MANIFESTO 29-6
Alle corde
L'incantesimo si è rotto: al Cavaliere volta le spalle il suo blocco sociale
MICAELA BONGI
All'indomani della disfatta dei ballottaggi Silvio Berlusconi tira dritto per la sua strada: senza di me, è il monito che lancia agli alleati in armi, la Casa delle libertà non esisterebbe. Ma le sue parole si rivelano la fotografia impietosa di un'alleanza in frantumi. Soprattutto perché è la stessa «stella cometa», il leader che dopo la «traversata nel deserto» è tornato al governo grazie alla sua capacità di fare da collante a forze così diverse tra loro, a essersi decisamente appannata. Se le elezioni europee e il primo turno delle amministrative hanno evidenziato che Berlusconi, se non il berlusconismo, è effettivamente arrivato alle corde, i ballottaggi - a partire dalla niente affatto scontata sconfitta di Ombretta Colli nel regno di Milano e provincia - hanno confermato che l'incantesimo si è rotto. Al Cavaliere ha cominciato a voltare le spalle il suo blocco sociale. Con l'ennesima intemerata di ieri da Istanbul, il presidente del consiglio dice ora che qualsiasi manovra - reale o presunta - messa in campo per costruire una leadership alternativa alla sua, potrà avere successo solo con demolizione della Casa costruita per le elezioni del maggio 2001. Non è escluso che ciò accadrà e che alle prossime elezioni politiche si andrà non nel 2006, ma nel 2005. Anche se Silvio Berlusconi cercherà di domare le fiamme che gli divampano in Casa e giocherà tutte le sue carte, le truccherà, tenterà di cambiare in corsa le regole a suo uso e consumo, nel tentativo di non far crollare il castello. Perché se il Cavaliere può sembrare al tramonto - e probabilmente lo è - farà di tutto per restare aggrappato a un potere per lui esistenziale e, ciò facendo, continuerà a propinarci scorie che avranno bisogno di una cura radicale per essere smaltite.
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CITAZIONI
«Berlusconi perdente, pericolo incombente»
Le dichiarazioni di Berlusconi oscillano tra il falso buonismo paternalista e il delirio di onnipotenza. Accelererà sulla riforma costituzionale, anche se questo è il terreno di massimo attrito dentro la maggioranza. Come minimo vuol diventare presidente della Repubblica. Ma l'idea di restare a palazzo Chigi con poteri di vita e di morte sul parlamento e sulle coalizioni, di sovvertire l'assetto istituzionale, non l'ha accantonata. Per questo sono inquieto. Sì, perché un Berlusconi con le spalle al muro fa correre qualche brivido lungo la schiena. La realtà non può andare in modo diverso da quello che lui vuole. Se lui accelera, l'opposizione non deve dargli il tempo di realizzare quel che ha in mente. Si comincia dicendo che rinviare le elezioni regionali sarebbe normale e non si sa dove si finisce.
(Alessandro Amadori, autore di «Mi consenta», Manifesto 29-6)
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Silvio Berlusconi ormai sta proteggendo una trincea: la difende e avverte che non permetterà a nessuno di espugnarla. Il presidente del Consiglio ha perso la patina dellinvincibilità che teneva a bada la maggioranza. E i contraccolpi arrivano, puntuali. Il punto interrogativo è se Berlusconi voglia e possa prendere atto che una fase è finita.
(Massimo Franco, Corsera 29-6)
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C'era qualcosa di insopportabile in tutta questa roba del berlusconismo. Voglio dirlo brevemente: Berlusconi ha creduto di poter fare una alleanza interamente numerica, sommare le forze necessarie per governare continuando a predicare: stiamo insieme perché dobbiamo governare. Era già largamente in crisi, ma ora è organicamente destinato a disfarsi, soprattutto perché era una cosa falsa. Avere unito solo i numeri è cosa diversa dal tenere unite delle idee. Berlusconi s'è affacciato con la pretesa di essere una nuova destra, ma era solo un'operazione tecnica, numerica. E' lì la radice del suo fallimento.
(Vittorio Foa, LUnità, 29-6)
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LIBERAZIONE 20-6
In morte del berlusconismo
Berlusconi ha fallito sui due piani della sua strategia: il populismo e il liberismo.
Ritanna Armeni
Il verdetto è pressoché unanime. Il "berlusconismo" è finito. Morto nel luogo in cui era nato, nella "Milano da bere" di craxiana memoria, nel suo feudo più forte, nella sua capitale. La capitolazione era attesa dopo il risultato delle elezioni europee e amministrative, ma non riduce l'importanza del fatto, né le sue conseguenze nella società e nella politica italiana. Perché quello che si è concluso a Milano, proprio là dove nel 94 era in iniziata la grande avventura di Silvio Berlusconi, è un ciclo politico, un sistema che solo qualche mese fa pareva fortissimo e destinato a durare.
Berlusconi, imprenditore, proprietario di tre reti televisive, si presenta negli anni 90 come l'uomo nuovo, capace di dare al paese la svolta impedita da anni di mediazione e concertazione fra due grandi partiti, di rompere con l'assistenzialismo democristiano e di sconfiggere il grande pilastro dell'ideologia di sinistra (il diavolo comunista). In poche parole con quell'equilibrio di potere e di poteri che è stata la Prima repubblica.
La sua visione della stato e del paese - non si stanca di ripetere - è quella di una azienda, la sua azienda. Efficiente, veloce, competitiva. Un'azienda che rende ricchi tutti coloro che ne fanno parte purché seguano gli ordini del capo. Il parlamento, il sindacato, le forze sociali, le corporazioni, i giornali e anche i gruppi di, potere sono in questa logica un intralcio, un rallentamento al progetto liberista e modernizzatore che creerà molte ricchezze. Agli altri, a coloro che da quelle ricchezze sono lontani o sono troppo deboli per accedervi il capo di Forza Italia offre una populistica compassione.
Con questa ricetta ha tenuto insieme le forze politiche, Lega, Alleanza Nazionale, UDC, che oggi formano il centro destra.
Una violenta ideologia anticomunista il collante che entrava in funzione nei momenti di crisi e lo ricongiungeva con l'uomo qualunque. Il dominio sui mezzi di comunicazione di massa il modo per entrare direttamente in contatto con il popolo, per rivolgersi a lui a di fuori delle organizzazioni della società civile e delle istituzioni.
Berlusconi, dicono oggi le urne, ha fallito. Ed ha fallito sui due piani della sua strategia: il populismo e il liberismo.
La crisi quindi è aperta. Tutte le domande che la società ha fatto a Berlusconi e al berlusconismo sono rimaste senza risposta.
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ESPRESSO on-line 29-6
Il dopo Berlusconi è già cominciato
Prima del voto sembrava una assurdità - Ora è il banco di prova e di coraggio dei leader del centrodestra
Edmondo Berselli
Fatti i conti, Silvio Berlusconi è l'unico vero grande perdente delle elezioni europee. Sostenere il contrario, ovvero che l'area di governo ha tenuto (a differenza degli altri governi europei di destra e di sinistra puniti dagli elettori) è un escamotage retorico, poiché confonde il voto proporzionale con il voto maggioritario. Si votava per i partiti, e il partito del capo del governo ha preso una mazzata storica. Semplice avviso di medio termine, senza conseguenze sulla leadership di Berlusconi? È una diagnosi troppo misericordiosa. Secondo un osservatore attento alle implicazioni collettive e sociali dei processi politici, Ilvo Diamanti, il voto del 12-13 giugno ha sancito la fine di un 'irreality show' durato dieci anni.
Le conseguenze sono ancora tutte da valutare, perché è probabile che le tensioni dentro la Casa delle libertà possano salire molto di tono: è indicativo ad esempio il caso di Bergamo, con la scelta leghista di invitare al voto per il candidato del centrosinistra; mentre sarà di qualche interesse vedere l'esito del voto per la Provincia di Milano, che a questo punto assume quasi il senso di un giudizio di Dio sulla tenuta della coalizione e dell'elettorato di centrodestra.
Berlusconi aveva tentato di operare uno scambio immediato con la Lega: la promessa dell'approvazione della devolution in cambio dell'appoggio ai ballottaggi. Cioè un vantaggio tattico spicciolo barattato con la riforma della Costituzione. Può darsi che nemmeno questo basti. In parte perché l'asse con il movimento di Bossi costituisce un punto di conflitto stridente con gli altri due alleati, Udc e An; ma anche per ragioni più ampie e profonde.
Negli ultimi mesi, infatti, il capo di Forza Italia ha dato l'impressione di avere perso la spinta. Le convention principali (l'assemblea per il decennale della 'scesa in campo' e il congresso del partito) sono apparse una scontata ritualità celebrativa. I discorsi pubblici si sono rivolti all'indietro, ripescando un repertorio consunto. La stessa campagna elettorale è stata deludente, ai limiti dell'incomprensibilità, al punto da segnalare una distanza inedita tra le attese dell'elettorato che aveva creduto nel sogno azzurro e il fiacco messaggio attuale del leader.
Da un lato, allora, finisce la sintonia fra il 'popolo' e l'Unto. Per un altro verso, gli alleati Udc e An reclamano un riequilibrio. E mentre Gianfranco Fini ha attaccato il potere di Giulio Tremonti, punto di raccordo tra Forza Italia e Lega, Bruno Tabacci è andato per le spicce, e ha rivolto l'attacco direttamente sul Cavaliere. La sua iniziativa, la richiesta di un nuovo governo Berlusconi, è stata giudicata diplomaticamente come una opinione personale. Ma la schiettezza di Tabacci, un politico serio e duro, rende chiaro che in questo momento nella Casa delle libertà c'è un problema Berlusconi, e che in futuro si delinea il problema del post Berlusconi.
La prospettiva sarebbe inquietante per il Cavaliere se si ricordano le parole di Fedele Confalonieri, "finirà come a Piazzale Loreto". Ma naturalmente non c'è alcun bisogno di eventi traumatici. Per la prima volta in dieci anni la politica fa sapere che forse non c'è più bisogno della figura di Berlusconi come perno del sistema politico italiano, artefice del bipolarismo, titolare del contratto con gli italiani.
Dipenderà anche dall'ambizione e dalle capacità delle maggiori figure politiche del centrodestra, ma per il paese, la società italiana, l'opinione pubblica comincia a profilarsi la possibilità di accompagnare gentilmente all'uscita Berlusconi. Ciò che prima era un'assurdità oggi è un barlume. Se si fa strada l'idea che la normalizzazione dell'Italia contemporanea passa anche attraverso la normalizzazione di Berlusconi, ci sono due vie per arrivarci: il logoramento quotidiano, fra le contraddizioni della maggioranza, gli strappi in avanti e le battute d'arresto; oppure l'invenzione di un salvacondotto politico: non il sacrificio del capo, bensì la sua neutralizzazione. Anche se è chiaro che per neutralizzare Berlusconi ci vuole il coraggio di rischiare la propria faccia. E toccherà ai capi del centrodestra decidere se restare sotto lo scudo del Cavaliere declinante oppure tentare un colpo di fantasia politica.
Tutto il materiale della serie RESISTENZA, da maggio 2001, è consultabile su www.bresciablob.com
Da giugno 2003 anche al sito www.bengodi.org/resistere-a-berlusca