensa il governo.

Guardiamo per esempio come viene descritta la manovra economica e finanziaria, consultando il televideo Rai o ascoltando i radiogiornali. Sembra che rispetto alle linee guida del Dpef siano previsti interventi per 24 miliardi di euro. Meglio di così non potrebbe andare. Non si dice però che questi 24 miliardi vanno trovati, devono essere messi a bilancio per non sforare il tetto del 3% previsto dall�?Ecofin. Non si dice che Berlusconi e i suoi ministri (e Fini a braccetto in quanto vicepremier con il pallino del coordinamento sull�?economia), ci hanno palesemente imbrogliato, hanno portato l�?Italia sull�?orlo del baratro. La manovra significa allora lacrime e sangue, lacrime e sangue per i soldi che ogni cittadino italiano, in un modo o nell�?altro, dovrà tirar fuori dalle proprie tasche: 7,5 miliardi di euro li abbiamo già pagati con quella che lo speaker di Berlusconi, il televisivo Pionati, ha chiamato la �?manovrina�?, ma non è finita.

Fatti tutti i conti entro il 2008 si dovranno sborsare 51 miliardi di euro, che tradotti con la vecchia moneta fanno circa 110 mila miliardi di vecchie lire. Poi c�?è da aggiungere la cosiddetta �?tassa Berlusconi�?. Avendo promesso agli italiani di ridurre le tasse, ha chiesto al neo-ministro Domenico Siniscalco, come condizione-ricatto alla sua nomina, di dire almeno che nei prossimi due anni sarà possibile farlo. Siniscalco, per non fare un torto al premier, si è prestato al pericoloso gioco della promessa-da-mantenere, tanto cara al Presidente, dimenticando però di quantificarne il prezzo: servono altri 12 miliardi di euro.

Tutti ora elogiano Siniscalco perché finalmente ha tirato fuori la verità sui conti pubblici. Noi, inguaribili critici, ci chiamiamo fuori. Esempio, Il ministro, per la gioia di Berlusconi, presenta i contenuti e l�?efficacia delle �?linee guida�? verso lo sviluppo. Bugia, sono scelte che stanno portando verso il disastro economico e sociale del paese, di cui anche lui è complice di non poche responsabilità. Era o no il Direttore generale del Tesoro? Possibile non si fosse mai accorto prima che i conti presentati dall�?ex ministro Tremonti erano truccati? Lui, funzionario dello Stato, perché ha sempre taciuto, venendo così a mancare uno dei suoi specifici doveri?

La realtà è che questa disastrosa situazione dei conti pubblici è come una pioggia sul bagnato, e il cittadino italiano, quello che va in vacanza e quello che resta in città, sperimenta sulla propria pelle i danni provocati da tre anni di governo fondato sull�?asse economica Berlusconi-Tremonti. Si presenta allo stabilimento balneare. Affitta un ombrellone e due lettini per una settimana: costo medio 142 euro (+7% rispetto all�?anno passato). Chiede all�?albergatore quanto costa il soggiorno per una settimana (la famiglia è di quattro persone) e gli prende un colpo: 2100 euro (+ 10% rispetto all�?anno passato). Che deve fare? Risparmia intanto sulle bevande. Acqua del rubinetto per tutti: il consumo di bevande diminuisce del 15%, quello dell�?acqua minerale del 25%. In totale il minor consumo equivale a 1,2 miliardi di euro. Si leva un grido di dolore da parte delle organizzazioni dei commercianti, di tutti gli orientamenti, quelle che come un�?unica entità avevano aderito al patto per l�?Italia, lasciando sola la Cgil. Verrebbe voglia di dire: chi dei suoi mal è cagion pianga se stesso, ma non siamo cinici fino a questo punto.

Il dato reale è che la diminuzione dei consumi del 3% ci dà uno spaccato più che allarmante dell�?Italia. D�?altra parte, non poteva che andare così, visti i salari netti (dati Ocse, elaborazione Eurostat) fermi da sei anni per lavoratori single e coppie senza figli, con aumenti sotto l�?inflazione (4%) per coppie con due figli. Passato il �?generale�? agosto, il centrosinistra si misurerà con questi problemi o preferisce parlare di ulivi, arbusti e piante varie o, peggio ancora, di cabine di comando, nell�?attesa di un mitico Prodi che più di tanto non potrà fare? Non abbiamo risposte. E�? desolante, ma così è. Speriamo di essere inguaribili pessimisti, oltre che critici.


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lunedì, luglio 26, 2004

MEDITAZIONE - 26/7/04

MANIFESTO 25-7

Spie come loro

ROBERTO ZANINI

Lo sapevamo anche prima, ma vederlo nero su bianco fa un certo effetto. Nel giro di pochi giorni, tre differenti commissioni d'inchiesta dei paesi che hanno fisicamente raso al suolo l'Iraq hanno detto che la guerra è stata fatta per sbaglio. Saddam non aveva le armi letali. I paesi sono Stati uniti, Gran Bretagna e la mai abbastanza citata Australia. I rapporti della commissione bipartisan del Senato americano, della commissione Butler britannica e della commissione Flood australiana hanno analizzato lo stesso materiale, sono stati presentati nello stesso momento, sono arrivati alle stesse conclusioni. Non sono che tragiche fotocopie di una certezza talmente diffusa da diventare scontata e di conseguenza inservibile: l'Iraq era un pretesto, uno stato di guerra permanente l'obiettivo, il ritorno alla legge naturale dell'uccisione altrui la conseguenza.

La più curiosa coincidenza dei tre rapporti è quella di dare tutta la colpa agli agenti segreti e nessuna ai leader politici che hanno adoperato le loro informazioni - e che hanno commissionato le commissioni d'inchiesta. La minaccia d'antrace sventolata da Colin Powell all'assemblea generale dell'Onu era una panzana, l'argomento chiave di Blair che l'Iraq potesse esplodere un colpo mortale in 45 minuti era falso, le informazioni del ferino primo ministro Howard sull'arsenale di Saddam erano «deboli, ambigue e incomplete», insomma nessuno sapeva un accidente. Ma ciò è da attribuirsi a spiate andate a male, alla perfidia levantina delle fonti, alla venalità degli informatori a pagamento, all'incapacità occidentale di origliare compiutamente in lingua araba, alla burocrazia statale scampata al reaganismo che non connette i computer del Fbi con quelli degli aeroporti. Per nessun motivo è colpevole chiunque abbia fatto uso di tali spiate. Ciò ha una sola naturale conclusione: tutti e tre i presidenti in questione hanno dichiarato di aver fatto bene a combattere, tutte e tre le commissioni hanno raccomandato di spiare di più e di spiare meglio.

Con disinvoltura omicida viene rovesciato l'argomento logico secondo il quale, commesso un errore e accertato che se ne è accorto l'intero pianeta, si cerca di porvi rimedio. In breve tempo e con pochi brividi i tre paesi che hanno avviato il viaggio di ritorno all'età della pietra si sono invece congratulati con le proprie strutture democratiche formali. Esse sono capaci con tutta evidenza di individuare i propri errori e rappresentano pertanto un bene di qualità superiore che si ha il dovere di esportare. Invece di fucilare il capo delle spie e il presidente, negli Stati uniti elettorali si è persino acceso un dibattito che propone alternativamente un unico zar allo spionaggio interno ed estero oppure la frammentazione dei servizi segreti perché si bilancino tra loro, ovvero allungare il mandato al capo della Cia per sottrarlo agli equilibri politici del momento o infine accorciarglielo per farlo dipendere di più dalla Casa bianca e dal congresso. Tutte le proposte prevedono un solido aumento delle risorse per l'intelligence. C'è un dividendo anche per le cattive azioni.

Nessuno sembra sfiorato dall'altro argomento, del pari logico, che è forse la politica e soprattutto la politica estera l'arma migliore contro il nemico esplicito che i guerrieri affermano di combattere, cioè il terrorismo. Il quale è una tattica, non una persona. Non esiste un numero finito di terroristi nel mondo, non è cacciandoli uno a uno che se ne esaurirà la spinta, l'esercizio del ruolo di poliziotto globale assoluto è nel migliore dei casi velleitario, nel peggiore fascista.

Cosa altro serve per indignarsi? La guerra in Iraq ha il valore inaugurale di un evo contemporaneo nebuloso ma certo spietato. E l'indignazione, manifesta e su larga scala, è forse la nostra sola garanzia di futuro.


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RESISTENZA - 26/7/04

L�?UNITA�? on-line 26-7

Sommario di I pag.

Riforme - la commissione approva senza il centrosinistra: non votiamo su un testo fantasma

L'Udc ritira gli emendamenti alla riforma federalista, accogliendo la richiesta del ministro Calderoli: se ne riparlerà al tavolo tecnico della coalizione, in pieno Agosto. �? quello il posto per le mediazioni e le decisioni, non il Parlamento. L'opposizione contesta la scelta e abbandona la discussione in commissione affari costituzionali. Ma la maggioranza va avanti e approva il testo, che arriverà in aula giovedì. Violante: «Casini tuteli la Camera, sospendiamo il dibattito fino a settembre». Intanto Marco Follini, al termine dell'ufficio politico dell'Udc, ottiene la convocazione del Consiglio Nazionale. Si terrà il 2 agosto. Tabacci: «Il segretario non lascia, potrebbe raddoppiare»

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CITAZIONE

Non pare proprio che Follini si sia svenduto per trenta denari. Ha dunque congelato i suoi emendamenti, ma non li ha ritirati: in mancanza di un accordo nella Casa della libertà gli emendamenti saranno ripresentati in aula. La verità è che il segretario dell�?Udc è scampato a un agguato. Se i rivoltosi, ispirati da Berlusconi, ne avessero avuto la forza, l�?avrebbero fatto fuori. Non l�?hanno avuta, e anzi dovranno riconfermargli la leadership nel prossimo consiglio nazionale, dove i rapporti di forza sono nettamente a suo favore. Il progetto di Berlusconi di barattare la Costituzione con la sua permanenza al governo è ancora aperto. L�?esito dipenderà certamente da Follini.

(Editoriale, Il Riformista 26-7)

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MANIFESTO 25-7

La settimana più lunga del cavaliere

Riforme, pensioni, Dpef: in sette giorni Berlusconi si gioca il tutto per tutto

A. CO.

ROMA

La settimana prossima, nonostante l'estate inoltrata, potrebbe rivelarsi decisiva per le sorti del governo Berlusconi e della Casa delle libertà. Lunedì mattina, di buon'ora, si riunirà per la seconda volta in pochi giorni l'Ufficio politico dell'Udc. L'esito del braccio di ferro in corso nel partito centrista condizionerà tutta la fittissima agenda di appuntamenti seguenti: il voto sulle pensioni, quello sulle riforme, forse lo stesso Dpef. Nella riunione di lunedì il segretario Marco Follini, spalleggiato da un Pier Casini che pure non ne ha condiviso sino in fondo le ultime scelte, sosterrà la necessità di confermare gli emendamenti in materia di riforme costituzionali, chiederà di rinviare la scelta definitiva al Consiglio nazionale del partito. I leader centristi ribelli faranno di tutto per bloccare questo percorso. Nell'Ufficio politico Follini si trova nettamente in minoranza. Nel Consiglio nazionale i rapporti di forza sarebbero ribaltati. Ma soprattutto il rinvio della decisione alla riunione del Consiglio nazionale, che nella migliore delle ipotesi si svolgerebbe giovedì prossimo e nella peggiore ai primi di agosto, costringerebbe la Lega a prendere una decisione sulla riforma delle pensioni senza aver prima sciolto l'incognita del voto Udc sulle riforme.

Negli ultimi giorni il Carroccio ha scelto un profilo basso e discreto, ha evitato di rinnovare pubblicamente il suo ricatto sulle pensioni. Non significa che i colonnelli bossiani abbiano deciso di ingoiare il boccone amaro. Al contrario, la Lega è più che mai decisa a mettere sul piatto della bilancia la bocciatura della riforma previdenziale pur di ottenere il semaforo verde dell'Udc sulle riforme. Quella che si sta giocando è dunque una partita sui tempi di decisione. La Lega farà il possibile per far slittare il voto finale sulla riforma delle pensioni, che approderà in aula martedì prossimo, in modo che cada dopo lo showdown interno all'Udc. I centristi, almeno in questo uniti, cercheranno invece di chiudere il dibattito parlamentare sulle pensioni prima di prendere una decisione finale sulle riforme.

Ovvio che, in una situazione tanto rischiosa, Berlusconi sia tentato dal sciogliere il nodo della riforma pensionistica col taglio netto, col voto di fiducia. Non può farlo. La Lega ha messo il veto. Il premier non esclude ancora l'eventualità di tentare l'azzardo sfidando il Carroccio. Ma si tratterebbe di un rischio enorme, un salto del tutto senza rete.

Pur di garantirsi il «congelamento»degli emendamenti sulle riforme, Berlusconi non ha esitato a sacrificare un commissario europeo popolarissimo come Mario Monti, regalando la sua poltrona a Rocco Buttiglione. In cambio si aspetta dai maggiorenti neodemocristiani un colpo di mano lunedì mattina, un golpe che imponga a Follini di «congelare» gli emendamenti oppure ne decida la sostituzione. Per evitare di consegnarsi ai cerntristi, Berlusconi ha lasciato in sospeso la nomina del nuovo ministro delle politiche comunitarie, promettendola a due udc, Baccini e il siciliano Lombardo. Come premio di consolazione per il perdente tra i due, ha fatto balenare la possibilità di una sostituzione alla guida del ministero della sanità.

Ma se le lusinghe e le ricompense (quelle già concesse e quelle promesse) non dovessero bastare, il rischio di naufragio diventerebbe altissimo. La Lega potrebbe non votare la riforma delle pensioni, costringendo Berlusconi a una pericolosissima fiducia. Gli emendamenti dell'Udc verrebbero comunque sconfitti in commissione, ma la riforma approderebbe in un'aula maggioritariamente contraria alla riforme (i rapporti di forza in aula sono infatti opposti a quelli della commissione). La stessa possibilità di incardinare in aula la riforma costituzionale prima della pausa estiva diventerebbe incerta, e il Carroccio ha già giurato che, ove non si arrivasse all'incardinamento nel corso della prossima settimana, non esiterebbe a far cadere il governo.

Dicono che, dalla Sardegna, Berlusconi stia facendo il possibile per «sciogliere il nodo» prima della settimana prossima. Per una volta c'è da giurare che è proprio così. Ne va della sua stessa sopravvivenza politica.

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CITAZIONE

La crisi della finanza pubblica dei primi anni '90 maturò dopo almeno vent'anni di finanza allegra, mentre lo squilibrio emerso in seguito alla operazione trasparenza del ministro Siniscalco è la conseguenza di tre anni nei quali il governo della finanza pubblica è consistito in invenzioni ed artifici per aspettare che una ripresa salvifica tutto risolvesse e tutto sistemasse. Ora siamo al paradosso che il governo che vi aveva puntato tutto si trova costretto a contrastarla con le misure restrittive necessarie per elevare un argine nel quale imbrigliare un disavanzo che, trattenuto finora solo da misure di cosmesi contabile, ora tende incontenibile a straripare.

(Alfredo Recanatesi, Stampa 26-7)

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ESPRESSO on-line 26-7

Torna la politica e crolla la Casa

Ora c'è il rischio che Berlusconi, per rimontare la corrente, tenti imprese caotiche all'insegna del tanto peggio tanto meglio

Edmondo Berselli

 Tremonti è stato defenestrato, Bossi se n'è andato, per Tabacci la verifica resta aperta, per Bondi e Schifani non è successo niente, anche se intorno a loro tutto crolla: la demolizione della Casa delle libertà ha assunto un andamento che sarebbe grottesco se non rischiasse di essere tragico per tutti i cittadini italiani. In realtà il libro di storia che viene scritto giorno per giorno in questo luglio fatale è un Bignami che era già contenuto integralmente nel programma del centro-destra. Non era necessario studiare troppo per sapere, già nelle giornate radiose del 2001, in quelle elezioni che diedero alla Cdl una maggioranza apparentemente inscalfibile, che l'alleanza capeggiata da Silvio Berlusconi era un ibrido instabile, una destra chimera, una coalizione meticcia.

Si sapeva che il centro-destra era costituito da destre incompatibili. Era prevedibile che alla lunga partiti 'nazionali' come An e l'Udc non potessero trovare compromessi con la Lega e con quella parte di Forza Italia che è una Lega da salotti. Ciò che forse non si poteva prevedere è la commedia pazzesca che è cominciata con l'espulsione di Tremonti dal governo, e che è continuata con le consultazioni di Berlusconi, accompagnato dal suo ex superministro, con Bossi nell'ospedale di Lugano.

Viene da chiedersi che cosa abbia fatto implodere la Casa delle libertà, dopo tre anni di governo, e la risposta non è affatto semplice. �? vero che le elezioni europee dovevano essere un sismografo, e invece si sono rivelate un terremoto. �? vero che dopo tre anni al potere, trascorsi per risolvere affannosamente i problemi di Berlusconi, sono venuti fuori in modo conflittuale i problemi del governare, le questioni di merito, le pensioni, la devolution, il taglio delle tasse.

Ma poiché non si riesce a individuare un punto, un tema, un argomento che possa avere provocato lo scontro in atto, l'unica spiegazione sembra essere rappresentata dalla rivincita della politica. Esaurito il matrimonio di convenienza resosi necessario per vincere le elezioni, sprecati tre anni di attività governativa, dentro l'alleanza di Berlusconi tutti hanno cominciato a guardarsi, ognuno pensando al proprio elettorato. La riforma delle pensioni non va bene a nessuno, il taglio dei trasferimenti pubblici penalizza An e Udc che hanno bene in mente il loro insediamento elettorale, la riforma fiscale implica una visione degli equilibri sociali che mette in tensione le 'due destre'.

Detto in modo decente, si è rivelata vera la profezia secondo cui culture politiche opposte non possono stare insieme. In modo un po' più meschino, si è capito che l'incompatibilità fra i soci del centro-destra è venuta fuori tutta non appena le ambizioni di potere hanno cominciato a trovare campo libero. Gianfranco Fini e i suoi colonnelli evocano continuamente il mantra della 'collegialità', il che significa che vogliono partecipare alle decisioni economiche in funzione del loro elettorato. Marco Follini e l'Udc hanno dovuto subire la pochade di ministri già vestiti per il giuramento e costretti a togliersi precipitosamente l'abito. La Lega recita il tormentone del federalismo, già sapendo però che l'atout della devolution può, e forse deve, essere tenuto in serbo per una trattativa politica successiva. Quelli di Forza Italia si guardano intorno con lo stupore di chi non è riuscito a coagulare intorno a sé settori importanti dell'establishment.

Un governo che non sa farsi affiancare da una classe dirigente potrà invocare il 'mandato' degli elettori e chiedere di terminare la legislatura. Ma in questo momento la Casa delle libertà è un palazzo con il deserto intorno. Non ha ancora perduto il consenso ideologico, ossia il consenso di chi considera la sinistra e i 'comunisti' una tragedia nazionale; ma nell'elettorato d'opinione riesce arduo trovare sostenitori razionali del centro-destra. In queste condizioni, viene naturale compiere gesti scaramantici, affinché il crollo della Casa non trascini con sé il paese. Ma può darsi che Berlusconi tenti imprese caotiche per rimontare la corrente, alcuni exploit all'insegna del tanto peggio tanto meglio. Se è così, c'è solo da sperare nella riacquisita ingovernabilità italiana e che se non adesso, a settembre, con la finanziaria impossibile che arriva, scoppi l'ultima guerra civile nel condominio delle libertà, quella del tutti a casa.


Tutto il materiale della serie RESISTENZA, da maggio 2001, è consultabile su www.bresciablob.com                          

Da giugno 2003 anche al sito www.bengodi.org/resistere-a-berlusca