L�?UNITA�? on-line 26-7
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Riforme - la commissione approva senza il centrosinistra: non votiamo su un testo fantasma
L'Udc ritira gli emendamenti alla riforma federalista, accogliendo la richiesta del ministro Calderoli: se ne riparlerà al tavolo tecnico della coalizione, in pieno Agosto. �? quello il posto per le mediazioni e le decisioni, non il Parlamento. L'opposizione contesta la scelta e abbandona la discussione in commissione affari costituzionali. Ma la maggioranza va avanti e approva il testo, che arriverà in aula giovedì. Violante: «Casini tuteli la Camera, sospendiamo il dibattito fino a settembre». Intanto Marco Follini, al termine dell'ufficio politico dell'Udc, ottiene la convocazione del Consiglio Nazionale. Si terrà il 2 agosto. Tabacci: «Il segretario non lascia, potrebbe raddoppiare»
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CITAZIONE
Non pare proprio che Follini si sia svenduto per trenta denari. Ha dunque congelato i suoi emendamenti, ma non li ha ritirati: in mancanza di un accordo nella Casa della libertà gli emendamenti saranno ripresentati in aula. La verità è che il segretario dell�?Udc è scampato a un agguato. Se i rivoltosi, ispirati da Berlusconi, ne avessero avuto la forza, l�?avrebbero fatto fuori. Non l�?hanno avuta, e anzi dovranno riconfermargli la leadership nel prossimo consiglio nazionale, dove i rapporti di forza sono nettamente a suo favore. Il progetto di Berlusconi di barattare la Costituzione con la sua permanenza al governo è ancora aperto. L�?esito dipenderà certamente da Follini.
(Editoriale, Il Riformista 26-7)
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MANIFESTO 25-7
La settimana più lunga del cavaliere
Riforme, pensioni, Dpef: in sette giorni Berlusconi si gioca il tutto per tutto
A. CO.
ROMA
La settimana prossima, nonostante l'estate inoltrata, potrebbe rivelarsi decisiva per le sorti del governo Berlusconi e della Casa delle libertà. Lunedì mattina, di buon'ora, si riunirà per la seconda volta in pochi giorni l'Ufficio politico dell'Udc. L'esito del braccio di ferro in corso nel partito centrista condizionerà tutta la fittissima agenda di appuntamenti seguenti: il voto sulle pensioni, quello sulle riforme, forse lo stesso Dpef. Nella riunione di lunedì il segretario Marco Follini, spalleggiato da un Pier Casini che pure non ne ha condiviso sino in fondo le ultime scelte, sosterrà la necessità di confermare gli emendamenti in materia di riforme costituzionali, chiederà di rinviare la scelta definitiva al Consiglio nazionale del partito. I leader centristi ribelli faranno di tutto per bloccare questo percorso. Nell'Ufficio politico Follini si trova nettamente in minoranza. Nel Consiglio nazionale i rapporti di forza sarebbero ribaltati. Ma soprattutto il rinvio della decisione alla riunione del Consiglio nazionale, che nella migliore delle ipotesi si svolgerebbe giovedì prossimo e nella peggiore ai primi di agosto, costringerebbe la Lega a prendere una decisione sulla riforma delle pensioni senza aver prima sciolto l'incognita del voto Udc sulle riforme.
Negli ultimi giorni il Carroccio ha scelto un profilo basso e discreto, ha evitato di rinnovare pubblicamente il suo ricatto sulle pensioni. Non significa che i colonnelli bossiani abbiano deciso di ingoiare il boccone amaro. Al contrario, la Lega è più che mai decisa a mettere sul piatto della bilancia la bocciatura della riforma previdenziale pur di ottenere il semaforo verde dell'Udc sulle riforme. Quella che si sta giocando è dunque una partita sui tempi di decisione. La Lega farà il possibile per far slittare il voto finale sulla riforma delle pensioni, che approderà in aula martedì prossimo, in modo che cada dopo lo showdown interno all'Udc. I centristi, almeno in questo uniti, cercheranno invece di chiudere il dibattito parlamentare sulle pensioni prima di prendere una decisione finale sulle riforme.
Ovvio che, in una situazione tanto rischiosa, Berlusconi sia tentato dal sciogliere il nodo della riforma pensionistica col taglio netto, col voto di fiducia. Non può farlo. La Lega ha messo il veto. Il premier non esclude ancora l'eventualità di tentare l'azzardo sfidando il Carroccio. Ma si tratterebbe di un rischio enorme, un salto del tutto senza rete.
Pur di garantirsi il «congelamento»degli emendamenti sulle riforme, Berlusconi non ha esitato a sacrificare un commissario europeo popolarissimo come Mario Monti, regalando la sua poltrona a Rocco Buttiglione. In cambio si aspetta dai maggiorenti neodemocristiani un colpo di mano lunedì mattina, un golpe che imponga a Follini di «congelare» gli emendamenti oppure ne decida la sostituzione. Per evitare di consegnarsi ai cerntristi, Berlusconi ha lasciato in sospeso la nomina del nuovo ministro delle politiche comunitarie, promettendola a due udc, Baccini e il siciliano Lombardo. Come premio di consolazione per il perdente tra i due, ha fatto balenare la possibilità di una sostituzione alla guida del ministero della sanità.
Ma se le lusinghe e le ricompense (quelle già concesse e quelle promesse) non dovessero bastare, il rischio di naufragio diventerebbe altissimo. La Lega potrebbe non votare la riforma delle pensioni, costringendo Berlusconi a una pericolosissima fiducia. Gli emendamenti dell'Udc verrebbero comunque sconfitti in commissione, ma la riforma approderebbe in un'aula maggioritariamente contraria alla riforme (i rapporti di forza in aula sono infatti opposti a quelli della commissione). La stessa possibilità di incardinare in aula la riforma costituzionale prima della pausa estiva diventerebbe incerta, e il Carroccio ha già giurato che, ove non si arrivasse all'incardinamento nel corso della prossima settimana, non esiterebbe a far cadere il governo.
Dicono che, dalla Sardegna, Berlusconi stia facendo il possibile per «sciogliere il nodo» prima della settimana prossima. Per una volta c'è da giurare che è proprio così. Ne va della sua stessa sopravvivenza politica.
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CITAZIONE
La crisi della finanza pubblica dei primi anni '90 maturò dopo almeno vent'anni di finanza allegra, mentre lo squilibrio emerso in seguito alla operazione trasparenza del ministro Siniscalco è la conseguenza di tre anni nei quali il governo della finanza pubblica è consistito in invenzioni ed artifici per aspettare che una ripresa salvifica tutto risolvesse e tutto sistemasse. Ora siamo al paradosso che il governo che vi aveva puntato tutto si trova costretto a contrastarla con le misure restrittive necessarie per elevare un argine nel quale imbrigliare un disavanzo che, trattenuto finora solo da misure di cosmesi contabile, ora tende incontenibile a straripare.
(Alfredo Recanatesi, Stampa 26-7)
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ESPRESSO on-line 26-7
Torna la politica e crolla la Casa
Ora c'è il rischio che Berlusconi, per rimontare la corrente, tenti imprese caotiche all'insegna del tanto peggio tanto meglio
Edmondo Berselli
Tremonti è stato defenestrato, Bossi se n'è andato, per Tabacci la verifica resta aperta, per Bondi e Schifani non è successo niente, anche se intorno a loro tutto crolla: la demolizione della Casa delle libertà ha assunto un andamento che sarebbe grottesco se non rischiasse di essere tragico per tutti i cittadini italiani. In realtà il libro di storia che viene scritto giorno per giorno in questo luglio fatale è un Bignami che era già contenuto integralmente nel programma del centro-destra. Non era necessario studiare troppo per sapere, già nelle giornate radiose del 2001, in quelle elezioni che diedero alla Cdl una maggioranza apparentemente inscalfibile, che l'alleanza capeggiata da Silvio Berlusconi era un ibrido instabile, una destra chimera, una coalizione meticcia.
Si sapeva che il centro-destra era costituito da destre incompatibili. Era prevedibile che alla lunga partiti 'nazionali' come An e l'Udc non potessero trovare compromessi con la Lega e con quella parte di Forza Italia che è una Lega da salotti. Ciò che forse non si poteva prevedere è la commedia pazzesca che è cominciata con l'espulsione di Tremonti dal governo, e che è continuata con le consultazioni di Berlusconi, accompagnato dal suo ex superministro, con Bossi nell'ospedale di Lugano.
Viene da chiedersi che cosa abbia fatto implodere la Casa delle libertà, dopo tre anni di governo, e la risposta non è affatto semplice. �? vero che le elezioni europee dovevano essere un sismografo, e invece si sono rivelate un terremoto. �? vero che dopo tre anni al potere, trascorsi per risolvere affannosamente i problemi di Berlusconi, sono venuti fuori in modo conflittuale i problemi del governare, le questioni di merito, le pensioni, la devolution, il taglio delle tasse.
Ma poiché non si riesce a individuare un punto, un tema, un argomento che possa avere provocato lo scontro in atto, l'unica spiegazione sembra essere rappresentata dalla rivincita della politica. Esaurito il matrimonio di convenienza resosi necessario per vincere le elezioni, sprecati tre anni di attività governativa, dentro l'alleanza di Berlusconi tutti hanno cominciato a guardarsi, ognuno pensando al proprio elettorato. La riforma delle pensioni non va bene a nessuno, il taglio dei trasferimenti pubblici penalizza An e Udc che hanno bene in mente il loro insediamento elettorale, la riforma fiscale implica una visione degli equilibri sociali che mette in tensione le 'due destre'.
Detto in modo decente, si è rivelata vera la profezia secondo cui culture politiche opposte non possono stare insieme. In modo un po' più meschino, si è capito che l'incompatibilità fra i soci del centro-destra è venuta fuori tutta non appena le ambizioni di potere hanno cominciato a trovare campo libero. Gianfranco Fini e i suoi colonnelli evocano continuamente il mantra della 'collegialità', il che significa che vogliono partecipare alle decisioni economiche in funzione del loro elettorato. Marco Follini e l'Udc hanno dovuto subire la pochade di ministri già vestiti per il giuramento e costretti a togliersi precipitosamente l'abito. La Lega recita il tormentone del federalismo, già sapendo però che l'atout della devolution può, e forse deve, essere tenuto in serbo per una trattativa politica successiva. Quelli di Forza Italia si guardano intorno con lo stupore di chi non è riuscito a coagulare intorno a sé settori importanti dell'establishment.
Un governo che non sa farsi affiancare da una classe dirigente potrà invocare il 'mandato' degli elettori e chiedere di terminare la legislatura. Ma in questo momento la Casa delle libertà è un palazzo con il deserto intorno. Non ha ancora perduto il consenso ideologico, ossia il consenso di chi considera la sinistra e i 'comunisti' una tragedia nazionale; ma nell'elettorato d'opinione riesce arduo trovare sostenitori razionali del centro-destra. In queste condizioni, viene naturale compiere gesti scaramantici, affinché il crollo della Casa non trascini con sé il paese. Ma può darsi che Berlusconi tenti imprese caotiche per rimontare la corrente, alcuni exploit all'insegna del tanto peggio tanto meglio. Se è così, c'è solo da sperare nella riacquisita ingovernabilità italiana e che se non adesso, a settembre, con la finanziaria impossibile che arriva, scoppi l'ultima guerra civile nel condominio delle libertà, quella del tutti a casa.
Tutto il materiale della serie RESISTENZA, da maggio 2001, è consultabile su www.bresciablob.com
Da giugno 2003 anche al sito www.bengodi.org/resistere-a-berlusca