martedì, agosto 31, 2004

MEDITAZIONE - 31/8/04

L’UNITA’ on-line 31-8

Marcello Pera dichiara guerra

L’Italia arruolata agli ordini di altri nella guerra santa nonostante i suoi cittadini e la sua Costituzione

 di Furio Colombo

 Improvvisamente compare il presidente del Senato, in una drammatica intervista a piena pagina sul quotidiano La Repubblica, si mette in posa accanto al cadavere di Enzo Baldoni, per il quale, da vivo, da ostaggio, da uomo in estremo pericolo, non ha detto una parola né fatto un gesto, e dice: «I terroristi, che non sono pochi gruppi fanatici ma un grandissimo fronte che attraversa il mondo, proclamano la sharia, dichiarano la jihad, vogliono colpire l'Occidente, sono determinati a distruggere la nostra civiltà. C’è una guerra dichiarata e noi dobbiamo decidere come atteggiarci. Possiamo combatterla questa guerra, oppure possiamo alzare le mani».

Lo stupore dei lettori è facilmente immaginabile. La uccisione barbara e misteriosa del pacifista Baldoni, ad opera di un gruppo barbaro e misterioso, serve al presidente del Senato italiano per dichiarare la guerra universale.

Un evento importante - oltre che tragico - se si pensa che Pera è la seconda carica dello Stato, e che in quella veste ha sempre espresso tutto il suo disprezzo per i pacifisti (da vivi) come Baldoni. Anche in questa intervista-proclama, il presidente del Senato non ha la mano leggera. Ascoltate: «Una grande parte del clero o tace o marcia per la pace, come se non fosse affar suo difendere la civiltà cristiana».

Qualcuno ricorderà che Marcello Pera incarna una alta funzione istituzionale, che, per definizione, è al di sopra delle parti.

Ecco come la vede lui, nella straordinaria intervista-proclama: «Se il problema è la tutela della nostra civiltà, la questione va ben oltre le divisioni interne. Va addirittura oltre quell’unità di fondo che dovrebbe esserci in politica estera. Destra e sinistra dovrebbero unirsi per fare sforzi comuni e trovare strategie contro il terrorismo. Truppe sì, truppe no, svolta sì, svolta no è una discussione tardiva».

Il modello Pera è semplice: 1- Come intendere il dialogo: noi parliamo e voi ascoltate. 2- Che cosa intendiamo per strategia comune: noi decidiamo la guerra e voi vi arruolate, e anzi manifesterete il dovuto entusiasmo. 3- Qualunque altro distinguo è da imbelli o da traditori.

Come si vede, Pera è al di sopra delle parti nel senso che vede dissenso, intellettuali, pacifisti (quelli vivi) oppositori come rimasugli di una povera visione arretrata. Esistono solo lui, la sua parte unica e giusta (presumibilmente Dio è con lui e non con quegli stupidi preti che marciano per la pace) e una bella guerra di civiltà. Lui esorta: dobbiamo andare tutti in Iraq. E non sembra che parli di un convegno. Marcello Pera ha corso un rischio. Ha proclamato la sua guerra santa, con speciale cattivo gusto, sulla tomba non ancora trovata di un uomo di pace, nelle stesse ore in cui le sue controparti francesi hanno avuto - per tempo, prima che si compia un altro delitto - uno scatto di impegno per salvare in ogni modo due vite.

Per Jacques Chirac, per il presidente del Consiglio di quel Paese, per il ministro degli Esteri francese, non è sembrato eccessivo - invece di invocare la jihad cristiana - impegnare ogni attimo e ogni risorsa della loro autorità e del loro peso nel mondo per riportare a casa, sani e salvi, i due giornalisti. Se falliranno, in queste ore angosciose, potranno dire al loro Paese che non erano in vacanza, e che hanno tentato il tutto per tutto. Se ci riusciranno, Marcello Pera si ritroverà ad essere il rappresentante di un’Italia sola, triste e pericolosa, un Paese arruolato agli ordini di altri, nella guerra santa nonostante i suoi cittadini e la sua Costituzione.


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lunedì, agosto 30, 2004

MEDITAZIONE - 30/8/04

Un giovane scrive al giornale…

 

APRILEONLINE 30-8

IO STO CON LORO!

di Fabio Mingrone

Anche questa estate sta procedendo bene: chi se ne va al mare, chi per prendersi un po' di fresco se ne va in montagna, chi potendoselo permettere se ne è andato ai tropici, chi in crociera, chi magari, a causa della busta paga ridotta, si è dovuto accontentare di essere ospitato da amici in qualche paesino sparso per l'italia, e chi, più sfortunato di tutti, deve restare in città, magari anche a lavorare!

Anche io a breve parto, ma prima di farlo volevo lasciarvi facendovi però soffermare su una cosa importante, cioè a quanto siamo fortunati noi "occidentali": abbiamo tutto, possiamo ottenere qualsiasi cosa! Eppure, in genere siamo spesso infelici, ci arrabbiamo per motivi a volte straordinariamente stupidi, litighiamo per cause superficiali, soprattutto in vacanza! Come mai succede questo? Non lo so, ma non basta per spiegarlo la teoria filosofica secondo la quale l'uomo è perennemente insoddisfatto!

Io credo che per apprezzare veramente quello che abbiamo dobbiamo essere consapevoli della realtà che ci circonda, e capire che ci sono milioni di persone come noi che, mentre ce ne stiamo sdraiati in qualche spiaggia a mangiarci un bel gelato, sta soffrendo la fame e la sete e lotta per sopravvivere ogni giorno, sotto l'indifferenza premeditata di tutto il mondo occidentale, sempre più egoista!

Quello che dobbiamo tutti sapere è che nel nostro pianeta, nel 2004, c'è 1/3 della popolazione che non ha acqua potabile ed è fortemente denutrita, specie i bambini; che muore a causa di conflitti tra tribù che durano da decine di anni senza che la Comunità Internazionale faccia qualche cosa, come per esempio accade in Ruanda e in quasi tutta l'Africa centrale; che nei paesi del cosiddetto "Terzo Mondo" ci sono ancora leggi primitive e assenza dei più elementari diritti umani, e tutto questo a causa nostra, nel ricco e grasso occidente che da secoli non fa altro che sfruttare e prosciugare le risorse di queste terre disgraziate, a cominciare dalla "tratta dei negri" per finire ai giorni nostri, con governi militari filo-americani che hanno come scopo quello di tenere sotto controllo con la forza la popolazione e che con le multinazionali SFRUTTANO donne e bambini facendoli lavorare a ritmi insostenibili, sottopagandoli, ed incrementando ulteriormente i loro profitti!

Il mio pensiero va ai milioni di persone, esseri umani come noi, che cercano ogni giorno di sfuggire alla morte in questi paesi, che soffrono la fame, e che a volte non mangiano per giorni interi senza mai lamentarsi; a tutti coloro che in America Latina cercano di combattere la piovra del sistema capitalista americano che sta risucchiando tutte le loro risorse, come è successo in Argentina, e cercano di abbattere questo stato di cose, e il riferimento va ai molti movimenti rivoluzionari sparsi nel latinoamerica, in particolare ai Tupac Amaru e all'esercito indigeno zapatista, l'EZLN, che in Messico nella regione del Chiapas combatte per difendere la propria identità e le loro case, e resiste da oltre 10 anni contro un governo assassino; al valoroso popolo palestinese, che da decenni combatte per riavere il proprio territorio clamorosamente sottrattogli da Israele cancellando i trattati internazionali e le direttive dell'ONU, che resiste, che oggi si vede circondato da un muro di cemento armato alto più di 5 metri che non gli consente a volte di andare a lavorare, che vede le proprie scuole ed ospedali bombardati dai missili israeliani, costruiti con i soldi e la tecnologia americana, che vede le proprie strade deserte atteaversate da carri armati israeliani; ma il mio pensiero va anche a quanti nel nostro paese cercano di far valere i propri diritti nel campo lavorativo, diritti sempre più spesso calpestati, a quanti non riescono ad arrivare alla fine del mese perché magari disoccupati o sottopagati, a quanti fanno lavori volontari per il bene del prossimo in silenzio, senza chiedere niente a nessuno; a tutti quelli che sono in carcere, dimenticati da tutto e da tutti, ai quali non viene e non verrà più data una seconda possibilità, in quanto ormai marchiati a vita con l'etichetta di delinquente, non capendo che magari alcuni di loro sono ancora persone che possono dare molto alla nostra società, che però non fa niente per reintrodurli nel sistema; a tutti quelli che fuggono dal proprio paese per evitare la morte, spendono 3 o 4 milioni e si imbarcano nelle "carrette del mare", sperando di arrivare sani e salvi nelle coste del nostro paese per poter ricominciare una nuova vita, non sapendo che i Italia ormai, complici i media e questo governo, vengono tacciati, ancora prima di mettere piede qui, di essere dei "potenziali" criminali; infine il mio pensiero, che mi spinge ancora oggi a provare a stare in politica, va a tutti quei bambini africani che ogni giorno resistono per sopravvivere alla fame, alla sete e all'AIDS già a 3-4 anni, che non sanno minimamente che futuro potrà attenderli perché non sanno neanche se arrivano a domani, che piangono e si disperano perché non sanno chi ha ridotto così il loro paese, ma che se li vai a trovare e ad aiutare, sono sempre pronti a farti un sorriso!

Ecco, io sto con loro! Ci sto perché sono consapevole della fortuna che ho ad essere nato qui, e vorrei che un giorno anche loro, in Africa, possano sentirsi fortunati di essere nati in Nigeria come in Ruanda! Sto con loro perché purtroppo siamo ancora in pochi a sentire le loro grida di disperazione e riferirle nei posti e nei palazzi che contano! Sto con loro perché non riesco a capire come ancora l'occidente può restare impassibile di fronte a tutto ciò e continua ad andare avanti come se nulla al di fuori dei loro confini succedesse, accecato da un egoismo ed un indifferenza da fare schifo!

Sto con loro soprattutto perché sarebbe troppo facile per me fare come fanno la maggior parte dei giovani d'oggi: tapparsi gli occhi e le orecchie, far finta di niente, vivere la vita fregandosene di tutto e tutti...no cari miei, non va bene!

Sto con loro anche perché contrasto fortemente questo sistema capitalistico basato sull'unico parametro di giudizio ed elemento fondamentale: il denaro ed il profitto, a discapito del più debole!

Credo che siamo in molti oggi, di sinistra e non, ad avere aperto gli occhi e smascherato il sistema in cui viviamo, e credo che sia nostro compito quello di far ragionare chi ancora fa finta di niente, e credo soprattutto che sia compito di noi giovani quello di far cambiare questo stato di cose decisamente precario!


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domenica, agosto 29, 2004

MEDITAZIONE - 29/8/04

L’UNITA’ on-line 29-8

Buoni propositi

Abbassare i toni converrebbe moltissimo ma poi ci imbattiamo negli insulti e nelle prese in giro a Baldoni morto. Perdiamo il filo del dialogo e ricominciamo da capo: dalla violenza, dalla volgarità, dal totale dominio informativo del Paese, dalla violazione della Costituzione italiana che ripudia la guerra, dal conflitto di interessi...

di Furio Colombo

 E se non avessimo mai alzato la voce, giornalisti miti e cortesi che chiedono sommessamente al ministro Castelli perché tanta asprezza verso la sinistra, giornalisti che fanno finta di non accorgersi che Berlusconi dice a una signora «faccia da stronza» (troppo volgare), lasciano perdere la bandana (troppo ridicolo) e invece si pongono serie domande di politica estera sulla visita di Blair che dimostra il prestigio ritrovato dell’Italia, recandosi in visita privata a Villa Certosa.

Se avessimo deciso, fin dal ritorno in edicola de Unitàche puoi parlare del conflitto di interessi una o due volte all’anno, quando si presenta la giusta occasione, ma non tutti i giorni, perché, in fondo, il conflitto di interessi non interessa a nessuno, e a forza di ripetere corri il rischio di far fare al titolare di quel conflitto la figura del perseguitato?

Se la nostra mite linea editoriale fosse stata di commentare i telegiornali come se fossero veri, lasciare in pace Mimun e Mentana (che erano buoni amici), se avessimo scelto di raccontare con rispetto Porta a Porta, non mancando di ricordare che Bruno Vespa è un bravo professionista, e trascurando la noiosa pretesa di scorgere in ogni puntata di quell’incredibile programma il lieto fine governativo e l’impronta della zampata di regime?

Ecco, regime. Non è di cattivo gusto dire e ripetere questa parola solo perché Berlusconi, legittimamente eletto dagli italiani, si trova per dovere d’ufficio a controllare le Tv di Stato mentre, per un caso della vita, possiede una catena di televisioni private e quasi tutta la pubblicità del Paese?

Qualcuno dirà che è un regime quello in cui un uomo di sinistra, Enzo Baldoni, viene insultato anche quando la sua vita è in pericolo, e persino quando è morto, da quasi tutta la stampa di destra, e nessun giornale della grande stampa libera mostra di accorgersene. Al contrario, si sprecano gli articoli sul disfattismo, l’ignavia, e il filo-terrorismo della gente di sinistra, per non parlare della razza maledetta dei pacifisti. Ma insistere nel giudicare le scelte degli altri non giova al dialogo. Dunque lasciamo perdere gli insulti a Baldoni assassinato (Baldoni era un uomo di pace e dunque evidentemente meno italiano di altri morti) e andiamo a dialogare. Ci sarà qui un guastafeste che chiederà: dialogare su cosa?

Hanno già approvato riforme chiave che cambiano il futuro del Paese con l’espediente del voto di fiducia, cioè un Parlamento con la bocca chiusa. Domanda sbagliata. Su che cosa dialogare si vedrà. Ma se accetti di farlo, il premio lo ricevi subito. Dire sì al dialogo, senza tanti distinguo, attira subito sguardi di interesse e di approvazione.

Ora, è vero che Berlusconi era imputato in un sacco di processi, che è stato brusco con i giudici, che il Parlamento ha fatto una legge apposta per fermare tutti i processi e addirittura in tempo per impedire alla Pm Boccassini di pronunciare la sua conclusiva arringa di accusa in uno dei processi a Milano, e ha affidato tutto ciò al presidente della Commissione giustizia della Camera che è anche avvocato personale del presidente del Consiglio. Ma è anche vero che l’avvocato Pecorella è un giurista grande abbastanza da svolgere contemporaneamente due ruoli così delicati. Ed è altrettanto vero che i processi inseguivano quest’uomo da una vita, e che lui deve pur governare.

Per esempio, i nostri titoli sulla Bossi-Fini. Sono sempre stati giudicati esagerati. Da chi? Dalla Lega, prima di tutto. Ma anche da tanti altri, anche da sinistra.

Vi ricordate quando abbiamo espresso con irruenza il timore, anzi la predizione, che quella legge avrebbe scoraggiato i soccorsi in mare (pena l’imputazione di traffico di schiavi) per chi avesse portato in salvo dei mezzi morti, e dunque avrebbe favorito l’atteggiamento di non far caso ai naufraghi? Questo era prima dei 1.651 morti in mare davanti alle coste italiane. Una sensata obiezione potrebbe essere che i giornalisti fanno cronaca, non profezia. A tempo debito le notizie dei morti le hanno date tutti i giornali, le proteste contro il danno di quella legge è venuto con fermezza anche dalla Confindustria. Pisanu e Buttiglione, due importanti voci berlusconiane, hanno detto che la legge va rivista. La Corte Costituzionale ha dichiarato incostituzionali parti essenziali di quella legge. La Lega ha risposto in modo colorito. Ma, si sa, è la Lega, una organizzazione che esprime forti umori popolari.

Questo è solo un riassunto parziale delle intemperanze che ci vengono spesso rimproverate. Ma serve a farci riflettere su ciò che avremmo guadagnato, almeno personalmente, da una più cauta e avveduta conduzione delle nostre pagine.

Mettete su un tavolo un po’ di copie dell’Unità e fate il gioco di “abbassare i toni”, per “non cadere nella rissa, nell’odio, nelle scomuniche”.

Ecco alcuni titoli che ci avrebbero senza dubbio messo in miglior luce agli occhi di coloro che ci accusano di fare un giornale gridato:

«Berlusconi critica i giudici. Si apre il dibattito sulla separazione delle carriere». È stato quando il premier aveva detto che solo un mentecatto può fare il giudice.

«Berlusconi trova impropria la domanda di un cronista dell’Unità». È stato quando Berlusconi ha detto a un nostro giovane giornalista alla sua prima esperienza di conferenza stampa: «Lei è un mestatore di professione. Io coi mestatori non parlo».

«A Berlusconi non piace il volto di una signora di Rimini che gli ha detto rudemente: “Vai a casa”». La storia è nota, ma ne ha parlato solo l’Unità.

«Il ministro Calderoli chiede di tutelare i confini nazionali». È stato quando il già vicepresidente del Senato e attuale ministro delle Riforme ha detto: «La Costituzione non si applica agli stranieri. Gli stranieri vanno respinti in mare con l’uso della forza».

«Castelli ha dubbi sul ruolo della sinistra in Europa». È stato quando Castelli ha pronunciato le parole: «La sinistra europea che difende assassini e latitanti è una cultura aberrante che io combatto con ogni mezzo».

Ricordate Telekom-Serbia, una Commissione d’inchiesta parlamentare inventata dalla maggioranza, sostenuta da pezzi da galera al solo scopo di accusare Prodi, Fassino, Dini, di avere incassato “enormi tangenti”, accusa ripetuta varie volte al giorno per 40 giorni da tutti i telegiornali pubblici e privati, fino a quando i pezzi da galera sono tornati in galera e la Commissione (organo istituzionale del Parlamento) è finita allo sbando senza che si aprisse una inchiesta sul suo comportamento certo fuori dalla legge?

Bene, un giorno uno degli illustri membri di maggioranza di quella commissione - per avvalorare la credibilità delle accuse inventate - ha elogiato uno dei falsari (poi prontamente arrestato e accusato di calunnia) con la frase immensamente telegenica: «Ha una memoria da Pico della Mirandola».

Potevamo pacatamente scrivere: «La Commissione Telekom-Serbia elogia la memoria del teste che accusa». Sarebbe stato un falso. Eppure in questo Paese, in questo periodo della storia italiana, saremmo stati apprezzati per pacatezza e senso della misura.

Noi questo vi possiamo dire. Ad ogni abbassamento di tono voi avreste notato una crescita, magari lenta ma netta, di credibilità, di rispetto verso il direttore e il condirettore dell’Unità. Saremmo apparsi “equilibrati”, si sarebbe detto che meritiamo fiducia. Forse, un giorno saremmo stati persino invitati, accanto al direttore de Il Riformista, a rappresentare la sinistra italiana in televisione. Lo so che è azzardato pensare così in grande. Ma se ci mostrassimo talmente sereni e rispettosi del governo e della sua maggioranza, come escludere, una o due volte all’anno, anche Porta a Porta? «Colombo, lei che sa stare in modo così equilibrato al di sopra delle parti, pur dirigendo il giornale che fu di Antonio Gramsci, pensa davvero che la Bossi-Fini sia una così cattiva legge?».

Ancora un passo, per esempio sorprendere l’avversario con una dichiarazione pacata sul fatto che c’è del buono anche nelle leggi e nelle riforme della maggioranza, che l’Italia è di tutti, che si devono unire le forze per contrastare il declino, ed è quasi sicuro: a) il ritorno di inviti nelle buone case in cui si incontrano politici importanti e si ricevono avvertimenti utili; b) la citazione benevola sui giornali di governo; c) persino partecipazioni alla radio, soprattutto presso Aldo Forbice, a patto di essere pronti a sgridare l’ascoltatore fazioso che si permettesse di usare - in pieno prime time della Rai - la parola “regime” .

D’accordo, facendo un giornale così lasci le spalle scoperte al lavoro di opposizione svolto ogni giorno alla Camera e al Senato, lasci sola una quantità di gente che, guardando ogni sera i Tg di governo, prova l’impulso di lasciar perdere tutto e di comprare solo il quotidiano sportivo. Lasci in pace l’intera compagine mista di affari, di conflitto di interessi, e di governo. Smetti di essere ossessionato dai giornali stranieri e dal loro continuo scandalizzarsi per il caso Berlusconi (dopotutto denigrano l’Italia). Ma torni ad affacciarti alla vita che, come tutti sanno, è televisione. Sei stimato, apprezzato, accolto, forse non come prima di fare l’Unità, ma almeno in modo urbano. Dunque un beneficio c’è, e non trascurabile. Ti cambia la vita. Ma c’è di più.

A questo punto chi vorrà negare un po’ di pubblicità, anche quella delle grandi “partecipate” statali, che adesso stanno alla larga, alle civili e pacate pagine di questo giornale dai toni bassi?

Tutto ciò, forse, non gioverà al Paese, più zitto, più disciplinato, più in linea con le televisioni (che non sono i tratti più smaglianti di una democrazia se le televisioni le controlla uno solo). Ma spero di avere dimostrato che converrebbe moltissimo a noi, vita e reputazione. E ai conti del nostro giornale. Se non lo facciamo, dunque, diciamo la verità: è perché non ne siamo capaci. Noi arriviamo a un certo punto di pacatezza e poi ci imbattiamo negli insulti e nelle prese in giro a Baldoni morto. Perdiamo il filo del dialogo e ricominciamo da capo: dalla violenza, dalla volgarità, dal totale dominio informativo del Paese, dalla violazione della Costituzione italiana che ripudia la guerra, dal conflitto di interessi...


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sabato, agosto 28, 2004

MEDITAZIONE - 28/8/04

L’UNITA’ on-line 28-8

BANNER

Pensando a Enzo Baldoni: «In questa notte scura, qualcuno di noi è come quei “lampadieri” che, camminando innanzi, tengono la pertica rivolta all’indietro, appoggiata sulla spalla con il lume in cima. Così, il “lampadiere” vede poco davanti a sé ma consente ai viaggiatori di camminare più sicuri».

Tom Benetollo

-=oOo=-

EDITORIALE

Quando il morto è di sinistra

di Nando Dalla Chiesa

Lo sputo beffardo su un condannato a morte. Anche questo abbiamo dovuto vedere. Roba che nei film si delega al cattivo, al più vigliacco della banda, all’attore su cui una volta - nei mille cinema Paradiso sparsi per l’Italia - il pubblico indignato scagliava insulti e maledizioni come se la scena fosse vera. A Enzo Baldoni lo sputo è arrivato purtroppo nella realtà vera, anche se forse non se ne è accorto. Ed è arrivato pubblicamente. Dalla nazione che avrebbe dovuto trepidare per lui, per la sua vita. Compatta, insieme. Perché italiano, pur se italiano convinto che anche gli altri popoli abbiano o possano avere ragioni o diritti. Il «codardo oltraggio» del Manzoni, quello spregevole gesto eguale e opposto al «servo encomio», non poteva trovare una rappresentazione più nitida.

Quando Baldoni stava per morire, e poi quando Baldoni era già morto, e poi ancora quando già si sapeva che Baldoni era stato ucciso. Insomma nella agghiacciante sequenza attraverso cui questo civilissimo paese ha visto un quotidiano sbeffeggiare una vittima annunciata. Come forse mai era accaduto. Se è vero che la guerra tira fuori il peggio degli uomini su ogni fronte, ne abbiamo avuto la riprova.

Intendiamoci, «Libero», perché questo è il quotidiano che si è distinto nell’opera senza precedenti, ha probabilmente dato fiato a una cultura che non nasce in quella redazione. Bisogna averne consapevolezza. Nei titoli, nei toni, nel gioco di foto, occhielli e «catenacci», si è espresso a meraviglia quel «plebeismo borghese», ossimoro diventato realtà, che è da un po’ di anni la vera metastasi civile nella grassa Italia padana, il grande problema con cui ogni decente progetto di governo dovrà seriamente e strenuamente fare i conti.

Non vi è dubbio: anche se spesso dalle parti di quella redazione si inneggia alla chiarezza del parlare (e in effetti davvero strepitosa è stata la chiarezza anche in questa occasione), si farà ogni sforzo causidico, si tenterà ogni acrobazia logica per dimostrare che in fondo si voleva salvare, in un modo un po’ diverso, magari - ci giurereste? - in modo meno conformista, la pelle del giornalista assassinato.

Ma è drammaticamente ancora più certo che nelle ore dell’angoscia il giornale in questione si è coerentemente adoperato per rendere un po’ buffonesca, fino al surreale, l’attesa (la paura) di una esecuzione capitale. «Che barba, che noia, non mi rapiscono». «Spero che mi rapiscano». «Il vacanziere col brivido». «Il turista del giornalismo». «Un simpatico pirlacchione». «Il giornalista italiano che cercava brividi in Iraq» (scritto dopo la notizia dell’assassinio). Miscelando abilmente una passata avventura colombiana e il rapimento dell’Esercito islamico, la tragedia di Baldoni è stata derubricata ad altro. Un alto in cui si mescolavano irrisione per la vittima, il dileggio per l’inviato pacifista finito nei guai, il divertito rimprovero di essersela cercata.

Tutti ingredienti che in sé, presi singolarmente, non sono nuovi in certi ambienti umani. La sola storia della lotta alla mafia o alle corruzioni grandi e piccole del Paese ne è strapiena. Ma il loro montare contemporaneo mentre la persona è già nelle mani del carnefice, questo è semplicemente terrificante. Perché svela anche ai ciechi che una misura è stata superata. Che per una cultura di destra comunque forte nel Paese non esistono limiti di sorta alla faziosità politica. Baldoni è pacifista. Baldoni è inviato del «Diario». Baldoni è (così ci è stato detto) antiberlusconiano. Dunque la sua vita conta meno. Se contasse come le altre, non gli si sputerebbe addosso prima e dopo la esecuzione. Si avrebbe un attimo, solo un attimo di ripensamento, di raccoglimento, di ansia. Di ansia vera, intendo. Non quella che porta a colloquiare idealmente con i rapitori per dirgli di rilasciarlo, così da amante del brivido continuerà a far danni al suo paese e a scrivere bene di loro. Non quella che porta a ipotizzare che sia tutta una sceneggiata per recitare un rabdomante dell’avventura. Il quale, da bravo professionista delle sceneggiate, appare nel video «troppo sereno».

Se la sua vita contasse non si scriverebbe che «i rapitori non hanno esitato a sparargli anche se era amico loro»; ossia che Baldoni era amico degli assassini, loro complice, solo perché contrario alla guerra. Non esiste pietas per il plebeismo borghese che, vedrete, nei prossimi mesi si affannerà (quando si discuterà di fecondazione assistita) a predicarci la sacralità della vita umana, in tutte le sue forme, perché è la vita in sé che è sacra. Non vi è in esso ombra di quella pietas che è fondatrice - e non per caso - di tutte le civiltà mediterranee, nel mito e nella leggenda come nel diritto. E, correlativamente, non c’è il pensiero che consente di distinguere, di capire, di non trasformare l’altro, alla fine, in complice di assassini. Non c’è infine il pudore, figlio della pietas e del pensiero.

È stato scritto, sempre su «Libero», che Baldoni avrebbe fatto la fine di Quattrocchi, ossia «del suo nemico ideologico». Ecco alfine l’idea archetipica: Baldoni e Quattrocchi nemici, tra i quali dunque occorrerebbe schierarsi (uno amico, l’altro nemico); non due italiani uccisi in Iraq, andati in Iraq con culture e finalità diverse.

È vero che nei bassifondi della sinistra di Internet, come ha ricordato Michele Serra, si sono dette su Quattrocchi cose nauseanti. Ma mai sui giornali, nei dibattiti, nelle posizioni ufficiali e responsabili della formazione dell’opinione pubblica, alcun esponente politico, civile, intellettuale della sinistra si è sognato di pronunciare o scrivere frasi men che rispettose verso il valore colpito della vita. Sono stato, in silenzio e senza riflettori, nella casa di Stefio e nella casa di Quattrocchi. Ho provato angoscia e dolore per loro. E proprio per questo la rappresentazione dei «due nemici» (il vigilante privato e il giornalista pacifista) m’appare oggi francamente insultante per noi come italiani.

Tornano in mente, davanti al plebeismo borghese, le discussioni lette per l’ennesima volta in queste settimane, sulla egemonia culturale della sinistra. E la domanda sorge oggi spontanea, inarrestabile. Ma davvero è colpa della sinistra se questa destra non riesce a produrre egemonia culturale? Ma scusate, quando lo sputo si fa parola, quando i fragori interiori si fanno pensiero, quali poeti, quali romanzieri, quali registi, quali filosofi, quali giuristi vorrete mai che nascano e che non durino il tempo di una moda o di un protettore politico? Di chi è la colpa se nemmeno le tragedie che elevano in genere gli spiriti e le menti riescono qui a favorire le dimensioni del rispetto, della riflessione, della umana condivisione?

Ci piacerebbe che, proprio per l’attenzione con cui li seguiamo, qualcosa dicessero i celebri «terzisti». Che stavolta trovassero l’immane coraggio di dire che questo capitolo della nostra vita pubblica ha qualcosa di spregevole e di allarmante. Chi è al di sopra delle parti o equidistante, in fondo, non deve preoccuparsi di sembrarlo sempre nello stesso articolo o commento. Meglio, più credibile, essere netti e indipendenti di volta in volta di fronte alle singole vicende.

Chi ha dunque qualcosa da dire sullo sputo beffardo sul condannato a morte?


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venerdì, agosto 27, 2004

MEDITAZIONE - 27/8/04

L’UNITA’ on-line 27-8

Vogliono cancellare la Resistenza

di Arrigo Boldrini

Presidente dell'Associazione Nazionale Partigiani d'Italia

C’è chi vuole farla finita con la Resistenza.

L’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia (ANPI) è nata nel giugno 1944, quando era ancora in corso la guerra di Liberazione dall’occupante nazista e dalla dittatura fascista. Noi che verso la metà del secolo scorso ci battemmo perché all’Italia venissero restituite la libertà e la dignità di cui il fascismo l’aveva defraudata, ci impegnammo a far sì che restasse viva e venisse tramandata la memoria storica della Resistenza e che i princìpi ispiratori, i valori e gli ideali della lotta di Liberazione divenissero patrimonio del popolo italiano ed essenziali nella formazione e maturazione delle generazioni successive alla nostra.

Eravamo - e siamo tuttora - profondamente convinti che la nostra esperienza possa essere di esempio e di monito per far comprendere il valore della Libertà, il rischio di perderla, il sacrificio che occorre per riconquistarla; per far nascere nelle coscienze, quindi, la volontà di affermarla, difenderla, arricchirla. Dunque abbiamo difeso sempre gli ideali dell’antifascismo e della Resistenza.

Ideali trasfusi in gran parte nella Costituzione della Repubblica, ci siamo battuti contro ogni rischio di ritorni autoritari, abbiamo contribuito alla formazione di una coscienza civile che è il più saldo cemento dell’identità e dell’unità nazionale, garanzia di pace e di collaborazione tra i popoli.

Oggi l’Anpi è fortemente impegnata perché il 60° della guerra di Liberazione sia degnamente celebrato in tutta Italia. Finora ha dovuto far fronte con mezzi esclusivamente propri agli enormi oneri che ne derivano - non è stata ancora approvata la legge per il 60° - e per giunta si vede sostanzialmente privata anche del contributo statale che pure era stato sancito da una legge a suo tempo approvata dai due rami del Parlamento. Infatti, l’attuale maggioranza ha ridotto di ben il 55% un modesto contributo che era già stato decurtato del 10% nel 2002. Questo in vigenza di una legge triennale, scaduta proprio con il 2003, quindi senza nessuna garanzia per i prossimi anni.

A questo si aggiunge lo scandalo del recente voto con cui la commissione Difesa del Senato ha approvato il disegno di legge di An, che riconosce come legittimi belligeranti gli appartenenti al cosiddetto esercito della sedicente repubblica sociale italiana. Ricordo che queste formazioni furono costituite da un ente, la Rsi, che non è mai stato un governo legittimo, ma sorto per volontà del nazismo e alle sue dirette dipendenze. E che quelle formazioni ebbero quasi esclusivamente funzione antipartigiana, al servizio e sotto il comando del Terzo Reich, contro cui il legittimo governo italiano aveva dichiarato guerra nell’ottobre 1943. I militari della Rsi parteciparono a numerose efferate stragi di civili perpetrate nei venti mesi della lotta di Liberazione, collaborarono all’arresto e alla deportazione di cittadini italiani e stranieri di religione ebraica, furono responsabili di collaborazionismo con il nemico e di torture e sevizie contro i combattenti della libertà. Un insulto, insomma, alla memoria dei Caduti e ai sentimenti di chi si battè per la libertà. Una grave ferita alla Costituzione e alla storia dell’Italia libera e democratica.

Sono due episodi, a torto considerati minori, che hanno un forte valore simbolico e pratico, avvenuti entrambi in Parlamento. Ecco perché appare difficile non ipotizzare che dietro questi fatti ci sia un preciso disegno politico per farla finita una volta per sempre con la Resistenza, la memoria storica, il ricordo di pagine che a taluno possono essere indigeste. E che quindi vorrebbe cancellare e riscrivere.

L’ANPI lancia una sottoscrizione nazionale, facendo appello alla sensibilità di tutti gli antifascisti, di quanti operano nelle istituzioni, nel mondo del lavoro, nell’associazionismo, perché possa continuare una battaglia che riguarda tutti i cittadini sensibili ai valori fondanti della nostra Repubblica.


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RESISTENZA - 27/8/04

IL RIFORMISTA 27-8

Corsivo 28-7

Baldoni e l’odio per chi ha idee diverse

“Berluscones” più barbari degli assassini

Em.ma

Non riesco a togliere dai miei occhi i due figli di Enzo Baldoni, il volto di adolescenti, la voce commossa della ragazza che pronuncia parole tenere e sobrie. E non riesco a togliere dalla mia mente le parole e le immagini che avevo letto su “Libero” e visto nel Tg4 di Fede. Nell’era in cui si dice che le ideologie sono morte, sopravvive l’odio ideologico per chi la pensa diversamente su un tema che ha sempre diviso il mondo: la guerra. Se un giornalista va dove c’è la guerra, deve essere favorevole ad essa, soprattutto se vi è impegnato il proprio governo. Se è contro, allora sta con gli “altri”, solidarizza con i terroristi, è un avventuriero che non merita rispetto nemmeno quando è nelle mani del nemico. Del resto ricordiamo gli insulti del commissario della Croce Rossa, Scelli, a Gino Strada accusato di esercitare la sua professione di medico in zone di guerra dimorando nei grandi alberghi. Con il sequestro e l’uccisione di Baldoni la barbarie terroristica ha toccato il fondo. Ma c’è un’altra barbarie che si colora di “patriottismo”, di “antiterrorismo” e anche di “pacifismo”, e che odia chi la pensa diversamente, emersa in questa e in altre occasioni in forme brutali.

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Corsivo 27-7

Baldoni e il rancore della destra liberista

Ho ascoltato con commozione l’appello dei figli di Enzo Baldoni, e ho letto con partecipazione il bell’articolo di Francesco Merlo su Repubblica sulla vicenda di questo giornalista in mano ai terroristi iracheni. Ma Enzo Baldoni è un giornalista? Si trovava in Iraq per scrivere servizi per un giornale? O era in quelle contrade come sulle spiagge di Rimini, con lo stesso piglio vacanziero? C’è da trasecolare nel leggere quel che scrivono su «Libero» e nel vedere le mossettine e gli ammiccamenti di Emilio Fede. Ma in che paese siamo? Noi avevamo condannato il «cinismo pacifista» mostrato nei confronti di Quattrocchi e dei suoi compagni sequestrati. Oggi verifichiamo un cinismo ancora più sconcertante. Enzo Baldoni è un freelance, non ha la tessera e l’accreditamento di un grande quotidiano o delle testate Rai e Mediaset. E i giornalisti di questi canali nei loro servizi lo chiamano freelance con la sufficienza di chi ha quelle tessere e accreditamenti. La destra “libera-liberista” sprezza un giornalista autonomo anche se i suoi pezzi appaiono su un importante settimanale come «Il Diario». Oppure il rancore che trasuda da tutti i loro pori è dovuto proprio a quella testata?

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LIBERAZIONE 27-8

L'Italia in Iraq, chi tace acconsente

La partecipazione italiana all'impresa irachena si configura ormai come una vera infamia di guerra

Elettra Deiana

Dopo le settimane di passione di Najaf, dopo il fuoco e il ferro che si sono abbattuti incessantemente sulla città sciita, la partecipazione italiana all'impresa irachena non è più soltanto un drammatico errore politico compiuto dal nostro Paese, per responsabilità della maggioranza avventurista che lo governa. E non è neanche più soltanto una scelta di subalternità totale all'alleato americano né soltanto l'ennesima, radicale violazione della Costituzione repubblicana.

Dopo quello che è successo a Najaf, dopo le rappresaglie senza precedenti contro i miliziani dell'imam ribelle Moqtada al Sadr, rei, col loro capo, di non accettare né la pax americana né la violenza bellica messa in atto per sottomettere il loro Paese, dopo il bagno di sangue di civili inermi e l'assedio dei carri armati americani fin sotto al Mausoleo di Alì, che fa di Najaf una città santa, dunque inviolabile - se si vuole salvare, nonostante la guerra, almeno un briciolo di quell'umano che ci accomuna - dopo tutto questo, la partecipazione italiana all'impresa irachena si configura ormai come una vera e propria infamia di guerra. La complicità con le sporche pratiche di ritorsione dell'esercito americano è patente, sta nei fatti: in quei militari italiani destinati a pattugliare, dito sul grilletto del fucile mitragliatore, altre zone in cui crescono tensione e ostilità contro le truppe occupanti e in cui - come sottolineano ministri e generali, affetti ormai dal devastante burocratismo dell'emergenza bellica - per difendersi occorre sparare, colpendo, forse, anche un'ambulanza e uccidendone gli occupanti. Negano il fatto, ovviamente, ministri e generali, ma a tutt'oggi nessuna prova credibile è stata prodotta per smentire quanto documentato dal giornalista americano Micah Garen.

Ma la complicità del nostro Paese sta anche nel terribile, ossessivo silenzio che il governo ha mantenuto sull'intera vicenda di Najaf, come già aveva fatto d'altra parte con quella di Abu Graib. Acconsentir tacendo, come vuole la tradizione, e continuando intanto a raccontare le stolide favole sul ruolo di pace del nostro contingente, a insistere sul ritornello che là stiamo perché ce lo chiede il governo Allawi. Bush, appunto, per interposta persona di sua fiducia.

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CENTOMOVIMENTI 27-8

Le ombre di Berlusconi

L'ultimo libro sul Cavaliere

Grazie all'ultima fatica letteraria di David Lane i cittadini britannici potranno farsi una cultura sul presidente del Consiglio italiano Silvio Berlusconi. Alla modica cifra di venti sterline i sudditi di Sua Maestà potranno sapere come è nata la stella imprenditoriale del Cavaliere, dei suoi debutti nel mondo della politica e delle sue oscure manovre come inquilino di Palazzo Chigi.

Trecentocinquantadue pagine di inchiesta, preparate con cura da un autore che conosce molto bene il nostro Paese. David Lane, infatti, è un giornalista investigativo del The Economist, il settimanale liberale che bacchetta ogni mossa di Berlusconi dal giorno della sua "discesa in campo". Erano stati i suoi articoli al vetriolo a denunciare per la prima volta in Gran Bretagna il problema democratico che veniva a crearsi nel Bel Paese con l'avvento del leader di Forza Italia nel mondo della politica.

Il titolo del libro è uno stimolante invito alla lettura: "Le ombre di Berlusconi - crimine, giustizia e sete di potere". Nel volume si potranno trovare interviste a magistrati, avvocati e politici, tra i quali anche un ex presidente della Repubblica.

Inoltre, saranno affrontate tematiche molti inusuali per la biografia di un capo di Governo di una moderna nazione democratica: alleanze con gli estremisti di destra, scandalose manipolazioni del sistema legale e un conflitto d'interessi capace, attraverso il potere del denaro e dei media, di mettere a tacere le opposizioni. Senza scordare le simpatie del premier per i nefasti tempi del regime fascista, le sue poco raccomandabili amicizie con personaggi implicati con la mafia e i suoi contestatissimi affari che, tra una compagnia off-shore e l'altra, non sono stati ancora del tutto chiariti dalla Magistratura italiana.


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giovedì, agosto 26, 2004

MEDITAZIONE - 26/8/04

EUROPA on the Web 26-8

IL vero volto di Berlusconi

Esce a Londra il libro che svela un’ascesa al potere fatta più di ombre che di barzellette

Altro che bandana-man. Da oggi anche i lettori britannici potranno capire perché liquidare Silvio Berlusconi come una simpatica macchietta del mondo della politica non solo è riduttivo, ma anche fuorviante.

Come racconta il corrispondente dall’Italia per l’Economist David Lane, nel libro intitolato Berlusconi’s Shadow – Crime, Justice and the Pursuit of Power (ed. Penguin), l’ascesa del cavaliere a palazzo Chigi è fatta più di ombre che di barzellette. Nelle 352 pagine del volume, il giornalista del settimanale britannico non esita a rivelare tutti i punti oscuri della vita e della carriera del premier italiano: il modo poco chiaro con cui si è arricchito; le sue compagnie off-shore; i suoi legami con personaggi di spicco dell’ambiente mafioso; la manipolazione del sistema legale; l’enorme conflitto di interessi che gli ha permesso di usare il suo impero mediatico-finanziario per mettere all’angolo l’opposizione.

Il libro di Lane non è un semplice j’accuse fondato su pregiudizi e luoghi comuni. È il risultato di un lungo e approfondito lavoro di inchiesta, ottenuto dopo anni di ricerche e basato su un’ampia raccolta di interviste a magistrati, avvocati e anche a un ex presidente. È anche un ritratto di quella parte dell’Italia di cui non andiamo fieri ma che purtroppo è dura a morire: l’Italia della corruzione, della mafia e delle raccomandazioni. L’altra faccia del Belpaese che ogni anno attira centinaia di inglesi nelle campagne della Toscana e dell’Umbria.


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MEDITAZIONE - 20/8/04

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L’UNITA’ on-line 20-8

Soldati italiani, portateli a casa

di Furio Colombo

 «Ci guiderà uno Zapatero» aveva predetto il senatore De Benedetti sul Corriere della Sera del 2 agosto. Per lui era l’annuncio di una sconfitta.

Dopo gli eventi sempre più tesi e confusi di Nassiriya, e i combattimenti sanguinosi in tutto l’Iraq, viene voglia di sperare che l’annuncio si avveri. I soldati italiani sarebbero finalmente al sicuro, uscendo da una guerra cominciata per sbaglio (chiamiamo così le notizie false fatte pervenire a Bush e Blair da servizi segreti inglesi, americani, italiani e da vari falsari del mondo), una guerra che non finisce e anzi diventa più pericolosa ogni giorno. Credo che i soldati italiani di Nassiriya sognino uno Zapatero risoluto, bene informato e coraggioso che li porti subito a casa. Non potrà accadere, con la politica da parata e da vanagloria d’altri tempi di Silvio Berlusconi, che indìce feste, pranzi e musica mentre loro saltano sulle bombe, in un Paese occupato e ostile. Dovranno aspettare le elezioni, due lunghi anni in cui i media del presidente-padrone si impegnano a distribuire notizie false, finta gloria, eventi teatrali in luoghi sicuri, e un pericolo, per i soldati italiani, che si fa sempre più imminente e più grande.

Noi sappiamo che tutta l’opposizione ripete invano la necessità del ritorno a casa dei nostri soldati. Ma gli eventi cambiano ogni momento. Sono cambiati al punto che non è più riconoscibile alcuna delle condizioni che erano state dette, vantate, ripetute, dal governo e dalla maggioranza, per inviare in Iraq il corpo di spedizione italiano.

Sentite il colonnello Tommaso Vitali: «Siamo impegnati in una missione di pace. Sarebbe assolutamente sbagliato abbandonare il controllo del territorio» (La Repubblica, 18 agosto). Perché? Quale controllo? Se la missione apparisse di pace agli iracheni, il governatore locale, che ha sostituito Barbara Contini, sarebbe ansioso di far sfilare per le sue strade i nostri soldati. Invece chiede loro di stare lontani, accampati nel deserto, di non farsi vedere. Non perché gli italiani non vogliono portare la pace, ma perché non possono. «Il nostro è un garbatissimo rispetto delle autorità locali, una richiesta che ci è stata fatta dal governatore, consapevole del fatto che è lui, ora, ad avere il controllo» fa sapere il generale Corrado Dalzini, comandante del contingente italiano, al Corriere della Sera dello stesso giorno. Da esperto militare riconosce professionalità agli attacchi contro gli italiani. Ma, da comandante scrupoloso, non dice una parola sulla missione di pace, perché sa, come sanno tutti nel mondo, che «si combatte dappertutto» (Cnn, 17 agosto).

Infatti l’aggressione è immediata non appena una pattuglia italiana esce allo scoperto, sia pure lontano dalla città che dà il nome al contingente italiano, sia pure rispettando l’avvertimento del governatore iracheno di stare lontani e non farsi vedere. Dice ancora il comandante, preciso e chiaro, nei limiti del poco che può dire: «Sono stati messi in atto artifizi di attacco che denotano un salto di qualità».

Il “salto” è meticolosamente narrato, lo stesso 18 agosto, dall’inviato de “La Stampa” Giuseppe Zaccaria. È una analisi militare allarmata e allarmante e non si vede perché i deputati e i ministri della maggioranza, che si sono assunti di fronte ai cittadini e di fronte ai soldati, la responsabilità di decidere l’invio di truppe italiane, non dovrebbero raccogliere questo allarme. Ecco i due passi fondamentali di questa analisi: «Se un anno fa i nostri soldati attraversavano la città sui VM (mezzi scoperti) mandando saluti, oggi si infilano nei blindati e girano al largo. Addentrarsi nell’abitato, oltre che pericoloso potrebbe essere ritenuto provocatorio. La definizione coniata l’anno scorso dal nostro stato maggiore non regge più, ammesso che potesse farlo all’epoca. Allora si usava dire che metà Nassiriya amava (o almeno usava) gli italiani e l’altra metà li combatteva. Adesso la proporzione è saltata, la città e il governatorato non sono affidabili, lo scontro fra poteri si è fatto duro come nel resto dell’Iraq». Ma ecco la drammatica conclusione: «Per una di quelle imprevedibili alchimie che accompagnano i rivolgimenti storici, la regione che finora era apparsa più al riparo dalle violenze che devastano l’Iraq sta per trasformarsi in prima linea. Per queste ragioni ai nostri soldati non resta che prepararsi a scontri sempre più duri».

È un testo esemplare perché serve anche a capire che chi invoca la necessità di riportare a casa subito i nostri soldati non intende dichiarare la malafede o l’errore di chi ha parlato all’inizio di missione di pace. Poteva esserlo e non lo è stato. Non lo è stato perché una guerra diffusa e senza quartiere era ed è in corso in un Paese devastato e occupato. Una missione di pace potrebbe - o potrà - essere condotta da chi potesse - o potrà - interporsi fra i combattenti. Non essere sottoposta agli ordini di una delle parti. Ma l’Iraq è il Paese in cui infuriano combattimenti, assedi, imboscate, autobomba, fuoco di mortai, cattura ed esecuzione di ostaggi, prigioni spaventose, violentissimi attacchi aerei. È un Paese in cui non ci sono organizzazioni volontarie, e nessuna unità armata può far finta - con tutta la buona volontà e mentre è costretta a combattere - di sostituirle. Non c’è alcuno stanziamento che non sia per armi. Tutti i soldi risultano spesi per la parte militare della missione. Certo, è legittima difesa. Ma se sei costretto a difenderti sparando subito e a vista (dopo “il salto di qualità” di cui parla il generale Dalzini), come fai a compiere una missione di pace?

Ciò che è accaduto il 19 agosto a una piccola spedizione della Croce Rossa italiana che ha tentato di portare aiuto a Najaf è esemplare. Uno dei veicoli è saltato su una mina. E la Croce Rossa di Roma ha rinnegato l’operazione, dichiarando di non averla autorizzata. Ma il senso è tragicamente chiaro: ogni operazione umanitaria è impossibile.

Non è disonorevole riconoscere l’errore. Ma è colpevole lasciare i soldati italiani a morire sotto comando straniero, senza conoscere strategie e piani (per esempio il senso dei brutali bombardamenti aerei, gli scontri che lasciano decine e decine di morti al giorno, come se fosse stata adottata dagli americani in Iraq la terribile soluzione Grozny, usata dai russi in Cecenia, con i risultati paurosi che il mondo conosce) senza poter stabilire e seguire una propria politica di relazioni con il Paese occupato. In queste condizioni - come si vede - non può neppure l’Onu, che infatti non c’è, non è in grado di interporsi. Chi vorrà esporre la vita dei nostri soldati ripetendo un luogo comune (la missione di pace) ormai vistosamente infondato, un luogo comune contro cui si sta rivoltando (e si rivolterà col voto) l’America?


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RESISTENZA - 20/8/04

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L’UNITA’ on-line 20-8

C’è un silenzio che mi indigna più della bandana

L’indignazione è sprecata, per uno statista piccolo piccolo e le sue turbe non più giovanili

di Giuseppe Giulietti

«Colui che prova un senso di rivolta interiore, di sdegno a causa di qualcuno che offende la coscienza morale…”, così un noto dizionario, il Sabatini-Coletti, definisce il significato della parola “indignato”. L’interpretazione, per evitare equivoci o sospetti, è precedente all’esibizione del Berlusconi in bandana e, dunque, non è riconducibile in modo alcuno a quel complotto comunista che ha inquinato le case editrici italiane e che ci è stato svelato con il consueto e implacabile rigore estivo da alcuni noti opinionisti, nei momenti di pausa tra un castello di sabbia ed i gavettoni ferragostani. Scartata, così, l’ipotesi del complotto, non ci resta che esaminare la congruità della definizione rispetto all’episodio della bandana. Il Berlusconi travestito da Alberto Sordi , con rispetto parlando naturalmente per il grande Albertone nazionale, ha suscitato rivolta morale e indignazione? Un sentimento così forte e così ricco di passione umana e civile non può certo essere riservato ad uno statista piccolo, piccolo e alle sue turbe non più giovanili. Comprendo il fastidio e l’irritazione con le quali molti hanno accolto questa ennesima esibizione, ma l’indignazione la riserverei a ben altre vicende. Berlusconi e, soprattutto Blair , un tempo astro nascente di un sedicente “centro sinistra” moderno e disinibito, in questa occasione hanno assunto le più modeste sembianze di Gianni e Pinotto. Molte coppie comiche hanno spesso un protagonista ed una spalla. Uno dei due si assume, talvolta, l’ingrato compito del “cretino”. In questo caso si potrebbe proporre un concorso anglo-italiano per assegnare i rispettivi ruoli. Una partecipazione non trascurabile potrebbe essere assegnata anche al ministro Castelli, quello che con le sue chiacchiere in libertà sta fomentando in vario modo la rivolta nelle carceri. In ogni caso questo episodio lo inserirei nella categoria delle cose di cattivo gusto, irritanti, quelle che fanno inquietare, tutte definizioni simili, ma in qualche modo attenuate, della parola indignazione. La indignazione la riserverei, invece, al silenzio omissivo e censorio che sta circondando la documentata denuncia che questo giornale, ancora una volta in scarsissima compagnia, ha avanzato in merito agli ultimi drammatici sviluppi della vicenda irachena. Nessuno si è sognato, fino ad oggi, di smentire in modo comprensibile il pieno coinvolgimento del contingente italiano in azioni e in operazioni di guerra. Nessuno si è sognato di smentire, in modo convincente, le notizie relative alle modalità della scomparsa del giornalista americano Garen, avvenuta, a quanto pare, anche dopo un duro alterco con alcuni funzionari italiani, forse dei servizi segreti. Perché Garen sarebbe stato allontanato dalla base militare? Eppure queste denunce sono state riprese ampiamente dalla stampa internazionale, e dalle grandi associazioni dei giornalisti negli Stati Uniti, in Europa e in Italia. Eppure le immagini girate da Garen parlano chiaro e ci mostrano un’autoambulanza colpita probabilmente dal fuoco italiano. Perché tanta reticenza? Di che cosa si ha paura? Perché i TG non ci hanno più mostrato quelle immagini ed eventualmente anche altre? Perché nessun TG ha ancora tentato una ricostruzione completa di questa vicenda? Eppure Garen, nelle sue E-mail, pubblicate sempre da questo giornale, ha chiamato in causa le autorità militari italiane, e la stessa Rai, descrivendo “pesanti interrogatori” che avrebbe subito insieme ad alcuni dipendenti della Rai e accenna persino ad alcune possibile censure. Nessuno ha nulla da dire? Queste notizie non sono state inserite nella rassegna stampa? Anche Garen è già finito nell’elenco dei “provocatori comunisti”? Gli “indignati” opinionisti che ogni giorno fustigano la sinistra e ne reinventano la storia in modo fantasioso e truffaldino, non hanno nulla da scrivere, non dico sulla bandana, ma neanche su questi silenzi, su queste omissioni, su queste censure che dovrebbero, queste sì, indignare la coscienza e la sensibilità di qualunque persona libera, comunque e dovunque sia politicamente collocata. Irritiamoci pure e giustamente per la bravata estiva del presidente del consiglio pro-tempore, ma riserviamo l’indignazione e la nostra determinazione ad altre cose davvero gravissime e che stanno accadendo nel Mondo e in Italia. Ha ragione Luciano Violante, il presidente del consiglio dovrà venire e subito, alle Camere per rispondere delle tante bugie che ha raccontato a milioni e milioni di italiane e di italiani. Se lo vorrà, potrà pure venire indossando la bandana, ci impegniamo, sin d’ora, a riservare la nostra indignazione alle cose che dirà o che non dirà; senza curarci affatto di bandana, di bermuda, di secchielli e di palette. Qualora invece, per l’ennesima volta, il presidente del consiglio non ritenesse di poter onorare il suo impegno parlamentare, potrebbe sempre mandare al suo posto Cesare Ragazzi, il vero mago del rinfoltimento del cuoio capelluto. 


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mercoledì, agosto 25, 2004

MEDITAZIONE - 25/8/04

MANIFESTO 25-8

Sinistra in vacanza

ROSSANA ROSSANDA

Pereat mundus, fiant vacationes. Sembra lo slogan delle sinistre. Nel governo ne succedono di tutte, Forza Italia impazza contro la Udc, la Udc contro la Lega, Calderoli contro tutti, Castelli contro la sinistra, ma l'opposizione tace, salvo per unirsi al coro di chi non si darà pace finché il Battisti Cesare, colpevole negli anni `70 e da trent'anni tranquillo cittadino in Francia, non sarà stato consegnato alle patrie galere, notoriamente vaste, fresche e sottopopolate. E pazienza se l'opposizione si prendesse qualche riposo dopo averci fatto conoscere le intenzioni sulle quali chiederà al popolo il voto per sostituire l'attuale governo, del quale esige le dimissioni un giorno sì e un giorno no. Dopo le elezioni europee, c'è una probabilità che quelle legislative avvengano nel 2005, cioè domani. Quali guasti intende sanare dei molti fatti dal Cavaliere? Il conflitto d'interesse? Le misure giudiziarie ad personam? La progettata riforma della magistratura? Le legge Maroni sulla flessibilità del lavoro? La Bossi-Fini? La riforma Moratti? Qualcuno ha ventilato che molte di esse avrebbero alle radici delle buone ragioni. D'altra parte non si rimedierà con semplici misure legislative a disposizione che hanno già modificato la costituzione materiale e formale del paese. Fra tre settimane darà alla Camera una devolution, cui ha aperto le porte la modifica del capitolo 5 votata a spron battuto dal centrosinistra.

Il governo ci lascia un deficit di migliaia di miliardi di euro, che intende coprire detraendoli dalla spesa sociale e vendendo beni pubblici. La sinistra invece che ne farà? Ripreleverà dai grossi redditi, dai patrimoni comprese rendite finanziarie? Sarebbe logico ma andrebbe detto. Inoltre una grande industria italiana non c'è più, Montezemolo invita a «ricostruirla assieme» ma con quali mezzi, priorità e garanzie per il lavoro non glielo chiede nessuno. Non l'opposizione, una cui inviata all'estero fa sapere che buona parte dell'Ulivo lo considera un premier ideale. Non solo i governi europei hanno nominato una commissione in confronto alla quale la Confindustria è un seminario di socialdemocrazia. Qualcuno protesta? E con quali ragionevoli alleanze si propone ragionevolmente di modificare il patto di stabilità?

Infine ma non per ultimo, in queste settimane l'offensiva americana contro l'Iraq è diventata selvaggia e investendo Najaf si è messa contro oltre che i sunniti gli sciiti. Mentre i nostri a Nassirya sono nella zona di fuoco. Che si aspetta per fare una pressione per il ritiro delle truppe, anche a prescindere dal povero Baldoni? Che si aspetti la vittoria di Kerry, il quale non cambierà né molto né subito?

Urge scegliere il che cosa e il come. Un programma non è una lista di buone intenzioni è una tabella di marcia cui si risponde. Ha da essere chiara, fattibile e impegnativa.

Non ce l'hanno ancora né la sinistra moderata né quella radicale. Ambedue ci intrattengono su questioni di metodo: fare o no le primarie per eleggere il leader del centro-sinistra, che è definito da un pezzo? E a che punto è la coalizione, e se è a buon punto prelude o no a una maggioranza di governo? L'Unità non si espone, tanto più che il Congresso dei Ds sarà tutto un fair play. Su Liberazione è invece in corso un dibattito acerbo se si debba andare ad una maggioranza come propone Bertinotti oppure no e chi dovrebbe decidere: la maggioranza del partito, tutto il partito, maggioranza e minoranza o partito e movimenti? E si sprecano accuse reciproche di cedimento o settarismo.

Può darsi che il caldo ci renda nervosi. E che con l'ebbrezza di settembre escano invece le idee chiare dalla sinistra. Nel solleone di agosto abbiamo visto soltanto che la borghesia ha gratificato la memoria del suo De Gasperi mentre la sinistra ha riseppellito l'ex suo Togliatti senza lasciare per un giorno la villeggiatura e mettere sul suo sepolcro un fiore né di ricordo né di elogio né di perdono.


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martedì, agosto 24, 2004

MEDITAZIONE - 23/8/04

L’UNITA’ on-line 23-8

BANNER

«Fino a quando gli Stati Uniti sono inchiodati all’Iraq da una politica ambiziosa e futile, continuerà lo spreco di tragici e inutili progetti, di tragici e inutili combattimenti. Dovremo andarcene in ogni caso. Le avventure fallite è meglio abbandonarle subito».

Edward Luttwak, New York Times, 19 luglio

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MANIFESTO 22-8

Perché restiamo?

VALENTINO PARLATO

Il reporter italiano in Iraq è scomparso. Il suo autista è stato sicuramente ucciso e ciò induce a pensare al peggio. E prima ci sono stati i carabinieri uccisi o feriti, costretti a ritirarsi fuori della città di Nassiriya. La situazione è pessima e voglio ricordare che giovedì sera in una trasmissione televisiva, in collegamento con Nassiriya non ho resistito alla tentazione di chiedere al capitano Ettore Sarli, portavoce ufficiale delle nostre truppe, «Ma perché continuate a restare a Nassiriya con la sola funzione di fare da bersaglio a tutti gli irakeni che hanno voglia di sparare?». Il capitano Sarli, ovviamente, ma con molta gentilezza, mi ha risposto che sbagliavo, che loro sono soldati professionisti e fanno cose buone e utili.

Sono rimasto delle mie idee e ho replicato che non capivo perché allora ci sia il bisogno di mandare carri armati pesanti e uno straordinario coccodrillo corazzato e anfibio, che può attraversare l'Eufrate e sorprendere quelli che ci aspettano sui ponti.

L'interrogativo, «ma che ci stiamo a fare», però non è solo mio. E non è solo mio perché la guerra in Iraq sembra diventata una guerra senza fine. In Italia anche Cossiga e Intini hanno manifestato il loro dissenso e il 27 di agosto il governo dovrà pur dire qualcosa sulla nostra inutile (autolesionista) permanenza in Iraq.

Il convincimento comune di molti non pacifisti è che le guerre si possono anche fare, non con i piedi, ma con la testa, almeno con un po' di testa. Proprio ieri Edward Luttwak, che proprio pacifista non è, in una intervista a l'Unità, dice che questa guerra è stata impostata al peggio. «Dopo le elezioni, che vinca Bush o vinca Kerry, gli Stati uniti non avranno altra scelta che perseguire la tattica del disimpegno in Iraq; gli americani sono sulla soglia dei mille soldati morti. Viene da chiedersi, ma noi italiani, che questa guerra non l'abbiamo promossa, dovremo restare impegnati fino a quando gli Usa non si disimpegneranno?

La risposta la dà sempre Luttwak: Berlusconi, seguendo la strada apertagli da D'Alema con l'intervento in Kosovo, ci ha marciato alla grande, con il risultato di diventare il beniamino di Bush. Grande successo. Ma Luttwak conclude: «La situazione degli italiani in Iraq è la stessa di chi prenota una vacanza ai Caraibi, finisce in una topaia d'albergo in una settimana di pioggia infame, ma vince al casinò». La vittoria sarebbe quella di essere diventati i favoriti di Bush: esultanza.

La settimana prossima, il 27 di agosto, il governo dovrebbe chiarire le sue intenzioni: con tutta probabilità traccheggerà, dirà e non dirà, qualcuno ricorrerà anche al latino del pacta sunt servanda. Le opposizioni, che tanto parlano di programma comune, fermandosi solo al titolo, avrebbero l'occasione di esistere come forza unitaria, almeno per un giorno, e dire: facciamo tornare a casa i nostri concittadini soldati. Aspettare qualche altro morto sarebbe piuttosto criminale e soprattutto inutile.


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sabato, agosto 21, 2004

MEDITAZIONE 21/8/04

APRILEONLINE 21-8

Pensierini (cattivi) di fin’estate

di libero dalbianco

Il dilemma che attanaglia questa vigilia di ripresa politica nelle diverse anime del centro sinistra è: come fare a condividere la proposta delle primarie di Prodi senza condividerla, inoltre come fare ad accettare Bertinotti nella rosa dei “primaristi” senza vomitare (in senso metaforico s’intende).

Prodi leader indiscusso, finchè non se ne discute, è senz’altro il simbolo più forte delle suggestioni unitarie in quella che fu l’anima ulivista, Prodi come Gesù morto e risorto non ha avuto finora veri rivali ma solo congiurati; oggi si pone il problema di costruire un “probabile” rassemblement vincente sul pirata berlusconesco ( leggi la bandana bianca come la fascia dell’allucinato Cristopher Walken, quando si gioca la vita all’ultimo colpo di roulette russa in Il Cacciatore) ma il diavolo ci mette lo zampino ed ha le sembianze del mefistotelico Bertinotti che dice: alle primarie vengo anch’io!

E che primarie saranno con un assortimento di protagonisti così variegato?

Il punto di fondo resta la natura vera del processo di ricomposizione del centro sinistra, il carattere delle cosiddetta “federazione dei volenterosi” ovverosia dei predestinati a guidare le sorti della coalizione; saranno essi in grado di unire, articolare, mescolare il caleidoscopio di posizioni, gruppi d’interesse, filoni culturali che vanno da Marini, ad Amato Rutelli, Dini, Borselli, D’Alema, Parisi, Bindi, Ruffolo ecc, così da costituire davvero un “Point Command” come vorrebbe Fassino?

Mentre ci domandiamo cosa faranno i battitori liberi, ovverosia Mastella ed il suo mastino di Nusco De Mita? Lasceranno che il gruppone si costruisca senza rivendicare alcuno spazio vitale?

In tutto questo bailamme, continua ad esistere una sinistra, cosiddetta sinistra, degna del nome?

E come sarà rappresentata, su quali temi, argomenti, valori, principi ed anche pregiudiziali si costruirà la sua prossima identità?

Sarà una elenco di buone intenzioni compassionevolmente infiocchettate nei documenti congressuali o un affare serio che si misura con i reali temi di oggi per costruire una visione ed un progetto da sinistra di questa crisi? Pace, ambiente, lavoro, welfare, democrazia, saranno slogan senz’anima o carne in cui si tempra una nuova sfida politica,

qual è il soggetto politico o quali sono i soggetti deputati e capaci di sollevare questi temi per farli essere davvero pregnanti nel programma di questa coalizione?

L’impressione è che molti siano affaccendati in tutt’altro, forse per non vedere che l’autunno riserverà un brusco risveglio a tutti e che questa crisi ormai non più strisciante, prenderà il volto di una manovra da lacrime e sangue e che nell’orizzonte del nostro governo c’è soprattutto se non solo, il cruccio di non farla pagare ai propri potenziali elettori.

In questo senso alle sparse membra della sinistra, quella che in qualche modo si ritiene ancora tale, c’è l’obbligo di raccogliersi per discutere di idee, contenuti e scelte politiche per tentare d’incidere in una fase cruciale, o adesso o davvero non più.


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