venerdì, settembre 26, 2003

L’UNITA’ on-line 25-9

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«Questo premio ricevuto a New York mi riempie di tristezza perché è solo un gesto politico e Berlusconi non se lo merita. La situazione creata in Italia dall’attuale governo è tragica. Non mi spinge certo al rimpatrio». George Pavia, avvocato. Vive negli Usa dal tempo delle leggi razziali.

Corriere della Sera, 24 settembre

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IL RIFORMISTA 25-9

Anschluss

Cari investitori americani, «l'Italia è oggi un paese straordinario per fare gli investimenti e la riprova è che il presidente del Consiglio vi ha investito tutti i suoi soldi. Credo sia un buon argomento». «In Italia ci sono 5 milioni di imprenditori, quasi la metà di quelli che ci sono in Europa, abbiamo anche delle imprenditrici. Ma un motivo in più per investire in Italia è che ci sono anche delle bellissime segretarie». «I giudici comunisti hanno eliminato i cinque partiti di ispirazione atlantica che non hanno potuto presentarsi alle elezioni del '94. Se avesse vinto il Pci, con il suo 34%, che con il sistema maggioritario sarebbe diventato l'85%, l'Italia avrebbe fatto un passo indietro sulla strada della libertà e della democrazia». «Il mio governo ha abolito le imposte sulle successioni: l'invito a questo punto sarebbe, venite a morire in Italia... toccate tutto, fate pure». Aspettando l'Anschluss.

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MANIFESTO 25-9

Berlusconi: comprate la mia Italia

«Investite nel mio paese: l'ho liberato dai comunisti, lavoro flessibile, belle ragazze e pensioni riformate»

«Venghino signore e signori». Anzi, «ladies and gentlemen», perché stavolta il grande venditore di Arcore sta smerciando i suoi prodotti nel tempio del mercato americano, a Wall Street. Per convincere gli imprenditori a investire, vende la «sua» Italia. Un paese «finalmente stabile»,«il più americano d'Europa». Portate da noi i vostri capitali, perché l'Italia di Forza Italia è la nazione «con il mercato del lavoro più flessibile d'Europa», dove le pensioni «verranno toccate», e poco male se i sindacati sciopereranno: «E' il loro mestiere». Un posto tranquillo, dove i comunisti quasi non ci sono più: «Erano il 34%, oggi sono solo il 16%». Merito suo, dell'imprenditore «entrato in politica per evitare che il mio paese cadesse nelle mani del comunismo, dopo che i giudici di sinistra avevano eliminato tutti i cinque partiti democratici e occidentali».

E poi in Italia ci sono le segretarie: «Bellissime». Per fortuna non aggiunge che sono pure disponibili. Ma la gaffe arriva lo stesso: «Venite a morire in Italia: ho abolito le tasse sulla successione».

A New York, il cavaliere aveva un'altra merce da piazzare: la sua immagine di antifascista, danneggiata dalle sparate sull'animo gentile del cavalier Benito. All'Hotel Plaza Berlusconi viene premiato dall'ebraica AntiDefamation League, un'associazione pronta a perdonare tutto, perché, come dice il suo leader Abraham Foxman, «ci piacciono Bush, Sharon e Berlusconi». Introduce l'amico Rupert Murdoch, e ricorda che il re delle tv italiane «si è distinto nella guerra in Iraq alleandosi con l'America mentre altri facevano i bulli».

I 500 selezionati ospiti applaudono, ma l'ombra delle frasi su Mussolini resta. Fino a che Berlusconi non la dissipa. Tutta colpa dei rossi: «Bisogna capire che se la sinistra mi paragona al duce, io un minimo devo difendermi».

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Serata con Berlusconi, senza par condicio

GUIDO AMBROSINO

BERLINO -- I tedeschi, soprattutto quelli che meglio conoscono e più amano l'Italia, sono passati nei primi tre mesi di presidenza berlusconiana dell'Unione europea da uno choc all'altro: dal capocomico in cerca di attori per il ruolo di kapò in un film sui lager, al capostorico convinto che Mussolini non abbia ucciso nessuno. Lo sconcerto spiega l'interesse con cui il pubblico ha seguito, domenica scorsa, un dibattito sull'Italia organizzato a Berlino nell'ultima giornata del Literaturfestival. Questa festa della letteratura, giunta alla terza edizione, ha offerto dal 10 al 21 settembre a più di cento scrittori venuti da tutto il mondo un'occasione per incontrare il pubblico. E siccome il direttore del festival, Ulrich Schreiber, non crede che la letteratura possa chiudersi in una torre d'avorio, si è parlato anche di politica.

Per il dibattito su «Come va, Italia?» nessuna par condicio, visto che, come spiega Schreiber, Berlusconi di media ne ha abbastanza. Sul podio nelle Sophiensäle si è ritrovato il drappello di punta dell'opposizione dal basso al berlusconismo. Paolo Flores d'Arcais, direttore di MicroMega. Francesco Pardi e Paul Ginsborg, animatori della dissidenza fiorentina. Marina Astrologo e Edoardo Ferrario, portavoce dei girotondi romani. E Giovanni Bachelet, uno dei garanti di «Libertà e giustizia». Oratori prevenuti, con un pubblico anch'esso largamente prevenuto, si potrebbe obiettare. Ma, anche volendo, sarebbe difficile trovare a Berlino un auditorio ben disposto nei confronti della squadra opposta.

Domenica sera è seguita una «festa di protesta» al Pfefferberg, una ex fabbrica di birra trasformata in centro culturale. La festa era organizzata da «Stop-Berlusconi», una Bürgerinitiative - da noi si direbbe «iniziativa civica» - di berlinesi, per metà italiani e per metà tedeschi, convinti che gli europei abbiano il diritto e il dovere di interessarsi alle «anomalie» forzitaliote, indipendentente dal passaporto che hanno in tasca. (Per non illudere il lettore sulla neutralità di questo resoconto, meglio chiarire che anche chi scrive ne fa parte).

Al Pfefferberg gli stessi ospiti del Literaturfestival hanno discusso con l'editore Klaus Wagenbach, appassionato scopritore di autori italiani, e il politologo Ekkehart Krippendorff, che ha insegnato a lungo anche in Italia. E con un pubblico in parte diverso da quello del pomeriggio alle Sophiensäle, forse più eterogeneo: operai emigrati e professori, eleganti esponenti della Toskana-Fraktion e studenti squattrinati, ingegneri e artisti. Fino a comprendere la componente no/newglobal. Sul podio anche Ann Stafford, testimone delle violenze della polizia al G8 di Genova.

Sono sopraggiunti a sorpresa Gerhard Schröder e la moglie Doris Köpf, anche se solo in effigie: due sagome semoventi, ritagliate da un manifesto elettorale e appiccicate sul cartone. «Stop-Berlusconi» ha conferito al cancelliere e alla moglie il premio «Vacanze intelligenti 2003», per aver giustamente rinunciato alla villeggiatura a Pesaro dopo le cafonaggini di Berlusconi e del sottosegretario al turismo Stefani. Modesto il premio, una medaglia di carta appesa al collo di quei manichini. Sincera la riconoscenza per aver saputo dire basta, quando Berlusconi fece sapere che lui non intendeva scusarsi per aver consigliato un ruolo di aguzzino nazista a un eurodeputato; che anzi era Martin Schulz a doversi scusare per le sue "impertinenti" domande.

La festa è continuata con un concerto della «Casa del vento», un gruppo toscano che si sente parte della rete dei social forum. Ha in repertorio testi come «Genova chiama» o «Alla corte del re», che recita: «Sono tornati, con la camicia nera che non cambia mai. Rissosi faccendieri soci della mafia, servi del potere e guerrafondai...». Il giovane pubblico tedesco li ha accolti con entusiasmo. Poi avanti a ballare, fino alle due di notte.

Pure Vauro si è immischiato, con un disegno che è diventato il logo di «Stop-Berlusconi», riprodotto anche sulle magliette: una mano aperta che sbarra la strada a un omino piccolo piccolo.

A coprire, almeno in parte, le spese hanno contribuito otto ristoranti italiani: Caffè aroma, Due forni, Il casolare, Il contadino sotto le stelle, La rustica, Pane e rose, Sale e tabacchi, Trattoria Artusi. A Berlino pure un pezzo di gastronomia si dissocia dal menù di «Forza Italia».

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REPUBBLICA on-line 25-9

Modigliani: "Con quello show il premier ha disonorato il Paese"

“Non è una battaglia personale, parlo di moralità e dignità”

di EUGENIO OCCORSIO

ROMA - "Ah certo, in Italia ora ci sono molti meno comunisti. Ma ci sono molti più Berlusconi. Questo è il problema". Franco Modigliani, classe 1918, la storia del fascismo e del "buon" Mussolini l'ha vissuta sulla sua pelle. Ebreo di Roma, dovette lasciare l'Italia nel luglio 1939, appena laureato, per sfuggire alle leggi razziali portando con sé la moglie Serena, per sposare la quale era stato costretto ad andare a Parigi. Negli Stati Uniti si è costruito una folgorante carriera di economista e studioso che l'ha portato a vincere il premio Nobel nel 1985 per le sue "pionieristiche analisi sui risparmi e sui mercati finanziari", come si legge nella motivazione dell'Accademia di Svezia. Tuttora è professore emerito di economia al Massachusetts Institute of Technology di Boston. Insomma, nessuno più di lui può permettersi di parlare chiaro e in assoluta libertà sui destini di un'Italia che, da lontano, ha sempre seguito "con immenso amore". Pesa con calma le parole, ma da ogni singola frase traspare un senso di sconforto per l'arroganza e la protervia dell'attuale classe dirigente. "Berlusconi non onora l'Italia e non la difende, come dice sempre, onorando e difendendo Mussolini. Così, all'opposto, la disonora".

Il capo della Anti Defamation League ieri sul nostro giornale ha difeso il premio che gli ebrei d'America hanno dato a Berlusconi, e ha esplicitamente accusato proprio lei di muovere da dieci anni una guerra personale e pregiudiziale contro il nostro premier?

"Io cos'avrei fatto? Una guerra di dieci anni? Forse avrei dovuto farla davvero con tutti gli errori che ha fatto? E invece l'ho difeso in tante occasioni: quando voleva abolire l'articolo 18, quando vuole riformare le pensioni d'anzianità, quando deve fronteggiare certi scioperi che mi sembrano irrazionali. Certo, altre volte, molte volte, l'ho criticato, per i suoi atteggiamenti come appunto per la storia del Duce, ma soprattutto per le tante opportunità mancate in economia. I condoni fiscali, e peggio che mai edilizi, per esempio, mi sembrano una cosa immorale e indegna di un paese civile. Ma una cosa dev'essere chiara: io non faccio battaglie personali contro nessuno. Perché dovrei? Non è nel mio stile".

Però insomma la lettera sul New York Times era piuttosto esplicita?

"Vorrei chiarire il mio pensiero: la nostra lettera (con Modigliani hanno firmato gli altri Nobel Paul Samuelson e Robert Solow, ndr) era una protesta fatta da cittadini americani contro un'istituzione americana, la Anti Defamation League. Non mi è piaciuto il vostro titolo "Tre Nobel contro Berlusconi". Cerchi di capirmi: la League ha commesso un grave errore nel dare questo premio a chi aveva difeso Mussolini, ma non volevamo entrare nel merito delle questioni italiane. Abbiamo detto a questi signori di stare più attenti quando danno i premi. Poteva essere Berlusconi come chiunque altro".

Però ammetterà che non è passata inosservata la sua protesta, in fondo lei è nato in Italia.

"Ma ora sono americano. Abbiamo già tante cose di cui imbarazzarci e vergognarci noi in America, a partire dalla guerra assassina e assurda in Iraq. Berlusconi è un problema che dovete risolvervi voi italiani".

Professore, ieri il presidente del Consiglio ha anche invitato a investire in Italia perché sarebbe il mercato più flessibile d'Europa. E' vero?

"Macché, altra stupidaggine. E' uno dei meno flessibili. Certo, le cose sono un po' migliorate negli ultimi anni, ma questo è avvenuto grazie a misure che erano state prese dal precedente governo di centrosinistra. Malgrado questi avanzamenti, il mercato del lavoro resta rigido. Anche per questo, venire a investire in Italia resta un rischio".

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LIBERAZIONE 25-9

Povero Cavaliere

Un'aula vuota e oscurato in Patria

B. L.

Doveva essere la sua giornata. Da quanto tempo l'aspettava questa occasione: parlare all'Onu come rappresentante dell'Europa intera. Aveva persino accettato i consigli di Sergio Romano, che l'invitava a non fare le solite berlusconate ma ad usare misura e sobrietà. E che gli succede? Di parlare - peraltro impappinandosi sulle parole, non essendo la misura e la sobrietà il suo stile-forma - in un'ora di solito riservata ai rappresentanti dei paesi di infima categoria, in un'aula semivuota. "Sono stato sfortunato", ha ammesso, proprio lui, perseguitato dalla fortuna sin dai tempi delle animazioni sulle navi-crociera.

Ma, come se questo non bastasse, il tycoon proprietario e controllore della quasi totalità delle televisioni italiane, veniva oscurato proprio in Patria. Non un Tg (a parte il solito Emilio Fede e la Sky dell'amico Murdoch) che si sia collegato in diretta con il Palazzo di Vetro per far giungere nelle case di tutti gli italiani l'immagine di un Cavaliere sorprendentemente rigido e a disagio che parlava ai rappresentanti politici di tutto il mondo, o comunque ai loro scranni vuoti.

Proprio così ha titolato ieri a caratteri cubitali la sua prima pagina Vittorio Feltri: "Berlusconi parla al mondo: oscurato", scrivendo un editoriale dal taglio farinacciano, nel quale indica al pubblico ludibrio i nemici, gli "infedeli" (anche il fido Mimun, anche l'astuto Mentana, anche l'alleato Mazzà). "Gli rimane solo il canalino di Emilio". Per la verità Feltri dimentica di citare, fra i buoni, i fedeli, il "canalone" di Murdoch. Proprio ieri che il padrone monopolista della Tv satellitare italiana, rompendo il silenzio trasversale con cui ha accompagnato l'insediamento del suo impero in Italia, ha parlato di Berlusconi come di "un eroe", che "ha salvato l'Italia dai comunisti".

MEDITAZIONE

STAMPA 25-9

X la ministra Moratta

di Massimo Gramellini

CARA ministra Moratta (femminile, no?) s'ono il allievo modello di un'istituto superiore di una citta itagliana. O' letto con un po di locomozione e tantamatanta joia le sue statistike su noi studenti ke non sapremmi (plurale, giusto!) + la drammatica, la nalisi logica e l'ageometria. In certe skuole professionali a dirittura il 70%! Siamo stati eroinici, l'ò sò. Estata dura addebolire le regole, i ragionamenti e l'inmaginazione ke l'emaestre ci havevano in segnato a usare d'urante Lele Mentari. Ci soni voluti tanti ministri e funzionari di destri e di sinistri, tanti soldi nè gati, tanti profi avviliti e subpagati, tanti programmi e videogiochi de c'è rebrati, tanti adulti maleducanti e maleducati. E qualc'osa ciel'abbiamo aggiunta purè noi. Ma all'afine ciel' habbiamo fatta!! Dora in poi funzionerà partaimm anke il c'ervello: x adeguarlo al mercato. La strazione e la inmaginazione sona già stata sostituita dai video, che facendo vedere tutto, ti allenano a non inmaginare + gnente. In somma, signora Moratta. S'iamo pronti x le Uropa. Tanto, x battere l'Acina mica serve di sapere il teorema di Taliente o cosè un complimento oggetto. Serve l'hinglese e una skuola ke attracchi i vestimenti americani, comà spiegato ieri a Uoll Strìt il nostro capoclasse, sfornando tante belle segretarie e sempre meno komunisti (da quando s'ono diminuiti, in Italia s'ono di nuovo aumentati i bambini: e questa, m'iscusi, non sarà ageometria ma è nalisi logica.)

REPUBBLICA on-line 24-9

Berlusconi: "Investite in Italia – non ci sono più i comunisti"

"Entrando in politica nel '94 ho salvato la libertà e la democrazia"

NEW YORK - Dopo il discorso istituzionale al Palazzo di Vetro, il presidente del Consiglio ritrova la sua verve e, a Wall Street, sede della Borsa di New York, davanti a una platea scelta di imprenditori italiani ed americani, prova a convincere gli ospiti a investire i loro soldi nel nostro Paese. E lo fa a modo suo, sfoderando due argomentazioni "forti". Una personale, "ci ho investito io", l'altra politica: il Paese è sicuro perché "ci sono meno comunisti e quelli che ci sono negano di esserlo stati". E poi ha anche ricordato il suo "sacrificio" dell'ingresso in politica "necessario per salvare la libertà e la democrazia", compromesse dai "giudici comunisti".

Come da programma, Berlusconi ha lanciato un caloroso appello a investire in Italia, "il paese più americano d'Europa", lo ha definito. "L'Italia - ha spiegato il premier ai suoi ospiti - è un paese straordinario per fare investimenti ora e la riprova è che il presidente del Consiglio vi ha investito tutti i suoi soldi, credo che sia un buon argomento".

Berlusconi ha richiamato le opportunità per gli incentivi offerti dall'Italia, elencate prima di lui dal presidente di Confindustria Antonio D'Amato, in particolare le agevolazioni per il Mezzogiorno e ha aggiunto argomenti "politici" osservando che "ci sono molti meno comunisti in Italia oggi". "Erano al 34% - ha sottolineato - ora sono al 16 per cento e negano di esserlo mai stati".

"L'Italia è il Paese più americano d'Europa e con la minore invidia sociale del lavoro", ha detto ancora il premier, osservando che "da noi gli imprenditori di successo sono guardati con simpatia e ammirazione, nel resto d'Europa con sospetto".

Berlusconi ha quindi ricordato agli imprenditori riuniti per l'iniziativa "Invest in Italy", promossa da Confindustria, tutte le riforme varate dal suo governo. "Adesso abbiamo il mercato del lavoro più flessibile d'Europa", ha assicurato il premier.

Ma per arrivare a questo è stato necessario il suo ingresso in politica che Berlusconi ricostruisce così: "Dopo che i giudici comunisti avevano eliminato 5 partiti di governo di ispirazione atlantica, se avesse vinto il Pci con il suo 34%, che diventava l'85% con il maggioritario, l'Italia avrebbe fatto un passo indietro sulla strada della libertà e della democrazia".

"Personalmente - aggiunge Berlusconi - mi divertivo a fare l'imprenditore; avevo 46.000 collaboratori e mai è stato fatto un giorno di sciopero contro di me. Ma, nel '94, fu necessario fare questo sacrificio, del quale peraltro non mi sono pentito".

Poi in chiusura ha aggiunto un'altra motivazione agli investimenti: le segretarie. "Un altro motivo per venire ad investire in Italia - ha detto Berlusconi - è che oltre al bel tempo e alla bellezza dell'Italia, abbiamo anche bellissime segretarie, delle bellissime ragazze...". Tra gli applausi e i sorrisi, Berlusconi ha aggiunto: "Consiglio a tutti di fare investimenti da noi, perché li farete in letizia e con la gioia se non altro negli occhi".

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SPIEGAZIONE

“Venite al mio bordello – operai da inculare e segretarie da scopare”, dice il Merda.

Luciano Seno

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WWW.CENTOMOVIMENTI.IT 24-9

Contrordine compagni: In Italia neanche un comunista

Come al solito, Berlusconi smentisce Berlusconi

Comunicato urgente per Schifani & Co: basta urlare a destra e a manca che l'Italia è piena di comunisti mangiabambini. Silvio Berlusconi, oggi a Wall street, ha infatti rinnegato la sua intera vita (e di conseguenza anche quella dei suoi dipendenti). Il Capo del Governo, cercando di convincere gli imprenditori americani ad incrementare i loro investimenti nel nostro Paese, ha assicurato che "ci sono molti meno comunisti in Italia oggi".

Il Cavaliere si è persino affidato a numeri e percentuali: "Una volta erano al 34%, ora sono al 16% e negano di essere mai stati comunisti". Insomma, in Italia i veri comunisti si contano nelle dita di una mano e, guarda caso, sono tutti Magistrati: "Dopo che i giudici comunisti avevano eliminato cinque partiti di ispirazione atlantica, se avesse vinto il Pci l'Italia avrebbe fatto un passo indietro sulla strada della libertà e della democrazia". Fu per questo, ha giurato il Cavaliere, che "nel '94, fu necessario fare questo sacrificio (entrare in politica, ndr), del quale peraltro non mi sono pentito".

Ma perchè, tra tante nazioni non comuniste del pianeta, un imprenditore della New England dovrebbe investire il suo capitale nel Bel paese? Molto semplice, il premier ha un "buon argomento": "L'Italia è un paese straordinario per fare gli investimenti e la riprova è che il presidente del Consiglio vi ha investito tutti i suoi soldi".

Un altro motivo? Il leader di Forza Italia ha letteralmente fatto prostituire la nostra nazione: gli affari in Italia "si fanno con gli occhi, abbiamo il bel tempo, le bellezze dell'Italia e anche bellissime segretarie". E poi, secondo il presidente-imprenditore, il "bel Paese" è anche un' oasi felice per gli americani che desiderano essere adulati. Tanto per cominciare l'Italia è "il paese più americano d'Europa" e poi, ha assicurato il Cavaliere, mentre nel resto del vecchio continente gli imprenditori sono visti con "sospetto", nel nostro Paese vengono visti con "simpatia e ammirazione", questo perché è lo Stato "con la minor invidia sociale nel mondo del lavoro". Ma una volta non erano tutti gelosi di lui?

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L’UNITA’ on-line 24-9

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1924, 1° giugno. Mussolini invia il seguente dispaccio, scritto di suo pugno, al prefetto di Torino: «Mi si riferisce che noto Gobetti sia stato recentemente Parigi e che oggi sia Sicilia stop. Prego informarmi e vigilare per rendere nuovamente difficile vita questo insulso oppositore governo e fascismo».

Firmato: l’amico di Berlusconi.

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Promemoria per Il Riformista

di Furio Colombo

Cari colleghi del Riformista,

si possono fare le riforme insieme? Voi dite: c’è un unico tavolo e si chiama Parlamento. Bella e nobile frase che non ha impedito il passaggio di alcune leggi (tutte le loro leggi di questa legislatura) che hanno violato la Costituzione e devastato l’immagine italiana. E dove ha già preso la rincorsa la legge Gasparri, che sta meravigliando l’Europa per il suo impegno liberticida. Quelli di voi che hanno vissuto a lungo all’estero condividono, credo, la mia stessa esperienza. I tuoi amici inglesi o americani ti chiedono (i più benevoli) «ma come è successo? La tipica condanna che si fa dopo le disgrazie stradali. E i più rigorosi (vedi il New York Times) si meravigliano: «Ma come sono tolleranti questi italiani!»

Sembra, secondo voi, che le alternative siano due: l’Aventino (non andare più in Parlamento). Oppure andarci, visto che «Parlamento vuol dire parlare» e far sentire forte e chiare le nostre ragioni, le nostre proposte. Anzi rivendicare il fatto che quelle che noi dell’Unità chiamiamo «leggi speciali» provengono da precedenti proposte dell’Ulivo.

Voi dite che «nell’interesse nazionale c’è anche un sistema politico più efficiente e il completamento della transizione verso una democrazia del maggioritario». Io mi permetto sommessamente di dire che non mi è mai capitato di incontrare un solo italiano (certo non nelle feste dell’Unità) che si aggiri angosciato chiedendo «ma quando arriva il premierato forte?» Ti domandano invece: perché non vi unite contro questa vergogna?

Ma anche per i temi che interessano tutti è una questione di contesto. Per esempio, la sicurezza delle nostre strade è un problema comune, riguarda, persino i cattivi. Ma andreste a discuterlo col signor Bilancia, quello delle esecuzioni sui treni? Poi mi dite che «l’opposizione non può evitare il dialogo». Dizionario alla mano, dialogo vuol dire «tu parli, io ascolto. Poi parlo io e ascolti tu». Potete indicarmi un solo episodio di dialogo nel Parlamento a serratura automatica voluto, condotto e diretto da Silvio Berlusconi? Possiamo, certo, ricordare insieme i nobili momenti in cui tutta l’opposizione, dopo avere tenacemente dichiarato fino all’ultimo la sua condanna e il suo disgusto, (per esempio dopo il lodo «Schifani») ha lasciato l’aula per andare - deputati e senatori - a raggiungere cittadini indignati in piazza. Ma dialogo, nel senso umano e civile della parola, non c’è stato mai. Non è stata mai neppure un’opzione. Non è illogico, se si pensa che Berlusconi definisce l’opposizione «sabotaggio».

Ma poi c’è una questione di identificazione morale, di distinzione precisa che è una buona strada per raggiungere quella compiuta democrazia del maggioritario che giustamente auspicate. E’ bene che gli elettori non ci vedano in compagnia ravvicinata di chi ha deliberatamente usato un calunniatore come Igor Marini (definito da una carica istituzionale un «Pico della Mirandola», «un gigante della memoria», per fatti estrosi che aveva inventato su commissione) allo scopo di far apparire ladri Prodi e Fassino. E’ la stessa gente che - attraverso il dominio delle comunicazioni - ha fatto ripetere la frase falsa «tangenti a Prodi e Fassino» per centinaia di telegiornali e giornali-radio durante tutta l’estate.

Da quando, in politica, tutto è perdonato, nella fresca mattina che segue, compreso l’uso di sicari messi in giro per liquidare gli avversari politici in vista delle elezioni? A me non risulta che alcun deputato o senatore americano si sia seduto a discutere leggi o proposte o contribuiti nell’interesse comune, con Richard Nixon, dopo che un libero sistema giudiziario lo aveva indicato come colpevole del furto con scasso detto Watergate. Eppure: Watergate, a confronto con Telekom-Serbia, è stata una modesta mascalzonata. Ma Nixon non controllava tutte le tv e non poteva intimidire commentatori e giornali. Nessuno, proprio nessuno ha pensato di condividere l’interesse nazionale con lui. Non hanno fatto nessun Aventino. Sono rimasti in Parlamento a descrivere al Paese le malefatte di Nixon, fino a quando Nixon non se ne è andato.

E infatti i suoi avversari del partito democratico, hanno vinto le elezioni successive con un candidato pulito e per bene, in una campagna condotta sul tema: torniamo a un Paese normale, dove non ci si affida alla malavita per vincere le elezioni. Mi spiace di non avervi fatto ridere, ma, come sapete, il nostro giornale è ossessionato da questa idea: uscire insieme, col voto, da questo momento immensamente pericoloso, dominato da un potere personale che in democrazia non esiste. E che in Europa mette paura.

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(Questo è il testo della lettera pubblicata ieri sul New York Times, prima della consegna del premio a Berlusconi.)

Tre Nobel dicono No a Berlusconi

di Franco Modigliani - Paul Samuelson - Robert Solow

Oggi 23 settembre la «Anti-Defamation League» (Lega contro la discriminazione) ha programmato una cena in onore del presidente del Consiglio italiano Silvio Berlusconi cui sarà consegnato il premio per lo «Statista più eminente» («Berlusconi chiede scusa agli ebrei italiani», New York Times del 17 Settembre, «Un’associazione ebraica intende premiare Berlusconi, un amico “imperfetto”», New York Times del 19 settembre). Questa notizia è sconvolgente per chiunque conosca le controverse vicende di Berlusconi.

Di recente Berlusconi è salito agli onori della cronaca per le sue lodi a Benito Mussolini, definito un «dittatore benevolo». Berlusconi ha anche dichiarato che «Mussolini non ha mai ucciso nessuno» e che «mandava gli oppositori in esilio in località di vacanza». Non è vero. Mussolini è stato responsabile della morte di molti oppositori politici, di molti partigiani, di molti ebrei. Il dittatore perseguitò il popolo ebraico con le Leggi Razziali e fu responsabile, durante il secondo conflitto mondiale, della deportazione di almeno 7000 ebrei. Di questi, secondo New York Times, 5910 furono uccisi.

Non c'è dubbio, Berlusconi ammira veramente Mussolini. Berlusconi possedeva già i principali canali televisivi privati italiani. Adesso controlla anche la televisione di Stato. Deve rispondere di accuse di corruzione, ma dimostra solo disprezzo per i giudici, da lui recentemente definiti «pazzi».

Berlusconi ha chiesto scusa agli ebrei italiani per le sue affermazioni, ma non a tutti gli altri italiani. E quindi le sue scuse non sono sufficienti.

Sembra che la ADL voglia consegnare il suo premio al premier italiano per il suo appoggio ad Israele e ad Ariel Sharon, capo di un governo che di recente ha espresso la sua intenzione di mandare in esilio il suo principale oppositore Yasser Arafat, ritirando il proposito di ucciderlo. L'appoggio a Israele, non importa se sia una condizione necessaria o meno per ottenere un premio dalla Anti-Defamation League, non dovrebbe essere un criterio sufficiente. Premiare gli ammiratori di dittatori sanguinari non può essere un gesto positivo per gli ebrei. In questo caso, è qualcosa di negativo per gli ebrei, per l'Italia e per gli Stati Uniti. E anche per Israele. La ADL dovrebbe vergognarsi e cancellare l'evento. È proprio vero, Berlusconi è un amico “imperfetto”.

Franco Modigliani - Professore Emerito al Massachussets Institute of Technology

Paul A. Samuelson - Professore Emerito al Massachussets Institute of Technology

Robert L.Solow - Professore Emerito al Massachussets Institute of Technology

Henry Rosovsky - Professore Emerito ad Harvard

Joshua Cohen - Professore di Scienze Umane al Massachussets Institute of Technology

Franklin M. Fisher - Professore di Microeconomia al Massachussets Institute of Technology

(I primi tre firmatari sono premi Nobel per l’economia)

MEDITAZIONE

MANIFESTO 24-9

Usa la clava

GIULIETTO CHIESA

Mai, negli ultimi cinquant'anni, gli Stati uniti sono stati isolati e soli come adesso. Mai l'Occidente è stato così diviso. George Bush non demorde, gioca al rialzo di fronte all'Assemblea generale di quell'Onu che ha abbondantemente ignorato e irriso, solo pochi mesi fa, andando in guerra contro, o a prescindere dai suoi voti. Ma non saranno gli accordi di facciata che riuscirà a strappare, non saranno le possenti pressioni di cui Washington può disporre, a risolvere il problema che egli ha creato. Le due «guerre già vinte» - come è stato scritto - sono ormai divenute due incubi dai quali non ci si può svegliare. Iraq e Afghanistan non possono essere «chiusi» né da un'occupazione straniera (come ha seccamente detto Jacques Chirac), né da un'elezione esportata con affanno in territorio ostile, né da fittizi trasferimenti dei poteri tra un viceré americano e un governo di Quisling.

Quale che sia l'indoratura della pillola, quello ch'è evidente è che Washington cerca aiuto. Solo che lo fa impugnando lo scettro come una clava, e ribadendo con tracotanza che intende mantenere il controllo. E si capisce che intende non soltanto il controllo del governo futuro di Baghdad, ma soprattutto del petrolio, dei beni statali, della ricostruzione. All'Onu concede di collaborare nella stesura della nuova costituzione (in questo sono bravi, ironizza l'Imperatore), e magari nel controllo dei seggi elettorali, affinchè i suoi osservatori possano fraternamente prendersi la loro dose di proiettili e di esplosivi al plastico.

Gli altri, senza dirlo forte, non collaboreranno. Quale che sia la facciata della risoluzione dell'Onu, la Francia non manderà truppe, né lo faranno la Russia e la Germania. Ci vorranno vassalli più «concavi», che si possono sempre trovare, come ad esempio l'Italia di Berlusconi, ma che non faranno che sottolineare la debolezza dell'imperatore. Il ricatto - miserabile, tanto più quando viene amplificato dai maggiordomi nostrani - secondo cui non è più il tempo di discutere chi aveva ragione o torto circa la guerra, e che è ora il momento di venire in soccorso al baluardo delle libertà, cioè agli Stati uniti, non funziona. Perché non sono più soltanto i radicali della rive gauche a sollevare dubbi sul «baluardo della libertà». A meno di non collocare anche Chirac, Putin e Schroeder in quella schiera (e davvero si farebbe fatica).

E' - potrebbe essere - la rivincita dell'Onu, quella del diritto internazionale, quella del mondo plurale, cioè della saggezza. Ma bisognerebbe che le Nazioni unite trovassero il coraggio e la forza di rispondere ponendo a loro volta delle precise condizioni alla richiesta prepotente degli Stati uniti. E' difficile che ciò accada, ma si dovrebbe dire con tutta chiarezza che questo delicato passaggio della storia sarà la prova cruciale, se non definitiva, della loro sopravvivenza.

Perché dopo l'oltraggio subito con la guerra irachena, il Palazzo di vetro rischia di subirne un secondo oggi: venendo ridotto al rango di ancella, di comprimario subalterno che obbedisce agli ordini del più forte, dell'occupante, che interviene per coprirgli le spalle. L'Europa, lo sappiamo, non c'è su questo terreno, ad alimentare attivamente l'idea di una legalità internazionale uguale per tutti gli stati.

Con una presidenza come quella italiana, fintamente mediatrice, potranno emergere solo biascichii privi di ogni contenuto. Restano le potenze ostili dell'Occidente, quelli che Thomas Friedman qualche giorno fa definiva «i nemici dell'America» e che sono, invece, quegli stati la cui dimensione di scala consente loro di difendersi. Quelli che hanno capito che i loro interessi e i loro valori sono in gioco. Francia, Germania, Russia. E la Cina sullo sfondo. Bush, nel suo discorso di ieri, ha dimostrato di non sapere capire lo stato del pianeta. Sembra che pensi che, continuando a roteare la sua clava, riuscirà a frantumare tutte le teste che incontra. Ma probabilmente si sbaglia. E' per questo che gli toccherà di contare ancora molti morti. Anche dei suoi.

REPUBBLICA on-line 23-9

Tre Nobel contro Berlusconi

"Quel premio è un errore"

di r. sta.

Berlusconi Statista dell'anno? Un premio sbagliato quello che l'Anti-Defamation League offrirà oggi al premier italiano a parere di tre Nobel per l'economia. In una lettera che sarà pubblicata oggi sul New York Times, Franco Modigliani, Paul A. Samuelson e Robert L. Solow, tutti professori emeriti al Massachusetts Institute of Technology (che firmano assieme ad altri quattro docenti al Mit e a Harvard), spiegano il loro dissenso nei confronti del riconoscimento che definiscono "una male per gli ebrei, per l'Italia, per gli Stati Uniti e anche per Israele".

"Oggi la Anti-Defamation League terrà una cena per il primo ministro Silvio Berlusconi per offrirgli il Distinguished Statesman Award. Ciò è scioccante per chiunque conosca la controversa storia del signor Berlusconi" inizia il documento. "Per restare alle cose recenti, Berlusconi ha fatto notizia per i suoi commenti su Benito Mussolini. "Era una dittatura assai più benevola" avrebbe detto, "Mussolini non ha ucciso nessuno, ha spedito la gente in vacanza al confino".

Questo non è vero: Mussolini è stato responsabile per le morti di molto oppositori politici, partigiani ed ebrei. Ha perseguitato gli ebrei con le sue leggi razziali e, durante la seconda guerra mondiale, si è reso responsabile della deportazione di circa 7000 ebrei che morirono nei campi nazisti".

Per tutto questo, le giustificazioni del premier non cancellano la brutta vicenda, almeno nel giudizio dei tre professori. "Berlusconi si è scusato con gli ebrei italiani per le sue affermazioni. Ma ciò non è abbastanza: non si è scusato con gli italiani in generale. Apparentemente la Anti-Defamation League sta dando il suo premio a Berlusconi per il suo supporto a Israele e al suo primo ministro Ariel Sharon. ma il supporto a Israele non dovrebbe essere sufficiente. In questo caso è un male per gli ebrei, per l'Italia, per gli Stati Uniti e anche per Israele".

Proprio ieri Abraham Foxman, il direttore dell'associazione che da 90 anni è in prima linea nella guerra contro ogni forma di anti-semitismo, aveva spiegato che Berlusconi "si è meritato con le sue coraggiose azioni" (nell'appoggio a Israele, agli Stati Uniti in Iraq e contro il terrorismo) il premio che gli sarà consegnato oggi all'Hotel Plaza di New York, alla presenza di oltre 400 invitati in rappresentanza della comunità ebraica americana e della comunità degli affari di New York. Un riconoscimento in passato attribuito, tra gli altri, a Giulio Andreotti per il ruolo avuto nella liberazione degli ebrei dell'Urss, di Yemen e di Cuba e al presidente francese Jacques Chirac, il primo leader francese a chiedere perdono per Vichy.

Da parte sua anche Amos Luzzatto, presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane in visita in Israele, aveva nei giorni scorsi ritenuto chiuso l'"incidente Berlusconi-Mussolini". Non altrettanto però aveva fatto Tullia Zevi che l'aveva preceduto nella carica, chiedendo invece a Foxman di revocare il premio. "I sentimenti di una comunità stabilita qui per 2000 anni hanno il diritto di essere rispettati", aveva dichiarato al New York Times. Su cui oggi tornano all'attacco i tre Nobel.

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IL RIFORMISTA 23-9

BERLUSCONIANA

You don't know the history del foglio luterano e di Don Gianni

Cara Miriam, Petit Chou lo aveva detto: «L'elefante vuole uscire dal recinto». Credevo fosse il dissapore di un momento, ma mi sbagliavo. L'ho scoperto venerdì scorso, a Modena, al Festival della filosofia (ero in incognito, protetta come sempre dalla mia parrucca nera e dagli occhialini da sole). Facendo due passi in città per riposare la testa tra un intervento e l'altro mi sono ritrovata di fronte alla chiesa di San Domenico e sono entrata.

Maledetto prete. Il tempo di fare qualche passo verso il centro della navata e la porticina d'ingresso ha cigolato di nuovo. Mi volto: nessuno. Mi siedo, e dopo un po’ con la coda dell'occhio scorgo un'ombra che si avvicina, entra tra i banchi e viene a sedersi proprio accanto a me: «Don Gianni! Ma che ci fa lei qui?». «Le devo parlare. Anch'io mi interesso di filosofia e l'ho riconosciuta subito, sa? Sono troppo intelligente per farmi ingannare da una parrucca». «E' successo qualcosa?». «E' una fortuna che ci siamo incontrati. Ricorda cosa disse Enrico II a proposito di Thomas Beckett? "Qualcuno mi liberi da quel maledetto prete". E qualcuno lo fece davvero, al posto suo. Ebbene, suo marito è troppo liberale e non può permettersi di farle la richiesta che io mi accingo a fare in sua vece. Nel suo giornale c'é voglia di riforma luterana, si attacca il papa nella speranza di poter restare fedeli, così facendo, ai valori fondanti della dottrina». «Ma di che sta parlando Don Gianni? Non la seguo». Ed era vero, anche perché, forse per l'emozione, stava bofonchiando più del solito. «Della rivoluzione liberale, mia cara. Alla quale il suo direttore crede di restare fedele attaccando il papa che a suo dire se ne allontana. Ma se a lui non interessa essere coerente nel trarre le conseguenze delle sue parole, lo sia lei che è l'editrice. Uscite dalla chiesa, avvicinatevi ai riformisti e lasciate che il popolo resti fedele al suo papa perché, nel nostro caso, senza papa non c'è chiesa, neanche riformata. Mi sono spiegato?».

Editrice o moglie? In macchina, tornando a casa, le parole di Don Gianni mi rimbombavano nella testa. Era chiaro, voleva neutralizzare il novello Lutero prima che decidesse di affiggere le sue tesi sul portone di via del Plebiscito. Ma davvero mi si chiedeva di imporre a Giuliano uno sforzo di coerenza? O non piuttosto di assecondare il tentativo di Don Gianni di diventare l'unico consigliere del papa, proclamandone l'infallibilità? Che poi a Petit Chou gli manca solo il bacio della pantofola... Ma i guai, cara Miriam, non erano finiti. Appena arrivata a casa squilla il telefono: «Salve, sono un collega». «Un collega? - rispondo - e di che?». «Sono l'editore del succedaneo, come vi divertite a chiamarlo. Allora, siamo colleghi?». Ero senza parole. «Gentile signora, vorrei farle presente che se il suo direttore continua a spostarsi a sinistra finiremo per contenderci gli stessi lettori. E non va bene. Il suo elefantino deve tornare nei suoi pascoli. O vuole che il suo giornale smetta di essere un buon affare?». Capisci Miriam? Questi signori, da due direzioni opposte, mi stanno imponendo una scelta, che a sua volta mi obbliga a dover decidere chi sono una volta per tutte: una editrice che stabilisce la linea del giornale o la moglie di un uomo ricchissimo che si fregia del titolo di editrice di un giornale? Ho bisogno di un massaggio.

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WWW.CENTOMOVIMENTI.IT 23-9

L'Europa s'è desta

In arrivo sanzioni contro Sua Emittenza

Il Cavaliere ha infranto un altro record. L'articolo sette del Trattato di Nizza, che prevede anche sanzioni nei confronti degli Stati membri che non rispettano quei valori democratici su cui è sorta l'Unione, è stato per la prima volta applicato ai danni dell'Italia.

Lo hanno deciso ieri a Strasburgo i coordinatori della Commissione Libertà pubbliche, che avevano analizzato il "caso Italia" in seguito alle denunce che in questi mesi gli euroesponenti di un po' tutte le correnti politiche - dall'estrema sinistra ai liberali - avevano inviato alla commissione stessa.

I coordinatori si sono detti allarmati dai "rischi di gravi violazioni dei diritti fondamentali di libertà, di espressione e di informazione in Italia".

Nel mirino di Strasburgo il conflitto d'interessi del premier italiano Silvio Berlusconi, e la violazione da parte del nostro Governo dell'6 del Trattato comunitario: "L'Unione è fondata sui principi di libertà, democrazia, rispetto dei diritti umani, delle libertà fondamentali e dello stato di diritto che sono comuni agli Stati membri".

Non è la prima volta che gli alti organi continentali di occupano della deriva democratica italiana, ad inizio settembre un documento di Strasburgo nato per contrastare la "concentrazione del potere mediatico nelle mani di alcuni megagruppi" diventava un riferimento esplicito al caso italiano: "A Roma esiste una concentrazione del potere mediatico nelle mani del presidente del Consiglio, senza che sia stata adottata una normativa sul conflitto di interessi".

E il Cavaliere aveva già incassato una tirata d'orecchie all'inizio del febbraio scorso, quando con 103 voti a favore e 14 contrari l'europarlamento aveva varato una risoluzione presentata dalla finlandese Tytti Isohookana Asunman, contenente un paragrafo molto critico nei confronti del nostro Paese: "In Italia il conflitto di interessi potenziale fra le funzioni politiche che esercita il signor Berlusconi e gli interessi privati di quest'ultimo nell'economia e nei media costituisce, se non saranno attuate misure chiare di salvaguardia, una minaccia per il pluralismo dei media e dà un cattivo esempio alle giovani democrazie".

L'europarlamentare Tytti Isohookana-Asunmiaa qualche giorno prima aveva parlato a Strasburgo del conflitto d'interessi del Cavaliere, definendolo "un caso speciale tra le democrazie occidentali": "La combinazione di controllo politico e finanziario dei mass media ad opera di Silvio Berlusconi mina il normale concetto di legalità democratica".

L'esponente del partito liberale citava espressamente l'influenza di Berlusconi nelle nomine e nella linea editoriale della Rai e delle Tv di sua proprietà, il cambiamento dei dirigenti della Tv di Stato dopo il suo arrivo a palazzo Chigi e la rimozione dal loro incarico di giornalisti come Biagi e Santoro, ritenuti critici nei confronti del governo.

MEDITAZIONE

MANIFESTO 23-9

Ma ci risparmino lo sdegno

GIUSEPPE GIULIETTI

Le frasi pronunciate da Lucia Annunziata circa un possibile scambio tra le nomine alla Rai, presenti e soprattutto future, ed un voto compatto della maggioranza sul «lodo Gasparri», hanno suscitato una vera e propria eruzione di sdegno. «Come potete pensare che una cosa simile possa accadere...», hanno tuonato le nuove vestali della libertà. Anzi, della Casa della Libertà. «Lucia Annunziata chieda subito scusa....», ha detto a Marco Follini, nel suo stile indignato, ma pacato. «Cose ridicole...», ha invece replicato il ministro Gasparri, nel suo stile sgarbato, sempre e comunque. Di fronte a tanta genuina indignazione, sul lodo Gasparri sarebbe dunque lecito aspettarsi un voto limpido, inequivocabile, in linea con le posizioni assunte da ciascun partito e da ciascun parlamentare. Invece no! L'indignazione è stata usata solo contro Lucia Annunziata. Eppure l'occasione per usare toni analoghi verso altri soggetti non sarebbero certo mancati. Nella giornata di ieri, infatti, alcuni quotidiani tra i più autorevoli ci hanno informati che la maggioranza «dovrà» votare compatta, altrimenti il cavaliere di Arcore li rimanderà tutti a casa. Se ci fosse il più piccolo problema, il governo sarebbe addirittura pronto a chiedere il voto di fiducia per far piegare il capo anche ai più riottosi.

Questa sola ipotesi avrebbe dovuto scatenare una valanga di reazioni nella maggioranza. C'era da attendersi frasi del tipo: «Come si permettono, non siamo né in vendita né in affitto... Non siamo qui a fare il servizio d'ordine alle proprietà di Berlusconi e neanche i giardinieri ad Arcore... Non siamo certo dei pagliacci, l'abbiamo detto e ripetuto questa legge porterà gravi danni al sistema industriale... Siamo indignati, questo sospetto è intollerabile... Ci auguriamo che il presidente Berlusconi voglia chiarire che questa non è certo la legge più importante della legislatura...». Queste frasi, ovviamente, non sono state pronunciate, al massimo sono forse state sussurrate in qualche corridoio, lontano da orecchie indiscrete e potenti.

Altro che le parole di Lucia Annunziata! La camera dei deputati si appresta, in queste ore, a vivere una giornata davvero buia. Il lodo Gasparri, infatti, è una legge peggiore della Cirami: perché non solo tutela il capo, ma danneggia i suoi possibili concorrenti, persino quegli imprenditori che lo hanno sostenuto. Alla faccia del libero mercato! Ma la maggioranza, nonostante dissensi e disgusti, dovrà votare compatta, pena il licenziamento.

In questo modo emergerà la natura patrimonialista di questo schieramento che, sempre più, dipende dai riflettori e dalle fortune economiche del Cavaliere. Gli uomini del partito azienda stapperanno bottiglie per festeggiare, ma la coalizione subirà una ferita mortale. Il Capo sarà ancora più capo, gli altri ancora e sempre più dei valvassori. Sarà la sconfitta, anche e soprattutto nel centro destra, di chi ancora credeva nell'autonomia della politica e dei partiti. Nel frattempo, però, dovrebbero almeno risparmiarci lo sdegno e le intemerate che profondono a chili.

martedì, settembre 23, 2003

MANIFESTO 21-9

Un condono da Silvio

Berlusconi ci ridà i soldi rapinati in due anni di governo e si toglie di mezzo -- Visti i conti di oggi, pare l'unico condono praticabile

ALESSANDRO ROBECCHI

Preoccupazione e senso di responsabilità. Non si dica che siamo insensibili alle condizioni economiche dell'Italia, che non guardiamo con attenzione e ansia all'inesausta ricerca di soldi che il rag. Tremonti sta effettuando, che ce ne freghiamo se egli non trova qualche miliardo da dare a Buttiglione, o da elargire a Fini. Anzi, di questa triste situazione siamo talmente partecipi che pure noi, nel nostro piccolo, cerchiamo soluzioni, sondiamo possibilità e nutriamo speranze. Ma prima di tutto bisogna partire dalla realtà, dalla valutazione dell'esistente. Riguardo alle condizioni economico-finanziarie del Paese, già era triste avere le pezze al culo. Ora è tristissimo ritrovarsi senza più nemmeno il culo, una cosa oltremodo seccante, perché non ci si può neanche sedere a piangere. Del resto, dopo alcune notti insonni, non abbiamo più idee su cosa condonare per fare un po' di cassa. Il condono fiscale è stato fatto. E' andato così bene che ne vogliono fare un altro al volo. E' una buona idea: il condono fiscale annuale toglierebbe di mezzo tutta quella seccante burocrazia chiamata fisco. Il condono edilizio è praticamente cosa fatta. Il condono contributivo e alle viste, un premio a pagamento per tutti i padroni che hanno fatto lavorare in nero qualcuno. La riforma delle pensioni sta lentamente arrivando e si discute animatamente su quanto si potrebbe rapinare ai lavoratori futuri pensionati.

Ma non basta. Il creativo Tremonti non è abbastanza creativo per i tempi che corrono e serve dunque uno sforzo di fantasia ancora maggiore. E allora ecco qui. Domanda: chi potrebbe avere fondi a sufficienza per arginare la spaventosa voragine del buco economico italiano? Chi potrebbe avere tutti quei soldi che permetterebbero di ripianare un po' il deficit, pagare le pensioni, fare cassa in modo finalmente sostanzioso e risolutivo? La risposta è semplice: una sola persona in Italia ha a disposizione risorse quasi illimitate, e quella persona ha un nome e un cognome: Silvio Berlusconi. Ora la faccenda è semplice: convincere la classe politica e l'intero Paese che quel che serve è un solo, grande, immenso condono per Silvio. Tecnicamente non è difficile: Silvio ci rende quel 10-15 per cento del nostro potere d'acquisto che è sparito negli ultimi due anni. Ci rende le zucchine a un euro e mezzo anziché a sei. Ci restituisce l'inflazione surreale degli ultimi due anni, mette di tasca sua quei dieci miliardi di euro di mancati introiti fiscali che la sua politica economica ha generato. Rende i soldi stornati dalla scuola pubblica. Aggiunge soldi per la ricerca, aggiunge i soldi rapinati per la cultura e per la sanità. Insomma, in poche parole, Silvio ci rende il Paese come lo ha trovato poco più di due anni fa, se ne va, torna alle sue ville e ai suoi ozi dorati da imprenditore monopolista, e noi lo condoniamo. Un perdono in piena regola, niente cattiverie e niente vendette, per carità. Soltanto una riparazione dei danni fatti. Con lui, verrebbero automaticamente condonati i suoi amici e sodali. Tremonti, per esempio, potrebbe renderci quel "buco" (finto) che disse di aver trovato al suo arrivo al ministero, e si riprende in cambio il "buco" (vero) che lui stesso ha lasciato nei conti pubblici e nel tenore di vita degli italiani. Perdoneremmo anche lui, e persino senza rancore. Questa sì sarebbe una manovra economica, la finanziaria definitiva: paga tutto chi ha combinato questo devastante casino, cioè Silvio e i suoi soci in affari e in politica. Una manovra simile, il condono per Silvio (o da Silvio, come preferite) avrebbe anche il pregio di essere al tempo stesso una manovra una tantum (di quelle tanto care a Tremonti) e strutturale, nel senso che si metterebbe nero su bianco che nessuno potrà più farsi gli affaracci suoi rovinando l'intero Paese. Tecnicamente ci sarebbe da lavorare parecchio, mi rendo conto. E ci sarebbero anche parecchi effetti collaterali. Cioè: quantificato il danno economico che Silvio ha fatto al Paese in questi due anni di sgoverno, bisognerebbe aggiungere il danno morale e culturale inflitto agli italiani. Le loro figuracce in Europa e nel mondo, la loro vergogna davanti ai tedeschi, ai francesi, ai valori dell'antifascismo, eccetera eccetera. Una specifica commissione forse potrebbe occuparsene. Ma noi ci sentiamo oltremodo generosi, in questi tempi di crisi, e proponiamo che su tutte queste cose il condono sia praticamente gratuito. Quel che ci preme - tremontianamente - sono solo i soldi. Dunque pensiamoci: un grande, epocale condono per Silvio, che paga tutti i danni che ha fatto e - finalmente - toglie il disturbo. Sarebbe un affare per tutti, compresi i partiti non silviocentrici dell'attuale maggioranza. Niente di trucido o di violento, per carità, una semplice transazione finanziaria: Silvio ci ridà i nostri soldi, rapinati in due anni di governo, e si toglie di mezzo. Visti i conti di oggi, pare l'unico condono praticabile.

MEDITAZIONE

ESPRESSO on-line 22-9

Intellettuali razza dannata

Eugenio Scalfari

Un dibattito sugli intellettuali non va preso sul serio. Infatti desta un certo stupore il fatto che a promuoverlo e ospitarlo prolungandolo per parecchie puntate sia stato un giornale certamente serio come il ´Corriere della Sera´. Ma poi, al termine di esso, il tema è arrivato sulla prima pagina di quel giornale dove i grossi calibri ne hanno tratto finalmente il succo che ad occhi attenti era già parso chiaro fin dall´inizio: gli intellettuali, naturalmente di sinistra, sono tutti e sempre conformisti anche quando fanno mostra di non esserlo, sono tutti e sempre ´organici´ alla loro parte e soprattutto al maggior partito che su quella parte spadroneggia, sono tutti e sempre comunisti anche se dichiarano il contrario. E poiché come è noto la sinistra in genere e i comunisti in particolare sono conservatori e si oppongono a ogni novità, ne consegue che anche gli intellettuali oltre che conformisti sono anche conservatori. Ed eccoli serviti.

Gli intellettuali infatti accettano la storia ´ufficiale´, l´agiografia del Risorgimento, l´agiografia di Garibaldi, le scomuniche laiche e massoniche contro la Chiesa dei poveri, la guerra contro i cafoni del Mezzogiorno massacrati e imprigionati in quanto briganti, il fascismo in quanto ´incidente´ piovuto dal cielo e venuto a interrompere le magnifiche sorti e progressive che l´Italia liberale aveva realizzato o quanto meno avviato.

Dopo questo antefatto storico che i suddetti intellettuali difendono ad occhi chiusi e che è già una prova del loro conformismo conservatore, arriviamo a tempi più recenti e attuali, a proposito dei quali la ´vulgata´ conservatrice dà il peggio di sé: l´8 settembre descritto come il momento della rinascista del sentimento patriottico anziché, come una corretta lettura revisionistica sostiene, come il culmine della morte definitiva del senso della patria; l´antifascismo e la Resistenza vissuti e propagandati acriticamente come valori fondanti della Costituzione repubblicana mentre dovrebbe essere invece evidente che valori non sono, bensì puri e semplici ´spot´ pubblicitari in favore del partito comunista. Infine - approdiamo qui al punto nodale di tutta la questione - gli intellettuali scomunicano l´Italia berlusconiana praticando contro di essa il metodo della terra bruciata, rendendo con ciò impossibile ogni reciproca legittimazione e condannando in questo modo ogni serio riformismo che sia frutto di valori condivisi e di un dialogo che consenta un reciproco scambio di esperienze e produca risultati innovativi nella società italiana.

Nell´ombra e alle spalle di questi comportamenti culturali c´è ovviamente l´Illuminismo, il partito dell´Enciclopedia, la triade Voltaire-Diderot-Rousseau, veri responsabili sia del mattatoio hitleriano che di quello stalinista, entrambi derivanti dal giacobinismo nelle sue varianti di destra e di sinistra.

A questo dunque doveva servire il dibattito sugli intellettuali, del quale peraltro si poteva tranquillamente fare a meno per il semplice fatto che le tesi sopra ricordate sono ormai da anni presenti nella stampa ´terzista´ che dopo avere sistematicamente preso a bastonate la botte, qualche volta pensa bene di salvarsi l´anima assestando anche un colpo al cerchio e dimenticandosene prestamente il giorno dopo.

Questo è il problema di chi siano gli intellettuali e che cosa esattamente significhi quell´aggettivo sostantivato del quale di questi tempi si fa così largo uso mentre era sconosciuto fino a qualche decennio fa.

Il termine, letteralmente parlando, designa coloro che lavorano con l´intelletto, cioè con la ragione piuttosto che con la passione, con i concetti anziché con le intuizioni. Difatti sono esclusi da questa categoria i poeti, i musicisti, i pittori, insomma gli artisti a meno che non accoppino alle loro capacità creative anche quelle del ragionamento. Ce ne sono, benché molto rari, ma di solito si guarda all´elemento dominante per definire una persona. Machiavelli, tanto per dire, era un intellettuale anche se scrisse la ´Mandragola´, così come il Magnifico Lorenzo era un politico anche se scrisse bellissimi versi. Nelle classificazioni si perde sempre qualcosa dell´interezza di un uomo, ma servono per comodità di giudizio. Tra i pochi dei quali non sapresti decidere quale fosse la dominante bisognerebbe andare a Giacomo Leopardi, il quale fu nella stessa misura poeta e altissimo pensatore al punto che la sua poesia fu ispirata dalla sua filosofia e viceversa.

Si potrebbe dunque concludere che intellettuale sia sinonimo di filosofo? Non direi, sarebbe riduttivo per i filosofi i quali, è vero lavorano di intelletto, ma lo concentrano su un terreno particolare che è quello della metafisica, magari per negarla, più spesso per esplorarne la natura. Dunque via i filosofi. E via gli scienziati per le stesse e analoghe ragioni. Definireste Spinoza o Kant o Hegel o Newton o Einstein degli intellettuali? Via, fareste ridere.

I romanzieri, allora? Al di sopra di un certo livello di qualità, il romanziere è ne più e nemmeno che un artista. Di Balzac, di Flaubert, di Tolstoi, di Proust, a nessuno verrebbe in mente di chiamarli intellettuali. Dunque, via anche gli scrittori di grandi romanzi.

Gira e rigira resta pochino: i docenti, i critici, i giornalisti che non fanno più i cronisti, i mediocri filosofi e i mediocri storici. Tutto qui? Tutto qui. Costoro dovrebbero, nientemeno, legittimare le Istituzioni, disarmare le fazioni, contribuire alla formazione di valori condivisi, essere punti di riferimento della rinascita morale e nientemeno dei sentimenti di giustizia e di libertà.

Credo - e temo - che al fondo di questa tesi ci sia qualche cosa di sbagliato. Forse è sbagliato l´uso e l´abuso di parole che vorrebbero significar troppo e non significano niente. Perciò lasciate perdere gli intellettuali o vi troverete alle prese con quel personaggio televisivo creato qualche anno fa da Renzo Arbore e chiamato il ´Pensatore´, che arrivava sul set in carrozza anzi in carriola con lo sguardo fisso nel vuoto e il volto poggiato sulla mano e infine, lentamente, usciva di scena senza aver detto assolutamente niente.

L’UNITA’ on-line 21-9

Riforme, chi vuole sedersi al loro tavolo

Berlusconi è improponibile ed inaccettabile

di Furio Colombo

«Blurp» è il piccolo rumore che senti nella schiena di un neonato, se lo tieni in braccio dopo il latte. Quando il bambino sta bene, fa «blurp» subito. Vuol dire che ha digerito. Un «blurp» (che le mamme italiane chiamano affettuosamente ruttino) si è distintamente sentito in questi giorni in un piccolo assembramento di professionisti della politica che usano radunarsi intorno al Riformista. E adesso invitano al picnic del momento: tutti al tavolo delle riforme di Berlusconi e dei suoi avvocati.

È il segno che, in buona salute come sono, hanno appena digerito tutto di Berlusconi, l’elogio di Mussolini (eppure Pannella si era chiesto pubblicamente: «che sia diventato matto»?), le ventidue gravissime domande dell’ Economist, (il direttore di quel giornale ha confermato al nostro foglio bolscevico che sta ancora aspettando) la descrizione dei giudici come malati di mente (tutti i giudici italiani gli hanno risposto il 18 settembre. Tutti, senza eccezione), la gentile definizione della opposizione come «sabotaggio» (l’intero centro sinistra ha spiegato che tipo di regime sudamericano sia espresso in queste parole), la legge Gasparri (che il compagno Luca Cordero di Montezemolo definisce «incompatibile con la libertà di stampa in un Paese democratico»). Hanno digerito il «premierato forte» di cui il compagno Giovanni Sartori, un movimentista scalmanato dai tempi del ‘68, ha dichiarato: «dissento radicalmente. Questa riforma inceppa il sistema parlamentare, lo rende incapace di funzionare. Avremo il sistema del potere personale del premier».

Incalza il compagno Mancino: «Con questa riforma, dalla dittatura della maggioranza, già oggi lamentata, si passerebbe alla dittatura del primo ministro. Mi pare un po’ troppo». Aveva avvertito un ex presidente della Repubblica (Oscar Luigi Scalfaro): «Attenzione ai primi sintomi del fascismo».

Come si vede c’è in Italia una banda di avventuristi che non vuol saperne di «aprire il tavolo dele riforme» insieme alla stessa persona accusata di evadere le tasse, la giustizia, la pratica normale della politica, l’accettazione della Costituzione e della Storia, il capo di governo che divide l’Europa, separa l’Italia dall’Europa, spezza il Nord dal Sud, frantuma la scuola, nega la Resistenza che ha fondato la Repubblica, controlla da solo tutte le informazioni.

Il problema è: chi altro, in tutta Italia - al di fuori dal gruppetto di professionisti della politica occasionalmente dislocato nel foglio appena citato - ha digerito così bene due anni e mezzo di democrazia calpestata (e anche di insulti personali) e vorrebbe, a tutti i costi e subito, sedersi allo stesso tavolo con gli avvocati del più celebre imputato del mondo?

Il problema non è di strategia politica. È un problema umano, morale, logico. È umano perché tutti noi sappiamo, dalla nostra esperienza personale e di vita associata, che ci sono cose che si possono e cose che non si possono fare. È ovviamente, vistosamente impossibile discutere in generale di riforma della giustizia con una persona che ha definito i giudici (non anni, ma giorni fa) mentalmente tarati.

E’, in particolare, non progettabile una seduta di lavoro sulla riforma della Corte Costituzionale mentre si attende da quella Corte una serie di sentenze sulla costituzionalità delle leggi preparate ad personam dagli avvocati-deputati di Berlusconi. Tra le altre, c’è una sentenza che potrebbe cambiare la storia della Repubblica. È quella sul lodo che che esenta Berlusconi dal rispondere alla giustizia per qualunque reato abbia eventualmente commesso o potrà commettere. Se la legge fosse dichiarata incostituzionale, Berlusconi dovrebbe tornare a dedicarsi ai suoi processi.

Moralmente è sconsigliabile sedersi allo stesso tavolo di Berlusconi e dei violenti e volgari guardiaspalle che «coordinano» il suo partito azienda. Basterebbe ripubblicare qui un breve sommario delle cose che hanno detto, in qualunque momento degli ultimi tre mesi, per sapere che non sono frequentabili. Se ci si accomodasse con loro, sarebbe difficile spiegare il perché ai nostri figli, e impossibile agli elettori.

Da un punto di vista logico il modello è il comportamento alla Camere di questa maggioranza su questioni di grande rilevanza. Questioni che, una volta decise nel modo voluto da Berlusconi (e nel suo personale e privato interesse) hanno sfregiato l’immagine dell’Italia, hanno reso nota nel mondo la nostra inclinazione alla illegalità.

Un caso di straordinaria chiarezza pedagogica è la legge Gasparri sull’editoria. Raramente una legge è stata così vigorosamente avversata da settori e gruppi molto diversi del Paese, dalla Federazione degli Editori a Mario Segni, dagli esperti (tutti) di comunicazioni ai militanti della sinistra, dai sindacati agli imprenditori. Osservate l’acquario festoso e costantemente celebrativo del TG 1. Nessuna obiezione passa, nessuna opposizione fa differenza. Il mondo delle comunicazioni in rivolta non sposta una riga o un comma nei commenti di regime di Francesco Pionati.

Non c’è intenzione, non c’è interesse, non c’è alcuna volontà di ascoltare e - meno che mai - di accogliere veri atti di opposizione.

È comprensibile che il gruppo aziendale-politico di Berlusconi faccia apparenti inviti alla opposizione nel tentativo di allarmare un po’ meno il presidente della Repubblica.

Ma riflettete sui modi, che sono subito duri e maleducati. «Non ci faremo dare lezioni dall'opposizione», proclama per prima cosa il vice primo ministro Fini, tanto per stabilire un clima cordiale di buon lavoro insieme. La frase funziona da intimidazione maleducata per coloro che si ostinassero a farsi vedere nei dintorni di una maggioranza teleguidata e blindata, che è ormai esercitata (triste giorno per la Repubblica) a rispondere pavlovianamente agli ordini del capo. Qualunque osservatore (tutta la stampa europea ne scrive) nota che sono state scavate fosse profonde tutto intorno alla cittadella occupata da questo strano potere. Non c’è bisogno di attaccare per essere attaccati. Due note e stimate giornaliste della Rai sono state offerte al ludibrio dei passanti dalla stampa di regime, lanciando contro di loro l’accusa di tradimento, con molta volgarità e questa unica, imperdonabile colpa: non sono Vespa e non sono Pionati, e dunque bisogna colpire.

Se la nostra è ossessione, è una strana ossessione, condivisa da Franco Modigliani e da Giovanni Sartori, da Enzo Biagi, da Giorgio Bocca, da tutto l’Economist , da un bel pezzo del Parlamento europeo e dalla stampa del mondo. Ma chiamiamola ossessione. Essa ci induce a formulare alcune domande, diciamo un test, per stabilire se ci sono o no le condizioni per collaborare - a qualsiasi titolo e con qualunque motivazione - alle loro riforme che noi - per buone e dimostrate ragioni condivise da un bel po’ di italiani, e non solo da chi vota a sinistra - abbiamo chiamato «le loro leggi speciali». Infatti puntano a isolare e domare la giustizia, a bloccare il Parlamento (parole di Giovanni Sartori), a creare il potere di uno solo, (lo dice Nicola Mancino).

Ecco il test, ad uso del piccolo gruppo che, pur dislocato a sinistra, propone di andare a Vichy.

1. Ha risposto Berlusconi anche a una sola domanda dell’Economist?

2. È stato risolto, quando, come, il conflitto di interessi che, come dice il più importante settimanale finanziario del mondo, «usa il mercato per la politica e la politica per il mercato?»

3. È stata ritirata o cambiata o almeno emendata la legge Gasparri che molte voci - anche del tutto estranee alla sinistra - indicano come la pietra tombale della libertà di stampa?

4. La Corte Costituzionale si è pronunciata sulla ammissibilità del «lodo Schifani» che esenta e solleva Berlusconi per sempre dal rispondere ai giudici anche su questioni che gettano su di lui un’ombra profonda?

5. Ha mai chiesto scusa agli italiani, figli di un Paese devastato moralmente e fisicamente dal fascismo, di avere detto che Mussolini era buono e mandava i deportati «in vacanza»?

6. È tutto perdonato ciò che è accaduto nella commissione-farsa Telekom-Serbia, grande e osceno spettacolo di abuso mediatico del potere a scopi elettorali? Ci si può accostare a loro mentre telegiornali mentitori, del livello morale di Igor Marini aprono ancora tutte le notizie italiane della radio e della televisione di Stato con la frase-slogan «nuovi sviluppi sul caso Telekom-Serbia»?

Solo chi rifiuta di proporre queste domande e le ignora - non saprei dire in nome di che cosa - potrà decidere che è buona e utile cosa sedersi al tavolo delle loro leggi speciali. E invece di offrire ragioni che non ci sono e che nessun elettore riconosce, si limiteranno a dirti: «zitto tu che sei un avventurista». Proprio mentre, di fronte a tutti noi, la Repubblica viene lacerata, divisa, devastata da un «estremismo di governo», da una «rabbia di potere» che sono il fatto nuovo e distintivo di questo regime.

Tutto ciò non significa affatto Aventino. Significa testimoniare tenacemente, ciascuno al proprio posto, e impedire con tutte le forze la strage dei principi fondamentali della Costituzione conquistati da tanti italiani con la lotta per la libertà.

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WWW.CENTOMOVIMENTI.IT 21-9

EDITORIALE

Bertinotti chiama, l’Ulivo risponde

Fabio Dell’Olio

Berlusconi fa miracoli. L’inadeguatezza del suo Governo a rispondere alle esigenze più elementari degli italiani e il deficit di democrazia che ha generato, uniscono all’indignazione diffusa dell’intero Paese il senso di unità di quegli ex compagni che per oltre due anni sono stati solo “compagni di sventura”.

E’ tempo di affilare le armi della protesta contro riforme illiberali e anticostituzionali, contro provvedimenti che minano alla radice il principio di pluralità nell’informazione (legge Gasparri) ed estendono i poteri del Premier a discapito del ruolo garantista del Capo dello Stato.

La proposta viene dal segretario di Rifondazione comunista che ha invocato l’urgenza di un’azione coordinata tra i partiti dell’opposizione per mettere alla corda il Governo e costringerlo alle dimissioni.

Il virus del berlusconismo che un autorevole giornalista si augurava potesse infettare il Bel Paese per poi redimerlo da facili tentazioni verso illusionisti fai-da-te, si è rivelato un cancro devastante che paralizza rapidamente istituzioni e società civile, fino alla morte dello Stato.

Estirparlo oramai è divenuto una necessità. E almeno in questo i segretari dell’Opposizione concordano.

E’ fissato per martedì prossimo, in serata a Palazzo Madama, un vertice dei rappresentanti delle forze politiche del Centro-Sinistra. Non sono ancora chiare le modalità dell’incontro. Prima riunione dell’Ulivo e poi vertice “allargato” a Rifondazione, oppure Bertinotti invitato al tavolo ulivista fin dal primo momento.

Certo è che il popolo dei movimenti segue con trepidazione lo sviluppo di questa intesa interna all’Opposizione che potrebbe compiere l’impresa di destituire il Leviatano di Arcore.

Bertinotti ha proposto una grande mobilitazione di massa contro il governo Berlusconi come quella che il 25 aprile 1994 tolse il sonno al Cavaliere e convinse Umberto Bossi ad abbandonare la corte.

Entusiasmo da parte di tutti, Di Pietro compreso, per la proposta del leader comunista, tranne che per lo Sdi di Borselli che ha accolto la notizia con freddezza e “prudenza”.

Qualcuno all’interno dell’Opposizione (leggi Chiti e Gentiloni) predica calma e non ritiene opportune spallate in un momento come questo, specialmente se giungono dalla gente comune, dalle piazze.



Il rischio che i moderati potrebbero ricompattarsi attorno al Presidente del Consiglio qualora il corno della piazza chiami tutti alla battaglia, è stato pure preso in considerazione.

Ma le riforme che nei prossimi giorni si discuteranno a Montecitorio non possono essere contrastate con le armi tecniche dell’ostruzionismo e delle interrogazioni parlamentari.

Occorre che si levi compatta una voce di protesta di quella parte (la maggioranza) del Paese esclusa non solo dai sondaggi Datamedia e affini, ma pure dal godimento di quei diritti sociali che oggi si vedono compromessi.

Con l’auspicio che prevalga lo spirito del cambiamento e non le diffidenze reciproche, i falsi allarmi di rischio “strumentalizzazione” sollevati soltanto per screditare una parte forse più sensibile alle voci dei movimenti antagonisti, anche i girotondini si riprendono per mano per restituire al Paese il senso della legalità smarrito tra le bugie e l’informazione di palazzo.

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COMMENTO

Secondo me, martedì il monte abortirà un topolino… Ma quanto mi piacerebbe essere smentito!

Luciano Seno

MEDITAZIONE

WWW,CENTOMOVIMENTI.IT 20-9

Odio gli indifferenti

Antonio Gramsci

Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani: Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti.

L’Indifferenza è il peso morto della storia. Opera passivamente, ma opera.

E’ la fatalità; è ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che strozza l’intelligenza. Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, avviene perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia promulgare le leggi che solo la rivolta potrà abrogare, lascia salire al potere uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare.

Tra l’assenteismo e l’indifferenza poche mani, non sorvegliate da alcun controllo, tessono la tela della vita collettiva. E la massa ignora, perché non se ne preoccupa; e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia altro che un enorme fenomeno naturale, un’eruzione, un terremoto del quale rimangono vittime tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente.

Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi fatto anch’io il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, sarebbe successo ciò che è successo? Odio gli indifferenti anche per questo: perché mi dà fastidio il loro piagnisteo da eterni innocenti.

Chiedo conto a ognuno di loro del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ho fatto e specialmente di ciò che non ha fatto.

E sento di poter essere inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime.

Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è inteligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi che si sacrificano, si svenano.

Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.

Antonio Gramsci

(dal luogo di villeggiatura in cui l'aveva benignamente inviato il capo del Governo Benito Mussolini. Evidentemente quella villeggiatura gli piacque così tanto che non tornò più a casa).

REPUBBLICA on-line 20-9

Farrell e l'intervista a "Spectator"

"Berlusconi racconta frottole"

ROMA - Le bugie hanno le gambe corte. Almeno questo è quanto sostiene il giornalista inglese Nicholas Farrell a proposito del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Che per giustificare le sue recenti affermazioni su fascismo e giustizia, afferma Farrell, sta raccontando una frottola dopo l'altra agli italiani.

Nicholas Farrell non è un giornalista qualsiasi. E' l'uomo che ha realizzato l'intervista per The Spectator dopo la quale sul premier italiano si è scatenata una bufera senza precedenti. Per intenderci, è l'intervista su Mussolini in versione "buonista" e sui giudici "mentalmente disturbati". Ebbene, al Cavaliere che si è difeso dicendo di essere stato travisato, e che davanti alla comunità ebraica ha parlato di una chiacchierata "tra amici" accompagnata da ben due bottiglie di champagne (e dunque male interpretata), Farrell replica puntigliosamente. E smonta l'intera versione fornita dal capo del governo.

Ecco l'esordio della lettera aperta scritta dal giornalista inglese e pubblicata oggi dalla Voce della Romagna: "Caro Cavaliere, quello che sto per scriverti mi addolora perché, mio Berlusca, tu sei grande e io ti voglio bene, ma la verità è sacra e tu non hai detto la verità, hai raccontato alcune frottole e io ho le prove".

Prima bugia. "Continui a dire - scrive Farrell - che la nostra intervista con te era 'una chiacchierata estiva tra amici', non un'intervista con dei giornalisti. Invece era un'intervista on the record (ufficiale) e sono servite settimane per organizzarla. Questo è il motivo per cui sia io che Boris abbiamo messo i nostri registratori sul tavolo di fronte a te e poi, naturalmente, li abbiamo accesi". Su questo punto il giornalista rivela anche un altro dettaglio, con il quale vuole dimostrare che Berlusconi era perfettamente a conoscenza della ufficialità del colloquio: "All'inizio della nostra intervista hai chiesto a me e a Boris (Johnson, il direttore del settimanale, ndr.) se avremmo fatto le domande in inglese e ha chiesto di sapere quando e dove sarebbe apparsa l'intervista". La risposta - dice Farrel - l'ha data appunto Johnson, dicendo al premier che sarebbe stata pubblicata "la prossima settimana su una rivista chiamata The Spectator di cui io sono il direttore".

Seconda bugia. E' quella raccontata ai leader della comunità ebraica alla Sinagoga di Roma mercoledì scorso. "Hai detto loro che tu hai fatto commenti sui giudici pazzi e il benigno Mussolini solo perché eri a little tipsy (un po' alticcio) dopo aver bevuto 'due bottiglie di champagne' con noi". Non è vero, e Farrell lo segnala in modo piuttosto colorito: "Ma và, Berlusca! Tu sai bene quanto noi che l'unica cosa che abbiamo bevuto durante l'intervista era tè freddo al limone, molte caraffe di tè freddo al limone".

Quindi: "Smetti di dire queste frottole, altrimenti non verrò mai più a intervistarti in Sardegna, e smetti di chiamare me e Boris criminali, perché noi siamo giornalisti e facciamo il nostro mestiere, che è quello di seminare zizzania, che non è più un delitto capitale". Nicholas Farrell conclude ironicamente "raccomandando" a Berlusconi di "fare il bravo", altrimenti "è pronta la pubblicazione della terza puntata". Lasciando tutti con la curiosità di sapere cos'altro avrà mai detto Silvio Berlusconi in quelle due ore di conversazione on the record e senza una sola goccia di champagne.

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L’UNITA’ on-line 20-9

BANNER

«Il termine fascista sembra essere tornato di moda. Il problema è che abbiamo a che fare con strani fenomeni politici - il nazionalismo Hindu in India, Le Pen in Francia, Silvio Berlusconi in Italia, la dottrina della guerra preventiva - ma non abbiamo le parole giuste per descriverli».

Victoria De Grazia, docente di Storia europea alla Columbia University - New York Times, 13 settembre

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Berlusconi, Trantino e Pico della Mirandola

di Antonio Padellaro

Oggi parliamo di una maggioranza nella quale si pratica la calunnia contro i leader dell’opposizione, per farli fuori brutalmente dalla scena politica. Parliamo dei giornali di Berlusconi, e dei tg del presidente del Consiglio che hanno fatto da grancassa all’azione calunniosa, rilanciando ogni mattina e a ogni segnale orario le affermazioni rese da una banda di impostori patentati. Parliamo della Commissione Telekom Serbia che dopo Igor Marini, strumento primo della calunnia, è ormai ridotta a una velenosa pagliacciata. Parliamo del Grande Accusatore che confessa di essere pagato dal governo. Parliamo delle coscienze critiche in servizio permanente effettivo. Incuranti della colossale montatura che hanno sotto il naso ma ossessionati dalle vere o presunte amnesie dei leader ulivisti. Dubbi che mai li attanagliarono quando l’acquisto di Telekom Serbia fu avviato e concluso. Nessuno, curiosamente, si stracciò le vesti o ebbe qualcosa da obiettare, allora. Finché non arrivò Igor il cacciaballe. Parliamo, infine, di un spontaneo atto di decenza che sicuramente non verrà: le dimissioni dell’onorevole Trantino dalla presidenza di quella che era un’istituzione rispettabile. E che, invece, per debolezza o inettitudine o peggio è stata trasformata in un odioso strumento di vendetta politica.

Dobbiamo dire grazie a Francesco Bonazzi e Antonio Carlucci dell’Espresso per averci regalato, con l’intervista di Bangkok ai tre soci in fuga di Igor Marini, un nuovo, illuminante e, speriamo, definitivo squarcio sul più grande scandalo politico del secolo, la più gigantesca rapina dei soldi dei contribuenti, la più devastante delle corruzioni che mai sia stata consumata nella storia della repubblica (tutte definizioni tratte dai verbali della commissione presieduta dall’avvocato di Catania, uomo notoriamente super partes nonché riservatissimo di natura).

Scandalo, rapina, corruzione in conseguenza delle quali un membro della medesima commissione, avvocato romano di Forza Italia, apprezzato difensore di mafiosi, ha preteso l’arresto immediato di Prodi, Fassino e Dini, poiché percettori di colossali tangenti. Per senso di responsabilità istituzionale costui non ha chiesto, invece, le dimissioni del presidente della Repubblica Ciampi. Ma ha fatto capire che anche lui c’era dentro fino al collo.

Prima di inoltrarci nella disamina di quanto affermato dai tre testimoni chiave Romanazzi, De Simone e Ciappa (immortalati mentre cercano di far perdere le proprie tracce nel misterioso oriente), sarà bene ricordare ai lettori alcune prudenti ma significative valutazioni emerse durante i lavori top secret della suddetta commissione.

«Per quello che abbiamo in questo momento siamo in grado di dire che Marini non è un collezionista di bufale come è stato presentato da alcuni» (Enzo Trantino, presidente An della commissione, 23 luglio).

«Aumenta la credibilità di Igor Marini. Su nove circostanze riferite da Marini, sette infatti, secondo il maresciallo dei carabinieri Quaresima hanno trovato riscontro positivo e solo per due non è stato possibile ottenere verifiche» (Giuseppe Consolo, capogruppo di An in commissione, 30 luglio).

«Sono state effettuate ricostruzioni precise, circostanziate e che già risultano per moltissima parte riscontrate. Marini ha indicato con dovizia di particolari le modalità attraverso le quali sono state fissate le cifre spettanti a Prodi, Fassino, Dini, cifre indicate specificatamente in 100 milioni di dollari il primo, in 75 milioni di dollari per il secondo e di 50 milioni di dollari per il terzo. È venuto il momento che gli uffici giudiziari provvedano all’arresto di questi personaggi» (Carlo Taormina, Forza Italia, 7 agosto).

«Ho trovato Marini una persona di una memoria che fa impallidire Pico della Mirandola, intelligente, sveglio, preparato» (il leghista Roberto Calderoli vicepresidente del Senato, 7 agosto).

«Le dichiarazioni di Igor Marini sull’affaire Telekom Serbia sono sconvolgenti» (Consolo, 7 agosto).

«Marini, per espressa richiesta della Commissione, ha ricordato di una frequentazione dell’attuale capo dello Stato con l’avvocato Fabrizio Paoletti» (Taormina, 2 settembre).

«Igor Marini è stato un po’ troppo Pico della Mirandola. Sono rimasto stupito di come a distanza di così tanti anni una persona potesse ricordarsi anche il centesimo di dollaro di trasferimenti di milioni di dollari» (Calderoli, 4 settembre).

Aeroporto di Fiumicino, lunedì 15 settembre. Agli inviati dell’Espresso di ritorno dalla Thailandia viene sequestrata, per ordine della procura della Repubblica di Torino un’ampia documentazione su quanto dichiarato da Romanazzi, Ciappa e De Simone. Romanazzi, spiega il settimanale, è l’uomo che tramite un altro faccendiere, Antonio Volpe, ha fatto arrivare alla Commissione parlamentare un dossier di oltre 150 pagine. Contiene gli stessi documenti sequestrati a l’Espresso che, secondo Volpe, sono la conferma «dal punto di vista contrapposto» delle parole di Marini. «È stato Romanazzi», leggiamo, «a mettersi in contatto con i due giornalisti. Dicendo che era stufo di essere tirato in ballo a sproposito da Marini nella vicenda Telekom Serbia. Con il conte Igor ha provato a fare affari e sono tutti finiti nel nulla. E a un certo punto pure lui ha pensato che la Commissione parlamentare potesse essere un nuovo business. Che quel dossier potesse garantirgli, come Volpe aveva promesso, «soldi, un lavoro, la certezza di restare fuori dai guai giudiziari». Purtroppo per Trantino, Consolo, Taormina e gli altri equanimi membri della Commissione, nei fogli letti a Bangkok non c’è mai la parola Telekom Serbia. «Piuttosto», scrive l’Espresso, «da quelle carte viene fuori il mondo di Marini. Un’esistenza vissuta al rialzo, dove il continuo bluffare è l’arma che permette di tirare avanti».

Sulla, diciamo così, controversa personalità del conte Igor già sappiamo qualcosa dalla ex moglie Alessandra. A cui giurava di lavorare in Vaticano: «Sai, adesso faccio parte della segreteria del cardinale Sodano». A cui raccontava di riunioni con papa Wojtyla: «Non ci crederai ma oggi mi sono accorto che il papa mi guarda male. Deve essere perché gli hanno detto che come lui sono polacco ed ex attore». Povera donna travolta da una vita di debiti, ufficiali giudiziari, conti non pagati dal macellaio. Un ritratto che a Bangkok, i tre soci completano con altre vivaci pennellate: «A Zurigo lui prende alloggio in un albergo di lusso dal quale scappa senza pagare dopo una cena di prima classe. Finge di ricevere una telefonata. Racconta che qualcuno lo minaccia. Saltiamo sulla sua Ferrari blu d’epoca...».

Bene, questo è il personaggio che ancora un paio di settimane fa i parlamentari della destra al vertice della Commissione definiscono, un «Pico della Mirandola», la cui credibilità «aumenta», le cui verità «sconvolgenti» sono state verificate e accertate con assoluta sicurezza e «in sette casi su nove hanno già trovato riscontro positivo». Loro, i Trantino, i Consolo, i Taormina, i Calderoli, i Vito con questo imbroglio si sono divertiti tutta l’estate. Troppo facile dire, adesso, che Marini è inattendibile. Che i problemi sono altri. Che Prodi non poteva non sapere e Fassino pure. E le tangenti da 100 milioni di dollari? E il discredito gettato a piene mani su persone innocenti? Qualcuno pagherà i danni? O faranno come Igor Marini con i conti del macellaio?

MANIFESTO 20-9

Cambiate la Carta

ROSSANA ROSSANDA

Vengono al pettine i nodi della Carta predisposta dalla Convenzione europea. Finora si era discusso fra i maggiori intellettuali soltanto del preambolo: è vero che a dar sale a quelle insulse pagine ci si è messo il Vaticano, fra Giovanni Paolo II e il cardinale Ratzinger, e dietro a loro i cattolici doc come Casini, i quali al fine di assicurare i privilegi della loro religione curiosamente insistono perché siano dichiarate cristiane le radici del libero mercato, vera spina dorsale dello storico testo. Ad ogni modo la prima questione che esplode fra i suoi stessi sostenitori è chi deciderà in ultima istanza: tutti gli stati che fanno parte della Ue o una loro maggioranza? Il presidente della Convenzione, il francese Giscard d'Estaing, sostiene che ogni singolo paese può opporsi al passaggio di questa o quella misura. Il leader della Commissione, Romano Prodi, obietta che così non si riuscirebbe a decidere mai nulla. Sotto la veste alquanto ipocrita - «chi è veramente europeo e chi finge di esserlo» - viene fuori la difficoltà di fare dell'Europa monetaria un'Europa politica, i 25 paesi che ne faranno parte essendo assai diversi per grandezza, superficie, storia, identità, lingua e per l'interesse stesso che li porta a farne parte.

Soprattutto, alla luce dell'intervento in Iraq e della «guerra infinita» di Bush, non si capisce come potrebbe l'Europa parlare in politica estera con una voce unica: se si andasse a maggioranza dopo l'ingresso dei paesi dell'Est, tanto varrebbe mettere agli esteri europei un funzionario del Dipartimento di Stato. Ma, obietta nuovamente Prodi a Francia e Germania, si potrebbero imporre maggioranze molto qualificate attraverso un incrocio fra soggetti statuali e numero di abitanti - tanto qualificate da garantire i paesi maggiori di non essere trascinati per i capelli in avventure non condivise (i minori non sarebbero garantiti di nulla se non si accordano con un grande). Sarebbe una versione un po' sorniona del Consiglio di sicurezza.

Insomma, quel che emerge sono gli scogli, aggirati finora dai sostenitori dell'Europa monetaria, del transito da uno spazio di libero scambio e moneta unica a una entità politica comune. E questo anche perché, non a caso, nessuna delle popolazioni è stata coinvolta nella costruzione dell'edificio. Mai una unità politica è nata in modo così manifestamente antidemocratico, su semplice indicazione dei costituenti da parte dei governi che fra l'altro cambiano. E sarebbe assai poco decente cercar di sanare il difetto d'origine sottoponendo a referendum un malloppo enorme, causidico e illeggibile quale la Carta finora partorita.

La seconda questione bollente è stata sollevata finalmente dai sindacati: la normalmente prudentissima Ces ha indetto una giornata di manifestazione di protesta il 4 ottobre perché si è accorta, sia pur tardivamente, che la Carta è poco più di un assemblaggio dei trattati di Maastricht e di Amsterdam, con quello di Nizza aggiunta a mo' di coda. I quali trattati non si pongono l'obiettivo del pieno impiego e sottopongono tutti i diritti sociali al principio del pareggio tendenziale dei bilanci imposto dal Patto di stabilità. Non è certo ricorrendo alla Carta europea che potremmo difendere l'articolo 18 né un immigrato potrebbe entrare nei sacri confini del nostro continente senza essere preliminarmente in possesso di un contratto di lavoro. Per istruzione e sanità vale il principio di sussidiarietà, secondo il quale il pubblico può arrivare soltanto dove il privato non arriva. Leggere per credere.

Questa Carta s'ha da emendare. E non poco. Berlusconi dice di no, la vuole sancita entro il 2003, cioè sotto il suo semestre di presidenza europea. E il popolo di sinistra? Salvo i no global tutto il resto dorme? Qualcuno suoni la sveglia.

venerdì, settembre 19, 2003

EUROPA on the Web 19-9
Ferrara, si scende

La svolta del “Foglio”: attacchi durissimi a Berlusconi e al centrodestra

di (s. me.)

Guai a complimentarsi. A compiacersi. A incoraggiarlo.

Giuliano Ferrara, col carattere che ha, morderebbe subito. E farebbe pesare la convinzione che certe critiche a Berlusconi solo lui è autorizzato a farle, e che trasferite su altri fogli che non siano il suo perdono autorevolezza, credibilità, spessore. Insomma, ci metterebbe subito al nostro posto, il posto scomodo di oppositori banali, prevedibili, scontati.

Nessun encomio, dunque. Ma senza per carità essere banale, scontato e prevedibile, da ieri il direttore del Foglio può essere annoverato tra gli oppositori più aspri del centrodestra, del suo governo e del suo Capo. Se nel crescendo di insoddisfazione e insofferenza non siamo arrivati all’acuto, c’è da chiedersi come sarà mai, quest’acuto.

Ieri sul Foglio non s’è salvato nessuno.

Non si sa se si sono fatti più male Forza Italia (smantellata come una baracca facendo finta di prendersela col neo coordinatore Bondi), il governo e la maggioranza (colpiti e affondati due volte: perché hanno tradito il contratto con gli italiani dando loro solo “condoni, condoni, condoni”; e perché stanno per varare una legge Gasparri «che consente alle aziende del presidente del consiglio di raccogliere ancora più pubblicità») o in- fine Silvio Berlusconi in persona. Il quale, dimenticati i tempi in cui veniva appellato “l’amor nostro”, viene colpito e umiliato come persona.

Neanche come politico.

Al Berlusconi goffo e insincero che esce col sotterfugio dalla Sinagoga di Roma, infatti, Ferrara non risparmia alcunché. Uomo debole che non sa scusarsi delle stupidaggini dette in preda all’alcool, affogato «nel brodo della parlantina », vittima di una «visione buffonesca della politica » propinatagli da chissà chi, autore di comunicati improntati sempre allo scaricabarile, politico che parla come mangia ma purtroppo non sa mangiare.

Che Ferrara si sia scocciato, è noto da tempo.

Prima s’è scocciato di fare il suo giornale, per quanto trasversalmente molto elogiato nell’establishment.

Poi s’è scocciato del centrodestra inetto e pasticcione, chiudendo anche la linea di credito con uno che ne ha bisogno assai, il ministro Tremonti. Alla fine s’è pure scocciato di fare lo spiritoso – paternalista e protettivo – col vecchio amico Berlusconi che evidentemente, questo Ferrara l’ha persino messo per iscritto, non ascolta più lui nei passaggi cruciali della politica bensì una cricca di lecchini che lo conducono alla rovina.

Un’estate intera trascorsa in America ha reso, al ritorno, insopportabili il teatrino italiano e il capocomico Cav. Corrono boatos di tentativi di vendita del Foglio, cioè di un’operazione che consentirebbe al direttore di sfilarsi lasciando intatta (?) la creatura, con le creature al suo interno cresciute. Mondadori, editrice berlusconiana all’uopo interpellata, ha smentito senza convinzione né enfasi. Sono ignote – segrete e riservate come la sua stessa vita – le opinioni di Veronica Lario, azionista del Foglio cui verrebbe voglia di attribuire, da autentica padrona, la svolta politica del giornale (non è così naturalmente, ma è bello immaginare che lei l’avrebbe fatta molto prima).

Insomma, il Foglio, come da promesse degli inizi, sta in mare aperto. Fronda non è più, perché la Fronda si fa, leggera e sostanzialmente innocua, contro re e regimi forti. Qui invece si attacca la Gasparri alla vigilia di un passaggio parlamentare ad alto rischio, la vita della legislatura viene contata in settimane e non in mesi da autorevoli commentatori, e, insomma, ogni parola ha un peso diverso da quello dei giorni spensierati. Non ditelo a Ferrara, che non si mischierebbe mai, ma qui dalle parti dell’opposizione si sta facendo un po’ affollato.

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LIBERAZIONE 19-9

Sartori: «La riforma di Berlusconi distrugge il sistema parlamentare»

«Avremo il sistema del potere personale del premier»

Intervista a cura di Silvio Buzzanca

Professore, il governo ha partorito la sua Grande riforma della Costituzione. Il premier può sciogliere la Camera. Ma alcuni dicono che questo non intacca il sistema parlamentare…

«Dissento radicalmente. Questa riforma inceppa il sistema parlamentare, lo irrigidisce e lo rende incapace di funzionare. Questa riforma lo distrugge e lo sostituisce con un sistema che non è né semipresidenziale né presidenziale. Avremo il sistema del potere personale del premier».

Berlusconi invoca per il premier italiano gli stessi poteri degli altri premier europei. La riforma servirebbe a questo…

«E anche questo è falso e sbagliato. Il rafforzamento dei poteri del premier in Germania e Inghilterra si ha con altri mezzi. Non con l'elezione diretta o il nome sulla scheda elettorale. In nessun paese europeo l'elettore trova scritto il nome del candidato premier. Farlo in Italia altera la natura del sistema costituzionale».

Scusi professore, ma noi abbiamo votato nel 2001 con il nome del premier indicato di fatto…

«Ma io allora protestai dicendo che era un abuso, chiesi a Ciampi di non permetterlo. Non si rese conto che veniva esautorato e che, come è avvenuto, Berlusconi si sarebbe comportato come se fosse stato eletto direttamente».

Scusi, ma allora come si possono rafforzare i poteri del premier?

«Ci sono due proposte accettabili. La prima è che la fiducia venga data al solo presidente del Consiglio che nomina i membri del suo governo e li può sostituire in qualsiasi momento. Come accade in Inghilterra dove non c'è Costituzione scritta, ma la prassi è questa. L'altro sistema è quello della sfiducia costruttiva, il sistema tedesco. Un capo del governo non può essere sostituito senza che prima ci sia una maggioranza che nomini un successore. Sono sistemi razionali che non sciupano il sistema parlamentare».

Andiamo avanti. Altro argomento forte: sono stati rafforzati i poteri del presidente della Repubblica…

«Assoluta vendita di fumo. Il presidente della Repubblica perde sia il potere di nominare il capo del governo sia quello di sciogliere il Parlamento. E quindi cominciano i camuffamenti dell'ultima ora. Si dice che non è così, ma lo è. E si traggono di impaccio con una formula ambigua: il primo ministro propone al presidente della Repubblica lo scioglimento della Camera. E il capo dello Stato cosa può fare? Nulla. Non può che subire questa richiesta. Se dicesse no il primo ministro chiederebbe alla sua maggioranza di non votargli la fiducia e si andrebbe lo stesso alle urne».

E' accaduto già in passato. Ricordo un governo Fanfani…

«Sì. Ma una cosa è farlo, una cosa è scriverlo nella Costituzione. Se lo si scrive si è perduti. Ma ripeto, tutto parte dal nome sulla scheda. Se c'è il nome sulla scheda il premier è insostituibile per tutta la legislatura. E se chiede nuove elezioni le ottiene. Quindi il potere che ha oggi il capo dello Stato di ricevere le dimissioni, sondare se esistono nuove maggioranze possibili e poi eventualmente nominare un nuovo premier o andare a nuove elezioni è stato cancellato. E significa cancellare moltissimo. Significa cancellare le norme del parlamentarismo. Significa avere un presidente della Repubblica di cartapesta che fa il notaio».

L'altra grande novità è il Senato federale…

«Il Senato federale si può fare in modi diversi e noi, come al solito, abbiamo scelto il modo peggiore. In Germania viene nominato dai Land, in America la rappresentanza è territoriale e il numero è fisso. Noi abbiamo scelto il sistema più stupido. Concepire il Senato federale su base elettorale proporzionale è la peggiore soluzione possibile, tecnicamente sbagliata».

E per la Camera quale legge elettorale? Si sa poco…

«E invece no, se ne sa già abbastanza. In questo progetto si prevede che il nome del premier debba essere scritto sulla scheda e collegato ad una coalizione. Questo vuol dire che abbiamo predeterminato il sistema elettorale perché non tutti i sistemi si adattano a questa previsione. Vuol dire che si prevede la costituzionalizzazione della legge elettorale, del Mattarellum o del Tatarellum. E' orribile. Abbiamo un pessimo sistema elettorale e lo fissiamo nella Costituzione. E rischiamo di tenercelo per i prossimi 50 anni».

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EDITORIALE

No Berlusca, no gaffe

di Massimo Del Papa

“Sono stato strumentalizzato, hanno alterato una frase detta al termine di una bottiglia di champagne” spiega il cavaliere al capo delle comunità ebraiche, Luzzatto, ma un primo ministro non può invocare la semiubriachezza, non può esternare come un cumenda “bauscia” davanti a un desco costellato di bottiglie vuote. Dunque la pezza è stata peggio del buco, secondo regola aurea, inviolabile (almeno quella) dell’etica berlusconiana. Che è quella di un individuo privo del minimo senso della storia e della cultura, un individuo imbarazzante, non esportabile.

No Berlusca, no gaffe. Non parliamo di svarione per favore, non lo è stato il buco e non lo è stata la pezza. E’ invece lo scontato frutto di una pochezza intellettuale e morale desolante, spaventosa. Berlusconi è impresentabile come lo sono i suoi reggitacchi alla Bondi, questo impasto di crudeltà servile, di comunismo monacale che a vederlo vien voglia di prenderlo a calci. Gente incredibile, che non pare umana, che in nessun Paese civile conterebbe qualcosa e qui invece conta, i microfoni pendono dalle loro bocche abituate a vomitare ogni genere di impudicizia o enormità. Se è vero che un capo si definisce dai sottoposti, un regime dalle figure minori allora siamo davvero peggio che sotto il fascismo, questo è forse il primo regime di una nazione civile che si compiace del grottesco, dell’infame.

L’avvocato-filosofo Taormina che a “Report” spiega di viaggiare per lavoro e per diporto a spese dei cittadini perché il mandato parlamentare non comincia e non finisce, è un tutt’uno con la persona. Stessa cosa Paolo Guzzanti che si vanta di pigliare doppio stipendio, da parlamentare e da giornalista che sul giornale del capo del Governo rivela in anteprima i retroscena artificiosi della commissione-canaglia Telekom Serbia di cui è al corrente in qualità di parlamentare. È da tempo che ci chiediamo perché i figli non facciano una macchietta del loro papà. Ma forse è un compito troppo arduo anche per loro. Poi Giovanardi che ha il coraggio di lagnarsi per la decurtazione di 50 euro dallo stipendio di politico che gliene frutta circa ventimila al mese, esenzioni e gratifiche escluse. Non è da meno Mastella che rifiuta di mostrare il suo monolocale romano con la incomprensibile motivazione del “rispetto verso i colleghi”.

Trattasi di casta senza più alcun legame e rispetto per il corpo sociale che l’ha mandata nel Paese di Bengodi, curiosamente una enclave in un più vasto Paese scosso da problemi drammatici e, in prospettiva, tragici. Una casta bipolare che ha tutto l’interesse a mantenere le rispettive poltrone, l’equilibrio precario che si fonda sul berlusconismo ovvero il totale rifiuto a governare per mantenere e potenziare le rendite di posizione attuali: secondo la riforma della Costituzione, che più esattamente la distrugge come dice il politologo Sartori, andiamo incontro a una dittatura del primo ministro, unico responsabile dei destini suoi, degli alleati e financo delle opposizioni potendo univocamente sciogliere il Parlamento, indire nuove elezioni col metodo che più lo aggrada.

Berlusconi non trova modo di scusarsi in modo convincente con gli ebrei italiani perché ne ignora il dramma, lui non ha mai letto Primo Levi, mai perduto tempo dietro alle sue pagine drammatiche e dignitose, oneste e civili, colte e sincere, roba da cui uno come Berlusconi fugge come un vampiro davanti al Crocifisso essendo quella sua l’attitudine mannara al liberismo estremo e predatore, al darwinismo sociale e globale. I migliori amici del cavaliere sono Bush, il più grande boia istituzionale del pianeta, che da governatore deteneva il record delle esecuzioni di Stato e come presidente ha scatenato due guerre-canaglia in 18 mesi. E Putin che sta procedendo alla pulizia etnica in Cecenia dove i soldati russi gettano i prigionieri nelle “fosse dell’orso”, destinandoli a morte per inedia, o nei “campi di filtraggio”, riservati a torture e mutilazioni. Berlusconi, per nulla imbarazzato, lo abbraccia lo tocca lo bacia con un trasporto sconcio per la morale pubblica e per quella privata.