venerdì, giugno 27, 2003

REPUBBLICA on-line 26-6

L'epilogo giacobino del processo Sme

di GIUSEPPE D'AVANZO

LE ULTIME parole di Ilda Boccassini sono un urlo alla luna nera, una protesta civile, il tentativo finale di proteggere almeno, soffocato il processo con una legge palesemente incostituzionale, la limpidezza del lavoro della procura di Milano, lo spirito di servizio e la correttezza degli addetti in toga e in divisa. Il pubblico ministero ha buone ragioni per farlo.

Appena qualche giorno fa. L'imputato Berlusconi entra nell'aula del suo processo con l'aria spavalda di chi è uso agli schermi e al riflettore. Libera il suo flusso verbale, accortissimo a tenersi lontano dalle circostanze, dalle testimonianze, dai documenti che lo indicano come corruttore di giudici. Accusa i magistrati, insinua trame e complotti, indica burattinai, dileggia testimoni. Può farlo a mano libera e senza timore perché è l'imputato e perché non accetta il contraddittorio. Promette al tribunale (e all'opinione pubblica) che tornerà in quell'aula "a dirne di altre", finalmente "nel merito". Quando lo promette, sa che non terrà fede alla sua parola perché la maggioranza ha già pronto un salvacondotto che non trova ostile l'opposizione né in dissenso il capo dello stato: e tuttavia, non è l'assenza (o la fuga) dell'imputato eccellentissimo dopo il j'accuse, come sembra pensare la Boccassini, l'epilogo di questo processo.

Il compimento s'era già consumato il 17 di giugno. È un'osservazione di Marcello Dell'Utri. "La scena con cui martedì si sono chiuse le "dichiarazioni spontanee" del presidente del consiglio sono l'immagine plastica della fine di una stagione. Berlusconi, che nell'aula magna del palazzo di giustizia di Milano risponde all'ultimo affondo della Boccassini: "Venga a Palazzo Chigi se crede, ora mi scusi devo andare a governare", è il segno che sul decennio giustizialista cala il sipario", (La Stampa). Se lasciamo in un canto la rituale classificazione ("decennio giustizialista"), Dell'Utri non ha torto. Quella rapidissima scena occorre imprimersela a fuoco nella memoria perché non chiude soltanto un decennio (e il tentativo di ripristinare il controllo di legalità sull'azione dei poteri pubblici e privati: questa è stata Tangentopoli) ma ribalta alla radice il tratto costitutivo della nostra repubblica. Riavvia il nostro futuro verso un passato storico che fu di Rousseau e dei giacobini per i quali "deve avere comunque l'ultima parola chi, in sede politica, è legittimato a rappresentare la volontà generale".

Ecco allora il significato di quell'immagine che chiude il processo di Milano. Berlusconi non accetta di farsi processare come un cittadino qualunque perché non si sente un cittadino qualunque. Egli è un potere, anzi il potere. Lo incarna perché rappresenta il popolo sovrano, la sua volontà e il suo interesse. Egli, come Rousseau, come Saint Just e Robespierre, pensa che il potere debba essere, sia uno. Crede che l'unicità di quel potere sia custodita dal potere politico, il solo potere legittimato mentre gli altri poteri, quando non sono funzioni amministrative, si definiscono al più eccezioni o supplenze. È l'onnipotenza della politica come versione moderna della sovranità del principe. Quest'idea "istintiva" del signore di Arcore ("istintiva" perché tutta iscritta nel codice genetico del suo animal spirit) è apparsa all'inizio di questa avventura la pretesa stravagante (arrogante? ingenua?) di un parvenu della democrazia. Ora che quella convinzione è stata codificata in una legge che ne riconosce l'intangibilità; ora che alla luce del sole il sistema istituzionale gli ha dato il via libera fermando la mano del giudice, va preso molto sul serio Giuliano Ferrara quando annuncia la nascita della "terza repubblica" e scrive dell'immunità firmata da Ciampi come di "un atto rifondativo del primato della democrazia e della politica dopo dieci anni di veleni di interdizioni".

La notizia, come si dice, è la riproposizione del "primato della politica" come fondamento della democrazia italiana o della "democrazia berlusconiana", e non è una buona notizia. Come è evidente, non parliamo più di un processo o di un imputato che è anche capo del governo né di pubblici ministeri e di procure, di mani pulite e di baratti giudiziari. Quel che appare a chi governa addirittura "un atto rifondativo" è l'epifania di un nuovo sistema politico che ha al suo centro un convincimento vecchio di tre secoli - la concezione "assolutista" della politica - che, se ha ragione Jacob L. Talmon nelle "Origini della democrazia totalitaria", ha ispirato le ideologie e i regimi totalitari del Novecento: la sovranità popolare come potere primigenio e illimitato di fronte al quale ogni altro deve cedere, un potere che non tollera limiti e contrappesi. E' un'idea che annichilisce quella che Giuliano Amato ricorda essere "la concezione lockiana della divisione dei poteri, quella all'interno della quale i poteri sono davvero plurali, l'uno non dipende dagli altri e c'è una legge superiore (la Costituzione)".

In questa architettura liberale, al contrario di quanto annuncia Giuliano Ferrara, i poteri sono distinti ed equiordinati, non esiste una primazia dell'uno rispetto agli altri perché sono collocati in ambiti diversi. Ci saranno i tempi, i modi e le intelligenze per riflettere dalle colonne di questo giornale sul ripiegamento giacobino della nostra democrazia, quel che qui si vuole osservare è che quell'idea di "primato della politica" non nasce con Berlusconi, ma è nel cuore stesso della cultura politica del nostro Paese e l'attraversa a destra, come a sinistra. Che cosa fu la Bicamerale, presieduta da Massimo D'Alema, se non il tentativo esplicito e risoluto di restituire alla politica (a chi governa) quel che sembrava fosse andato perduto nel crollo della "prima repubblica"? E non fu quello il tentativo di trovare "la via per condurre i magistrati all'allineamento alla law making majority" (Stefano Rodotà)? Non è negli anni del centro-sinistra (1996/2001), e sempre in ossequio a un ambiguo "primato della politica", che non venne affrontata la crisi delle garanzie che affligge il nostro sistema politico innovato dal maggioritario?

Quell'"atto rifondativo", che è la morte del processo di Milano e la legge di immunità/impunità per Silvio Berlusconi, non è un fiore nato nel deserto. E' un pensiero di fondo di cui la cultura politica italiana non riesce a liberarsi. E non riuscirà mai a disfarsene, soprattutto nell'opposizione di sinistra, "mostrificando" Berlusconi senza ripensare con critica severità alle proprie antiche e pericolose convinzioni, a quella tentazione giacobina che l'ha affascinata fino ad ieri. E che oggi, per mano della destra, diventa governo, metodo, cultura e addirittura legge.
MANIFESTO 25-6

Sommario di I pag.

Teleincubo

Rete 4 resta dov'è, i limiti antitrust svaniscono, l'impero del presidente del consiglio può allargarsi all'infinito, il pluralismo dell'informazione può attendere. Dopo l'immunità per Berlusconi, la maggioranza al senato torna all'attacco sulla legge Gasparri-Mediaset, il testo scritto su misura per le aziende del capo e per il loro fatturato pubblicitario. Il ministro delle comunicazioni ignora le riserve di Ciampi. Il presidente non vuole firmare la legge-mostro? «Non ne so niente», dice Gasparri.

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REPUBBLICA on-line 25-6

"Il premier ha infangato lo Stato" -- "Berlusconi ha mentito"

"Il lodo è incostituzionale"


MILANO - Il processo stralcio Sme al presidente del Consiglio è al capolinea. Il Tribunale di Milano ne delibererà la sospensione, in seguito all'approvazione della legge sull'immunità per le cinque più alte cariche dello Stato. Contrariamente a quanto si aspettavano i legali di Berlusconi, il procedimento non è stato sospeso già oggi. Se ne riparlerà lunedì, quando il tribunale si pronuncerà sulle eccezioni di incostituzionalità presentate dalla pubblica accusa. Quella di stamattina non è stata la tranquilla udienza tecnica immaginata dagli avvocati del premier. I pm e le parti civili hanno voluto esprimere, per l'ultima volta, la loro indignazione per il comportamento di Berlusconi e per la legge che gli permette di sottrarsi al giudizio del Tribunale.

Il durissimo atto d'accusa del pm Ilda Boccassini è iniziato poco dopo le 10: Berlusconi ha mentito, e col suo comportamento ha gettato tonnellate di fango sul Tribunale, sulla Procura, sui pm e, quindi sullo Stato. "Come cittadina", ha detto il magistrato milanese "speravo che il presidente del Consiglio venisse oggi in quest'aula. Ho creduto alle sue parole perché aveva garantito al Tribunale che si sarebbe presentato. Invece non c'è". A questo punto la Boccassini ha alzato la voce: "Ogni imputato ha la facoltà di mentire; però si tratta del presidente del Consiglio, che dovrebbe rappresentare quello Stato che rappresento anch'io, nel mio ruolo di pubblica accusa".

Questa mattina l'avvocato Nicolò Ghedini aveva preannunciato l'assenza di Berlusconi rilevando che, in ogni caso, il presidente del Consiglio non avrebbe potuto parlare: "Non sarebbe ipotizzabile un suo intervento", aveva spiegato Ghedini. "L'udienza sarà squisitamente imperniata sulla sospensione del processo. Sospensione che in ogni caso avverrà".

Ma la mancata presenza di Berlusconi è stata invece, per la Boccassini, l'ultimo, ennesimo sgarbo del premier nei confronti del Tribunale. "E' poca cosa che Ilda Boccassini sia coperta di fango, riceva minacce, sia oggetto di campagne di delegittimazione", ha detto il pm. "Ma non è una questione personale. Si tratta del ruolo che rappresento, cioè la pubblica accusa, cioè lo Stato, uno Stato di cui il presidente del Consiglio è un massimo rappresentante". Per questo la pubblica accusa ha chiesto l'accoglimento di una memoria esplicativa "in cui vengono chiarite tutte le modalità e le condizioni in cui si è svolto questo processo". Di fatto, si tratta della requisitoria dell'accusa. Una requisitoria che non potrà mai essere pronunciata, a conclusione di un processo nel corso del quale, ha aggiunto Ilda Boccassini, "troppe volte i cardini della legge sono stati stravolti". E anche sull'accoglimento di questa memoria il Tribunale si pronuncerà lunedì.

Qui è partito il secondo attacco del pm, quello contro il cosiddetto "lodo Berlusconi", che sospende i processi penali contro le cinque più alte cariche dello Stato. "La legge appena approvata è palesemente incostituzionale", ha detto il pm. L'accusa ha presentato un'eccezione di incostituzionalità nei confronti della norma, chiedendo che il processo sia sospeso e gli atti inviati alla Corte Costituzionale perché si pronunci.

A leggere l'eccezione, preparata nei giorni scorsi in Procura a Milano, è stato il pm Gherardo Colombo. Colombo ha spiegato che la legge sull'immunità viola sette articoli della Costituzione: quelli sull'uguaglianza dei cittadini, sul diritto di difesa, sulla ragionevole durata del processo, sull'obbligatorietà dell'azione penale e sul principio del giudice naturale. Inoltre Colombo ha rilevato che, benché "in presenza di disciplina costituzionale", la legge è stata approvata per via ordinaria. Infine, secondo il pm, il lodo violerebbe il principio in base al quale ai ministri e al presidente del Consiglio non viene riconosciuto alcun privilegio sui reati comuni, il tutto "a danno delle parti offese, anche perchè non c'è nessuna relazione temporale tra la commissione del fatto e la carica".

Obiezioni che la difesa di Berlusconi, composta di parlamentari che hanno appoggiato e votato il lodo, ha respinto al mittente: "Le cinque massime cariche dello Stato hanno compiti e responsabilità che non sono paragonabili alle condizioni nelle quali i cittadini normali possono difendersi in un processo", ha dichiarato l'avvocato Pecorella, difensore del premier e presidente della Commissione Giustizia della Camera. "E' l'ennesimo caso in cui la Procura di Milano intende disapplicare la legge".

Parole dure nei confronti del "lodo" anche da Giuliano Pisapia, avvocato di parte civile per conto della Cir di Carlo De Benedetti: "La legge non è più uguale per tutti". All'affermazione di Pisapia ha risposto l'avvocato Nicolò Ghedini, difensore di Silvio Berlusconi: "La legge non viola alcun principio di uguaglianza. E' una questione risolta già nel 1983 quando con una legge ordinaria si decise l'immunità dei membri del Consiglio Superiore della Magistratura. La corte costituzionale", ha aggiunto Ghedini, "ritenne legittima la legge rispetto a persone che non sono neppure elette dal popolo".

Mentre in aula andava in scena l'ultimo atto del processo stralcio Sme, fuori dal Tribunale di Milano il leader dell'Italia dei Valori, l'ex magistrato Antonio Di Pietro, megafono alla mano invitava i passanti a firmare per il referendum contro il "lodo". Davanti al palazzo di Giustizia c'era anche Nando Dalla Chiesa, che in piedi in cima a una scaletta sotto un sole cocente per oltre un quarto d'ora ha reso "dichiarazioni spontanee" imitando Berlusconi.

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L’UNITA’ on-line 25-6

BANNER

«Berlusconi, primo ministro italiano, era sotto processo per corruzione. Si è fatto dare l’immunità dalla sua maggioranza. La legge è stata subito firmata. Ma il suo co-imputato Previti è stato condannato a 11 anni. In Italia si scrive Previti ma si legge Berlusconi» .


Time Magazine, 24 giugno

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Dove ci porta la Moral Suasion

Ciampi prepara la poltrona per il Cavaliere?


di Vincenzo Vasile

Non è più tempo di "moral suasion". Nel lessico politico è diventata improvvisamente l’espressione più impopolare e sospetta. E nel teatro della politica quando una parola tramonta, vuol dire che si approssima qualcosa che assomiglia a una svolta. Dopo la firma del «lodo Berlusconi» - contestata anche da tanti ex-ammiratori del capo dello Stato - in pochi scommettono una lira su quello che è un po’ lo slogan che racchiude la filosofia della presidenza Ciampi. (…)

La vicenda del lodo Maccanico - così come quelle precedenti delle rogatorie internazionali, del falso in bilancio e della legge Cirami - specie se viste in sequenza, hanno assunto tutta l’aria, infatti, di una discesa in campo del presidente, a sostegno di una parte. Cioè a supporto di una versione edulcorata della linea della maggioranza. Questa è ormai l’accusa ricorrente: la "moral suasion" equilibratrice si è trasformata in un minuzioso e cooperante lavoro di bulino degli uffici del Colle sugli emendamenti alle proposte legislative del centrodestra. (…)

Quella di Ciampi è stata, evidentemente, una scelta politica: i codicilli e le norme c’entrano fino a un certo punto. Quel che è sicuro è che - se Berlusconi continua, come tutto fa ritenere, la sua politica degli strappi - non è destinata al tramonto soltanto la "moral suasion" -formula effimera come tante altre - ma rischia il declino l’istituzione-Quirinale. E non è un caso se un copione già scritto, tante volte «provato» e annunciato, preveda proprio il Colle come il gradino successivo dell’inquietante e resistibile ascesa che va in scena sul palcoscenico della politica italiana.
MANIFESTO 24-6

L'«anomalia italiana» spaventa l'Europa

Berlusconi esempio concreto di degenerazione della democrazia


FRANCESCO PARDI

L'anomalia istituzionale italiana comincia a diventare argomento di discussione scientifico-politica in Europa. Preparato da tempo, il convegno organizzato dall'Istituto di Filologia e Lingue romanze dell'Università di Francoforte per discutere la crisi della democrazia e delle forme di rappresentanza si è aperto nei giorni immediatamente successivi al passaggio della legge sull'immunità nel nostro parlamento. L'interesse personalistico che ha causato la formulazione della legge, i modi e i tempi della sua approvazione, la sua efficacia nel troncare il processo per corruzione della magistratura al capo del governo hanno fornito al dibattito un esempio concreto dei processi di degenerazione della democrazia. Ideato dal professor Raimund Rutter e dalla giornalista Ruth Jung, con la collaborazione di numerose associazioni culturali, il convegno si è svolto, venerdì e sabato scorsi, nella nuova sede dell'università. L'edificio della IG-Farben (nota per la produzione del veleno usato nelle camere a gas dei campi di concentramento nazisti), dopo un lungo periodo di abbandono seguito al suo uso come quartier generale americano, è stato adattato da poco più di un anno alla nuova funzione. La solenne ma sobria architettura razionalista sorge in mezzo a un vasto parco con prati ombreggiati da alberi maestosi: un campus ideale sia per gli studenti che per i professori. Un uditorio misto tedesco-italiano (gli italiani a Francoforte sono 17.000) ha ascoltato con grande attenzione, e poi anche dibattuto con interventi e domande, le relazioni dei convenuti francesi e italiani. Era prevista anche la presenza di Pintor come ospite d'onore; il professor Rutter ne ha evocato la figura con parole commosse.

Il primo giorno, Nicola Tranfaglia ha spiegato l'intreccio inestricabile tra potere politico e possesso-controllo dei media televisivi che affligge l'Italia, Bernard Cassen (Le Monde diplomatique) ha illustrato l'attività di Attac e il suo ruolo nel Forum di Porto Alegre, Adrien Candiard ha esposto la tesi del suo vivace libro su Berlusconi, edito da Flammarion: anomalia o modello neoliberista? Il giorno successivo, Jacques Capdevielle, dell'istituto di scienze sociali di Parigi, ha parlato di come Attac fronteggia le difficoltà e le incertezze attuali della democrazia francese. Chi scrive è intervenuto su un tema analogo: il carattere dei nuovi movimenti italiani e l'eversione strisciante delle garanzie costituzionali realizzata dalle leggi della maggioranza di centrodestra. Cristiano Barattino, studente di Genova, ha tracciato una sintesi del movimento genovese dai giorni del G8 alla fase attuale. Ornella De Zordo (università di Firenze) ha illustrato l'esperienza sociale e politica del Laboratorio per la democrazia di Firenze, e Paul Ginsborg, anch'egli animatore del Laboratorio, ha spiegato a tutto tondo i caratteri dei ceti medi riflessivi e il loro ruolo nei movimenti civili attuali. Infine Erwan Lecoeur ha proposto una sua interpretazione del neopopulismo francese che si esprime nel Front National.

Molto intenso il dibattito. Anche se alcuni tra i francesi hanno provato a sostenere la tesi minimizzatrice per cui il fenomeno Berlusconi è uno dei tanti casi in cui si manifesta un'evanescenza della democrazia comune alla scala mondiale, il pubblico ha espresso con interventi e domande la propria profonda preoccupazione per la situazione italiana. Nelle parole degli italiani - più numerose le donne, e ben rappresentati tutti i ceti, dai vecchi operai della prima immigrazione ai giovani colletti bianchi della Banca europea - si affacciava sempre il senso di vergogna e la difficoltà di spiegare agli altri cittadini tedeschi come l'Italia possa essersi arresa alla seduzione di una propaganda pubblicitaria ingannevole. La legge sull'immunità, concepita allo scopo di ridare in Europa credibilità al capo del governo sottraendolo al suo processo, appariva piuttosto all'opinione generale come un espediente che ha non solo mancato del tutto il suo obbiettivo dichiarato ma ha addirittura tolto credibilità al capo del governo medesimo e al parlamento, che si è fatto strumento di una ennesima legge ad personam.

Questa preoccupazione sembra destinata a crescere un po' dappertutto in Europa. Ieri Migone sull'Unità riferisce di un documento di movimenti e associazioni di cittadini di Salonicco che rende esplicito l'imbarazzo per la futura presidenza italiana ed esprime una forte critica sia al disinvolto strumento dell'immunità per sfuggire ai processi sia alla minaccia per la libertà dell'informazione esercitata dal monopolio televisivo di Berlusconi. Fatti come questi sono destinati a ripetersi ovunque. La televisione di regime li nasconderà, ma proprio l'omissione, come quella che ha censurato anche nel Tg regionale la bella manifestazione fiorentina del 18 giugno in contemporanea al passaggio della legge vergogna, renderà ancora più evidente il danno alla libertà e alla democrazia inferto dalla riunione di potere politico e potenza dell'informazione nelle mani della stessa persona.

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CORSERA 24-6

Rubrica “Lettere al Corriere”

Se Berlusconi trascina il bipolarismo nel baratro

di LUCIANO CAFAGNA

Lei, caro Mieli, come ha più volte sottolineato, ritiene giustamente che un sistema politico bipolare ad alternanza netta sia il più adatto allo sviluppo di una democrazia, come ormai avviene, dopo varie e complesse vicende storiche, nella maggior parte dei Paesi che si possono considerare democratici nel mondo. In Italia siamo arrivati concretamente a questa conquista non per positivo processo di acculturazione a una migliore democrazia, bensì dopo una peculiarissima vicenda, che ha visto agire in concomitanza tre cose: primo, la crisi ideologica, di origine tutta internazionale, del più forte partito comunista del mondo occidentale, che era anche il più forte partito escluso-autoescluso dalla competizione per il governo del Paese; secondo, la brutale rivoluzione giudiziaria che ha fatto «antipoliticamente» a pezzi gli altri partiti della Prima Repubblica; e, terzo, l’abile e pionieristica costruzione di un primo polo unitario alternativista della storia italiana, quello di centrodestra, per iniziativa di un politico non professionista, cioè Silvio Berlusconi il quale, però, aveva forse, nel far questo, motivi più personali che propriamente politici, come una catena molto lunga di comportamenti successivi lascia inesorabilmente pensare. Il polo opposto si è in pratica venuto formando, piuttosto residualmente, per opposizione a questa audace e spregiudicata iniziativa berlusconiana, assemblando diversità maldigerite di esperienze in crisi, pezzi di bicchieri rotti e frantumi di vecchie strutture non comuniste culturalmente ed eticamente allergiche alla sirena del berlusconismo. I due schieramenti mi appaiono, ciascuno, molto disomogenei e basati su negativismi, nell’un caso un po’ inventati (un comunismo che non c’è più), nell’altro, disgraziatamente non inventati (una situazione giudiziaria pesantissima del leader opposto) ma, forse ancor più malauguratamente, insufficienti alla identificazione politica sostanziale di uno schieramento che dovrebbe fondare una democrazia della alternanza nonché di quello che all’altro si oppone. Nella storia non si danno situazioni perfette e non è questo che si può pretendere. Ma è bene sapere, e tenerne conto, che troppe anomalie possono finire col cercarsi strade di compromesso diverse da ogni schema ideale. È accaduto nella storia e potrebbe accadere ancora, anche se può non farci piacere perché pensavamo di essere arrivati nella prima delle sfere celesti della democrazia.

Luciano Cafagna

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Berlusconi trascinerà con sé nel baratro il bipolarismo italiano

di PAOLO MIELI

Caro Cafagna, lei è storico di grandissimo valore e mi scuso se la mia risposta sarà, per tirannia di spazio, più stringata del dovuto. Io ritengo un bene che l’Italia si sia data tra il 1993 e il 1994 uno schieramento di centrodestra (contrapposto a quello di centrosinistra che c’era già anche se poi ha preso le fattezze attuali «assemblando», come lei scrive, «diversità maldigerite») su cui imperniare un’autentica democrazia dell’alternanza. E che l’abbia fatto nell’unico modo in cui ciò era possibile (ribadisco, l’unico). Adesso però vedo anche io il rischio che il tutto degeneri in un marasma. Colpa di Umberto Bossi? Non direi. Ai miei occhi è Silvio Berlusconi il responsabile di quel che sta accadendo, per la sua manifesta incapacità (o non volontà) di pagare il prezzo che gli verrebbe da una drastica, totale, risolutiva separazione dalle sue precedenti identità e attività di uomo di affari. È questo il problema di cui alla voce «conflitto di interessi». Ora che, anche in virtù di un comportamento più che responsabile del centrosinistra e del capo dello Stato, è libero dall’«incubo giudiziario», Berlusconi dovrebbe far valere le sue doti (ammesso che le abbia) di leader, dando prova di severità nei confronti dei suoi e, innanzitutto, di se stesso. Lo farà? A quel che vedo e leggo, ne dubito assai. Questo mi rattrista, e molto, dal momento che, se le cose andranno male, Berlusconi trascinerà con sé nel baratro il bipolarismo italiano. Altro che sfere celesti della democrazia, caro Cafagna, qui si intravedono quelle infernali.

Paolo Mieli

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IL RIFORMISTA 24-6

BERLUSCONIANA

You don't know the history di Cherie e della parrucca rossa

Cara Miriam, siamo a Londra. Io, tu e il nostro diario. I tuoi occhi mi stanno osservando dallo specchio della mia stanza al Claridge's, l'albergo londinese piu amato da Petit Chou, a Mayfair. Lui non c'è, è a Roma occupatissimo come al solito, credo non abbia nemmeno registrato le mie parole quando gli ho detto per telefono che partivo. Peggio per lui. Mi sono svegliata tardi, ho passeggiato a piedi nudi per la stanza e alla fine ho deciso di rompere la dieta con una gustosa colazione all'inglese che dopo qualche minuto era sul tavolo della mia stanza. Addentando quelle adorabili salsiccette ho dato un'occhiata ai giornali inglesi e ho rilevato ancora una volta che quando parlano del mio povero Petit Chou sono più gli errori che le cattiverie: all'uomo che gli urlò «Buffone!» fuori dall'aula del tribunale di Milano Petit Chou, secondo il Sunday Times Magazine, avrebbe gridato «Arrestate quell'uomo!» e non «prendete le generalità di quell'uomo!» che, se mi permetti, è tutta un'altra cosa.

Eurotrash. Ma la vera sorpresa l'ho avuta quando ho acceso la radio prima di fare la doccia. Una voce di donna con accento americano che ho riconosciuto subito: Hillary Clinton che stava leggendo le pagine del suo libro! Non ci potevo credere. Due first ladies, ma quello che per me è intimità, segreto, materia per questo nostro diario per Hillary è diventato un'operazione di marketing di livello mondiale, un'occasione per dimostrare al mondo quanto è brava, buona e saggia. Ero turbata ma sono riuscita a recuperare il giusto distacco dalle cose del mondo con una bella passeggiata per le strade di Londra, finalmente a viso aperto, senza parrucca, sconosciuta tra gli sconosciuti, una Eurotrash qualsiasi, ipergriffata e esibizionista, come ci considerano gli inglesi alla faccia dello spirito comunitario.

Colazione al n. 10. E così ho raggiunto Downing Street per pranzare con Cherie: è per questo che sono venuta a Londra. Aveva così insistito per telefono, con una voce poi così preoccupata, che ho dovuto accettare il suo invito. E finalmente a tavola, di fronte a un pranzetto indiano light (qui molto in voga), Cherie ha potuto confidarsi. Per fartela breve, cara Miriam, sembra che Tony sia in un mare di guai. Ha fatto un rimpasto di governo che più ridicolo non poteva essere tanto che tutti ridono di lui come neanche la Repubblica del mio povero Petit Chou. «Tutta colpa dello stress per la guerra in Iraq. Tony è cotto», ha concluso. «Ho capito Cherie, ma come posso aiutarti?». «Come? Ma tu sei la moglie del più inguaiato dei leaders europei, del più criticato. Solo tu puoi dirmi come ci si comporta in questi casi». Oh Miriam, non riuscivo a credere che Cherie, che tanto avevo invidiato, stesse chiedendo aiuto proprio a me. Ma sono riuscita solo a dirle: «Cherie my dear, non devi dar retta a quello che dicono i comunisti». «I comunisti? Ma qui si tratta dei conservatori!». «E perché, i comunisti che sono?». Mi ha guardato in modo strano e lì ho capito che le avevo risposto con le parole di Petit Chou, non con le mie. E allora le ho confessato che non amo la politica, che detesto il lavoro di mio marito e che l'unico modo che conosco per difendermi è nascondermi. Altro che Hillary! Siamo uscite e alla fine sono riuscita a portarla in un negozio di parrucche. Ma lo sai che Cherie sta proprio bene con i capelli rossi e gli occhiali scuri?

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CENTOMOVIMENTI-NEWS 24-6

EDITORIALE

Berlusconarie

Massimo Del Papa

"Quo usque tandem, Catilina, abutere patientia nostra?". "Ad libitum", potrebbe rispondere il nostro piccolo Catilina. Il quale ha scoperto un metodo infallibile per saggiare il grado di resistenza democratica del Paese, sottoporlo a provocazioni sempre più scoperte, sempre più inaccettabili. Il Paese invece le accetta e lui si convince che può ancora andare avanti, che c’è altro margine per insistere. E spinge più forte con la ruspa sulle istituzioni. L’escalation è travolgente, falso in bilancio, Cirami, lodo Maccanico e si preparano l’annientamento definitivo della Giustizia e la monarchia presidenziale. Il Presidente firma, firma tutto anche se non è d’accordo per evitare ulteriori guai al Paese. Ma simili sfide alla decenza e all’equità si ripetono anche a livelli più bassi, nella Rai per esempio dove c’è un evidente disegno per smembrarla e anche lì la presidente Lucia Annunziata firma, firma tutto, i palinsesti, i programmi strategici anche se fa sapere di non condividerli ma, anche lei, per il minore dei mali. Come anche l’opposizione che disconosce la linea dura dei pochi che non si coprono gli occhi come Nando Dalla Chiesa, del quale sconfessano le denunce e la contiguità ai movimenti, salvo cercarli quando fa comodo. È tutto un abbozzare, un sopportare secondo la curiosa strategia secondo cui per non consentire al cavaliere di fare quello che vuole occorre lasciargli fare quello che vuole, per non aiutarlo bisogna aiutarlo, per non rafforzarlo conviene rafforzarlo. Ma allora che ci stanno a fare, nella Costituzione come in Parlamento e nelle aziende, i presidenti di garanzia, i meccanismi di controllo e di tutela delle minoranze?

Nessuno vuole capire che Berlusconi nutre la sua esistenza politica di continui rilanci, un po’ perché gli conviene un po’ perché obbligato dall’inadeguatezza del ruolo, il suo è un potere fondato su un coacervo di conflitti d’interessi, non su uno solo, e non può trovare pace, non può smettere di forzare la mano perché questo è l’unico modo possibile di sopravvivere, oltre che la sua natura. Un po’ come quei pescicani che più mangiano e più cercano prede, a costo di crepare d’indigestione o avvelenamento.

La "moral suasion" va bene per chi la sa ascoltare, ma Berlusconi è uno che in pubbliche occasioni dice "caro Presidente ti ringrazio del consiglio ma faccio come voglio". E continua a strappare la tela delle istituzioni perché è lì per quello e lo dice, "svecchiare", "rifare l’Italia", purtroppo a sua immagine e sudditanza. Ma l’Italia-Fininvest è il contrario di un Paese e in questa opera di distruzione siamo già a buon punto. Anche la stampa estera ormai parla di regime italiano, "Die Zeit" lo denuncia senza mezzi termini.

Non è possibile convivere con Berlusconi, non è possibile concedergli il dito e poi la mano perché lui a quel punto pretende il braccio e poi tutto il corpo. E non ha senso tentare d’arrivare alla fine dei rispettivi mandati accontentandosi di salvare la pelle, perché anche questo è fuori dalla portata democratica del nuovo potere, portato a travolgere e distruggere tutto e tutti finché gliene si lascia l’agio.

ESPRESSO on-line 25-6

A Kabul e Baghdad è naufragato l´Impero

È caduta la grande finzione di fare la pace facendo la guerra. E solo la nostra furbizia latina può chiamare pace la guerra


di Giorgio Bocca

Al Pentagono hanno studiato una nuova strategia per la guerra continua e preventiva: le unità da combattimento saranno autonome, provviste di tutti i servizi e di tutte le armi e potranno entrare in azione in ogni parte del mondo in tempi rapidissimi: cinque giorni una brigata, sette una divisione, 11 un corpo d´armata. Hanno anche studiato come dimezzare i pesi degli automezzi e di alcune armi per potersi muovere più speditamente. Resta il piccolo guaio che quando si è occupato il territorio nemico (ma nemico perché?) non si sa che farne e come tenerlo.

Nel Medio Oriente si stanno sperimentando due forme di occupazione: quella a presidio pesante e quella a bassa intensità. Funzionano male sia l´una che l´altra. La prima tiene nell´Iraq 150 mila soldati con continui rinforzi; la seconda 5 mila in Afghanistan ma, ammette il generale Vines del presidio afgano, "la sicurezza è ancora lontana e non sarà facile ottenerla".

Nell´Iraq, osserva Giandomenico Picco, esperto delle Nazioni unite, "le forze militari degli occupanti e della guerriglia islamica sono incomparabili, ma sono in grado di farsi del male a vicenda". E lo si vede con gli attentati giornalieri ai soldati americani: ne sono morti più in questo caotico dopoguerra che durante la conquista. In Afghanistan il presidio è concentrato a Kabul, ma ciò non ha impedito l´attacco dei kamikaze talebani del 7 giugno con quattro soldati tedeschi morti e 24 feriti.

Mancanza di sicurezza, tensioni crescenti con le popolazioni, un conflitto basso nel giorno per giorno, ma logorante nel lungo periodo, un fallimento dichiarato nella formazione di quella libertà e democrazia nel cui nome si era fatta la guerra. Il primo governatore americano dell´Iraq, un generale vicino al Pentagono, è già stato sostituito da un uomo di Bush, Brenner, che ha fatto piazza pulita di ciò che restava dell´amministrazione irachena: via le forze armate, la polizia, i dirigenti delle ferrovie, dell´estrazione petrolifera, delle scuole, insomma tutte le strutture su cui democrazia e libertà avrebbero dovuto crescere.

Perché il presidio è incerto e il consenso degli occupanti minimo? Per le ragioni che la superbia imperiale non ha voluto considerare: i due paesi sono di grandi dimensioni, migliaia di chilometri fra un lato e l´altro: la strapotenza militare funzionava quando c´era da avanzare sulle grandi strade e da bombardare dall´alto le difese nemiche, ma ora il controllo delle strade e del cielo non basta, ora si sono ricreate immense zone rifugio dove la guerriglia può organizzarsi. Qualcosa di simile, di lontanamente simile, avvenne durante la Seconda guerra mondiale solo in Jugoslavia, e non a caso la resistenza di Tito fu la più forte e aggressiva. Non c´è stato il miracolo di un consenso iracheno, non c´è stata una adesione degli occupati ai valori e alle istituzioni degli occupanti.

È caduta la grande finzione imperiale di fare la pace facendo la guerra, e fa una magra figura la nostra furbizia latina di chiamare pace la guerra. Il generale Giorgio Battisti che comanda la brigata alpina Taurinense parla di "gesti intimidatori" della guerriglia afgana per non dire che ciò che è accaduto a Kabul ai soldati tedeschi potrebbe accadere ai nostri a Ghost, parla vagamente di "misure di protezione dirette a impedire che elementi ostili vengano in nostro contatto" quando partecipiamo a rastrellamenti come il recente ´Furia del drago´ che fanno parte della guerra terroristica. E ora vogliamo intrometterci, senza averne forza e mezzi, anche nel ginepraio fra Israele e palestinesi.
MANIFESTO 24-6

Il nostro presidente

ROSSANA ROSSANDA

Quella parte del popolo italiano che crede nell'etica repubblicana cui eravamo giunti dopo il 1948 non capisce che il presidente della repubblica Carlo Azeglio Ciampi abbia firmato la legge che salva Silvio Berlusconi dal processo di Milano. Non mette in dubbio che egli abbia rispettato la lettera della procedura nei molti interventi fatti sulla proposta governativa, per emendarla dei suoi aspetti meno presentabili; così aveva fatto anche con la legge Cirami. Ma le ha emendate, queste leggi, per farle passare, per lubrificare le intemperanze di una maggioranza che lede il senso comune dei cittadini - stavolta in quel principio elementare per il quale tutti sono uguali davanti alla legge. Si era sperato che il presidente intervenisse a bloccare la Casa delle libertà almeno quando esagera, magari avvertendo il premier in tempo dei limiti che il Colle considerava invalicabili, evitando così il clamore d'un rinvio alle camere. Ciampi non l'ha fatto, ci ha detto, per salvare l'onorabilità del premier mentre sta per assumere anche la presidenza del semestre europeo. E qui non siamo a un problema di procedure ma di giudizio morale e politico. Morale perché pensa dunque così male o di Berlusconi o dei magistrati da ritenere che sarebbe stato senz'altro condannato. Politico perché sbaglia se crede di salvare in questo modo la onorabilità dell'Italia e del suo governo. Capisco che un capo dello stato non si trova nella condizione più agevole per sentire quel che si pensa di noi in Europa: non è a lui che vanno a dire quel che dicono a noi semplici cittadini. Dicono che siamo un paese senza vergogna, che abbiamo un premier che non ha il senso della decenza, domandano: come permettete che questo avvenga? non vi sentite umiliati?

Il nostro presidente della repubblica di questo non ha contezza, così come, se ha fatto ieri un gesto di cortesia verso il ministro Pisanu, svillaneggiato dalla Lega che ne chiede le dimissioni, non sembra turbato dall'immagine di sé che dà un governo quando considera al più delle battutacce quelle della Lega, che domandano di «contrastare attivamente» con i mezzi della Marina i barconi degli infelici che cercano di approdare alle nostre coste. E questo mentre almeno duecento cadaveri stanno fluttuando a sud della Sicilia, e non sono i primi e di questo passo non saranno gli ultimi. Il nostro presidente si commuove sull'evento rappresentato dalla Costituzione europea, la quale su questo punto rimanda spensieratamente alle leggi di ogni stato, per cui per l'Italia la Bossi-Fini va benissimo, anzi potrà peggiorare se così vorrà la Casa delle libertà.

Carlo Azeglio Ciampi è molto attento alla lettera della Costituzione, che, è vero, non gli concede molto. Lo è anche se talvolta la forza un poco, come è stato nel caso della guerra all'Iraq, quando di fatto l'Italia l'ha votata sotto la copertura di un eventuale permesso delle Nazioni unite che avrebbero messo sotto i piedi la carta propria e quella della Costituzione. Non è della sua correttezza che si può dubitare, è sulla sua cultura che bisogna riflettere. E' un modesto conservatore, che ha resuscitato i riti più tradizionali della patria e fa sventolare su tutta la penisola migliaia di bandiere dal colore rettificato, ma non si interroga sui principi morali della cittadinanza e della convivenza cui eravamo arrivati, con gran parte dell'Europa, e che stanno prima e a monte della Costituzione. E che la crudeltà della globalizzazione rende più pressanti. Una cultura è più che una legge, la si ha o non la si ha. Interventi e assenze, parole e silenzi del nostro presidente parlano della sua.

L’UNITA’ on-line 23-6

BANNER

«Dove altro nel mondo occidentale un uomo d’affari può ammassare grandi ricchezze, possedere i media, diventare premier, affrontare un processo per corruzione, far cambiare le leggi che non gli piacciono e continuare a governare senza ostacoli?».

Los Angeles Times, 22 giugno.

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La faccia Brutta Dell’Italia

Il giudizio su Berlusconi è formato – L’Europa spera che l’Italia sappia maturare una crisi di rigetto


di Gian Giacomo Migone

«Desideriamo sottolineare che il comportamento antidemocratico di un Paese membro costituisce motivo di preoccupazione per l’Europa nel suo insieme. I nuovi membri hanno corrisposto con successo ai criteri fissati a Copenaghen. È essenziale che i princìpi democratici diventino standard permanenti che tutti i Paesi membri devono osservare. I leaders europei riuniti nel vertice di Salonicco debbano essere consapevoli dell’imbarazzo causato dalla futura presidenza italiana a causa di un primo ministro il cui conflitto di interessi ha indotto la sua maggioranza parlamentare ad approvare una nuova legislazione allo scopo di sottrarlo alle sue responsabilità giudiziarie, di conseguenza minando il principio di separazione dei poteri e di libertà dei media in Italia».

Con queste semplici parole i movimenti e le associazioni di cittadini presenti a Salonicco hanno sancito la trasformazione del caso Berlusconi in una questione democratica europea e non più soltanto italiana. La dichiarazione pure sostiene l’inclusione della pace come valore fondante nella Costituzione europea, la diplomazia preventiva al posto della guerra preventiva, l’affermazione dei diritti di asilo sanciti dalla Convenzione di Ginevra, il diritto dei cittadini a continuare a dialogare con la Convenzione e con la Conferenza intergovernativa. Si tratta di un documento consegnato al ministro degli Esteri greco, George Papandreou, a nome dell’accrescimento del principio europeo. Ciò sarebbe avvenuto se non fosse opinione comune al suo interno che il caso Berlusconi ormai fa parte del cosiddetto deficit democratico dell’Europa, come a suo tempo avvenne per quello determinato da Haider, coll’aggravante che è in ballo uno Stato fondatore delle Istituzioni europee, di dimensioni e peso superiori a quello dell’Austria. Ciò comporta maggiore preoccupazione, ma anche cautela.

È comunque illusorio pensare che il lodo Maccanico (o Schifani, che dir si voglia) abbia risolto il problema. Anzi. Chiunque non lo affronti con i paraocchi della provincia sa bene che la cultura dominante, in Occidente e in Europa, è pragmatica. E sostanzialista. Più di un’eventuale condanna non definitiva al processo della Sme nel corso della presidenza italiana pesa negativamente il ricorso a una legislazione ad personam per evitare all’ultimo momento quella condanna. Come dimostrano i commenti mediatici purtroppo (o per fortuna) l’attenzione dall’esterno non si rivolge solo alle malversazioni del presidente del Consiglio italiano ma alla debolezza, vera o presunta, degli anticorpi presenti nelle istituzioni e nella società italiana che avrebbero dovuto prevenirle ed, eventualmente, reprimerle. Il giudizio politico e morale sui metodi di governo e sulla personalità pubblica di Silvio Berlusconi è ormai formato. Resta il dubbio e la speranza, persino dei conservatori democratici europei, che l’Italia sappia maturare nei suoi confronti una crisi di rigetto.

Ne consegue che siamo tutti sotto scrutinio, chi come protagonista chi in quanto oppositori reali o potenziali di una vicenda che, per la sua importanza, ulteriormente enfatizzata dall’attenzione mediatica che la presidenza italiana catalizza, ormai è diventata europea. Sta a noi dimostrare che la democrazia italiana è ancora in grado di difendersi, affinché il Lodo non diventi la premessa per un ulteriore assalto alle istituzioni dello Stato.

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MANIFESTO 22-6

Il buon piazzista

Wanna Marchi e Baffo avevano capito la lezione berlusconiana, ma solo Silvio l’ha fatta franca

ALESSANDRO ROBECCHI

Dei tre grandi venditori televisivi del Paese, uno solo l'ha fatta franca. Wanna Marchi aspetta il processo (imminente) e Roberto Da Crema, detto Baffo, langue nelle patrie galere. Silvio Berlusconi, invece, si appresta all'immersione nella presidenza italiana del semestre europeo, una cosa così importante e prestigiosa che davanti ad essa anche la Giustizia si è dovuta inchinare. La legge non solo non è uguale per tutti (non scherziamo), ma non è uguale nemmeno per i piazzisti della tivù. Come ha detto lo stesso Silvio, la legge per lui è «più uguale». Un colto rimando a un classico di Orwell (La fattoria degli animali) da sempre considerato un testo anticomunista: peccato che nel furore della citazione il colto signore di Arcore non si sia accorto di paragonarsi proprio ai maiali comunisti della fattoria, che forniscono la morale alla favola orwelliana. Pazienza, sarà stato frainteso, come gli capita (spesso) ogni volta che dice una cazzata. Ma torniamo ai piazzisti della tivù. La cara vecchia Wanna (capito!?) faceva parte di una scombiccherata associazione di gente che dava i numeri del lotto e minacciava i creduloni con trucchi abbastanza peregrini. «Il sale non si è sciolto? Oh, signora mia, che disgrazie in arrivo! Se vuole le togliamo il malocchio alla modica cifra di...». SEGUE A Per Silvio è stato più facile: dalla televisione proponeva di toglierlo direttamente lui, il malocchio al Paese. In caso contrario sarebbe arrivato nientemeno che il Comunismo a tirare i piedi, di notte, ai poveri italiani. Quelli, manco a dirlo, accettarono la proposta. Il grande Baffo, invece, quello che vendeva le pentole urlando, mostrava di aver capito la lezione berlusconiana, o almeno di essere al passo coi tempi. Raccontano le cronache che nelle telefonate dei suoi coimputati ricorresse la frase soave e tranquillizzante: «Tanto il falso in bilancio non c'è più». Come dire che l'altro venditore, il Silvio, aveva fatto un gran regalo a tutta la categoria, non solo quella dei venditori via etere, ma a tutta l'imprenditoria italiana. Ci si chiede quanti imprenditori, padroncini, traffichini italiani abbiamo ripetuto quella frasetta («tanto il falso in bilancio non c'è più») come un mantra ipnotico. Ecco un regalo di Silvio al Paese. Questo sì dovrebbe entrare un giorno nei temi di maturità. Ma veniamo ai prodotti. Di norma l'indignazione contro il piazzista televisivo si scatena quando si riceve la merce. I numeri che ti fanno perdere al lotto, per esempio, dopo che il mago te li ha garantiti vincenti, o l'anello di zaffiri che si rivela un collage di fondi di bottiglia. In questo il piazzista Silvio non è molto diverso dagli altri, l'unica differenza è che piazza la sua merce avariata anche a chi non ha comprato, cioè a tutti noi. Delle riforme vendute al paese con grande dispiego di televendite (da Bruno Vespa ai Tg, tutti fanno a gara per propagandare la merce di Silvio) non ce n'è una che si sia rivelata funzionante. La Bossi-Fini, per esempio, produce disastri umanitari (ai migranti il malocchio non glielo toglie nessuno), non garantisce manodopera a sufficienza ai padroni e imbizzarrisce la base della Lega. L'altra sòla del televenditore Silvio emerge in tutta la sua potenza a scoppio ritardato, e si chiama riforma del lavoro. Passata appena una settimana dai peana e dagli applausi padronal-liberisti (Hurrà! Siamo il Paese più flessibile d'Europa!) qualcuno si accorge, leggendo i regolamenti di attuazione, che i suddetti padroni dovranno assumere a tempo indeterminato un paio di milioni di co.co.co. Oppure licenziarli forever alla fine dell'anno, ricacciandoli nelle stive maleodoranti del lavoro nero. La Confindustria, che dal venditore Silvio (e dal suo mago padano Maroni do Nascimiento) ha comprato a piene mani, ora si accorge di aver preso un pacco storico: forse erano meglio i numeri del lotto. Come si vede, le affinità tra venditori televisivi sono notevoli. Ma le differenze anche, sono sotto gli occhi di tutti: la Wanna e il Baffo sono in galera, Silvio invece va a presiedere l'Europa dopo aver tanto bene presieduto l'Italia. E noi utenti? Ci ritroviamo senza tutele e senza garanzie. Non possiamo nemmeno rimandare indietro la merce, perché il Presidente Ciampi ha firmato la bolla di consegna per tutti noi. Qualcuno comincia a pensare che anche protestare non abbia molto senso. Non vorremmo un giorno ricevere la telefonata di Vito, o di Schifani: «Il sale non si è sciolto? Oh, signora mia che disgrazie in arrivo! Se vuole le tagliamo la pensione alla modica cifra di...».

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MANIFESTO 22-6

Un “Imperatore”, due fasci e un'ambasciata

I fasti fascisti e la “lex Berlusconi”


GUIDO AMBROSINO

Il 26 giugno Carlo Azeglio Ciampi sarà a Berlino per celebrare in pompa magna, insieme al presidente della repubblica federale Johannes Rau, il ritorno dell'ambasciata italiana nel palazzone fascista della Tiergartenstrasse. Una costruzione iniziata nel 1932, pensata per celebrare l'alleanza tra Hitler e Mussolini. Allo scavo delle fondamenta vennero costretti a lavorare anche 80 ebrei. Fu una delle prime corvées loro imposte, sciagurato preludio alle deportazioni che seguirono. I diplomatici italiani si trasferirono al Tiergarten nel 1941, quando fu ultimata l'ala occidentale destinata agli uffici, e usata nel dopoguerra come consolato. La sistemazione interna dell'ala orientale, con le sale di rappresentanza, non fu completata. Un bombardamento aereo la danneggiò nel novembre 1943. Altri danni si aggiunsero nel 1945. Nel 1996 si decise di restaurare l'intero complesso, su progetto dell'architetto Italo De Feo. Solo adesso, a 65 anni dalla posa della prima pietra, si potrà inaugurare il palazzo. Che resta triste e inquietante, nonostante la facciata tinteggiata in un innocente rosa.

L'ambasciatore Silvio Fagiolo ha predisposto una cornice "istituzionale" al più alto livello, un "evento" per lustrare l'immagine dell'Italia alla vigilia del sacro semestre di presidenza europeo. Tuttavia le cronache recenti rischiano di guastare la festa.

L'Italia è tornata sulle prime pagine dei giornali tedeschi, ma in articoli densi di allarme e sconcerto per la "lex Berlusconi" che mette il cavaliere al riparo dai processi. La Sueddeutsche Zeitung invita l'opposizione italiana a darsi una scossa, «altrimenti si potrà presto parlare di regime». Il Tagesspiegel sfotte «il grande presidente» per la sua citazione sull'importanza dell'acqua nei temi di maturità, attribuendogli addirittura il titolo di «imperatore» (in italiano) nella didascalia della foto.

Ed è dubbio che alla cerimonia berlinese Ciampi possa funzionare come foglia di fico istituzionale. La sua firma affrettata su una legge palesemente anticostituzionale lo squalifica come garante delle regole.

I fantasmi del passato nel palazzo dl Tiergarten complicano ulteriormente le cose. Due grossi fasci in rilievo sono stati, sì, rimossi dai pilastri di marmo rosso che ornavano l'ingresso all'ala di rappresentanza. Ma in un'intervista a Oltreconfine, periodico dell'emigrazione di incrollabile fede tremaglista, l'ambasciatore ha assicurato che «le tracce della storia rimarranno ben visibili, così come visibili rimarranno i suoi `simboli', inclusi i fasci, anche se conservati in spazi diversi, meglio compatibili con l'opera di restauro».

Venerdì, quando un gruppo di giornalisti ha potuto visitare l'edificio, i due fasci non si sono visti. L'architetto Stephan Dietrich, che ha coordinato i lavori di risistemazione, spiega: «Saranno messi nel cortile. E' una decisione presa a Roma, al ministero degli esteri. Dovrebbero esserci per l'inaugurazione, ma gli artigiani stanno ancora lavorando agli ancoraggi. Non so se faranno in tempo».

Forse un provvidenziale "ritardo tecnico" eviterà a Johannes Rau momenti di imbarazzo. Ma sarebbe ugualmente imbarazzante se i fasci apparissero il giorno dopo: equivarrebbe a un'ammissione di cattiva coscienza.

La repubblica antifascista poteva permettersi di riusare con disinvoltura gli edifici del regime. Non l'Italia di Berlusconi, con un governo guidato da un signore che diserta il 25 aprile, e lascia dichiarare dal suo portavoce che la colpa per i morti di Marzabotto ricade sulle "provocazioni" dei partigiani. Con un vice già neofascista e poi postfascista. Con un "ministro degli italiani nel mondo" fascista autentico, che non perderà l'occasione di venire quanto prima in pellegrinaggio ai fasci del Tiergarten.

L’UNITA’ on-line 23-6

La verità rende liberi

di Cornelio Valetto

Scrivere qualcosa che già non sia stato scritto sui giornali o detto alla TV dopo tre giorni dall'approvazione della legge ad hoc, destinata a bloccare un processo riguardante il Presidente del Consiglio, è quasi impossibile: ed è altissimo il rischio di apparire intenti ad infierire su un tasto che ormai gran parte degli italiani danno per scontato, anche se qualcuno, pochi, coltivano ancora un filo di speranza.

Dopo aver letto molto rapidamente parte dell'ultimo libro di Ceccarelli «Il Teatrone della Politica» posso dire all'Autore che ha dimenticato un capitolo che potrebbe essere inserito tra i tanti che egli ha illustrato: «le facce di bronzo».

Hanno sicuramente una collocazione molto alta per la quantità ma la caratteristica più forte è la loro specificità: la sfrontatezza e il disprezzo, direi lo schifo, per la verità.

I grandi campioni che imperavano ai tempi del «Teatrino della politica» di felice memoria, i più sfrontati, quelli che allora spopolavano la scena messi di fronte alle «facce di bronzo del Teatrone» dei nostri giorni, sono dei nani.

Detto questo penso che dobbiamo guardare avanti (sperando ancora nella Corte Costituzionale e nel referendum abrogativo) ma guardare avanti, chiedendo a noi stessi se in questa circostanza abbiamo fatto veramente tutto quello che dipendeva da noi. In più soprattutto se, essendo coscienti della gravità di quanto è stato compiuto contro la Costituzione della nostra Repubblica, intendiamo continuare ad impegnarci usando tutti i mezzi democratici consentiti, per il ritorno di una convivenza tra uomini liberi e uguali in questo nostro Paese: in primis la verità.

Non dobbiamo disperare, perché serve a nulla il piangersi addosso, dobbiamo credere che il forte soffio di speranza che recentemente ci hanno portato i voti di undici milioni di elettori è una realtà che non dobbiamo sottovalutare perché è un segnale forte sulla capacità della gente di saper misurare quando il troppo stroppia. E che in Italia si sia giunti a questo punto sono ormai in molti a pensarlo ed il loro numero cresce ogni giorno perché vale il vecchio adagio «errare humanum est; diabolicum perseverare».

A noi tocca invece perseverare con tenacia, coscienti che i tempi che ci stanno davanti sono lunghi e faticosi ed in certi momenti hanno anche il sapore amaro della sofferenza: ma la verità merita di trovare tanta gente attorno a sé per ritornare ad essere rispettata dai più.

E noi rispettiamola, cercando in tanti e tutti uniti di esserle vicino.

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CENTOMOVIMENTI-NEWS 23-6

EDITORIALE

Cornuti e mazziati

Gianfranco Mascia

(…) Ci sentiamo "cornuti e mazziati".

Cornuti. Perché traditi nei nostri diritti più cari, quelli sanciti dalla nostra Costituzione, calpestati da questa maggioranza di governo e, alcune volte anche dai nostri parlamentari, nei tentativi di inciucio bicamerale o nelle scelte, spacciate per istituzionali, di politica internazionale: quando, ad esempio, si approva l’appoggio dell’Italia alle truppe d’occupazione dell’Afganistan, oppure nel caso delle divisioni recentissime sull’Art. 18.

Mazziati. Perché costretti a subire tutto ciò ed obbligati a scendere in piazza; pur consapevoli che, in questo frangente, poco peso hanno le lotte democratiche. Infatti, dove è finita la forza di milioni di persone scese in piazza per la difesa dei diritti al lavoro, alla giustizia, alla pace?

Ma, nonostante questo, sappiamo che è necessario scendere in piazza, dimenticando i nostri problemi personali, per reagire. Per segnalare che la società civile non è disposta a regalare il nostro paese alle forze antidemocratiche.

Io sono convinto che noi tutti si stia facendo un investimento sul futuro e che, senza le nostre mobilitazioni, la situazione sarebbe ancora peggiore.

Per esempio, le ultime elezioni amministrative hanno dimostrato che chi ci governa non ha più la stessa forza di attrazione che gli consentì la vittoria nel 2001. Questo anche grazie alle mobilitazioni della cittadinanza attiva, che hanno focalizzato l’attenzione sul problema del conflitto di interessi e, se anche in misura ancora insufficiente, convinto una parte degli elettori di centrodestra (quelli che si erano "turati il naso") che Berlusconi, difendendo i propri interessi, si è dimenticato di quelli del paese intero.

(…) Adesso il conflitto da "nostrano" diventa europeo. Fra pochi giorni comincerà il semestre italiano alla presidenza della Comunità Europea ed il segnale che dobbiamo dare è chiaro. Non convincono le motivazioni del Presidente Ciampi (appena reduce dalla "firma più veloce del west" sul Lodo Berlusconi) sulla necessità di un appoggio istituzionale ampio a questo importante impegno. Anzi. Io credo, e con me tantissime componenti della cittadinanza attiva, che l’anomalia italiana, allargandosi al continente, sia ancora più preoccupante.

lunedì, giugno 23, 2003

STAMPA 22-6

Il trionfo del cattivismo

di Barbara Spinelli

MOLTI ricorderanno il momento in cui un gran numero di valori, fino a ieri dominanti, divennero d’un tratto sospetti. Negli Stati Uniti apparvero perfino dizionari, che avevano come scopo quello di elencare questi valori e di smantellarli: si chiamavano dizionari del «politicamente corretto», e l’anticonformismo era la principale virtù della minoranza intellettuale che ispirava questa diffusa contestazione delle mentalità, dei comportamenti, delle parole benpensanti di sinistra. Finalmente, gli adepti del Politicamente Scorretto avevano messo in questione certezze che avevano perso il rapporto con la realtà ed erano degenerate in dogmi. Finalmente ne avevano rivelate le ipocrisie, le prigionie, la vocazione a castigare i cervelli con arroganti polizie del pensiero.

Infatti fu un momento emancipatore per il pensiero e anche l’azione politica: liberò non poche parole e concetti sequestrati, fu un’operazione di igiene mentale e filologica. L’uguaglianza, la fratellanza, la pietà, la bontà, l’altruismo: questi e altri vocaboli furono trascinati davanti al tribunale della critica e non poterono più essere impiegati senza un qualche malessere, come accade a chi si dichiara innocente e pacifico pur rubando e usando violenza. Molti fecero carriera grazie a questa capacità di denunciare quel che per decenni era vincolante: siamo eguali di fronte alla legge, siamo divisi e però fratelli, siamo obbligati verso l’altro da antichi imperativi come bontà, compassione, pace. Molti fecero carriera incriminando quello che essi stessi avevano smodatamente incensato.

Ma adesso non è più una minoranza ad auspicare il Politicamente Scorretto. E’ una maggioranza solida, e tra le più conformiste, che esibisce speciale sicurezza ed esercita un potere quasi assoluto sui vocaboli, sulle menti. Caduto il muro di Berlino, dietro il quale si nascondevano le schiere del Politicamente Corretto, ne ha eretto un altro, non meno ingabbiante, che fa addirittura dei vizi una virtù. Gli uomini sono cattivi tra loro, ed è bene che sia così. Sono diseguali, impietosi verso chi soffre, e questa mancanza di pietà e di uguaglianza è giudicata edificante, oltreché lecita. Il pensiero di guerra subisce lo stesso destino: ieri ignominiosamente strumentalizzato dal pacifismo, oggi non solo rivalutato ma magnificato come unica cifra emancipatrice, naturale, dell’esistere collettivo. Vocaboli nobili come bontà, pietà, seguono le peripezie della pace: subito sono bollate come buonismo, o pietismo papalino.

L’Italia è all’avanguardia di questo ritorno militante alla naturalezza della disuguaglianza di fronte alla legge, del disprezzo dell’altro, della cattiveria anti-buonista, della militarizzazione linguistica. Il nostro lessico politico sembra essersi completamente liberato da inibizioni, da convenzioni ritenute ormai artificiali, e da quel freno civilizzatore chiamato pudore. Lo si vede in questi giorni, nel linguaggio usato dalla Lega verso l’ennesima ondata d’emigrazione che si riversa sulle nostre coste. L’Italia è un Paese impreparato all’immigrazione, deve ancora predisporre e affinare le sue strutture d’accoglienza e i suoi divieti. E’ a questo punto che interviene il linguaggio politicamente scorretto, come vero e proprio surrogato della politica. Due ministri della Repubblica, Bossi e Castelli, giungono sino a impiegare vocaboli guerreschi per parlare dell’immigrato e ignorano volutamente leggi come la Convenzione di Ginevra. Bossi propone le cannonate contro le navi di fuggitivi. Castelli ci rammenta che quella contro l’immigrato è una guerra paragonabile al ’14-’18: solo che gli italiani seppero combattere la prima con ardimento, «affrontando la morte per garantire ai figli un futuro di libertà». Mentre gli italiani di oggi, «snervati dall’eccessivo benessere, dalla mancanza di ideali e dal pensiero unico del falso pietismo, non sono neanche in grado di fermare un esercito di inermi (emigrati), ma non per questo meno pericoloso».

La reazione delle élite a questa disinvoltura linguistica è singolare, e non ha eguali in Europa. Giscard d’Estaing fu coperto di improperi, quando parlò di «invasione» degli immigrati. Mentre da noi è naturale ed ha lo squisito sapore dell’autenticità, questo trionfo compiaciuto del Politicamente Scorretto. Il degrado delle parole lascia indifferenti i più, e viene anzi considerato originale. E poi la sinistra parlava magari in modo diverso ma agiva nella stessa maniera, si fa osservare: sicché nel conto tutto si pareggia, e tutto si giustifica. Siamo tutti peccatori, tutti schiavi di un’intollerabile morale schiava, tutti abilitati a trasvalutare nichilisticamente i vecchi valori.

Il ministro Roberto Castelli non ha torto a evocare la guerra del ’14-’18. Anche a quell’epoca in effetti si combattè questa strana battaglia contro i tabù del secolo precedente, con l’assurda pretesa di conferire un valore speciale, pregiato, al Politicamente Scorretto. Un’intera generazione di intellettuali si abbassò fino a glorificare la guerra tra nazionalismi, la sana disuguaglianza tra le genti. Anche allora divenne usuale parlare non di persone ma di carne da cannone o di materiale umano. Anche allora si cercò nella cattiveria politicamente scorretta e bellicista la risposta allo «spirito snervato del benessere», alla banalità della pace, e soprattutto alla grande noia del presente: «Noia pigra, untuosa, sordida», scriveva nel 1909 George Heym, poeta espressionista e bellicista. Lo scrittore Karl Kraus, uno dei rari spiriti liberi, vide in tutto questo innervosito cattivismo «Gli Ultimi Giorni dell’Umanità».

Far finta di niente è il precetto base nell’era del Politicamente Scorretto. Si fa finta che l’irregolarità sia nulla, e si finisce per esaltare il Nulla in sé. E c’è una formula assolutoria, che ogni volta ricorre: «Avrà avuto le sue buone ragioni». Il presidente del Consiglio «deve avere le sue buone ragioni», quando nelle aule di giustizia ricorda che lui «non è un cittadino come gli altri, perché è stato eletto da più della metà dell’elettorato». Il ministro dell’Istruzione «deve avere le sue buone ragioni», quando nel tema storico per la maturità omette di parlare di Auschwitz come di un genocidio e lo definisce un evento bellico, o quando scrive che il fascismo «fece centinaia di prigionieri politici e confinati» (e non migliaia).

Ma quel che stupisce non è solo il degrado del vocabolario, il suo ridursi a newspeak, Nuovo Linguaggio deliberatamente immiserito e conformista, dotato di appena due-trecento parole come in Orwell. Quel che stupisce è l’ipocrisia che accomuna il cattivismo odierno e il Politicamente Corretto di ieri: sono proprio i più scorretti, proprio coloro che denunciano con più foga il buonismo o il «pietismo papalino» (Nietzsche parlava di morale schiava) a ergersi oggi in difesa delle radici cristiane d’Europa. A indignarsi che il cristianesimo non figuri nella Costituzione europea. Proprio chi esalta l’individualismo senza freni e il mercato senza regole auspica il ritorno ai basic values, ai valori della famiglia, della patria. Forse è ancora una volta la noia, che li spinge a contraddirsi così grottescamente. Forse «avranno le loro buone ragioni», ignote al cittadino comune. Facciamo finta di nulla: il nervosissimo Novecento iniziato nel ’14-’18 può ricominciare.

L’UNITA’ on-line 22-6

La non notizia del giorno

Chi ha deciso che Berlusconi ce lo dobbiamo tenere?


di Antonio Padellaro

Può una notizia diventare, improvvisamente, una non notizia? Ecco un interessante quesito da proporre al prossimo esame per l’accesso alla professione giornalistica.

Vediamo la notizia. Da giorni e giorni, da intere settimane, tutta la stampa italiana - quella di destra, quella di sinistra, quella che si considera “al di sopra delle parti” - ha dedicato pagine e pagine al presidente della Repubblica e al Lodo Berlusconi (l’immunità - impunità del presidente del Consiglio e delle altre quattro più alte cariche dello Stato).

Le penne più affilate, i commentatori più autorevoli, i giuristi più dotti hanno dato fondo alle più brillanti argomentazioni, alle interpretazioni più sapienti.

La domanda era: firmerà il capo dello Stato una legge gravata da un pesantissimo sospetto di incostituzionalità? E quando firmerà? E a quali condizioni?

Il pronostico era che, sì, Ciampi avrebbe firmato come del resto facevano sapere le fonti bene informate del Quirinale. Non per questo, tuttavia, l’attesa era meno febbrile. Le stesse fonti, infatti, parlavano di un presidente impegnato in una decisione grave e difficile. Pienamente consapevole della responsabilità di convalidare con la sua firma una norma che ha spaccato il Parlamento e il Paese. Il processo sospeso a Berlusconi per non turbare il semestre europeo, faceva sì che sulla vicenda si accendessero anche i riflettori della grande stampa internazionale.

C’erano, insomma, tutti gli ingredienti che fanno notizia: le polemiche, il patos, l’attesa, e un possibile colpo di teatro finale. Esisteva infatti la possibilità di un imprevisto. Improbabile, ma non assurdo: il rinvio alle Camere del lodo Berlusconi. Metà del Paese si ostinava a sperarlo.

Vediamo, adesso, la non notizia.

L’autorevole firma viene annunciata ai corrispondenti del Quirinale, venerdì, nel primo pomeriggio. C’è tutto il tempo, dunque, per mobilitare le affilate penne, gli autorevoli commentatori, i dotti giuristi. L’evento avrà senza dubbio lo spazio che merita sulle prime pagine di tutti i quotidiani. Soprattutto su quelli che si considerano al di sopra delle parti e dicono di avere come unica bussola le regole del buon giornalismo.

]Ebbene, ieri mattina sulle prime pagine di quei quotidiani la notizia della firma di Ciampi semplicemente non c’era. O se c’era era ridotta a un francobollo, a una breve, a un modesto trafiletto. Equiparata, nel migliore dei casi, alle sensazionali confessioni di Marilyn Manson, la star simbolo del male che però «sogna una famiglia» (la Repubblica).

Altrove, la non notizia della firma era variamente nascosta o mimetizzata nelle pagine più interne. Dopo le previsioni del tempo e la situazione della viabilità.

Sul Corriere della Sera, da pochi giorni diretto da uno dei più accreditati e informati giornalisti politici italiani, la non notizia della firma di Ciampi si può trovare a pagina tredici. Ineccepibile il resoconto del quirinalista Marzio Breda, che riferisce della «solitudine» del presidente «impegnato a ricomporre i conflitti per pacificare una nazione ancora lacerata». Un Ciampi descritto «solo e a disagio su una scelta che spacca in due il Paese». Domanda: per il più importante giornale italiano un ritratto così drammatico e preciso vale soltanto la pagina tredici?

In conclusione si possono fare tre ipotesi.

1) La firma di Ciampi rappresenta effettivamente una non notizia da confinare nelle pagine interne. Aprirci, come ha fatto ieri l’Unità è stato perciò un errore giornalistico. Noi pensiamo che non sia così. Ma se qualcuno ci dimostrerà il contrario, siamo pronti a fare pubblica ammenda.

2) C’è un complotto della grande stampa per isolare Ciampi, per ridimensionarlo, per ridurlo a figura meramente cerimoniale, politicamente ininfluente. Ma è un’ipotesi inverosimile.

3) Intorno alle Istituzioni si sta creando una sorta di cordone bipartisan, motivato dalle migliori intenzioni (archiviare la stagione dei veleni, creare un clima di collaborazione tra le forze politiche di maggioranza e opposizione, eccetera eccetera). Ispirate a questo nobile scopo sono partite venerdì pomeriggio da qualche autorevole ufficio, delle opportune telefonate ai giornali (non a tutti). Si tratta, tuttavia, di un’ipotesi assurda da cui prendiamo immediatamente le distanze. Si faccia conto noi di non averla mai scritta. Voi di non averla mai letta.

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CENTOMOVIMENTI-NEWS 22-6

Il silenzio degli europei

Il 1° luglio Silvio Berlusconi diventa Presidente dell’Unione europea -- Diviene perciò il nostro Presidente - solo per un semestre e tuttavia . .

di Ulrich Ladurner, pubblicato dal "Die Zeit"

E’ noto a tutti chi sia Berlusconi: un magnate dell’economia e dei media, sul cui capo pendono numerose accuse. Da quando è diventato capo del governo, esattamente due anni fa, ha messo a soqquadro l’apparato legislativo italiano solo per proteggere se stesso dai procedimenti penali in corso, utilizzando vergognosamente il suo potere in nome dei suoi interessi personali. Con ciò, ha persistentemente danneggiato lo stato di diritto.

Non è esagerato affermare che in Italia si sta costituendo un nuovo regime. Come definire altrimenti uno stato nel quale un uomo politico detiene il potere illimitato nel parlamento, quando la medesima persona controlla direttamente o indirettamente il 70 per cento di tutti i media e tra questi l’85 per cento delle reti televisive, quando lo stesso uomo possiede inoltre una banca, una compagnia assicurativa, una squadra di calcio e chissà quant’altro? Come si dovrebbe chiamare tutto ciò se non con la parola "regime", allorquando questo uomo politico impiega tutto il suo potere solo per accrescerlo ulteriormente?

Certo, si potrebbe dire che si tratta della situazione italiana, ma questo è sbagliato: l’Italia è membro dell’Unione europea e Berlusconi sta per diventare presidente della UE. Quello che accade in Italia è politica interna europea e riguarda tutti noi. Il silenzio della totalità dei governi europei riguardo al caso Berlusconi non è solo scandaloso, è miope e pericoloso.

In che modo gli europei vogliono impartire in futuro agli altri paesi lezioni sulla democrazia, la libertà e lo stato di diritto, se nella propria casa tollerano in silenzio Berlusconi? In che modo i politici europei intendono preservare la propria credibilità nel momento in cui permettono a Berlusconi assolutamente tutto, senza alzare la voce? Come pretendono ancora parlare dei valori fondamentali dell’Unione europea senza rendersi ridicoli?

La tolleranza che viene mostrata nei confronti di Berlusconi mina le fondamenta stesse della UE. Questo è il pericolo, al quale occorre dare un nome.

(Traduzione di Mauro Vespa)
L’UNITA’ on-line 21-6

Caro presidente provo vergogna

Vergogne nazionali – meglio confessarle che esportarle


di Alberto Asor Rosa

(…) impossibile alla nostra magistratura perseguire il medesimo presidente del Consiglio e alcuni dei suoi presunti complici per reati comuni (alcuni dei quali gravissimi, come la corruzione dei giudici), commessi nella fase precedente l’assunzione, in seguito al voto degli italiani, di tale prestigiosa carica.

Per ottenere tale effetto non solo, come ho già detto, il Parlamento repubblicano è stato continuamente piegato a esercitare una funzione di omertosa salvaguardia nei confronti delle azioni giudiziarie intraprese, ma è stato necessario scatenare contro la magistratura una violenta azione di demolizione e di scardinamento, opponendo al tempo stesso una strenua resistenza allo svolgimento regolare dei processi.

Affinché le iniziative intraprese potessero avere miglior successo, il collegio di difesa del premier è stato trasferito di peso sugli scanni parlamentari, ed è così potuto accadere che il capo di tale collegio difensivo, trasferendosi da Milano a Roma e dalle aule del tribunale a quelle della Camera dei deputati, potesse, qui da presidente della Commissione Giustizia, continuare a ordire il medesimo disegno impostato dall’avvocato difensore, al fine di tenere il premier al riparo dalle maglie di una giustizia, di cui vanamente si continua a leggere, come un ritornello sempre più vuoto e sempre più stanco, che essa sarebbe «uguale per tutti».

Taccio del contesto di estrema anomalia, - ormai al di là dei confini della rottura delle regole stesse che presiedono al buon funzionamento di un sistema democratico, - dentro cui questa forsennata e inedita vicenda si è svolta: il perdurante conflitto d’interessi, infatti, mette nelle mani del premier un potere immenso, rischioso e di assoluta perversione istituzionale, sull’intero sistema dell’informazione, consentendogli di fronte all’opinione pubblica una libertà di movimento che altrimenti non avrebbe.

L’approvazione da parte del Parlamento del Lodo, che ormai solo impropriamente si potrebbe definire dal nome del suo primo presentatore, l’on. Maccanico, rappresenta il culmine di tale ostinata ricerca dell’immunità e al tempo stesso il prevedibile punto di partenza per altre iniziative volte a scardinare l’ordinamento giudiziario italiano. Cinque cittadini, infatti, - cinque comuni cittadini, mi permetta questa sottolineatura, da ogni altro punto di vista, - per il fatto che occupano le più alte cariche dello Stato (motivo che, a pensarci bene, dovrebbe indurre a pensarle e sperarle più impeccabili e trasparenti di qualsiasi altra), vengono in questo modo sottratte alla giurisdizione del Codice Penale per qualsiasi reato questo contempli, sia, cosa ancor più straordinaria, per quanto eventualmente avessero a commettere in futuro.

La cosa è tanto più scandalosa in quanto, come anche un bambino non stenterebbe a capire, quattro di quelle persone si offrono in ostaggio unicamente perché alla quinta sia consentito di uscire indenne dalla moltitudine delle inchieste e dei processi che le piovono addosso.

Lei, Signor Presidente, non potrà consentire, ovviamente, con l’idea, che il premier tenta di accreditare, secondo cui egli sarebbe oggetto di una «persecuzione giudiziaria». Se questa tesi fosse minimamente fondata, infatti, l’ordine giudiziario avrebbe dovuto da Lei medesimo, che ne ha facoltà, esser chiamato a risponderne attraverso l’inchiesta più severa. Siccome sappiamo, anzi, tutti sanno che non è così, non resta che concludere che il Lodo ex Maccanico non serve che a sottrarre il premier allo svolgimento dei processi, ai quali, come qualsiasi altro cittadino, in quanto accusato di reati comuni, dovrebbe sottostare. È precisamente ciò che io trovo vergognoso, e per cui provo vergogna come italiano di fronte ai miei amici europei e di tutti i paesi del mondo. Che se poi, come si sente dire, si trattasse di garantire mediante tali procedure il normale e dignitoso svolgimento del semestre di presidenza italiana in Europa, io penso che, per il buon nome della nostra Italia, così frequentemente, e spesso anche così ingiustamente mal giudicata fuori dei nostri confini nazionali, converrebbe coraggiosamente ammettere che l’Italia non è in grado in questo momento di assolvere in maniera dignitosa a compiti di rappresentanza internazionale. Se ci sono vergogne nazionali, - e in questo momento non v’è dubbio che ve ne siano, - meglio sarebbe confessarle che sforzarsi ad ogni costo di esportarle.

L’espressione dei sentimenti, che Le trasmetto, Signor Presidente, è sincera quanto il rispetto e l’affetto, che, come Lei sa, le porto. Spero sinceramente di essere il solo in Italia a nutrire questo senso di frustrazione e di dolore, ma, se così non fosse, - e temo purtroppo che non lo sia, - la prego di leggere con animo aperto queste righe.

Suo affezionatissimo e devotissimo Alberto Asor Rosa

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CENTOMOVIMENTI-NEWS 21-6

EDITORIALE

Tema di maturità.

Traccia di ambito tecnico-scientifico


di Massimo Del Papa

Argomento: L’acqua, risorsa e fonte di vita. Il candidato sviluppi e commenti il seguente passo: "Affinché vi sia cibo occorre che vi sia acqua. E' quindi fondamentale investire per garantire la disponibilità e l'uso efficiente delle risorse idriche, in un indispensabile contesto di salvaguardia ambientale. Acqua e cibo rappresentano il motore di quello sviluppo autosostenibile cui tutti dobbiamo dare priorità assoluta". Introduzione a "Celebrazioni Ufficiali Italiane per la Giornata Mondiale dell'Alimentazione 2002" da parte del presidente del Consiglio dei Ministri.

Svolgimento: L’acqua è l’elemento basilare per la vita, ma una gran parte del pianeta ne soffre la carenza. Come giustamente dice il nostro Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, senz’acqua non vi è cibo. Infatti, allo scorso vertice Fao sulla fame del mondo dell’11 giugno 2002, il nostro Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, ha dapprima spiegato come si fa a uscire dalla fame: "Si fa così: si lavora", ha detto il nostro Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi. Poi mentre tutti parlavano della povertà, si è messo a sbuffare e alla fine ha tagliato corto: "Bisogna accorciare gli interventi perché la nostra non sarà una tragedia ma anche noi abbiamo fame". Quindi, il nostro Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, ha concluso con squisita ospitalità: "Grazie di essere stati con noi, il pranzo è pronto, spero che il menu sia totalmente italiano, in questo caso sarete soddisfatti", insomma per quel giorno tutti anche i pezzenti avrebbero mangiato (e bevuto) di gusto. Due giorni dopo, in chiusura del vertice, il nostro Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, ha scherzato amabilmente con il direttore della Fao, il senegalese Jacques Diouf: "Dovreste dimagrire un po’"; quindi, nella sua infinita magnanimità, il nostro Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, ha svelato ai rappresentati dei Paesi straccioni il segreto per diventare ricchi: "Ogni 10 anni si diminuscono del 30% gli organici delle aziende e così si aumentano del 10% i profitti. E questo vale anche per gli organismi internazionali".

In Burkina Faso, dove un litro d’acqua costa l’equivalente nominale di tremila lire al litro, reale di trecentomila lire, hanno fatto come dice il nostro Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi: si sono aperti al Mercato, che non sbaglia mai. La multinazionale francese Vivendi è entrata per privatizzare l’acqua, che così costerà almeno il quintuplo; si è anche offerta di installare nuove condutture e rubinetti, però avvertendo che solo pochi, meno ancora di quelli di adesso, avrebbero potuto pagarseli, perché "così va il Mercato".

In Sicilia, terra dove il nostro Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, alle ultime elezioni politiche ha ottenuto il 100% dei voti e 61 collegi su 61, l’acqua non c’è, viene razionata dalla mafia che poi la spaccia come la droga, la metà dell’acqua disponibile viene sprecata apposta, così alimenta il mercato nero e tutti vivono assetati e contenti.

Di acqua si vive e si muore in Sicilia, come quei clandestini affogati e poi recuperati coi pedalò, cosa che ha suscitato assurde polemiche comuniste che il nostro Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, ha subito brillantemente troncato: "Che c’è? Non vanno bene i pedalò? Vanno benissimo, non credo che nessuno si sia lamentato…".

Chi di acqua non ce n’ha chi invece ne ha troppa, come a Venezia dove il nostro Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, con l’elmetto in testa e la cazzuola in mano ha posato la prima pietra del faraonico sistema "Mose" di dighe mobili, prima pietra e anche l’ultima perché si sa che non ci sono i soldi per farla quell’opera faraonica, ma l’importante è esagerare, promettere e poi l’acqua passa sotto i ponti, tutto scorre, si trovano altre promesse, come il ponte sull’acqua dello stretto di Messina, che anche quello non si farà mai, lo sanno tutti ma acqua in bocca.

È proprio vero, l’acqua è una cosa meravigliosa, fondamentale, è la vita e la morte: l’acqua del dio Po, il fiume sacro dal quale discendono tutti i Padani, ma anche l’acqua del mare intorno all’Italia, nella quale discendono molti negri extracomunitari che vengono qui a invadere il nostro suolo; se proprio si salvano, li si può prendere a cannonate o infilzare sulle baionette, come suggeriscono due ministri del nostro Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi.

L’acqua è bella ma 800 milioni di persone al mondo non ce l’hanno, servirebbero politiche ambientali adeguate ma l’uomo più potente del mondo, il presidente americano George W. Bush, ha: rifiutato di ratificare l’accordo di Kyoto per limitare le emissioni di anidride carbonica, rifiutato di ratificare il trattato Abm per il bando dei test nucleari, proposto lo sfruttamento energetico del parco dell’Alaska, proposto di togliere i vincoli ambientali alle montagne rocciose per sfruttarle, fatto aumentare il tetto di inquinamento atmosferico prodotto dagli Usa, rifiutato di firmare il trattato contro le armi batteriologiche, proposto di disboscare le foreste dell’America sudoccidentale, esortato all’incremento irresponsabile dei consumi energetici. Ha detto George W: "Il tenore di vita degli americani non è negoziabile", cioè debbono continuare a consumare e sprecare come e più di prima e siccome si usa (e getta) più energia elettrica, dunque acqua, nella sola California che in tutta l’Africa, è facile concludere che i morti di sete o oppure per aver bevuto acqua infetta, invece di calare aumenteranno.

Il migliore amico di George W. è il nostro Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, che si vanta di averlo aiutato in due guerre, Afghanistan e Iraq, dove di acqua non ce n’è più.
L’UNITA’ on-line 21-6

E adesso?

di Furio Colombo

Il presidente ha firmato. A noi tutto ciò sembra tragico. Il grande rispetto che portiamo alla sua persona e al suo ufficio ci impedisce di fare finta di niente.

Noi non abbiamo mai creduto all’idea di relegare un uomo con la vita, il passato e la reputazione di Ciampi, nel ruolo di un totem remoto ed estraneo al dramma di vivere in questi giorni, in questo Paese, una figura cerimoniale isolata dallo sventolio delle bandierine, dalle bande che suonano gli inni e da impenetrabili mura di frasi fatte. Noi insistiamo nel considerarlo simbolo dell’unità del Paese, della Costituzione e di tutti i cittadini. Dunque anche di coloro che in questo momento sostano senza fiato e senza parola accanto allo spettacolo della Costituzione mutilata. È stato amputato il principio «La legge è uguale per tutti». Resta una grande amarezza e molte domande. La prima. Secondo voi il popolo dell’Ulivo, impegnato e mobilitato su una questione drammatica e senza ritorno come la immunità permanente garantita per legge a Silvio Berlusconi, può sciogliersi e andare a casa, come dopo una partita perduta dalla squadra del cuore? Secondo voi domani, lunedì, ricomincia la vita, e ricomincia il tran tran quotidiano e la democrazia come sempre? Che io ricordi, solo da bambini si dice, nel gioco, «ero morto» e poi ci si rialza e si ricomincia nello stesso ruolo, passando sopra al dettaglio di essere stato colpito.

L’imbarazzo certo è grande, e tanto vale affrontarlo apertamente. Ricorda la terribile barzelletta del passante indignato che vedendo un adulto picchiare un bambino, prende la responsabilità di ammonirlo: «Non ci provi un’altra volta. Il suo è un gesto ignobile!» Ma poi deve constatare che l’adulto continua a picchiare e allora si rivolge al bambino: «Senti piccolo, è meglio che te ne vai se no questo signore ti gonfia la faccia». Più o meno è ciò che ci consiglia Giuliano Ferrara in un esuberante articolo impaginato - per solennità - a colonne grandi a pag. 2 de La Stampa (19 giugno). È un «elogio di Berlusconi» nel quale in sostanza si dice: ce l’ha fatta, dunque è grande. È grande perché ce l’ha fatta. Glielo avete impedito? No? E allora rendetevi conto che (qui cito letteralmente): «Ci vuole ben altro che un girotondo o una lezione di liberalismo o di bilanciamento dei poteri per fermare questa forza della natura».

A giudicare dai fatti dovremo dire che è vero. Ma si può fondare una politica di opposizione su una simile constatazione? E soprattutto si può fondare una politica sul suggerimento non proprio disinteressato di Giuliano Ferrara? Chiede un intervistatore a Nanni Moretti, la sera in cui è stato approvato il «Lodo Berlusconi»: «Ma voi non siete un po’ ossessionati dalla denuncia di tutto quello che fa il presidente del Consiglio?». Giustamente Moretti risponde: «Veramente, ossessivo è lui».

Aggiunge Moretti: «Si sta creando un clima spiacevole e chi lo crea non è un semplice cittadino. È il presidente del Consiglio. Abbiamo toccato il fondo o dobbiamo ancora raschiare?». Come sanno tutti coloro che hanno visto eventi diversi della vita, il fondo dei momenti spiacevoli non c’è mai. Ma qui, adesso, il problema non è che fare se si tocca il fondo. Il problema è: che fare adesso.

Infatti il momento in cui viviamo può essere riassunto così. Primo, è stata violata la Costituzione. Come dicono tutti i giuristi italiani (si conosce soltanto il nome di un giurista che dissente) è stata violata in modo indiscutibile e in modo grave. Non è una accusa, è una constatazione. Secondo, la maggioranza alla Camera e al Senato viene usata come una sorta di protesi personale del primo ministro. Non parla, non ascolta, esegue in qualunque caso e a qualunque prezzo di immagine e di decenza. E questo purtroppo vale per tutti, anche per coloro che, personalmente, meritano rispetto e stima. Quando si tratta di ubbidire, ubbidiscono. E se violano la Costituzione pazienza, benché per alcuni (i ministri) si tratti della violazione di un giuramento.

Terzo, il nero profondo del provvedimento è nel fatto che esenta per sempre qualcuno dal rispondere dei propri reati. È bene porre l’accento su quel «per sempre». È chiaro che intorno a Berlusconi non sapremo mai che cosa aveva da dire e da dimostrare la pm Boccassini. Se fossero state storie facilmente smontabili, accuse «manifestamente infondate» come dice il premier, gli accusati non avrebbero mobilitato e manomesso tutte le istituzioni di un Paese teoricamente definito «democrazia», per impedirlo. Solo alcuni leader africani, in paesi tormentati dalla violenza e dal disordine, riescono a tanto, e non sempre. Non con una garanzia di esenzione perenne valida per ogni reato e di fronte ad ogni tribunale. È bene fare attenzione alla immunità perenne. Non è soltanto il punto più grave della incostituzionalità di questa legge, è anche una violazione di qualunque principio, a partire dal diritto romano. Non esiste nei codici la «prestazione dovuta per sempre».

Quarto, lo scandalo nazionale giustificato con l’impellente necessità di impedire uno scandalo europeo (il presidente del Consiglio d’Europa implicato in un processo) diventa fatalmente e irrevocabilmente uno scandalo internazionale. Ciò che avrebbe occupato lo spazio dei giorni di udienza, occuperà ogni giorno del semestre europeo, per buone e per cattive ragioni. Infatti ciò che è accaduto a favore di Berlusconi è estraneo alla democrazia e le altre democrazie non lo dimenticheranno neppure per un giorno. Ma chi vorrà avvelenare i rapporti con l’Italia e denigrarne l’immagine per qualsiasi ragione avrà una clamorosa ragione per farlo.

Un oggetto infetto - l’immunità senza scadenza - di un imputato di reati gravi, comuni, non politici, precedenti alla sua attività politica - circola in Europa con una visibilità e una continuità che è stato strano non prevedere. E non smetterà di infettare i rapporti tra i governi europei. Berlusconi è stato liberato dal processo italiano e condannato ad essere segnato a dito nel mondo. Lui e noi.

LIBERAZIONE 20-6

Stato di diritto (del più forte)

Sottovalutare Berlusconi è sbagliato: rozzezza, ignoranza, volgarità, involontaria comicità sono sue formidabili alleate


Alberto Burgio

Come un sol uomo sono scattati sull'attenti e hanno detto di sì. Dopo il Senato, anche la Camera ha approvato la norma che impedisce di processare Berlusconi (il riferimento alla carica e ad altre figure istituzionali è un banale pretesto), legalizza l'illegalità, straccia la Costituzione. Anzi, la abroga formalmente, poiché sancisce - sino a prova contraria: o perché Ciampi non firma o perché la Consulta la dichiara illegittima - che la maggioranza al servizio del capo del governo può legiferare per via ordinaria senza limiti di materia e di principio. Lo Stato costituzionale di diritto muore e rinasce sotto forma di Stato del diritto del più forte (che è anche, non per caso, il più ricco degli imprenditori e il più discusso dei politici) di fare e disfare a proprio piacimento. Tutti uguali meno uno, che è più uguale degli altri perché tutto sembra riuscirgli per grazia superiore: far quattrini con la politica, far politica grazie ai quattrini, far uso dei quattrini e della politica per fare quel che gli pare, inquinando quanto ancora resta dell'ordinamento democratico di questo paese.

Sentiamo già l'obiezione, oggi in voga a sinistra: «sbagliato demonizzare Berlusconi, fare della sua persona un problema politico». E conosciamo l'accusa: «antiberlusconiano!». Accusa e obiezione non ci impensieriscono, crediamo dovrebbero turbare piuttosto chi le formula. Regna in tutto questo discorso una confusione che è tempo ormai di diradare.

Si argomenta: c'è qualcosa di ben più grave delle ignobili vicende giudiziarie del presidente del Consiglio. Pesano sul paese soprattutto le conseguenze disastrose delle scelte di questo governo: la distruzione di diritti e tutele del lavoro, il disastro dell'economia, il saccheggio delle risorse pubbliche, le regalìe a imprese e patrimoni, i continui tagli a sanità, previdenza, scuola pubblica, università, ricerca. E pesa altresì una politica estera dettata dal servilismo filo-americano: l'opzione per la guerra, la collisione con l'Unione Europea, la porta sbattuta in faccia ad Arafat… Giusto, guai a dimenticarlo, guai anche a illudersi che, tolto di mezzo Berlusconi, ogni problema si risolverebbe come d'incanto. Ma - a parte l'ovvia considerazione che Berlusconi svolge un ruolo determinante nelle scelte del suo governo, delle quali reca una precisa responsabilità - tutto ciò dimostra forse l'irrilevanza delle ripetute violazioni della Costituzione, dell'uso privatistico delle istituzioni, del blocco del Parlamento costretto a fare leggi su misura per sottrarre il premier ai suoi giudici? Dimostra l'innocuità del conflitto d'interessi, per legiferare sul quale non sono bastati al centrosinistra cinque anni di governo? Dimostra la marginalità dell'offensiva contro la libertà di stampa e di opinione e la scarsa pericolosità del monopolio sulle televisioni e la pubblicità, in un paese in cui la lettura dei giornali resta appannaggio di una minoranza? In una parola: tutto ciò dimostra forse che la P2 è acqua passata?

Si sostiene (a insistere sul tema con particolare impegno è il presidente dei Ds) che anche sui problemi della giustizia bisognerebbe intervenire prescindendo da quanto avviene nelle aule del Tribunale milanese. Comprendiamo il discorso e gli riconosciamo anche un senso politico (benché riteniamo che l'on. D'Alema dovrebbe recitare forte e chiaro il mea culpa per avere resuscitato l'attuale premier ai tempi della Bicamerale): non si vuole dare l'impressione che l'opposizione speculi sulle vergogne giudiziarie di Berlusconi perché non è in grado di competere sul terreno politico e del buon governo del paese. Ottimo. Purché non ci si esponga al rischio opposto: di apparire indifferenti - o complici - verso l'illegalità, l'impunità dei potenti, lo stravolgimento della Costituzione. E purché non si arrivi, per troppa astuzia politica, a ignorare il vero pericolo che incombe sul paese: che gli italiani finiscano con l'assuefarsi all'esistenza di una corte di politici affaristi cui tutto è concesso.

Lo ripetiamo: sottovalutare Berlusconi è sbagliato. La rozzezza, l'ignoranza, la volgarità, l'involontaria comicità sono sue formidabili alleate, perché alimentano l'illusione che egli non sia capace di passare il segno. Da dieci anni sentiamo le battute sul cabarettista prestato alla politica: sarebbe ora di smetterla con questo stupido snobismo. O c'è chi pensa che anche questa inaudita vicenda dei temi della maturità debba essere archiviata come una semplice caduta di stile?

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CENTOMOVIMENTI-NEWS 20-6

EDITORIALE

Nessuno, ti giuro nessuno!

di Rita Guma - Presidente dell'Osservatorio sulla Legalità onlus

Nessuno, ti giuro, nessuno! Così cantava una canzone di tanti anni fa, e così canta oggi Berlusconi per farci credere di non essere un privilegiato dell'immunità, oggi che è stata approvata.

Lasciando il vertice del Ppe, dice l'ANSA del 19 giugno, il premier ha confermato che fra le priorità da discutere nella verifica c'è la riforma della Giustizia, e ciò, ha detto, "per dare agli italiani la certezza di non subire quei calvari che io ho provato in prima persona, e che nessuno, nessuno, nessuno, dovrà più poter essere chiamato ad affrontare"·

Glielo avranno suggerito i suoi esperti di marketing e sondaggi, consapevoli della stangata data dall'approvazione del lodo alla fiducia di parte degli Italiani che ancora credevano ai miracoli politici. Glielo avranno suggerito anche come strategia per cominciare a far filtrare l'idea che gli interventi sul sistema giudiziario siano a favore di tutti, come l'allargamento del patteggiamento, che favorisce solamente gli usurai, i truffatori e coloro cui non interessa niente della salute e dell'interesse pubblici. E probabilmente gli stessi gli avranno suggerito la mossa del decreto sulle discoteche: limiti di orari e di drink che faranno parlare e riempiranno i pensieri di molte fasce della popolazione ed i cuori di molte mamme di adolescenti, grate a San Silvio.

Ma Berlusconi, a ben vedere, poteva fin da subito evitare che a nessuno capitasse quello che ha passato lui a livello giudiziario: bastava estendere l'immunità per i reati penali a tutta la popolazione, realizzando così nel contempo una giustizia uguale per tutti. Una giustizia giusta per i giornalisti che pubblicano articoli passibili di querela, e che oggi vengono (a buon diritto) trascinati in tribunale, mentre i parlamentari (lo ha stabilito una commissione del senato) possono dire le stesse cose in qualunque contesto cavandosela senza problemi. Una giustizia giusta per quei giornalisti che invece si sono limitati a riportare la verità, e che, per il solo fatto di averla pubblicata, si vedono chiedere in sede civile risarcimenti miliardari, magari da criminali.

Una giustizia giusta per chi, non avendo lo stomaco di ammazzare il testimone, non può fruire dei vantaggi del giusto processo, che vanifica una testimonianza verbalizzata se non ripetuta in tribunale. Una giustizia giusta per chi confessa al telefono un reato senza scegliere un interlocutore parlamentare e non può fruire così della conseguente distruzione della registrazione. Una giustizia giusta per quelli che hanno commesso reati penali senza aver avuto la brillante idea di operare in grande e candidarsi ad una delle alte cariche.

Anche così non sarebbe però riuscito a realizzare una giustizia giusta per i magistrati, su cui, essendo impossibile proseguire il processo SME e verificare le responsabilità, penderanno per sempre i sospetti di faziosità.

Nessuno dovrà più subire, dice Berlusconi tre volte -- tanto da oggi potrà mentire impunemente, protetto dall'immunità!
L’UNITA’ on-line 20-6

Se questo è regime

di Gianni Vattimo

Siate realisti, non chiedete l’impossibile! Finora il nostro realismo era fondato sulla convinzione che ci fosse un giudice a Berlino, capace di garantire il rispetto della Costituzione anche nel famigerato semestre europeo. Oggi questa convinzione vacilla, il realismo deve prender atto che la realtà supera la fantasia, che ciò che non avremmo mai creduto possibile sta accadendo. Sarebbe di nuovo irrealistico aspettarsi che sia l’ultima volta.

Non ci resta che discutere sulla seguente domanda: che cosa fa un’opposizione parlamentare in un paese dove la democrazia parlamentare esiste ancora formalmente ma sempre meno in concreto? Che cosa si fa, insomma, in una democrazia «protetta», limitata, così imperfetta da diventare una caricatura? I nostri compagni riformisti ci ammoniscono a tornare nei ranghi, a non contare più su girotondi e altre iniziative di piazza. Certo sarà difficile d’ora in poi appellarsi alla «società civile», visto il punto a cui è stata ridotta. Ma se non la mobilitazione dei cittadini, che cosa? Una dura e seria opposizione parlamentare? Certo, chi siede in parlamento nei banchi della minoranza non può che proporsi questo. Ma la sproporzione di voti è così alta che non ci si può assolutamente illudere. Se Berlusconi è riuscito a far approvare tutte le «sue» leggi, dalle rogatorie al falso in bilancio alla Cirami e ora al Lodo Schifani, potrà fare in Parlamento tutto ciò che vorrà. Intensificare l’attacco alla libertà di informazione, costringere i pochi giornali liberi a divenire voci di regime, imporre alle scuole di ogni ordine e grado il commento della sua opera omnia. Ma gli italiani si accorgeranno, prima o poi, del bluff delle sue finte riforme, del deterioramento dei servizi pubblici, dello smantellamento dello stato sociale, del rischio che comporta l’illegalità diffusa e promossa dal governo.

Se ne accorgeranno? Forse è vero che alla lunga questo non potrà non accadere, la forza «materialistica» dell’economia e delle condizioni di vita finisce per far aprire gli occhi a tutti. Ma la «sovrastruttura» mediatica ha giusto la funzione di ritardare questa presa di coscienza, come la vincita di una somma piccola o grande in un quiz televisivo serve a godere di un periodo di prosperità che distrae anche il più povero, gli assicura una domenica della vita che gli farà sopportare meglio la durezza della settimana successiva. Altro che «televisione ininfluente sul voto» - come ci dicono gli ottimisti riformisti citando il successo dell'opposizione nelle recenti elezioni. Se fosse cosi', perché il cavaliere si terrebbe cosi stretto questo suo patrimonio benignamente regalatogli da Craxi? Nel tempo del lavoro superflessibile, e cioè della precarietà che impedisce ogni ricerca di identità, e ogni stabilizzazione dell’esistenza, la sola cosa che unifica gli italiani è la speranza di andare una volta o l’altra al Grande Fratello e diventare una piccola star mediatica, consumando anche gli ultimi residui di legame con la materialità dell’esistenza quotidiana e divenendo a tutti gli effetti personaggi della grande recita diretta dal premier e dai suoi sceneggiatori.

Piuttosto tornare nei ranghi, impegnarci in un esclusivo lavoro istituzionale, ciò che dobbiamo fare in questo crepuscolo della democrazia è inventare modi di intervento che superino la condizione di minorità - non di minoranza costituzionalmente garantita, magari potessimo esserlo - in cui il dominio del populismo mediatico di Berlusconi sempre più ci riduce e ci ridurrà. Boicottare le loro finte trasmissioni di dibattito soprattutto il salotto di regime di Vespa. Smettere di credere che si possa collaborare con loro nelle commissioni e con qualche raro emendamento alle loro leggi. Se regime deve essere, che regime sia. Se ogni giorno passano sopra a principi costituzionali fondamentali per compiacere il padrone, che gli italiani lo sappiano. In questo stato d’assedio mediatico ci restano ancora la dignità e la voce.