MANIFESTO 28-5
Il comizio di guerra
Berlusconi scatenato: «Basta con le tasse. E con l'autogoverno della magistratura»
ANDREA COLOMBO
Si presenta di fronte alla platea col sorriso smagliante, saluta alla Fonzie, si produce subito in tre esempi a mitraglia di cosa voglia dire avere faccia tosta in politica. I leader dei partiti della Casa delle libertà hanno preferito non unirsi alle comparse di Assago, e vagli a dar torto. L'affronto è palese, ma Berlusconi sa come girare la faccenda: «Mi hanno chiesto se dovevano venir, io gli ho detto di continuare il loro lavoro». Impagabile. E tutte quelle accuse sul dominio che proprio lui eserciterebbe sul sistema radiotelevisivo per intero o quasi (ci sono anche le telecamere di Sky, che trasmettono il discorso in versione integrale). Il capo non si giustifica. Fa di meglio: capovolge la realtà: «Non ripagheremo gli avversari politici con la stessa moneta. Non li distruggeremo personalmente e umanamente, non utilizzeremo il sistema radiotelevisivo come nei sistemi totalitari». E' già da applauso, ma re Silvio supera ogni record quando proclama: «Forza Italia ha introdotto una nuova moralità nel modo di fare politica». Dice proprio così, incurante del ridicolo, senza preoccuparsi del sin troppo facile doppio senso. E poi: «Il nostro sogno, cambiare l'Italia, è già realtà. E' storia». Non che abbia torto, purtroppo.
L'intero e costoso allestimento del congresso finto serve solo a dar risalto a questo discorso. La prima donna non può dunque limitarsi alle battute facili. Stravolgere la realtà è utile, ma non basta. Le elezioni si vincono con le promesse. E la promessa arriva. Forte, chiara, difficilmente mantenibile. «Il taglio delle tasse s'ha da fare, come scritto nel contratto. Intendo assolutamente realizzare il taglio fiscale non solo per rispetto della parola data ma anche perché rappresenta la principale leva per rilanciare la nostra economia. Il taglio delle tasse per tutti è il colpo di frusta».
Non c'è bisogno di perder tempo a spiegare come e con quali fondi il mago di Assago intenda realizzare l'ambizioso impegno. Si sappia però che «da alcune settimane i dati economici ci dicono che ci sono promettenti segni di ripresa. Va molto meglio dell'anno scorso». Cosa si può chiedere di più.
Oltre alle promesse, servono i nemici. In primo luogo, quelli più odiati, quelli che indossano la toga. Berlusconi non li ha dimenticati. Non che intenda «fare la guerra alla magistratura», esordisce. Però, «bisogna superare l'attuale sistema di autoreferenzialità dell'ordine giudiziario. Forza Italia considera proprio dovere storico e istituzionale ricondurre la democrazia italiana nel proprio alveo sistemico. Nessuno si può trovare in condizione di irresponsabilità. Nell'ordine giudiziario vige un sistema di autoreferenzialità, ovvero si controlla da se medesimo. Fino a che non ci saranno nuove forme di indirizzo, nel nostro paese non sarà compiuta la democrazia liberale». Contrariamente alla premessa, si tratta di una dichiarazione di guerra. Totale. Inaudita. Mai Berlusconi si era spinto fino ad affermare che il suo programma è eliminare l'autogoverno della magistratura. Proprio così si traducono in italiano corrente le sue parole di ieri ad Assago.
L'attacco contro l'opposizione è violentissimo, ma scontato. Quello dell'opposizione «è solo un cartello elettorale», il tentativo di ripetere «la truffa del `96». E poi con che coraggio, dopo averlo «mandato in esilio nel `98», ricandidano quel Prodi, che tra l'altro «della pace e dell'Iraq non gli importa nulla: è un meschino che fa prevalere le ragioni della solita politichetta e del calcolo personale»? Non che ci si possa aspettare altro da gente come Massimo D'Alema, che «si è vantato di essere un vecchio bolscevico». Fossero gente seria, quelli dell'opposizione candiderebbero il loro vero leader. Chi? Ovvio, «Fausto Bertinotti».
Resta spazio solo per un ultimo argomento, buttato lì come se nulla fosse: la guerra in Iraq. Il loquace Berlusconi in materia ha poco da dire. Conferma che l'Italia «resterà in Iraq», però, sia chiaro, continuerà anche «con le sue proposte affinché l'Onu abbia un ruolo guida». Per quelli che dovessero giudicare tanta stringatezza eccessiva, in un discorso durato oltre due ore, il capo di Forza Italia aggiunge una sua articolata analisi della crisi irachena: «Ci sono 24 milioni di cittadini che vogliono la pace, e ci sono 5mila miliziani che tentano di imporre una nuova dittatura». Semplice, semplice. Come la tv addomesticata. Come i congressi finti.
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REPUBBLICA on-line 28-5
Il non-congresso del Cavaliere
Una specie di sosia chirurgico del Berlusconi dun tempo: spento, banale, verboso, noioso e volgare
di CURZIO MALTESE
ALL'ENTRATA del mausoleo vivente di Assago la prima cosa che viene in mente è la vecchia e insuperata definizione del Berlusconi politico data dieci anni fa da Fedele Confalonieri: "Un Ceaucescu buono". A parte l'aggettivo e lo sfarzo, entrambi generosi, non è il caso di chiamare congresso questo soliloquio elettorale lungo tre giorni. Ieri Berlusconi ha illustrato i miracoli compiuti. Oggi parlano direttamente i miracolati, ministri e sottosegretari. Domani si chiude con altri miracoli promessi, dalla riduzione delle tasse in giù. Il dibattito non è previsto, la sola idea di una mozione di minoranza fa sorridere. Nel momento di massima crisi, il partito azienda si rinchiude nel luogo più finto di Milano, il Forum di Assago, per celebrare il più irreale dei riti, il "non" congresso. Tutto è perfettamente prevedibile, come a Disneyland e nel realismo socialista.
Le gigantografie del leader, i cori bulgari, il discorso autocongratulatorio. Più alcuni simboli dell'Occidente in versione berlusconiana: i laser da discoteca, i fondali televisivi, il karaoke e tanto fumo. Una curiosità, nel cielo televisivo alle spalle del palco compaiono di colpo le nuvole, troppe. Gli organizzatori le notano, si lamentano e con un colpo di mouse le nuvole spariscono prima dell'arrivo del capo. Ma l'incubo della sconfitta incombe sull'azzurro cielo di Forza Italia. I sondaggi ufficiali indicano il partito azienda inchiodato al 21% da mesi, nonostante l'inutile spargimento di miliardi. Quelli ufficiosi addirittura lo segnalano sotto il 20. Altro che "governo decennale": uno sprofondo azzurro. D'altra parte Berlusconi è l'unica risorsa del movimento e da un po' di tempo non azzecca mezza mossa. Ha appena fatto ritirare la gran parte dei cartelloni trionfali 3x6, con i quali aveva tappezzato l'Italia per la modica cifra di 25 milioni di euro, dopo aver scoperto dai soliti sondaggi che si stavano trasformando in boomerang elettorali.
C'è un limite anche alla fede nei miracoli. E dire che i berluscones si erano spellati le mani, plaudendo al genio del grande comunicatore. Se c'è qualcuno che può distruggere Berlusconi non sono le ondivaghe opposizioni, è la sua corte. Basta guardare le facce in prima fila ad Assago, da Schifani a Baget Bozzo, e la speranza luccica.
Al resto ci pensano gli alleati. Nel giorno della gran parata elettorale si sono impegnati tutti a guastare la festa. Il quasi ministro Luca Montezemolo ha sparato bordate da non credere dalla presidenza di Confindustria. La consegna dei berluscones è far finta di non aver capito ma al congresso forzitaliota volano commenti pesanti sul successore di D'Amato. Gli alleati di governo Fini e Follini disertano Assago accampando scuse improbabili come gli "impegni per le amministrative assunti in precedenza". In precedenza? L'Election day è stato deciso da un paio di mesi, il congresso di Forza Italia da 7. Chi va oltre è al solito Casini, ormai idolo della sinistra, che sceglie il giorno giusto per cantare il de profundis del personalismo in politica: "Non c'è futuro per i solisti". Si riferirà a Berlusconi? E a chi sennò?
Per spazzare via tutte queste nubi dai cieli azzurri di Forza Italia ci vorrebbe il Berlusconi del '94 o quello del 2001. Qui alle porte di Milano è invece sbarcato dall'elicottero una specie di sosia chirurgico, spento, banale, verboso e noioso all'inverosimile, volgare nella consueta raffica di insulti a Prodi. Pignolo nell'elencare gli invisibili miracoli del suo governo. Come fece nel '99 al congresso di partito l'allora premier D'Alema, proprio alla vigilia delle elezioni europee, avviandosi con incrollabile ottimismo al fatale appuntamento con la realtà.
Il vero miracolo oggi sarebbe far credere agli italiani che sono più ricchi, felici e sicuri. Lo sa Berlusconi e lo sanno perfino i cortigiani che sgomitano in prima fila per farsi notare dal palco. Le bancarelle del congresso vendono titoli che un giorno potrebbero suonare profetici, "Cambiamo rotta" di Franco Frattini, "La nuova strada" di Ferdinando Adornato, "Destra e sinistra" di Sandro Bondi, vero specialista in materia. Chissà se li rivedremo varcare ancora il Rubicone, magari in compagnia di "don Gianni", omonimo del Baget Bozzo che in piena Tangentopoli esaltava i magistrati e intimava a Craxi di chiedere scusa al popolo. Oggi si commuove quando Berlusconi cita l'amico Bettino fra i padri del movimento. I solisti in politica non avranno un futuro ma per i coristi un posto si troverà sempre, anche quando i nostri figli ci domanderanno se davvero c'era una volta un partito chiamato come un grido da stadio.
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CORSERA 28-5
Un altolà preoccupato ad alleati e avversari
Lelettorato è deluso ed i poteri forti prendono le distanze da Berlusconi
di MASSIMO FRANCO
Linquietudine affiora dietro un orgoglio obbligatorio, in vista delle elezioni di giugno; e spinto per due ore fino ai limiti dellautocelebrazione. La segnalano linsistenza con la quale ieri, al secondo congresso di FI, Silvio Berlusconi ha sottolineato la «moralità del rispetto degli impegni presi»; lammonimento che il programma del 2001 è stato presentato agli elettori «in pieno accordo con gli alleati della coalizione»; e la dichiarazione tanto solenne quanto in apparenza superflua, che il suo è e rimarrà «un governo di legislatura». Sventolando il «Contratto con gli italiani» di tre anni fa, ha scandito: «Da quel contratto non è ammesso il balletto dei governi dei 50 anni che ci hanno preceduto». Berlusconi sembrava parlare non al proprio partito, ma a Pier Ferdinando Casini, Gianfranco Fini, Marco Follini: gli alleati che ieri, dietro lo schermo diplomatico di «altri impegni elettorali», hanno disertato la tribuna degli ospiti. La loro assenza è stata percepita come la conferma del comandamento del «fai da te», dominante in questa campagna europea perfino in una coalizione compatta come il centrodestra. Il capo del governo non li ha mai citati esplicitamente. Lunico alleato evocato con affetto è stato quello assente per malattia: il capo della Lega Nord, Umberto Bossi; e gridando «Forza federalismo», è stato rilucidato lasse con i lumbard.
Ma lavvertimento obliquo sul governo di legislatura è, in primo luogo, per An e Udc. Nella maggioranza si è parlato di una resa dei conti dopo il 13 giugno; comunque, di un robusto rimescolamento dei ministeri, dando per scontato un riequilibrio dei rapporti di forza interni. Ieri, invece, il premier ha cercato di troncare in anticipo qualunque ipotesi di «Berlusconi bis» o, peggio, di un esecutivo diverso. Contrapponendo il proprio record di longevità ai tre governi ulivisti nati e morti fra il 1996 e il 2001, ha scandito: «Con noi questo non cè stato, non ci sarà, non ci potrà essere mai».
E un segnale alla maggioranza, destinato tuttavia a superarne i confini; a mettere in guardia tutti i poteri e le istituzioni che Berlusconi sospetta di tramare contro di lui, di voltargli le spalle. La stessa freddezza verso il governo notata in mattinata allassemblea della Confindustria è un campanello dallarme per Palazzo Chigi. E la difesa del federalismo fatta da Berlusconi al congresso di Assago è stata letta come una replica immediata al nuovo presidente degli imprenditori, Luca di Montezemolo, oltre che come una rassicurazione alla Lega. Eppure, rimane il tarlo di una «demoralizzazione» del Paese, che per la prima volta il capo del centrodestra teme di non riuscire a fronteggiare e a sconfiggere come in passato.
La scelta di espressioni tipo «colpo di frusta», «choc positivo», «scossa» è stata rivelatrice. E come se Berlusconi avesse captato una battuta darresto di quello «slancio vitale», che addita come peculiarità della propria tribù elettorale; e vedesse una fastidiosa nebbiolina sull«alba» psicologica dellesercito di FI. Il rilancio del «taglio delle tasse per tutti» suona come lestrema magia per risvegliare lentusiasmo di un elettorato che magari continua a detestare la sinistra; ma comincia a mostrare una delusione crescente nei confronti delle promesse e dei fatti rivendicati da Berlusconi.
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WWW.APRILEONLINE.INFO 28-5
Forza Italia contro tutti
Il disperato tentativo del premier di riguadagnare consensi
[Nicola Tranfaglia]
Si può chiamare congresso quello che si è aperto ieri ad Assago per Forza Italia, il partito di maggioranza relativa nel nostro parlamento, quello che nelle ultime elezioni politiche e amministrative ha ottenuto il maggior numero di voti?
La domanda non è oziosa ma deriva dal fatto, come narrano le cronache, che allassise partecipano, accanto ai delegati eletti dalle assemblea, altrettante persone che partecipano di diritto e che sono tutte scelte dalla presidenza del partito, vale a dire da Silvio Berlusconi in persona.
Che si tratti peraltro di un puro fatto mediatico e legato alla propaganda elettorale emerge persino dal Foglio di Ferrara e da una dichiarazione di Bobo Craxi che ne parla come di un modo per aggirare la par condicio.
A questi elementi è da aggiungere che nei rari congressi svolti finora di solito non si parla della politica del partito ma soltanto (assai male) degli avversari trattati tutti senza distinzione come comunisti.
Limmagine più vivida della sporadica attività congressuale del partito di Berlusconi è, infatti, quella dellautunno 1997, sempre ad Assago, quando il leader maximo arrivò al congresso sbandierando alcune centinaia di copie del libro nero sul comunismo che in gran fretta aveva fatto tradurre dalla casa editrice di famiglia per esibirla in tutte le tv a riprova dei loschi progetti dellUlivo che allora governava.
Questa volta, invece, di nuovo cè lostentata diserzione di Fini e Follini che politicamente ha un significato preciso: dopo una campagna elettorale che ha visto Forza Italia contro gli alleati per difendere le sue percentuali e mascherare il fallimento del governo, questi ultimi reagiscono e si preparano a fare i conti dopo il 13 giugno. Lintervista di Bruno Tabacci di ieri è molto chiara al riguardo.
E in ogni caso c'è una variante rispetto al '97. Silvio B. ha parlato ancora una volta dei comunisti, cattolici oppure no, che guidano lopposizione, e ha paragonato per lennesima volta a terroristi quelli che intendono manifestare pacificamente per larrivo di Bush a Roma il prossimo quattro giugno.
Ma poi ha dedicato la maggior parte del tempo, confondendo in un unico Ente governo e partito Forza Italia, a illustrare le opere fatte nei primi tre anni del suo potere.
Operazione necessaria per due ragioni di fondo. La prima è che, come ha sottolineato Adornato in Ballarò laltra sera, il presidente del Consiglio deve reagire alla nota e diffusa ostilità che i mezzi di comunicazione, e in particolare i giornali, nutrirebbero nei suoi confronti. E qui siamo al delirio giacché basta leggere con un minimo di attenzione la stampa quotidiana e settimanale per rendersi conto che laffermazione è del tutto infondata.
La seconda ragione è che gli italiani non avvertono dopo tre anni i benefici di cui parlano i manifesti e dunque occorre convincerli in ogni tribuna, a cominciare da quella di Assago.
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IL FOGLIO 28-5
EDITORIALE
Sul perché non ci fidiamo più di Berlusconi (e che cosa questo significa)
Gentile presidente, le diciamo perché non ci fidiamo più di lei e che cosa questo significa (...) Che cè che non va? Cè che lei non guida il paese entro una misura minima di ordine politico, e la sua coalizione e perfino il suo movimento le si sottraggono o le si sottomettono, ma non fanno luce, non producono un linguaggio nuovo, non sono ancorati a nullaltro che non sia un rapporto nevrotico con la sua capricciosa personalità. Cè che lei ha prodotto una classe dirigente cui continua a mancare, salvo rarissime eccezioni, lamore per la cultura e per la politica stessa, cioè una cura minima del senso di marcia di unopera che dovrebbe essere collettiva e pensante, ma risulta invece in moltitudine sparsa a caccia di varie ed effimere convenienze. Certo che è un bla bla, questo che le scriviamo, certo che sono chiacchiere incompatibili con la cultura del fare di un imprenditore milanese orgoglioso della sua estraneità alla politica istituzionale. Ma dopo avere sposato, interpretato, accarezzato con simpatia non servile la sua parola, per tanti anni e con lalta redditività politica ricordata prima, ora la sentiamo muta. Perché cè un problema di soglia. Lei, gentile presidente, continua a nutrire lillusione che si possa stare in politica da imprenditore curando di diventare sempre più ricchi e sempre più indifferenti alla soluzione di un gigantesco conflitto di interessi che i suoi nemici attaccano per le ragioni sbagliate, e con la coda di paglia, ma che per i suoi amici non ossequienti esiste, ed esiste anche per lei. Lei pensa che si possa annunciare la riforma dellarticolo 18 e poi mollarla lì con un gesto di stizza e di stanchezza. Che si possa annunciare la riforma delle pensioni e la rivoluzione fiscale promesse lasciando che con il tempo tutto si insabbi e si rimpicciolisca fino allinvisibilità. Lei pensa che la riforma istituzionale sia una penosa necessità, e vediamo che succede. Lei pensa che la riforma della giustizia sia laspetto vano e astratto della concreta e sacrosanta battaglia per bloccare coloro che le scaraventano addosso personalmente la giustizia politica: gli altri, e i loro diritti civili, vengono tanto dopo che non si vedono più. Lei pensa che si possa tirare avanti con la neutralizzazione dellinformazione e della discussione pubblica, lasciando più o meno ai suoi avversari le loro caselle, eliminandone alcune con censure goffe, conquistandone altre nella logica della solita blandizie verso il potere, non producendo niente di serio e di nuovo, e cioè nuovi spazi di libertà politica, in attesa che qualche nuovo potere editoriale arrivi e pieghi le ginocchia a lei personalmente, come fanno (con la riserva di rivoltarsi al momento giusto) i soliti padrinati dellemittenza pubblica. Lei pensa che tutto le sia dovuto, che gli alleati siano azionisti di minoranza della sua azienda, che gli amici siano famigli o strumenti, che le idee contano solo se si traducano in scoop vincenti nel mercato dellimmagine personale del leader. Lei rifiuta categoricamente di comprendere laltra parte del paese nelle sue sfumature e diversità, e ritiene che basti staccare la cedola dellincomunicabilità e della reciproca delegittimazione ideologica, magari teorizzando lamore contro lodio: così tutto si semplifica in modo avvilente, le istituzioni si irrigidiscono in una contesa corporativa di un tedio bestiale, e la società non è scossa e rivoluzionata da idee nuove e dalla passione di governare, persuadere, spiazzare, sorprendere. Insomma, oltre una certa soglia la sua simpatia, il suo genio e talento personale, la sua cocciutaggine e libertà di tono, anche nelle peggiori gaffe, diventano un materiale povero, una ripetizione coatta di automatismi senza più senso. Non cè pregiudizio né gnagnera moralistica in tutto questo nostro dire: cè un senso di sbadiglio che vorremmo allontanare. Siamo stati cantori del berlusconismo e della sua autoironia, su spartito scritto da noi stessi, e di fronte alle sue vanità o al grottesco culto spirituale del Capo ci siamo anche compiaciuti di dire che lei andava accettato così comè: non è il presidente del Consiglio, è Berlusconi. Ora non ci fidiamo più di lei e della fiducia allegra, ma non assoluta, che in lei abbiamo risposto per tanti anni. Dopo esserci battuti a lungo e con tenacia (battaglia vinta) per una persona avventurosa che era una politica e insieme la riforma possibile della politica, nel 94 e nel 2001 e negli anni attraverso, abbiamo poi aspettato una politica di là dalla persona, ma invano. Se la cosa la interessa, ma è dubitabile, veda un po che cosa può fare. I tempi sono così grami che il sostegno alla sua opera non ha alternative, e forse questo a lei può bastare, per quello che conta. Noi vorremmo anche poterla apprezzare, lOpera. Ma è tardi, sempre più tardi.
Tutto il materiale della serie RESISTENZA, da maggio 2001, è consultabile su www.bresciablob.com
Da giugno 2003 anche al sito www.bengodi.org/resistere-a-berlusca