SCIOPERO DEI GIORNALISTI 27-10
Discorso del Segretario generale della Fnsi, Paolo Serventi Longhi
Care lavoratrici, cari lavoratori,
Per la seconda volta in poco più di un anno e mezzo i giornalisti italiani scioperano, lavoratori tra i lavoratori, contro una proposta di legge del Governo sbagliata e iniqua. La riforma delle pensioni, se sarà approvata nel testo presentato dai Ministri Tremonti e Maroni, penalizzerebbe giovani e meno giovani, lavoratori dipendenti e precari che rivendicano giustamente un posto di lavoro.
Una riforma priva di gradualità, non concordata con le forze sociali, che lede i diritti acquisiti, che ferisce la stessa autonomia previdenziale di categorie come quella che rappresento, una riforma così merita la risposta che oggi ci porta tutti in piazza.
Il sistema previdenziale, come è stato detto, è, per i giornalisti, come per tutti gli altri lavoratori, un contratto che si firma nella giovinezza all’inizio del lavoro, si onora durante gli anni del lavoro, versando i contributi, e si riscuote nella vecchiaia. Ogni riforma non può non tenere conto del fatto che occorre rispettare i patti, i contratti sottoscritti. Se occorre, i patti e i contratti si possono modificare, con l’accordo dei rappresentanti dei lavoratori, ma non stravolgere completamente a danno soprattutto dei più deboli.
Penso ai miei tanti giornalisti, sono ormai decine di migliaia, giovani e precari, la cui vita lavorativa con un contratto di lavoro comincia mediamente a 35 – 40 anni, e quindi con una brevissima vita contributiva, penso agli attuali cinquantenni, ai sogni e alle aspettative frustrate. Anche quelle minime di avere un tetto sulla testa ed una vecchiaia serena. E non crediate alle balle di chi dice che i giornalisti sono tutti ricchi e privilegiati, la maggioranza dei precari oggi ha seri problemi di sopravvivenza.
Ma delle ragioni delle Confederazioni sindacali, della protesta generale dei lavoratori, dello sciopero dei giornalisti, i cittadini italiani rischiano di sapere poco e di avere delle notizie distorte.
La richiesta delle Confederazioni sindacali, della Cgil, della Cisl e della Uil, innanzitutto, la richiesta alla Rai di avere una par condicio con il Presidente del Consiglio, andato in televisione a reti unificate, con il Ministro dell’Economia Giulio Tremonti, protagonista senza contraddittorio della trasmissione “La vita in diretta”, con il Ministro Maurizio Gasparri a “Uno mattina”. La richiesta di una informazione completa e corretta sulle ragioni dello sciopero che fine ha fatto?
Ringrazio La7, le Televisioni e le radio che hanno garantito una diretta e i colleghi che sono oggi nelle piazze delle manifestazioni per raccontare questo grande momento di mobilitazione. I giornalisti oggi lavorano dopo lo sciopero di ieri dell’emittenza e prima di quello dei quotidiani di lunedì.
Ma dobbiamo dire con forza che il servizio pubblico radiotelevisivo ed il suo direttore Cattaneo, hanno nella sostanza respinto finora questa richiesta di informazione. Ciò nonostante le dure parole del Presidente Lucia Annunziata. La Rai sta abdicando al suo ruolo e favorisce il concorrente privato. E’ una vergogna. E’ una vergogna che sarà difficile riparare. E’ una vergogna che i miei colleghi giornalisti della Rai, qui in piazza con noi, hanno denunciato con forza.
Il Sindacato dei giornalisti, insieme a decine di organizzazioni della comunicazione, della cultura, della società e del mondo del lavoro, rinnova anche oggi da questa piazza romana e da tutte le piazze d’Italia, la sua protesta per la situazione angosciante dell’informazione nel nostro Paese. Siamo impegnati, insieme alle confederazioni sindacali, alle quali ci lega un patto di unità che compie tra pochi mesi 60 anni, siamo impegnati per una informazione che rispetti la verità e non gli interessi di pochi, di uno solo.
Il problema irrisolto del conflitto di interessi, la discussione su una legge illiberale come quella presentata dal Ministro Gasparri per il sistema della comunicazione, lo squilibrio della pubblicità, il deficit di pluralismo soprattutto nelle televisioni e nelle radio nazionali. Sono questi temi che si legano strettamente ai grandi diritti al centro di questo sciopero generale: il diritto ad una vita e ad una vecchiaia dignitose, il diritto ad un lavoro rispettato e adeguatamente retribuito, il diritto alla conoscenza di ciò che accade davvero in questo Paese e nel mondo.
Diritti non a caso sanciti dalla Costituzione italiana e più volte difesi dal Capo dello Stato. Diritti per i quali è giusto batterci tutti insieme, uniti e solidali.
lunedì, ottobre 27, 2003
MEDITAZIONE
MANIFESTO 26-10
Sommario di I pag.
Ma dove andiamo?
Il vice-direttore generale di Bankitalia, Pierluigi Ciocca, denuncia: «L'economia italiana è ferma dal 2001». L'industria declina e gli industriali pensano solo a far cassa. Per giustificarsi accusano la Fiom di fare «lotte anticostituzionali» chiedendo l'intervento del governo
Dall'inizio del 2001 l'economia italiana è bloccata e franano le esportazioni. Le imprese non sono più competitive per una questione di prezzi, ma anche di qualità. L'accusa è arrivata ieri da Pierluigi Ciocca, vice direttore generale di Bankitalia, che a Salerno ha spiegato all'assemblea annuale degli economisti italiani le radici dell'inarrestabile decino. Un declino che viene da lontano, ma che si è aggravato negli ultimi anni. La produttività scende, gli industriali non innovano e la struttura produttiva, paragonata a «piccole donne che non crescono», è caratterizzata da una eccessiva frantumazione. Le imprese negli ultimi anni hanno accresciuto i loro profitti, ma questo non si è tradotto in un incremento del pil. Al contrario, la pessima distribuzione del reddito ha provocato un freno alla domanda. Ciocca ha anche parlato di scarsa mobilità sociale, di immigrazione che ha introdotto un grado di libertà in più nell'utilizzo della manodopera «drammaticamente innalzando la flessibilità nel mercato e nei rapporti sociali». Ma ha anche chiesto una «pubblica istruzione di qualità che pareggi le condizoni di partenza». Ai sindacati e ai lavoratori ha consigliato lotte anche più dure «sul salario reale e sulla distribuzione del reddito», ma anche un'apertura «sui fronti della mobilità del lavoro e delle forme in cui il lavoro viene prestato». L'analisi di Ciocca ha movimentato un'assemblea di Confindustria a Crotone, dedicata ufficialmente ai temi del Mezzogiorno. In realtà, fuori e dentro la sala l'argomento all'ordine del giorno erano le alleanze per la successione a D'Amato alla presidenza dell'organizzazione. E mentre a Crotone si parlava, altri industriali scrivevano a Berlusconi, ai presidenti delle due Camere, ai ministri del welfare e dell'interno, ai segretari generali di Cgil, Cisl e Uil. Sei associazioni confindustriali emiliano-romagnole hanno denunciato la presunta «incostituzionalità» dei precontratti Fiom che i loro aderenti stanno firmando a man bassa. Vorrebbero addirittura una legge dal Parlamento per fermare la Fiom e abrogare la contrattazione. In poche parole, invocano la «guardia regia». La risposta della Fiom arriverà il 7 novembre con lo sciopero generale e la manifestazione nazionale a Roma.
MANIFESTO 26-10
Sommario di I pag.
Ma dove andiamo?
Il vice-direttore generale di Bankitalia, Pierluigi Ciocca, denuncia: «L'economia italiana è ferma dal 2001». L'industria declina e gli industriali pensano solo a far cassa. Per giustificarsi accusano la Fiom di fare «lotte anticostituzionali» chiedendo l'intervento del governo
Dall'inizio del 2001 l'economia italiana è bloccata e franano le esportazioni. Le imprese non sono più competitive per una questione di prezzi, ma anche di qualità. L'accusa è arrivata ieri da Pierluigi Ciocca, vice direttore generale di Bankitalia, che a Salerno ha spiegato all'assemblea annuale degli economisti italiani le radici dell'inarrestabile decino. Un declino che viene da lontano, ma che si è aggravato negli ultimi anni. La produttività scende, gli industriali non innovano e la struttura produttiva, paragonata a «piccole donne che non crescono», è caratterizzata da una eccessiva frantumazione. Le imprese negli ultimi anni hanno accresciuto i loro profitti, ma questo non si è tradotto in un incremento del pil. Al contrario, la pessima distribuzione del reddito ha provocato un freno alla domanda. Ciocca ha anche parlato di scarsa mobilità sociale, di immigrazione che ha introdotto un grado di libertà in più nell'utilizzo della manodopera «drammaticamente innalzando la flessibilità nel mercato e nei rapporti sociali». Ma ha anche chiesto una «pubblica istruzione di qualità che pareggi le condizoni di partenza». Ai sindacati e ai lavoratori ha consigliato lotte anche più dure «sul salario reale e sulla distribuzione del reddito», ma anche un'apertura «sui fronti della mobilità del lavoro e delle forme in cui il lavoro viene prestato». L'analisi di Ciocca ha movimentato un'assemblea di Confindustria a Crotone, dedicata ufficialmente ai temi del Mezzogiorno. In realtà, fuori e dentro la sala l'argomento all'ordine del giorno erano le alleanze per la successione a D'Amato alla presidenza dell'organizzazione. E mentre a Crotone si parlava, altri industriali scrivevano a Berlusconi, ai presidenti delle due Camere, ai ministri del welfare e dell'interno, ai segretari generali di Cgil, Cisl e Uil. Sei associazioni confindustriali emiliano-romagnole hanno denunciato la presunta «incostituzionalità» dei precontratti Fiom che i loro aderenti stanno firmando a man bassa. Vorrebbero addirittura una legge dal Parlamento per fermare la Fiom e abrogare la contrattazione. In poche parole, invocano la «guardia regia». La risposta della Fiom arriverà il 7 novembre con lo sciopero generale e la manifestazione nazionale a Roma.
CORSERA 26-10
Saper scrivere e saper parlare
Berlusconi è stato eletto democraticamente: ogni popolo ha il governo che si merita
di ENZO BIAGI
Ho stima di Lucia Annunziata: come persona e come collega. Trovo invece ridicolo il ministro Gasparri che la sgrida perché «dovrebbe sottolineare i buoni risultati di audience». Perché la tv «privata» le fa concorrenza? Chi comanda alla Rai e a Mediaset? Il ministro ha mai sentito parlare di un conflitto di interessi che doveva essere sistemato in dieci giorni? Ha mai sentito parlare di Edison e di Marconi - pazienza - ma anche di un certo Berlusconi, chiamato, come il comico Tino Scotti, «Il Cavaliere»? La Rai si valorizza con quello che trasmette e con quello che la gente vede. L’Italia repubblicana ha avuto nel dopoguerra 58 governi; le pare che ci siano in giro dei De Gasperi? E il nuovo direttore generale della tv di Stato (si fa per dire), Cattaneo, che ha dichiarato che lui la tv non la guardava? È per questo, forse, che gli hanno dato l’incarico. Chi sa come si diverte a vedere quelle figurine che si muovono sul piccolo schermo, proprio come se fossero vive e vere, e poi tutte quelle storie che raccontano... Mi permetto di suggerire un meraviglioso soggetto che hanno già in casa, protagonista compreso: la storia di Berlusconi, e sono sicuro che nessuno tra la sessantina di milioni di cittadini italiani avrebbe previsto per questo conversatore da Rotary (nessuna intenzione ironica o offensiva), chiacchiere ma a cena conclusa, la guida del governo. Va riconosciuto che lui è stato eletto democraticamente, e che ogni popolo ha il governo che si merita.
C’era una volta una scuola per corrispondenza che aveva per motto lo slogan: «Sapete scrivere, potete disegnare». Sapete parlare, fate come il ministro Gasparri (ma che carriera) che accusa Lucia Annunziata perché non mette abbastanza in evidenza i buoni risultati di «audience», in particolare la fiction su Madre Teresa di Calcutta (ultimo miracolo) e quella su Salvo D’Acquisto: avanti con Enrico Toti e Padre Francesco di Assisi. E facciamola finita con le chiacchiere e le balle sul pluralismo: si limitino a considerarle una questione grammaticale.
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CITAZIONE
“”Berlusconi in Europa o fa ridere o fa aprire inchieste. Di suo ha tentato di divaricare alcuni Paesi europei da altri buttandosi, senza riguardo per l’equilibrio della Unione, nella guerra all’Iraq. L’incompatibilità tra Berlusconi e l’Europa è così radicale che la sua è una strategia di breve durata. Qualunque destra, che sia consapevole dei propri interessi (per non parlare degli interessi del Paese), dovrà decidersi a fare a meno di lui, visto che dall’Europa, se non altro per il vincolo della moneta unica, non è possibile uscire. Ma questa è la stagione del peggio, la stagione dei danni. Qualcuno è già irreversibile. Confidiamo nella tenacia e nel coraggio degli Abbado d’Italia, e di tutti coloro che, in ogni ruolo e livello, non hanno voglia di riconoscersi nella figura ridicola e tragica di Berlusconi.””
Furio Colombo – l’Unità 25-10
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WWW.CENTOMOVIMENTI.IT 26-10
Berlusconi: "La sinistra ci ha ripreso"
Spudorata sincerità da crisi isterica
REDAZIONE
L'ultimo sondaggio se lo è fatto da solo ed ha incassato lo stesso risultato che aveva ottenuto quello di Domenica In: "Basta a Berlusconi".
Il presidente del Consiglio, durante il consiglio dei ministri, alla fine ha ammesso: "Per la prima volta dal 1996 siamo quasi alla pari con il centrosinistra, 48% noi e 47,8% loro, il divario è praticamente azzerato".
Per arrivare ad una così spudorata sincerità il premier è dovuto passare attraverso ad una sorta di crisi isterica, durante la quale ha persino ipotizzato, tra lo sconcerto dei presenti, di lasciare la politica: "Ho una famiglia, una barca, posso andare in posti bellissimi, posso tornare ad occuparmi delle mie Aziende".
Quello del Cavaliere è stato uno sfogo in piena regola, il leader della Casa delle libertà si è infatti lasciato andare nel corso di una ramanzina ai suoi ministri: "Continuando così perdiamo tutti, nessuno escluso".
Per Berlusconi la maggioranza non fa altro che dividersi, una guerra interna capace "persino di oscurare le divisioni della sinistra".
"Non si può continuare a litigare a colpi di agenzie di stampa - ha affermato - se proprio volete litigare, fatelo a porte chiuse, non davanti agli italiani, così mettete a rischio il consenso della maggioranza".
"Alcuni di voi sembrano occupati solo a farci del male - ha accusato Berlusconi - ci stiamo facendo del male da soli e il nostro elettorato non lo accetta".
Una confessione in piena regola che non ha lasciato indifferenti i leader del centrosinistra.
"Berlusconi fa bene a preoccuparsi - ha affermato il segretario dei Ds Piero Fassino - dopo due anni e mezzo di governo l'Italia è meno sicura".
Ancora più spietato il leader della Margherita Francesco Rutelli: "Berlusconi dice che siamo alla pari? Questo significa che siamo in vantaggio perché lui quando è indietro di cinque punti dice di essere in vantaggio. Noi i sondaggi, quelli veri, li facciamo da tempo e da un anno ci dicono che siamo stabilmente in testa alle preferenze degli elettori".
Saper scrivere e saper parlare
Berlusconi è stato eletto democraticamente: ogni popolo ha il governo che si merita
di ENZO BIAGI
Ho stima di Lucia Annunziata: come persona e come collega. Trovo invece ridicolo il ministro Gasparri che la sgrida perché «dovrebbe sottolineare i buoni risultati di audience». Perché la tv «privata» le fa concorrenza? Chi comanda alla Rai e a Mediaset? Il ministro ha mai sentito parlare di un conflitto di interessi che doveva essere sistemato in dieci giorni? Ha mai sentito parlare di Edison e di Marconi - pazienza - ma anche di un certo Berlusconi, chiamato, come il comico Tino Scotti, «Il Cavaliere»? La Rai si valorizza con quello che trasmette e con quello che la gente vede. L’Italia repubblicana ha avuto nel dopoguerra 58 governi; le pare che ci siano in giro dei De Gasperi? E il nuovo direttore generale della tv di Stato (si fa per dire), Cattaneo, che ha dichiarato che lui la tv non la guardava? È per questo, forse, che gli hanno dato l’incarico. Chi sa come si diverte a vedere quelle figurine che si muovono sul piccolo schermo, proprio come se fossero vive e vere, e poi tutte quelle storie che raccontano... Mi permetto di suggerire un meraviglioso soggetto che hanno già in casa, protagonista compreso: la storia di Berlusconi, e sono sicuro che nessuno tra la sessantina di milioni di cittadini italiani avrebbe previsto per questo conversatore da Rotary (nessuna intenzione ironica o offensiva), chiacchiere ma a cena conclusa, la guida del governo. Va riconosciuto che lui è stato eletto democraticamente, e che ogni popolo ha il governo che si merita.
C’era una volta una scuola per corrispondenza che aveva per motto lo slogan: «Sapete scrivere, potete disegnare». Sapete parlare, fate come il ministro Gasparri (ma che carriera) che accusa Lucia Annunziata perché non mette abbastanza in evidenza i buoni risultati di «audience», in particolare la fiction su Madre Teresa di Calcutta (ultimo miracolo) e quella su Salvo D’Acquisto: avanti con Enrico Toti e Padre Francesco di Assisi. E facciamola finita con le chiacchiere e le balle sul pluralismo: si limitino a considerarle una questione grammaticale.
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CITAZIONE
“”Berlusconi in Europa o fa ridere o fa aprire inchieste. Di suo ha tentato di divaricare alcuni Paesi europei da altri buttandosi, senza riguardo per l’equilibrio della Unione, nella guerra all’Iraq. L’incompatibilità tra Berlusconi e l’Europa è così radicale che la sua è una strategia di breve durata. Qualunque destra, che sia consapevole dei propri interessi (per non parlare degli interessi del Paese), dovrà decidersi a fare a meno di lui, visto che dall’Europa, se non altro per il vincolo della moneta unica, non è possibile uscire. Ma questa è la stagione del peggio, la stagione dei danni. Qualcuno è già irreversibile. Confidiamo nella tenacia e nel coraggio degli Abbado d’Italia, e di tutti coloro che, in ogni ruolo e livello, non hanno voglia di riconoscersi nella figura ridicola e tragica di Berlusconi.””
Furio Colombo – l’Unità 25-10
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WWW.CENTOMOVIMENTI.IT 26-10
Berlusconi: "La sinistra ci ha ripreso"
Spudorata sincerità da crisi isterica
REDAZIONE
L'ultimo sondaggio se lo è fatto da solo ed ha incassato lo stesso risultato che aveva ottenuto quello di Domenica In: "Basta a Berlusconi".
Il presidente del Consiglio, durante il consiglio dei ministri, alla fine ha ammesso: "Per la prima volta dal 1996 siamo quasi alla pari con il centrosinistra, 48% noi e 47,8% loro, il divario è praticamente azzerato".
Per arrivare ad una così spudorata sincerità il premier è dovuto passare attraverso ad una sorta di crisi isterica, durante la quale ha persino ipotizzato, tra lo sconcerto dei presenti, di lasciare la politica: "Ho una famiglia, una barca, posso andare in posti bellissimi, posso tornare ad occuparmi delle mie Aziende".
Quello del Cavaliere è stato uno sfogo in piena regola, il leader della Casa delle libertà si è infatti lasciato andare nel corso di una ramanzina ai suoi ministri: "Continuando così perdiamo tutti, nessuno escluso".
Per Berlusconi la maggioranza non fa altro che dividersi, una guerra interna capace "persino di oscurare le divisioni della sinistra".
"Non si può continuare a litigare a colpi di agenzie di stampa - ha affermato - se proprio volete litigare, fatelo a porte chiuse, non davanti agli italiani, così mettete a rischio il consenso della maggioranza".
"Alcuni di voi sembrano occupati solo a farci del male - ha accusato Berlusconi - ci stiamo facendo del male da soli e il nostro elettorato non lo accetta".
Una confessione in piena regola che non ha lasciato indifferenti i leader del centrosinistra.
"Berlusconi fa bene a preoccuparsi - ha affermato il segretario dei Ds Piero Fassino - dopo due anni e mezzo di governo l'Italia è meno sicura".
Ancora più spietato il leader della Margherita Francesco Rutelli: "Berlusconi dice che siamo alla pari? Questo significa che siamo in vantaggio perché lui quando è indietro di cinque punti dice di essere in vantaggio. Noi i sondaggi, quelli veri, li facciamo da tempo e da un anno ci dicono che siamo stabilmente in testa alle preferenze degli elettori".
MEDITAZIONE
LIBERAZIONE
Le pensioni al tempo di Berlusconi
Beppe Lopez
Le proposte del governo per le pensioni sono chiare e precise. Il "fumo" in cui sono rimaste avvolte per mesi si è dissipato. Il presidente del Consiglio si è rivolto in modo solenne dagli schermi televisivi agli italiani per rassicurarli. Ha poi annunciato che scriverà una lettera a tutti gli italiani: nemmeno di fronte ad eventi come la guerra vi è stato tanto impegno di Berlusconi. E' la prova che il provvedimento avrà implicazioni profonde per tutti e tutte e che muterà radicalmente lo stato sociale, la più grande conquista del movimento operaio nel secolo scorso. Il ministro Tremonti sostiene che "non c'è legge finanziaria senza riforma delle pensioni". La Confindustria dichiara che è un buon inizio ma non basta. Le autorità monetarie europee apprezzano, ma sottolineano che non è sufficiente. Cgil Cisl e Uil proclamano lo sciopero generale.
In pensione più vecchi
Dal 2008 si andrà in pensione con 40 anni di contributi o con 60 di età le donne e 65 anni gli uomini.
La possibilità di pensionarsi a 57 anni con 35 anni di contributi viene cancellata. L'operazione viene giustificata con due argomenti, l'aumento della speranza di vita e un "picco" di spesa nel 2030. L'aumento della speranza di vita intanto non è uguale per tutti, ci sono intere categorie di lavoratori e lavoratrici che hanno una minore speranza di vita. Si penalizzano i lavoratori e le lavoratrici impegnati/e nei lavori meno gratificanti, meno qualificati, manuali che sono più facilmente (si fa per dire) accessibili in età giovane. Il prossimo intervento, statene certi, sarà l'elevamento dell'età per le donne a 65 anni e lo si farà nel nome della parità uomo-donna e in quanto le donne hanno una speranza di vita più lunga degli uomini.
La spesa pensionistica
Quando si parla di spesa pensionistica e di spesa sociale lo si fa con approssimazione, si mistificano e si strumentalizzano i dati. L'Italia ha una spesa sociale inferiore a quella di quasi tutti gli altri paesi europei. Per quanto riguarda le pensioni è noto che esiste ancora una commistione tra previdenza e assistenza, e quote di assistenza vengono caricate sulla previdenza. L'importo delle pensioni sono calcolate al lordo, non vengono detratte le ritenute fiscali che si avvicinano al 20% e che rientrano nelle casse dello Stato mentre in Germania non vi è ritenuta fiscale sulla pensione, e in altri paesi è insignificante. Non solo nella spesa pensionistica è conteggiato il Tfr. Realmente il "costo" delle pensioni non supera il 9% del Pil, altro che 13% e attraverso le ritenute fiscali concorre positivamente al bilancio dello Stato. Per il governo, anche se gli istituti previdenziali fossero in attivo (e l'Inps lo è) egualmente ci sarebbe un picco, una "gobba", nel 2030, in quanto il rapporto viene fatto tra quanto viene erogato e il Pil e non si tiene conto dei contributi versati. Tant'è che per il governo nulla cambierebbe se si riuscisse, ma non lo si vuole, a recuperare una parte dell'evasione contributiva che viaggia nell'ordine di 30 miliardi di euro l'anno, cioè l'importo di due leggi finanziarie, né se i bilanci degli istituti sono in attivo. Ma si pensa veramente che nulla cambi da qui a 26 anni, che ci sarà un andamento economico senza scosse? Va invece denunciato, ecco la fretta di colpire le pensioni, che tutta l'operazione che scatterebbe nel 2008 ha come scopo di ottenere l'avallo, e da subito, a sforare dello 0,5% il tetto (Maastricht) del debito pubblico.
L'incentivo a rimanere al lavoro
Altra misura è la concessione di un incentivo se si rimane a lavorare, raggiunto il diritto alla pensione di anzianità. Per due anni viene concesso un bonus pari al 32% del salario. Quanto ricevuto in più di salario in due anni viene mangiato in 15/16 anni in quanto la pensione futura sarà di importo inferiore. Su un salario annuo di 15.000 euro, il 32% di maggiorazione equivale a 4.800 euro. Per i due anni di ritardato pensionamento si perdono circa 600 euro di pensione ogni anno per i mancati versamenti dei contributi agli istituti previdenziali. Il conto è presto fatto. Raggiunti i requisiti pensionistici a decidere se si può o no rimanere in azienda è il padrone. Ma è noto che le aziende vogliono liberarsi dei lavoratori anziani. Chi decide di andare in pensione non vi rinuncia per l'incentivo: corona un sogno dopo una vita di lavoro, spesso ha già programmato la vecchiaia. Dato che questa misura fallirà, servirà solo ad aprire la porta a quel "disincentivo" per ora escluso.
Meno contributi per i nuovi assunti
La decontribuzione per i nuovi assunti è un regalo alle aziende, diventa profitto netto. Un 5% in meno di contributi previdenziali non è poca cosa: per un solo lavoratore che percepisca 15.000 Euro lordi l'anno l'azienda risparmia 780 euro. Ma chi pagherà il prezzo più alto saranno i "nuovi assunti" che con il sistema contributivo matureranno una pensione più povera in quanto avranno un valore minore di contributi, stante il fatto che la vita lavorativa dei più sarà regolata da rapporti precari. Una minore contribuzione provocherà un buco nei conti dell'Inps e poi grideranno che il sistema fa acqua e pretenderanno di tagliare ancora.
Confisca del Tfr
Il passaggio obbligatorio del Tfr alla previdenza complementare è un sopruso, un atto di prepotenza. E' una misura di dubbia leggittimità. Soprattutto è un regalo ai mercati finanziari e ad avvantaggiarsene saranno quelli esteri, stante la debolezza dei nostri mercati. I lavoratori italiani sono restii ad aderire volontariamente ai fondi pensione, anche a quelli previsti dai contratti di lavoro. Con questa misura si opera una forzatura e si scippa una quota di salario in quanto il Tfr è salario differito. L'obiettivo è che la gamba della previdenza complementare diventi la più robusta e nel tempo scompaia quella della previdenza pubblica. E' poi noto che i fondi pensione negli altri Paesi, dove sono attivi da anni, danno bassi e incerti rendimenti, e, se mal gestiti, falliscono precipitando sul lastrico migliaia di anziani.
I lavori usuranti
Il governo promette di riesaminare i lavori particolarmente usuranti. La tabella dei lavori che danno diritti a modesti benefici per chi vi è costretto è stata varata nel 1993. In 10 anni sono cambiati l'organizzazione del lavoro, i ritmi e gli orari, si usano nuove sostanze, la tecnologia ha fatto passi avanti (ad esempio l'informatica). Tutto ciò incide su chi lavora a livello psico-fisico ma non si è contrattato nulla ignorando anche quanto previsto dalla legge Dini. E' questa una questione non più rinviabile: deve diventare un punto centrale delle piattaforme sindacali contrattuali, una nuova battaglia di civiltà. La tabella che pubblichiamo parla da sola ed è un linguaggio di morte.
Aumentare le pensioni
Mediamente le pensioni Inps (nel conto sono comprese quelle "d'oro") ammontano mensilmente a 606 euro. Poi vi sono gli invalidi civili, ad esempio gli assegni a ciechi e sordomuti, che sono di poco superiori a 200 euro mensili. Salari e pensioni sono ormai i più bassi d'Europa. I sindacati dei pensionati denunciano una perdita del 15-27 % del loro potere di acquisto nel decennio: chiedono un recupero anche se non ne precisano le modalità. E' necessario rivendicare un aumento generalizzzzzato delle pensioni medio-basse, per recuperare almeno quanto hanno perso. E' necessario garantire, senza limiti di età e reddito, il milione (oggi 512 euro) a suo tempo promesso da Berlusconi a quei milioni di anziani, non solo pensionati Inps, fruitori di ogni tipo di assegno di invalidità, che percepiscono di meno. L'aumento generalizzato di gran parte delle pensioni contribuirebbe anche alla ripresa economica: aumenterebbero i consumi.
Misure per i precari
Va poi affrontato il problema del futuro pensionistico di milioni di lavoratori e lavoratrici precari.
Per questi lavoratori e per queste lavoratrici e per quanti nella vita lavorativa ricevono bassi salari, il sistema contributivo introdotto con la legge Dini è micidiale. Non andranno in pensione o vi andranno con poche lire. Di per sè il sistema contributivo abbassa di un 20% la copertura pensionsitica futura, una gran parte del taglio sarà pagato dal precariato. Occorre introdurre un meccanismo che permette una "carriera contributiva", cioè una continuità di contribuzione da quando si inizia a lavorare anche se si cambia frequentemente azienda, tipo di rapporto di lavoro, se si rimane disoccupati. Stabilire che per ogni anno di "contribuzione" vi sia un rendimento minimo. Ad esempio un quindicesimo del minimo garantirebbe per ogni anno di contribuzione 26,70 euro di pensione: dopo 35 anni 834 euro al mese.
Altre questioni
Vi sono molti altri problemi da affrontare quali l'aggancio delle pensioni ai salari, forme nuove di contribuzione, misure efficaci per combattere l'evasione contributiva, la divisione della previdenza e assistenza. E si potrebbe continuare. Ma se si vuole salvare il sistema pensionistico pubblico, universale, solidale, vanno sì respinte le proposte del governo ma contemporaneamente conquistato almeno un aumento delle pensioni, garanzie per il diritto a pensionarsi dei giovani e misure per mitigare il sistema del calcolo contributivo per il precariato.
LIBERAZIONE
Le pensioni al tempo di Berlusconi
Beppe Lopez
Le proposte del governo per le pensioni sono chiare e precise. Il "fumo" in cui sono rimaste avvolte per mesi si è dissipato. Il presidente del Consiglio si è rivolto in modo solenne dagli schermi televisivi agli italiani per rassicurarli. Ha poi annunciato che scriverà una lettera a tutti gli italiani: nemmeno di fronte ad eventi come la guerra vi è stato tanto impegno di Berlusconi. E' la prova che il provvedimento avrà implicazioni profonde per tutti e tutte e che muterà radicalmente lo stato sociale, la più grande conquista del movimento operaio nel secolo scorso. Il ministro Tremonti sostiene che "non c'è legge finanziaria senza riforma delle pensioni". La Confindustria dichiara che è un buon inizio ma non basta. Le autorità monetarie europee apprezzano, ma sottolineano che non è sufficiente. Cgil Cisl e Uil proclamano lo sciopero generale.
In pensione più vecchi
Dal 2008 si andrà in pensione con 40 anni di contributi o con 60 di età le donne e 65 anni gli uomini.
La possibilità di pensionarsi a 57 anni con 35 anni di contributi viene cancellata. L'operazione viene giustificata con due argomenti, l'aumento della speranza di vita e un "picco" di spesa nel 2030. L'aumento della speranza di vita intanto non è uguale per tutti, ci sono intere categorie di lavoratori e lavoratrici che hanno una minore speranza di vita. Si penalizzano i lavoratori e le lavoratrici impegnati/e nei lavori meno gratificanti, meno qualificati, manuali che sono più facilmente (si fa per dire) accessibili in età giovane. Il prossimo intervento, statene certi, sarà l'elevamento dell'età per le donne a 65 anni e lo si farà nel nome della parità uomo-donna e in quanto le donne hanno una speranza di vita più lunga degli uomini.
La spesa pensionistica
Quando si parla di spesa pensionistica e di spesa sociale lo si fa con approssimazione, si mistificano e si strumentalizzano i dati. L'Italia ha una spesa sociale inferiore a quella di quasi tutti gli altri paesi europei. Per quanto riguarda le pensioni è noto che esiste ancora una commistione tra previdenza e assistenza, e quote di assistenza vengono caricate sulla previdenza. L'importo delle pensioni sono calcolate al lordo, non vengono detratte le ritenute fiscali che si avvicinano al 20% e che rientrano nelle casse dello Stato mentre in Germania non vi è ritenuta fiscale sulla pensione, e in altri paesi è insignificante. Non solo nella spesa pensionistica è conteggiato il Tfr. Realmente il "costo" delle pensioni non supera il 9% del Pil, altro che 13% e attraverso le ritenute fiscali concorre positivamente al bilancio dello Stato. Per il governo, anche se gli istituti previdenziali fossero in attivo (e l'Inps lo è) egualmente ci sarebbe un picco, una "gobba", nel 2030, in quanto il rapporto viene fatto tra quanto viene erogato e il Pil e non si tiene conto dei contributi versati. Tant'è che per il governo nulla cambierebbe se si riuscisse, ma non lo si vuole, a recuperare una parte dell'evasione contributiva che viaggia nell'ordine di 30 miliardi di euro l'anno, cioè l'importo di due leggi finanziarie, né se i bilanci degli istituti sono in attivo. Ma si pensa veramente che nulla cambi da qui a 26 anni, che ci sarà un andamento economico senza scosse? Va invece denunciato, ecco la fretta di colpire le pensioni, che tutta l'operazione che scatterebbe nel 2008 ha come scopo di ottenere l'avallo, e da subito, a sforare dello 0,5% il tetto (Maastricht) del debito pubblico.
L'incentivo a rimanere al lavoro
Altra misura è la concessione di un incentivo se si rimane a lavorare, raggiunto il diritto alla pensione di anzianità. Per due anni viene concesso un bonus pari al 32% del salario. Quanto ricevuto in più di salario in due anni viene mangiato in 15/16 anni in quanto la pensione futura sarà di importo inferiore. Su un salario annuo di 15.000 euro, il 32% di maggiorazione equivale a 4.800 euro. Per i due anni di ritardato pensionamento si perdono circa 600 euro di pensione ogni anno per i mancati versamenti dei contributi agli istituti previdenziali. Il conto è presto fatto. Raggiunti i requisiti pensionistici a decidere se si può o no rimanere in azienda è il padrone. Ma è noto che le aziende vogliono liberarsi dei lavoratori anziani. Chi decide di andare in pensione non vi rinuncia per l'incentivo: corona un sogno dopo una vita di lavoro, spesso ha già programmato la vecchiaia. Dato che questa misura fallirà, servirà solo ad aprire la porta a quel "disincentivo" per ora escluso.
Meno contributi per i nuovi assunti
La decontribuzione per i nuovi assunti è un regalo alle aziende, diventa profitto netto. Un 5% in meno di contributi previdenziali non è poca cosa: per un solo lavoratore che percepisca 15.000 Euro lordi l'anno l'azienda risparmia 780 euro. Ma chi pagherà il prezzo più alto saranno i "nuovi assunti" che con il sistema contributivo matureranno una pensione più povera in quanto avranno un valore minore di contributi, stante il fatto che la vita lavorativa dei più sarà regolata da rapporti precari. Una minore contribuzione provocherà un buco nei conti dell'Inps e poi grideranno che il sistema fa acqua e pretenderanno di tagliare ancora.
Confisca del Tfr
Il passaggio obbligatorio del Tfr alla previdenza complementare è un sopruso, un atto di prepotenza. E' una misura di dubbia leggittimità. Soprattutto è un regalo ai mercati finanziari e ad avvantaggiarsene saranno quelli esteri, stante la debolezza dei nostri mercati. I lavoratori italiani sono restii ad aderire volontariamente ai fondi pensione, anche a quelli previsti dai contratti di lavoro. Con questa misura si opera una forzatura e si scippa una quota di salario in quanto il Tfr è salario differito. L'obiettivo è che la gamba della previdenza complementare diventi la più robusta e nel tempo scompaia quella della previdenza pubblica. E' poi noto che i fondi pensione negli altri Paesi, dove sono attivi da anni, danno bassi e incerti rendimenti, e, se mal gestiti, falliscono precipitando sul lastrico migliaia di anziani.
I lavori usuranti
Il governo promette di riesaminare i lavori particolarmente usuranti. La tabella dei lavori che danno diritti a modesti benefici per chi vi è costretto è stata varata nel 1993. In 10 anni sono cambiati l'organizzazione del lavoro, i ritmi e gli orari, si usano nuove sostanze, la tecnologia ha fatto passi avanti (ad esempio l'informatica). Tutto ciò incide su chi lavora a livello psico-fisico ma non si è contrattato nulla ignorando anche quanto previsto dalla legge Dini. E' questa una questione non più rinviabile: deve diventare un punto centrale delle piattaforme sindacali contrattuali, una nuova battaglia di civiltà. La tabella che pubblichiamo parla da sola ed è un linguaggio di morte.
Aumentare le pensioni
Mediamente le pensioni Inps (nel conto sono comprese quelle "d'oro") ammontano mensilmente a 606 euro. Poi vi sono gli invalidi civili, ad esempio gli assegni a ciechi e sordomuti, che sono di poco superiori a 200 euro mensili. Salari e pensioni sono ormai i più bassi d'Europa. I sindacati dei pensionati denunciano una perdita del 15-27 % del loro potere di acquisto nel decennio: chiedono un recupero anche se non ne precisano le modalità. E' necessario rivendicare un aumento generalizzzzzato delle pensioni medio-basse, per recuperare almeno quanto hanno perso. E' necessario garantire, senza limiti di età e reddito, il milione (oggi 512 euro) a suo tempo promesso da Berlusconi a quei milioni di anziani, non solo pensionati Inps, fruitori di ogni tipo di assegno di invalidità, che percepiscono di meno. L'aumento generalizzato di gran parte delle pensioni contribuirebbe anche alla ripresa economica: aumenterebbero i consumi.
Misure per i precari
Va poi affrontato il problema del futuro pensionistico di milioni di lavoratori e lavoratrici precari.
Per questi lavoratori e per queste lavoratrici e per quanti nella vita lavorativa ricevono bassi salari, il sistema contributivo introdotto con la legge Dini è micidiale. Non andranno in pensione o vi andranno con poche lire. Di per sè il sistema contributivo abbassa di un 20% la copertura pensionsitica futura, una gran parte del taglio sarà pagato dal precariato. Occorre introdurre un meccanismo che permette una "carriera contributiva", cioè una continuità di contribuzione da quando si inizia a lavorare anche se si cambia frequentemente azienda, tipo di rapporto di lavoro, se si rimane disoccupati. Stabilire che per ogni anno di "contribuzione" vi sia un rendimento minimo. Ad esempio un quindicesimo del minimo garantirebbe per ogni anno di contribuzione 26,70 euro di pensione: dopo 35 anni 834 euro al mese.
Altre questioni
Vi sono molti altri problemi da affrontare quali l'aggancio delle pensioni ai salari, forme nuove di contribuzione, misure efficaci per combattere l'evasione contributiva, la divisione della previdenza e assistenza. E si potrebbe continuare. Ma se si vuole salvare il sistema pensionistico pubblico, universale, solidale, vanno sì respinte le proposte del governo ma contemporaneamente conquistato almeno un aumento delle pensioni, garanzie per il diritto a pensionarsi dei giovani e misure per mitigare il sistema del calcolo contributivo per il precariato.
Una “BERLUSCONIANA” imperdibile, da incorniciare: “Salutate nel Merda l’apostolo dell‘Amore”, dice lo Starace di questo regime – se è in buona fede è da rinchiudere.
Luciano Seno
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CORSERA 25-10
Bondi, coordinatore mistico: «Berlusconi è bontà e purezza»
Da comunista a «priore» di Arcore: Forza Italia? Come un ordine monastico – il Cav. «ha preso il potere per dare benessere»
Aldo Cazzullo
ARCORE - La fotografia di Berlusconi con la cornice d'argento e i capelli è rimasta nel parlatorio - un fratino, quattro sedie. Il ritratto a olio di Berlusconi («Ne arrivano di continuo, li mandano pittori anche noti») è in anticamera, accanto alle scrivanie della segretaria di Berlusconi, Marinella, e della segretaria di Sandro Bondi, Marinella, detta Marina per evitare scambi di persona. Nel suo ufficio da neo-coordinatore del primo partito italiano c'è spazio appena per la fotina del piccolo Francesco, 5 anni. Non uno studio; una cella. «Questo era un antico monastero benedettino. E qui ad Arcore il presidente Berlusconi ha fondato una comunità. Quasi un nuovo ordine monastico».
Se Berlusconi è il fondatore, Bondi è il padre generale. Priore di Arcore. Studioso di eresie medievali, laureato in filosofia a Pisa con tesi su frate Leonardo Vallazzana, teologo, predicatore, agostiniano.
«Soprattutto, agostiniano. Da secoli la cristianità si divide tra seguaci di Domenico, influenzati da Aristotele e dal dominio della ragione, e seguaci di Agostino, affascinati da Platone, dal millenarismo, dall'utopia, dall'escatologia, dal messianesimo. Un ceppo da cui sono nate eresie, come quella dei catari e degli anabattisti, animate dal mito della purezza e del candore; contaminato da tentazioni luterane e ugonotte; e che ha influenzato grandi personaggi. Penso a Gioacchino da Fiore. E, in tempi moderni, a Berlusconi e a Dell’Utri.
«Io sono entrato da poco in questa cerchia. Ma mi hanno raccontato delle loro vacanze di un tempo. La giornata era scandita quasi come in un monastero: lavoro e preghiera; la conversazione, la ginnastica, la corsa, il pranzo, e nel pomeriggio la lettura e il commento di un passo della Bibbia o di un'opera di Platone, Agostino, Campanella, Giordano Bruno, Tommaso Moro. Oppure del testo fondamentale, l'Elogio della Follia di Erasmo da Rotterdam; perché c'è un elemento di follia visionaria nell'opera del Dottore. Il vincolo che legava i fondatori va ora riprodotto tra i dirigenti di Forza Italia. I ministri, il presidente del Senato, i governatori, ognuno ha già un rapporto diretto con il presidente Berlusconi. Ora si tratta di creare un legame di solidarietà tra noi. Anche per questo Forza Italia si darà una direzione politica, in cui siederanno tra gli altri Pisanu, Tremonti, Fitto, Martino. Non avrei mai pensato che il Dottore scegliesse me. Forse ha pensato che incarnassi il messaggio originario di Forza Italia».
Da Arcore Bondi sta organizzando il congresso - a Milano, nell'aprile prossimo - e due campagne elettorali decisive, per le Amministrative e le Europee. Lavora al terzo libro di Berlusconi. A una mostra per celebrare il decennale della discesa in campo («il progetto è di un giovane, Massimo Piana. L'altro giorno l'ha presentato al presidente con voce incrinata dall'emozione. Mi ha commosso»). E, soprattutto, all'elaborazione di una teoria politica. Da non chiamarsi ideologia, perché «il presidente Berlusconi nasce con la morte delle ideologie». Piuttosto, una mistica.
«Una politica femminile. Di qua l'Italia che ama, di là l'Italia che odia. Eppure dall'altro campo attendiamo ancora un segno. Perché il presidente Berlusconi non cerca lo scontro, se non per legittima difesa. La sua visione è un’Italia riconciliata, in cui non vi sono nemici ma avversari. La sua politica del fare è una politica donna. È il recupero della lezione di tre donne, tre vittime del nazismo: Simone Weil, Edith Stein, Etty Hillesum. Come loro, il presidente Berlusconi mette al centro la dignità della persona umana. La conquista del potere non è che uno strumento per diffondere benessere e felicità. La logica maschile del potere viene sostituita dalla logica femminile del dono, della comprensione, dell'amore. Il prossimo seminario di Forza Italia sarà dedicato al potere delle donne. Dove? In un hotel di Gubbio, un antico convento francescano».
Poi c'è la dimensione mondana. La fatica del lavoro: dalle 8 del mattino sino a notte, il lunedì qui insieme con Berlusconi, poi a Roma, venerdì e sabato di nuovo ad Arcore. Villa San Martino è molto diversa da come viene raccontata e pensata. Non ci sono marmi. Non c'è plastica. Legni scricchiolanti. Vecchie foto del marchese Casati a passeggio nel parco con Benedetto Croce. Ritratto della marchesa in chiaroscuro, «quasi a presagirne la triste fine» medita Bondi a braccia conserte. Foto della famiglia Berlusconi in cui è incastrata l'immagine di padre Pio.
Mappamondo ligneo. Tele devozionali. Viae crucis . Archivio con decine di fascicoli, «qui c'è tutta la storia di Forza Italia», spiccano per mole il dossier «Pannella» e quello «Garzon».
Cappella con inginocchiatoio. «Sono venuto qui per la prima volta nell'89, da sindaco comunista di Fivizzano, insieme con il maestro Cascella. Il Dottore mi ha regalato una biografia di Hitler con dedica: "A Sandro Bondi, cultore dell'utopia, un libro sull'utopia perversa". Poi mi ha detto: "Lei che sembra così perbene, come fa a essere comunista?"». Qui il ritorno, per lavorare. «Preparavo la risposta alle lettere. Migliaia di lettere. Trenta al giorno, tutti i giorni, per due anni». L'amicizia con Marcello Dell’Utri: «È stato emozionante costruire anche con lui un rapporto d'affetto. Il mistero di Dell’Utri non è nelle sciocchezze che dicono, è nella profondità del suo animo. È il mistero della Sicilia, dell'intelligenza dei siciliani».
Ora, l'avvento alla guida di una macchina organizzativa che ha sempre macinato i suoi conducenti, Codignoni, il generale Caligaris, Mennitti, Previti, Frattini, Scajola, Antonione, di nuovo Scajola. Della logistica si occuperà un manager, provvederà Berlusconi a sceglierlo, «sta già facendo i colloqui». A lui toccherà la politica. «Ravvivare il dibattito interno. Preparare il congresso in modo democratico, per la prima volta, con 121 congressi provinciali che eleggeranno i coordinatori e i delegati». Ci sarà da viaggiare. Un tormento per Bondi che non prende l'aereo: «Soffro di vertigini. È più forte di me. Non salgo neppure sul jet privato del presidente». E poi metodi nuovi per la scelta dei candidati. «Basta decisioni interne al partito. Bisogna aprirsi alla società, consultarsi con il vescovo, con gli imprenditori. La sinistra vince quando sceglie i Berlusconi di provincia; dobbiamo evitarlo. Ho letto l'articolo in cui Giuliano Ferrara mi consigliava di non gettare via la mia esperienza nel Pci. Concordo. Chi mi attribuisce l'idea di partito leggero non sa quel che dice. Conosco l'importanza dell'organizzazione. C'è un progetto per fare della Festa azzurra un appuntamento nazionale, vedremo se prima o dopo l'estate. Anche di questo sono grato al Dottore: avermi dato l'opportunità di riscattare il meglio del mio passato».
«Ci sono cose che non ho rinnegato. Sono figlio di un muratore socialista emigrato in Svizzera, dove nei bar c'erano i cartelli: "Vietato ai cani e agli italiani". Ero affascinato da Berlinguer, sono andato ai suoi funerali. Avverto l'afflato religioso per la giustizia sociale. Ma proprio per questo mi vergogno di una certa sinistra. Mi vergogno dell' Unità . Quando avevo 18 anni e Furio Colombo lavorava per Agnelli, io andavo la domenica mattina alla stazione di Gassano, frazione di Fivizzano, ritiravo duemila copie dell' Unità e le diffondevo casa per casa. Era il giornale di Macaluso, di Chiaromonte. Questo è un distillato di livore, di odio, di accanimento personale, che può essere pericoloso. Quando dico che «da loro mi aspetto di tutto», penso ai terroristi ancora attivi nel nostro Paese, che non sparano ai reazionari, ma ai Biagi e ai D'Antona, agli uomini indicati come traditori. Le cose peggiori non vengono dai veri comunisti, dagli eredi del Pci, i D'Alema, i Fassino. Rispetto Cossutta, capisco Bertinotti, che comunista non è mai stato, e infatti ha grande simpatia umana per il presidente Berlusconi. Provo una pena profonda per Veltroni, che nega il suo passato. Mi sgomenta la miseria umana e morale di Nanni Moretti, capace di dire in morte di Agnelli: "Era meno peggio di Berlusconi". Ma perché lo odiano così?».
Nel parco, i piloti dell'elicottero presidenziale giocano a pallone. Daini. Cavalli. Due molossi divoratori di caprette, discendenti da avi africani addestrati alla lotta contro il leone, che un giorno, racconta Bondi camminando a mani giunte, si pararono di fronte a Dell'Utri e a Berlusconi, «che li ammansì con un grido». Il cuoco Davide, alternativa lombarda al cuoco Michele, «più creativo, mentre Davide cucina i piatti della tradizione», in particolare di lunedì. Il mausoleo di Cascella,«una delle più grandi opere monumentali degli ultimi decenni, con il cerchio della vita e il bassorilievo con le offerte votive scolpito dalla moglie, signora Cordelia von den Steinen». Bondi si raccoglie, a capo chino. «Ora è di moda, nei salotti e sui giornali di sinistra, indicarmi come l'adulatore per eccellenza. È vero il contrario. Sono il meno adulatore di tutti: il mio rapporto personale con il presidente Berlusconi è molto libero e franco. Lui è un uomo autenticamente liberale. A volte si lamenta dei suoi tg, ma non interviene mai per censurare o epurare. Pensi alla libertà di pensiero della signora Veronica, che mi onora della sua amicizia. E poi è enormemente buono. Straordinariamente buono. Non è vero sia duro con i collaboratori, non l'ho mai sentito alzare la voce. Ha ragione Ferrara, quando lo paragona a Mozart, per il candore e la genialità. Berlusconi è candore, è purezza. Lei dice che ha fama di uomo generoso ma spregiudicato, simpatico ma se necessario spietato? Berlusconi è la negazione della spietatezza. Se fosse spietato, non sarebbe Berlusconi».
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WWW.CENTOMOVIMENTI.IT 25-10
Financial Times: guerra al Cavaliere
Quello di Berlusconi “più che un cattivo governo, è un non-governo"
DARIO MIGLIUCCI
"I politici imparano dalla storia? Forse, ma Silvio Berlusconi no".
E' questo il bruciante commento che il Financial Times, con un articolo firmato da Martin Rhodes e David Natali, ha dedicato al nostro presidente del Consiglio.
I due giornalisti, spiegando ai propri lettori lo sciopero generale indetto dai sindacati, hanno usato parole durissime nei riguardi del leader di Forza Italia: "Quasi dieci anni fa il suo governo cadde in seguito agli scioperi contro la riforma delle pensioni. Adesso ci riprova: solo la presidenza italiana dell'Unione europea impedisce la caduta di quello che, più che essere un cattivo governo, è un non-governo".
Un attacco a 360 gradi, quello sferrato dal periodico: la manovra economica 2004? "Una non-finanziaria piena di misure tampone a breve termine con modesti effetti". La riforma delle pensioni? "Una non-riforma" che rischia di trascinare la maggioranza verso la crisi.
Un fallimento totale, secondo il giornale, il bilancio dei primi due anni del Cavaliere alla guida del Paese: il periodico ha criticato il premier sin dal suo primo giorno a Palazzo Chigi.
Articoli al vetriolo sempre più frequenti, tanto da provocare la reazione scomposta del nostro Esecutivo.
"Giornali come il Financial Times ci attaccano in modo denigratorio, offendendo la verità - aveva protestato lo scorso 3 febbraio il ministro delle Attività Produttive Antonio Marzano - il Financial Times è uno dei giornali economici stranieri che di recente ha presentato in termini estremamente negativi e infondati chi siamo".
Ma cosa avrà mai scritto di tanto grave il Financial Times? Motivo di tanta rabbia, potrebbe essere stato un articolo dal titolo inequivocabile: "La mafia ha fatto accordi con Berlusconi". Pubblicato il 22 gennaio 2003, informava i britannici riguardo le dichiarazioni scottanti del pentito Antonio Giuffrè nell'ambito del processo palermitano contro "l'ex direttore dell’impero finanziario di Berlusconi" Marcello Dell'Utri.
Solo pochi giorni prima il quotidiano di oltremanica aveva riservato ampio spazio alla recensione del saggio "Il cuore scuro dell'Italia" (The Dark Heart of Italy).
L'autore del libro, Tobias Jones, approfittò dell'ospitalità per lanciare l'allarme sul caso Berlusconi: "E' primo ministro da 18 mesi ed il suo palazzo televisivo è ad un paio di mosse dallo scacco matto alla democrazia. (...) Gli italiani, grazie alla tv, sono sottomessi a una sorta di dittatura psicologica".
Una brutta pubblicità per il Cavaliere, al quale non era andata meglio l'11 gennaio: "Nel maggio 2001 gli elettori hanno ignorato le accuse di corruzione contro il leader di Forza Italia e la sua posizione di egemonia nei media italiani, dandogli la maggioranza alle due camere del parlamento. Il rischio che il premier sprechi questa opportunità è sempre più alto".
E ancora, sempre nel novembre del 2002: "Il primo ministro incontra problemi dovunque si giri (...) il significato di queste ultime difficoltà è legato all’impossibilità di mantenere le promesse di un’importante riforma economica per cui era stato eletto nel maggio 2001 (...) ha scoperto che è più facile fare promesse che mantenerle".
Il giornale si dedicò anche al caso Fiat ed individuò subito il responsabile di un così grave disastro: "Dietro il terremoto che ha scosso il management Fiat si vede la mano di Berlusconi".
Una serie così continua di attacchi da rendere necessaria una presa di posizione dello staff del Cavaliere che, abituato a spadroneggiare sui media italiani, pensò bene di chiudere la bocca anche al foglio londinese.
L'Esecutivo, sentendo "il dovere di difendere l'immagine del nostro Paese", annunciò un intervento "a livello diplomatico".
Naturalmente non risulta siano stati presi provvedimenti da parte Governo britannico, tanto è vero che il Financial Times continua imperterrito a versare fiumi di inchiostro sulle vicende italiane.
C'era da aspettarselo, con quel comunista di Tony Blair a Downing street.
Luciano Seno
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CORSERA 25-10
Bondi, coordinatore mistico: «Berlusconi è bontà e purezza»
Da comunista a «priore» di Arcore: Forza Italia? Come un ordine monastico – il Cav. «ha preso il potere per dare benessere»
Aldo Cazzullo
ARCORE - La fotografia di Berlusconi con la cornice d'argento e i capelli è rimasta nel parlatorio - un fratino, quattro sedie. Il ritratto a olio di Berlusconi («Ne arrivano di continuo, li mandano pittori anche noti») è in anticamera, accanto alle scrivanie della segretaria di Berlusconi, Marinella, e della segretaria di Sandro Bondi, Marinella, detta Marina per evitare scambi di persona. Nel suo ufficio da neo-coordinatore del primo partito italiano c'è spazio appena per la fotina del piccolo Francesco, 5 anni. Non uno studio; una cella. «Questo era un antico monastero benedettino. E qui ad Arcore il presidente Berlusconi ha fondato una comunità. Quasi un nuovo ordine monastico».
Se Berlusconi è il fondatore, Bondi è il padre generale. Priore di Arcore. Studioso di eresie medievali, laureato in filosofia a Pisa con tesi su frate Leonardo Vallazzana, teologo, predicatore, agostiniano.
«Soprattutto, agostiniano. Da secoli la cristianità si divide tra seguaci di Domenico, influenzati da Aristotele e dal dominio della ragione, e seguaci di Agostino, affascinati da Platone, dal millenarismo, dall'utopia, dall'escatologia, dal messianesimo. Un ceppo da cui sono nate eresie, come quella dei catari e degli anabattisti, animate dal mito della purezza e del candore; contaminato da tentazioni luterane e ugonotte; e che ha influenzato grandi personaggi. Penso a Gioacchino da Fiore. E, in tempi moderni, a Berlusconi e a Dell’Utri.
«Io sono entrato da poco in questa cerchia. Ma mi hanno raccontato delle loro vacanze di un tempo. La giornata era scandita quasi come in un monastero: lavoro e preghiera; la conversazione, la ginnastica, la corsa, il pranzo, e nel pomeriggio la lettura e il commento di un passo della Bibbia o di un'opera di Platone, Agostino, Campanella, Giordano Bruno, Tommaso Moro. Oppure del testo fondamentale, l'Elogio della Follia di Erasmo da Rotterdam; perché c'è un elemento di follia visionaria nell'opera del Dottore. Il vincolo che legava i fondatori va ora riprodotto tra i dirigenti di Forza Italia. I ministri, il presidente del Senato, i governatori, ognuno ha già un rapporto diretto con il presidente Berlusconi. Ora si tratta di creare un legame di solidarietà tra noi. Anche per questo Forza Italia si darà una direzione politica, in cui siederanno tra gli altri Pisanu, Tremonti, Fitto, Martino. Non avrei mai pensato che il Dottore scegliesse me. Forse ha pensato che incarnassi il messaggio originario di Forza Italia».
Da Arcore Bondi sta organizzando il congresso - a Milano, nell'aprile prossimo - e due campagne elettorali decisive, per le Amministrative e le Europee. Lavora al terzo libro di Berlusconi. A una mostra per celebrare il decennale della discesa in campo («il progetto è di un giovane, Massimo Piana. L'altro giorno l'ha presentato al presidente con voce incrinata dall'emozione. Mi ha commosso»). E, soprattutto, all'elaborazione di una teoria politica. Da non chiamarsi ideologia, perché «il presidente Berlusconi nasce con la morte delle ideologie». Piuttosto, una mistica.
«Una politica femminile. Di qua l'Italia che ama, di là l'Italia che odia. Eppure dall'altro campo attendiamo ancora un segno. Perché il presidente Berlusconi non cerca lo scontro, se non per legittima difesa. La sua visione è un’Italia riconciliata, in cui non vi sono nemici ma avversari. La sua politica del fare è una politica donna. È il recupero della lezione di tre donne, tre vittime del nazismo: Simone Weil, Edith Stein, Etty Hillesum. Come loro, il presidente Berlusconi mette al centro la dignità della persona umana. La conquista del potere non è che uno strumento per diffondere benessere e felicità. La logica maschile del potere viene sostituita dalla logica femminile del dono, della comprensione, dell'amore. Il prossimo seminario di Forza Italia sarà dedicato al potere delle donne. Dove? In un hotel di Gubbio, un antico convento francescano».
Poi c'è la dimensione mondana. La fatica del lavoro: dalle 8 del mattino sino a notte, il lunedì qui insieme con Berlusconi, poi a Roma, venerdì e sabato di nuovo ad Arcore. Villa San Martino è molto diversa da come viene raccontata e pensata. Non ci sono marmi. Non c'è plastica. Legni scricchiolanti. Vecchie foto del marchese Casati a passeggio nel parco con Benedetto Croce. Ritratto della marchesa in chiaroscuro, «quasi a presagirne la triste fine» medita Bondi a braccia conserte. Foto della famiglia Berlusconi in cui è incastrata l'immagine di padre Pio.
Mappamondo ligneo. Tele devozionali. Viae crucis . Archivio con decine di fascicoli, «qui c'è tutta la storia di Forza Italia», spiccano per mole il dossier «Pannella» e quello «Garzon».
Cappella con inginocchiatoio. «Sono venuto qui per la prima volta nell'89, da sindaco comunista di Fivizzano, insieme con il maestro Cascella. Il Dottore mi ha regalato una biografia di Hitler con dedica: "A Sandro Bondi, cultore dell'utopia, un libro sull'utopia perversa". Poi mi ha detto: "Lei che sembra così perbene, come fa a essere comunista?"». Qui il ritorno, per lavorare. «Preparavo la risposta alle lettere. Migliaia di lettere. Trenta al giorno, tutti i giorni, per due anni». L'amicizia con Marcello Dell’Utri: «È stato emozionante costruire anche con lui un rapporto d'affetto. Il mistero di Dell’Utri non è nelle sciocchezze che dicono, è nella profondità del suo animo. È il mistero della Sicilia, dell'intelligenza dei siciliani».
Ora, l'avvento alla guida di una macchina organizzativa che ha sempre macinato i suoi conducenti, Codignoni, il generale Caligaris, Mennitti, Previti, Frattini, Scajola, Antonione, di nuovo Scajola. Della logistica si occuperà un manager, provvederà Berlusconi a sceglierlo, «sta già facendo i colloqui». A lui toccherà la politica. «Ravvivare il dibattito interno. Preparare il congresso in modo democratico, per la prima volta, con 121 congressi provinciali che eleggeranno i coordinatori e i delegati». Ci sarà da viaggiare. Un tormento per Bondi che non prende l'aereo: «Soffro di vertigini. È più forte di me. Non salgo neppure sul jet privato del presidente». E poi metodi nuovi per la scelta dei candidati. «Basta decisioni interne al partito. Bisogna aprirsi alla società, consultarsi con il vescovo, con gli imprenditori. La sinistra vince quando sceglie i Berlusconi di provincia; dobbiamo evitarlo. Ho letto l'articolo in cui Giuliano Ferrara mi consigliava di non gettare via la mia esperienza nel Pci. Concordo. Chi mi attribuisce l'idea di partito leggero non sa quel che dice. Conosco l'importanza dell'organizzazione. C'è un progetto per fare della Festa azzurra un appuntamento nazionale, vedremo se prima o dopo l'estate. Anche di questo sono grato al Dottore: avermi dato l'opportunità di riscattare il meglio del mio passato».
«Ci sono cose che non ho rinnegato. Sono figlio di un muratore socialista emigrato in Svizzera, dove nei bar c'erano i cartelli: "Vietato ai cani e agli italiani". Ero affascinato da Berlinguer, sono andato ai suoi funerali. Avverto l'afflato religioso per la giustizia sociale. Ma proprio per questo mi vergogno di una certa sinistra. Mi vergogno dell' Unità . Quando avevo 18 anni e Furio Colombo lavorava per Agnelli, io andavo la domenica mattina alla stazione di Gassano, frazione di Fivizzano, ritiravo duemila copie dell' Unità e le diffondevo casa per casa. Era il giornale di Macaluso, di Chiaromonte. Questo è un distillato di livore, di odio, di accanimento personale, che può essere pericoloso. Quando dico che «da loro mi aspetto di tutto», penso ai terroristi ancora attivi nel nostro Paese, che non sparano ai reazionari, ma ai Biagi e ai D'Antona, agli uomini indicati come traditori. Le cose peggiori non vengono dai veri comunisti, dagli eredi del Pci, i D'Alema, i Fassino. Rispetto Cossutta, capisco Bertinotti, che comunista non è mai stato, e infatti ha grande simpatia umana per il presidente Berlusconi. Provo una pena profonda per Veltroni, che nega il suo passato. Mi sgomenta la miseria umana e morale di Nanni Moretti, capace di dire in morte di Agnelli: "Era meno peggio di Berlusconi". Ma perché lo odiano così?».
Nel parco, i piloti dell'elicottero presidenziale giocano a pallone. Daini. Cavalli. Due molossi divoratori di caprette, discendenti da avi africani addestrati alla lotta contro il leone, che un giorno, racconta Bondi camminando a mani giunte, si pararono di fronte a Dell'Utri e a Berlusconi, «che li ammansì con un grido». Il cuoco Davide, alternativa lombarda al cuoco Michele, «più creativo, mentre Davide cucina i piatti della tradizione», in particolare di lunedì. Il mausoleo di Cascella,«una delle più grandi opere monumentali degli ultimi decenni, con il cerchio della vita e il bassorilievo con le offerte votive scolpito dalla moglie, signora Cordelia von den Steinen». Bondi si raccoglie, a capo chino. «Ora è di moda, nei salotti e sui giornali di sinistra, indicarmi come l'adulatore per eccellenza. È vero il contrario. Sono il meno adulatore di tutti: il mio rapporto personale con il presidente Berlusconi è molto libero e franco. Lui è un uomo autenticamente liberale. A volte si lamenta dei suoi tg, ma non interviene mai per censurare o epurare. Pensi alla libertà di pensiero della signora Veronica, che mi onora della sua amicizia. E poi è enormemente buono. Straordinariamente buono. Non è vero sia duro con i collaboratori, non l'ho mai sentito alzare la voce. Ha ragione Ferrara, quando lo paragona a Mozart, per il candore e la genialità. Berlusconi è candore, è purezza. Lei dice che ha fama di uomo generoso ma spregiudicato, simpatico ma se necessario spietato? Berlusconi è la negazione della spietatezza. Se fosse spietato, non sarebbe Berlusconi».
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WWW.CENTOMOVIMENTI.IT 25-10
Financial Times: guerra al Cavaliere
Quello di Berlusconi “più che un cattivo governo, è un non-governo"
DARIO MIGLIUCCI
"I politici imparano dalla storia? Forse, ma Silvio Berlusconi no".
E' questo il bruciante commento che il Financial Times, con un articolo firmato da Martin Rhodes e David Natali, ha dedicato al nostro presidente del Consiglio.
I due giornalisti, spiegando ai propri lettori lo sciopero generale indetto dai sindacati, hanno usato parole durissime nei riguardi del leader di Forza Italia: "Quasi dieci anni fa il suo governo cadde in seguito agli scioperi contro la riforma delle pensioni. Adesso ci riprova: solo la presidenza italiana dell'Unione europea impedisce la caduta di quello che, più che essere un cattivo governo, è un non-governo".
Un attacco a 360 gradi, quello sferrato dal periodico: la manovra economica 2004? "Una non-finanziaria piena di misure tampone a breve termine con modesti effetti". La riforma delle pensioni? "Una non-riforma" che rischia di trascinare la maggioranza verso la crisi.
Un fallimento totale, secondo il giornale, il bilancio dei primi due anni del Cavaliere alla guida del Paese: il periodico ha criticato il premier sin dal suo primo giorno a Palazzo Chigi.
Articoli al vetriolo sempre più frequenti, tanto da provocare la reazione scomposta del nostro Esecutivo.
"Giornali come il Financial Times ci attaccano in modo denigratorio, offendendo la verità - aveva protestato lo scorso 3 febbraio il ministro delle Attività Produttive Antonio Marzano - il Financial Times è uno dei giornali economici stranieri che di recente ha presentato in termini estremamente negativi e infondati chi siamo".
Ma cosa avrà mai scritto di tanto grave il Financial Times? Motivo di tanta rabbia, potrebbe essere stato un articolo dal titolo inequivocabile: "La mafia ha fatto accordi con Berlusconi". Pubblicato il 22 gennaio 2003, informava i britannici riguardo le dichiarazioni scottanti del pentito Antonio Giuffrè nell'ambito del processo palermitano contro "l'ex direttore dell’impero finanziario di Berlusconi" Marcello Dell'Utri.
Solo pochi giorni prima il quotidiano di oltremanica aveva riservato ampio spazio alla recensione del saggio "Il cuore scuro dell'Italia" (The Dark Heart of Italy).
L'autore del libro, Tobias Jones, approfittò dell'ospitalità per lanciare l'allarme sul caso Berlusconi: "E' primo ministro da 18 mesi ed il suo palazzo televisivo è ad un paio di mosse dallo scacco matto alla democrazia. (...) Gli italiani, grazie alla tv, sono sottomessi a una sorta di dittatura psicologica".
Una brutta pubblicità per il Cavaliere, al quale non era andata meglio l'11 gennaio: "Nel maggio 2001 gli elettori hanno ignorato le accuse di corruzione contro il leader di Forza Italia e la sua posizione di egemonia nei media italiani, dandogli la maggioranza alle due camere del parlamento. Il rischio che il premier sprechi questa opportunità è sempre più alto".
E ancora, sempre nel novembre del 2002: "Il primo ministro incontra problemi dovunque si giri (...) il significato di queste ultime difficoltà è legato all’impossibilità di mantenere le promesse di un’importante riforma economica per cui era stato eletto nel maggio 2001 (...) ha scoperto che è più facile fare promesse che mantenerle".
Il giornale si dedicò anche al caso Fiat ed individuò subito il responsabile di un così grave disastro: "Dietro il terremoto che ha scosso il management Fiat si vede la mano di Berlusconi".
Una serie così continua di attacchi da rendere necessaria una presa di posizione dello staff del Cavaliere che, abituato a spadroneggiare sui media italiani, pensò bene di chiudere la bocca anche al foglio londinese.
L'Esecutivo, sentendo "il dovere di difendere l'immagine del nostro Paese", annunciò un intervento "a livello diplomatico".
Naturalmente non risulta siano stati presi provvedimenti da parte Governo britannico, tanto è vero che il Financial Times continua imperterrito a versare fiumi di inchiostro sulle vicende italiane.
C'era da aspettarselo, con quel comunista di Tony Blair a Downing street.
MEDITAZIONE
MANIFESTO 25-10
Fiducia
VALENTINO PARLATO
Il grande sciopero della giornata di ieri ci ha detto innanzitutto che il nostro paese non è ancora così deteriorato come talvolta abbiamo pensato nell'attuale regime berlusconiano. E ci ha detto ancora che gli operai non sono affatto residuali e isolati dal resto del vasto e variegato mondo del lavoro come in molti, e non solo a destra, ci vogliono far credere. Ne avremo una conferma il 7 novembre quando sciopereranno e torneranno in piazza i metalmeccanici della Fiom. Ieri è stato uno sciopero di popolo e, va sottolineato, politico: perché mai i lavoratori e i loro sindacati non debbono aver voce in politica? Sciopero di popolo perché insieme agli operai, e forse più vistosamente, hanno scioperato e sono scesi in piazza i lavoratori della scuola, quelli dei trasporti, delle trasformate Poste, quelli del pubblico impiego, che a Roma sono stati dominanti. Tutti lavoratori dipendenti (eterodiretti dice Giorgio Lunghini), con una condizione non proprio proletaria, ma intermedia e quindi più esposta alle serenate di Berlusconi. E non si deve affatto ignorare che i lavoratori della scuola, gli insegnanti, hanno il carico della formazione dei nostri figli e nipoti: il loro sciopero dovrebbe valere come insegnamento politico anche per noi che le scuole abbiamo abbandonato da troppo tempo.
Questo sciopero è stato contro l'imbroglio sulle pensioni (il governo deve ritirare la delega), ma anche contro tutto il resto: contro il declino economico, politico e sociale di questo nostro paese, che pure ha dato i voti a Berlusconi, che non è affatto un marziano o un epifenomeno, ma un prodotto delle frustrazioni e degli egoismi del nostro popolo. Ieri l'appeal di Berlusconi, già piuttosto appannato, ha subito un colpo: il popolo comincia a non bere il populismo. Il Patto per l'Italia, con il quale il cavaliere era riuscito a infrangere l'unità sindacale è stato definito una truffa e (almeno per quel che ho visto nella stracolma piazza Navona) i lavoratori con le bandiere della Cisl apparivano liberati e, oserei dire, felici di essere di nuovo in piazza con tutti gli altri.
Ieri è stata una giornata positiva, che ha dato fiducia: la partita è aperta e si può ancora vincere, ma pensare di aver già vinto, sarebbe un errore suicida. I problemi restano e il terreno è disseminato di trappole. I problemi sono fondamentalmente connessi al declino economico: in regime capitalistico, quale quello nel quale noi viviamo, quando l'economia va male a pagare sono soprattutto le parti deboli: i lavoratori colpiti nel salario reale e minacciati nel posto di lavoro, ma anche i cosiddetti ceti medi che, storicamente, vengono tosati, impoveriti e marginalizzati. I giovani vedono restringersi le possibilità di lavoro e di reddito e di realizzare le loro sacrosante aspirazioni. E poi, a cascata, c'è la riduzione delle imposte per i ricchi e il taglio del welfare per chi non può pagarsi la clinica privata. Le crisi indeboliscono la democrazia e favoriscono le soluzioni autoritarie.
E poi le trappole che, a mio parere, vengono generate dal decadimento della politica: quando la politica rinunzia all'obiettivo di cambiare, anche di poco, gradualmente, lo stato di cose esistente e punta soprattutto, o solo, a occupare il posto di governo dell'antagonista. Se la politica si riduce a concorrenza, molte possono essere le trappole, con il rischio che i concorrenti finiscano per rassomigliarsi.
Ma la giornata di ieri dovrebbe darci abbastanza fiducia per affrontare problemi ed evitare i trabocchetti.
MANIFESTO 25-10
Fiducia
VALENTINO PARLATO
Il grande sciopero della giornata di ieri ci ha detto innanzitutto che il nostro paese non è ancora così deteriorato come talvolta abbiamo pensato nell'attuale regime berlusconiano. E ci ha detto ancora che gli operai non sono affatto residuali e isolati dal resto del vasto e variegato mondo del lavoro come in molti, e non solo a destra, ci vogliono far credere. Ne avremo una conferma il 7 novembre quando sciopereranno e torneranno in piazza i metalmeccanici della Fiom. Ieri è stato uno sciopero di popolo e, va sottolineato, politico: perché mai i lavoratori e i loro sindacati non debbono aver voce in politica? Sciopero di popolo perché insieme agli operai, e forse più vistosamente, hanno scioperato e sono scesi in piazza i lavoratori della scuola, quelli dei trasporti, delle trasformate Poste, quelli del pubblico impiego, che a Roma sono stati dominanti. Tutti lavoratori dipendenti (eterodiretti dice Giorgio Lunghini), con una condizione non proprio proletaria, ma intermedia e quindi più esposta alle serenate di Berlusconi. E non si deve affatto ignorare che i lavoratori della scuola, gli insegnanti, hanno il carico della formazione dei nostri figli e nipoti: il loro sciopero dovrebbe valere come insegnamento politico anche per noi che le scuole abbiamo abbandonato da troppo tempo.
Questo sciopero è stato contro l'imbroglio sulle pensioni (il governo deve ritirare la delega), ma anche contro tutto il resto: contro il declino economico, politico e sociale di questo nostro paese, che pure ha dato i voti a Berlusconi, che non è affatto un marziano o un epifenomeno, ma un prodotto delle frustrazioni e degli egoismi del nostro popolo. Ieri l'appeal di Berlusconi, già piuttosto appannato, ha subito un colpo: il popolo comincia a non bere il populismo. Il Patto per l'Italia, con il quale il cavaliere era riuscito a infrangere l'unità sindacale è stato definito una truffa e (almeno per quel che ho visto nella stracolma piazza Navona) i lavoratori con le bandiere della Cisl apparivano liberati e, oserei dire, felici di essere di nuovo in piazza con tutti gli altri.
Ieri è stata una giornata positiva, che ha dato fiducia: la partita è aperta e si può ancora vincere, ma pensare di aver già vinto, sarebbe un errore suicida. I problemi restano e il terreno è disseminato di trappole. I problemi sono fondamentalmente connessi al declino economico: in regime capitalistico, quale quello nel quale noi viviamo, quando l'economia va male a pagare sono soprattutto le parti deboli: i lavoratori colpiti nel salario reale e minacciati nel posto di lavoro, ma anche i cosiddetti ceti medi che, storicamente, vengono tosati, impoveriti e marginalizzati. I giovani vedono restringersi le possibilità di lavoro e di reddito e di realizzare le loro sacrosante aspirazioni. E poi, a cascata, c'è la riduzione delle imposte per i ricchi e il taglio del welfare per chi non può pagarsi la clinica privata. Le crisi indeboliscono la democrazia e favoriscono le soluzioni autoritarie.
E poi le trappole che, a mio parere, vengono generate dal decadimento della politica: quando la politica rinunzia all'obiettivo di cambiare, anche di poco, gradualmente, lo stato di cose esistente e punta soprattutto, o solo, a occupare il posto di governo dell'antagonista. Se la politica si riduce a concorrenza, molte possono essere le trappole, con il rischio che i concorrenti finiscano per rassomigliarsi.
Ma la giornata di ieri dovrebbe darci abbastanza fiducia per affrontare problemi ed evitare i trabocchetti.
CORSERA 24-10
EUROPA – Berlusconi sotto indagine per il conflitto di interessi
La Gasparri «potrà essere impugnata e invalidata dalla Corte di Giustizia»
DAL NOSTRO INVIATO
STRASBURGO - Il «conflitto d'interessi» del premier Silvio Berlusconi è tornato d’attualità nell'Europarlamento in due iniziative provocate dalla «concentrazione dei media in Italia» e dalla legge del ministro Gasparri sul settore televisivo, nota a Strasburgo nella dizione inglese di «Gasparri Bill». La Conferenza dei presidenti dei gruppi politici ha proposto un'indagine «sulla libertà di informazione nell'Ue e in particolare in Italia». L'eurodeputato Francesco Rutelli ha invece presentato uno studio giuridico per dimostrare che la Gasparri è «incompatibile con l'ordinamento comunitario». Rutelli ha detto che, nel caso questa legge dovesse entrare in vigore in Italia, «potrà essere impugnata e invalidata dalla Corte di giustizia europea, sia attraverso la procedura d'infrazione, che è compito della Commissione di Romano Prodi avviare contro lo Stato italiano, sia per iniziativa di un giudice italiano sulla base di una controversia di chi si consideri danneggiato».
Nella proposta di rapporto sulla libertà di informazione in Europa è specificata solo l’Italia. Ma non è passata la richiesta di far applicare contro il governo Berlusconi l'articolo 7 del Trattato comunitario (che prevede anche sanzioni se in un Paese membro si infrangono i principi fondamentali su cui è fondata l'Ue). Lo studio giuridico presentato da Rutelli mette sotto accusa il «Sistema integrato delle comunicazioni», che nella Gasparri sarebbe stato esteso «a dismisura per consolidare e allargare i privilegi delle reti possedute da Berlusconi e tentare di eludere le tassative prescrizioni emanate in Italia dalla Corte Costituzionale». Sarebbe poi incompatibile con la «corretta individuazione del "mercato rilevante" definita dalla Corte europea di giustizia». Inoltre il «Sistema di assegnazione delle frequenze» violerebbe la normativa comunitaria «sotto ben quattro profili».
Il capogruppo degli eurodeputati di Forza Italia, Antonio Tajani, ha replicato affermando che «la stampa italiana è la più libera del mondo occidentale» e ha criticato «il solito vezzo della sinistra italiana di venire a porre problemi di politica interna all'Europarlamento». Ma Rutelli ha segnalato che il capo del governo ha potuto esprimersi a reti unificate sulle pensioni e che il ministro del Tesoro ha potuto partecipare a un programma di grande ascolto «senza contraddittorio», mentre «i sindacati, che rappresentano 11 milioni di iscritti, hanno chiesto di poter intervenire, ma non hanno ottenuto alcun diritto di replica».
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LIBERAZIONE 24-10
Corsivo di I pag.
L’Italia delle Libertà…
DON PANCRAZIO
A Francesco Rutelli, che aveva convocato una conferenza stampa a Strasburgo per denunciare la legge Gasparri e «il controllo dei media in Italia da parte di Berlusconi» ha prontamente risposto, indignato, il capogruppo europeo di Forza Italia, Antonio Tajani: «E' il solito vezzo della sinistra italiana, di venire a porre problemi di politica interna all'Europarlamento: Rutelli dovrebbe piuttosto imparare a rispettare il Parlamento italiano, un Parlamento sovrano» e poi «l'Italia è il paese più libero del mondo, e la stampa italiana è la più libera del mondo occidentale». Infatti, in quale altro Paese al mondo ci sono la Casa delle Libertà, la maggioranza parlamentare delle Libertà, il governo delle Libertà, le Regioni delle Libertà, il duopolio televisivo delle Libertà, il dominio pubblicitario delle Libertà, l'editoria libraria delle Libertà, centinaia di settimanali e periodici delle Libertà, Il Foglio delle Libertà, Il Giornale delle Libertà, il Feltri delle Libertà, Il Tempo delle Libertà... In libertà sono perfino Berlusconi, Previti, Dell'Utri, Schifani, Adornato, Vito Elio, Vito Alfredo, Taormina, Bossi Umberto, Borghezio e centinaia, migliaia di altri specchiati galantuomini. Per completare il quadro delle Libertà, in effetti, manca di raggiungere un solo obiettivo: Tajani libero!
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ESPRESSO on-line 24-10
Veronica ci salvi dalla sahariana
Alla prova della democrazia autoritaria berlusconiana gli intellettuali confermano che il trasformismo è il nostro modo di concepire la politica
Giorgio Bocca
In primis diciamo grazie all'Europa se non siamo già tornati al fascismo o a qualche sua variante. È vero che sono già al governo gli ex o post fascisti cresciuti alla scuola del Movimento sociale, ma anche loro intimiditi dall'Europa, costretti a seguire le buone maniere e il liberalismo di Giscard D'Estaing, costretti alla svolta di Fiuggi.
Diciamo grazie alla signora Berlusconi che ha avuto un nonno trucidato a Marzabotto dai nazisti e dai fascisti e alle zie suore del presidente del Consiglio che, a volte, si spera, lo tireranno per la giacca blu prima che la cambi in sahariana.
Diciamo grazie ai fucilati, impiccati, mandati nei lager che quasi ogni famiglia italiana conta fra parenti e amici.
Diciamo grazie anche ai preti e al papa che stavolta sono per la pace, ma se stesse solo alla nostra classe dirigente, se si ricreasse una congiuntura come quella degli anni Venti, ci ritroveremmo con ogni probabilità in un fascismo da terzo millennio.
Morbido ma feroce per la ragione detta da Gobetti, che il fascismo è "l'autobiografia della nazione", che i vizi, le tentazioni, le ambiguità del fascismo ce le portiamo nel sangue.
Non vogliamo qui esercitarci in fantapolitica, prevedere i tempi e i modi di un ritorno al fascismo, vogliamo semplicemente parlare delle nostre debolezze congenite nell'opporci a un nuovo fascismo.
Il primo è la fragilità della cultura italiana, degli intellettuali italiani. Ci eravamo illusi che se ne fosse formata una di schiena diritta durante la guerra partigiana e se si deve fare una critica al partito comunista è di avere strumentalizzato eccessivamente a fini partitici quella esperienza.
Alla prova della democrazia autoritaria berlusconiana, del liberal-fascismo contemporaneo, gli intellettuali italiani hanno retto male, hanno subito confermato che il trasformismo è il nostro modo imperituro di concepire la politica, che la lezione partigiana della intransigenza non è servita.
Nell'informazione in generale, carta stampata e televisioni, questo trasformismo ha ripetuto paro paro le svolte di massa del fascismo, le viltà di fronte alla forza, gli 11 professori universitari su migliaia che non giurano fedeltà a Mussolini, i giornali che come pere mature, uno dopo l'altro, passano al servizio del Minculpop o ministero della Cultura popolare, gli editori che uno dopo l'altro, per evidente convenienza, licenziano i direttori e i redattori antifascisti, pochi a dire la verità.
La Resistenza come stagione in cui per la democrazia e per la libertà si può anche morire è una parentesi, probabilmente irripetibile. Ma la difesa della libertà e della democrazia, se non è in gioco la vita, questo lo si poteva chiedere agli intellettuali italiani e, diciamo pure, alla maggioranza degli italiani.
Ma è andata così solo in parte: la democrazia non si è sfasciata, ma si è in parte arresa. Il governo delle riforme, cioè delle controriforme, che quasi ogni giorno piccona i fondamenti della democrazia, pare quasi indifferente alla opinione pubblica. Il suo padrone può presentarsi alla televisione a dire cose fuori dal mondo, ultima la promessa agli italiani di farli uscire dalla crisi economica grazie ai commerci con i paesi europei ex comunisti come l'Ucraina e la Romania, "che conservano tante vestigia romane o romaniche".
Non conosciamo l'epilogo di questo trasformismo, ma sappiamo che giornali con una forte tradizione democratica e antifascista hanno cambiato faccia senza perdere un lettore ricattati dalla pubblicità e dal sistema economico. Come la Confindustria degli anni Venti che non creò il fascismo, ma lo adottò anche a costo, come diceva Trotsky, di farsi prendere "a calci in faccia".
EUROPA – Berlusconi sotto indagine per il conflitto di interessi
La Gasparri «potrà essere impugnata e invalidata dalla Corte di Giustizia»
DAL NOSTRO INVIATO
STRASBURGO - Il «conflitto d'interessi» del premier Silvio Berlusconi è tornato d’attualità nell'Europarlamento in due iniziative provocate dalla «concentrazione dei media in Italia» e dalla legge del ministro Gasparri sul settore televisivo, nota a Strasburgo nella dizione inglese di «Gasparri Bill». La Conferenza dei presidenti dei gruppi politici ha proposto un'indagine «sulla libertà di informazione nell'Ue e in particolare in Italia». L'eurodeputato Francesco Rutelli ha invece presentato uno studio giuridico per dimostrare che la Gasparri è «incompatibile con l'ordinamento comunitario». Rutelli ha detto che, nel caso questa legge dovesse entrare in vigore in Italia, «potrà essere impugnata e invalidata dalla Corte di giustizia europea, sia attraverso la procedura d'infrazione, che è compito della Commissione di Romano Prodi avviare contro lo Stato italiano, sia per iniziativa di un giudice italiano sulla base di una controversia di chi si consideri danneggiato».
Nella proposta di rapporto sulla libertà di informazione in Europa è specificata solo l’Italia. Ma non è passata la richiesta di far applicare contro il governo Berlusconi l'articolo 7 del Trattato comunitario (che prevede anche sanzioni se in un Paese membro si infrangono i principi fondamentali su cui è fondata l'Ue). Lo studio giuridico presentato da Rutelli mette sotto accusa il «Sistema integrato delle comunicazioni», che nella Gasparri sarebbe stato esteso «a dismisura per consolidare e allargare i privilegi delle reti possedute da Berlusconi e tentare di eludere le tassative prescrizioni emanate in Italia dalla Corte Costituzionale». Sarebbe poi incompatibile con la «corretta individuazione del "mercato rilevante" definita dalla Corte europea di giustizia». Inoltre il «Sistema di assegnazione delle frequenze» violerebbe la normativa comunitaria «sotto ben quattro profili».
Il capogruppo degli eurodeputati di Forza Italia, Antonio Tajani, ha replicato affermando che «la stampa italiana è la più libera del mondo occidentale» e ha criticato «il solito vezzo della sinistra italiana di venire a porre problemi di politica interna all'Europarlamento». Ma Rutelli ha segnalato che il capo del governo ha potuto esprimersi a reti unificate sulle pensioni e che il ministro del Tesoro ha potuto partecipare a un programma di grande ascolto «senza contraddittorio», mentre «i sindacati, che rappresentano 11 milioni di iscritti, hanno chiesto di poter intervenire, ma non hanno ottenuto alcun diritto di replica».
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LIBERAZIONE 24-10
Corsivo di I pag.
L’Italia delle Libertà…
DON PANCRAZIO
A Francesco Rutelli, che aveva convocato una conferenza stampa a Strasburgo per denunciare la legge Gasparri e «il controllo dei media in Italia da parte di Berlusconi» ha prontamente risposto, indignato, il capogruppo europeo di Forza Italia, Antonio Tajani: «E' il solito vezzo della sinistra italiana, di venire a porre problemi di politica interna all'Europarlamento: Rutelli dovrebbe piuttosto imparare a rispettare il Parlamento italiano, un Parlamento sovrano» e poi «l'Italia è il paese più libero del mondo, e la stampa italiana è la più libera del mondo occidentale». Infatti, in quale altro Paese al mondo ci sono la Casa delle Libertà, la maggioranza parlamentare delle Libertà, il governo delle Libertà, le Regioni delle Libertà, il duopolio televisivo delle Libertà, il dominio pubblicitario delle Libertà, l'editoria libraria delle Libertà, centinaia di settimanali e periodici delle Libertà, Il Foglio delle Libertà, Il Giornale delle Libertà, il Feltri delle Libertà, Il Tempo delle Libertà... In libertà sono perfino Berlusconi, Previti, Dell'Utri, Schifani, Adornato, Vito Elio, Vito Alfredo, Taormina, Bossi Umberto, Borghezio e centinaia, migliaia di altri specchiati galantuomini. Per completare il quadro delle Libertà, in effetti, manca di raggiungere un solo obiettivo: Tajani libero!
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ESPRESSO on-line 24-10
Veronica ci salvi dalla sahariana
Alla prova della democrazia autoritaria berlusconiana gli intellettuali confermano che il trasformismo è il nostro modo di concepire la politica
Giorgio Bocca
In primis diciamo grazie all'Europa se non siamo già tornati al fascismo o a qualche sua variante. È vero che sono già al governo gli ex o post fascisti cresciuti alla scuola del Movimento sociale, ma anche loro intimiditi dall'Europa, costretti a seguire le buone maniere e il liberalismo di Giscard D'Estaing, costretti alla svolta di Fiuggi.
Diciamo grazie alla signora Berlusconi che ha avuto un nonno trucidato a Marzabotto dai nazisti e dai fascisti e alle zie suore del presidente del Consiglio che, a volte, si spera, lo tireranno per la giacca blu prima che la cambi in sahariana.
Diciamo grazie ai fucilati, impiccati, mandati nei lager che quasi ogni famiglia italiana conta fra parenti e amici.
Diciamo grazie anche ai preti e al papa che stavolta sono per la pace, ma se stesse solo alla nostra classe dirigente, se si ricreasse una congiuntura come quella degli anni Venti, ci ritroveremmo con ogni probabilità in un fascismo da terzo millennio.
Morbido ma feroce per la ragione detta da Gobetti, che il fascismo è "l'autobiografia della nazione", che i vizi, le tentazioni, le ambiguità del fascismo ce le portiamo nel sangue.
Non vogliamo qui esercitarci in fantapolitica, prevedere i tempi e i modi di un ritorno al fascismo, vogliamo semplicemente parlare delle nostre debolezze congenite nell'opporci a un nuovo fascismo.
Il primo è la fragilità della cultura italiana, degli intellettuali italiani. Ci eravamo illusi che se ne fosse formata una di schiena diritta durante la guerra partigiana e se si deve fare una critica al partito comunista è di avere strumentalizzato eccessivamente a fini partitici quella esperienza.
Alla prova della democrazia autoritaria berlusconiana, del liberal-fascismo contemporaneo, gli intellettuali italiani hanno retto male, hanno subito confermato che il trasformismo è il nostro modo imperituro di concepire la politica, che la lezione partigiana della intransigenza non è servita.
Nell'informazione in generale, carta stampata e televisioni, questo trasformismo ha ripetuto paro paro le svolte di massa del fascismo, le viltà di fronte alla forza, gli 11 professori universitari su migliaia che non giurano fedeltà a Mussolini, i giornali che come pere mature, uno dopo l'altro, passano al servizio del Minculpop o ministero della Cultura popolare, gli editori che uno dopo l'altro, per evidente convenienza, licenziano i direttori e i redattori antifascisti, pochi a dire la verità.
La Resistenza come stagione in cui per la democrazia e per la libertà si può anche morire è una parentesi, probabilmente irripetibile. Ma la difesa della libertà e della democrazia, se non è in gioco la vita, questo lo si poteva chiedere agli intellettuali italiani e, diciamo pure, alla maggioranza degli italiani.
Ma è andata così solo in parte: la democrazia non si è sfasciata, ma si è in parte arresa. Il governo delle riforme, cioè delle controriforme, che quasi ogni giorno piccona i fondamenti della democrazia, pare quasi indifferente alla opinione pubblica. Il suo padrone può presentarsi alla televisione a dire cose fuori dal mondo, ultima la promessa agli italiani di farli uscire dalla crisi economica grazie ai commerci con i paesi europei ex comunisti come l'Ucraina e la Romania, "che conservano tante vestigia romane o romaniche".
Non conosciamo l'epilogo di questo trasformismo, ma sappiamo che giornali con una forte tradizione democratica e antifascista hanno cambiato faccia senza perdere un lettore ricattati dalla pubblicità e dal sistema economico. Come la Confindustria degli anni Venti che non creò il fascismo, ma lo adottò anche a costo, come diceva Trotsky, di farsi prendere "a calci in faccia".
MEDITAZIONE
MANIFESTO 24-10
Ieri sposi
GIANNI ROSSI BARILLI
Prima di tutto siamo un popolo di umoristi. Altrimenti ci ribelleremmo con maggiore convinzione al bizzarro vezzo di chiamare Casa delle libertà il più grandioso progetto repressivo degli ultimi sessant'anni. Un altro significativo passo nel delirio è stato compiuto ieri alla Camera, con la bocciatura della legge sul «divorzio veloce», affondata da un emendamento targato Lega e Udc in nome della difesa della famiglia. La piccola modifica chiedeva semplicemente di depennare dal testo la norma che ne costituiva il cuore, cioè la riduzione da tre a uno degli anni di separazione necessari per arrivare allo scioglimento definitivo del matrimonio. Una maggioranza trasversale e piuttosto risicata (sette voti più del quorum richiesto e meno di venti voti di scarto rispetto all'opzione contraria) ha approvato, tra applausi d'esultanza provenienti dai banchi del centrodestra, mandando così a farsi friggere la legge intera. Il tutto grazie a un voto segreto che certo non esalta il coraggio delle proprie responsabilità nei parlamentari. Non starà molto bene vedere maggioranza e opposizione spaccarsi apertamente al proprio interno su un argomento «di coscienza», ma pare piuttosto infantile nascondersi dietro il segreto (di Pulcinella) dell'urna per far finta che non accada.
In realtà è sufficientemente chiaro che ogni volta che si toccano argomenti riguardanti l'etica sessuale, e le pretese di controllo legislativo in materia da parte della morale cattolica, i poli e le maggioranze si scompongono e ricompongono secondo una differente geografia politica, che oppone laici perlopiù timidi a baldanzosi reazionari di centrodestra e di centrosinistra. E di solito sono i secondi a vincere.
Visto da destra, è prima di tutto un problema di scollamento rispetto alla vita reale della maggior parte delle persone, e perfino degli stessi politici rispetto alle proprie personali biografie. Gente che divorzia abitualmente, o addirittura convive more uxorio (per limitarci a questo), rappresentando elettori che nel loro piccolo fanno altrettanto, scopre in aula di non avere altro dio all'infuori della famiglia indissolubile. E si impegna a fare in modo che rimanga una camicia di forza il più a lungo possibile. Ma forse è proprio questa mirabile ipocrisia, deliziosamente cattolica, che rende la destra più somigliante della sinistra a questo paese.
Vista da sinistra, d'altra parte, la questione è ancora più grave. Il diritto degli individui a disporre liberamente del proprio corpo è uno dei pochi argomenti su cui in occidente conservatori e progressisti si dividono in modo abbastanza netto. Il fatto che in Italia lo schieramento progressista si squagli continuamente quando si tratta di decidere qualcosa in merito è il segno di quanto sia debole, prima di tutto culturalmente, l'alternativa alla destra. Al punto da rinunciare, come hanno fatto in origine il centrosinistra e l'Ulivo, a negoziare con i cattolici «di sinistra» sul terreno dei valori. In cambio di un'alleanza per il governo considerata più importante. E' questo invece uno dei terreni più importanti su cui si gioca la credibilità di un progetto democratico che ci liberi da Berlusconi. Ma per poter entrare in partita bisogna cambiare atteggiamento, mettendo paletti di natura etica che negli ultimi anni è stato consentito solo ai cattolici di piazzare da tutte le parti.
Così magari perfino la Margherita si ricorderà che dopotutto viviamo nell'Europa laica e che la società non è una succursale della sala stampa vaticana. Anche se tra giubilei papali e santificazioni di massa in diretta tv rischiamo continuamente di dimenticarcene.
MANIFESTO 24-10
Ieri sposi
GIANNI ROSSI BARILLI
Prima di tutto siamo un popolo di umoristi. Altrimenti ci ribelleremmo con maggiore convinzione al bizzarro vezzo di chiamare Casa delle libertà il più grandioso progetto repressivo degli ultimi sessant'anni. Un altro significativo passo nel delirio è stato compiuto ieri alla Camera, con la bocciatura della legge sul «divorzio veloce», affondata da un emendamento targato Lega e Udc in nome della difesa della famiglia. La piccola modifica chiedeva semplicemente di depennare dal testo la norma che ne costituiva il cuore, cioè la riduzione da tre a uno degli anni di separazione necessari per arrivare allo scioglimento definitivo del matrimonio. Una maggioranza trasversale e piuttosto risicata (sette voti più del quorum richiesto e meno di venti voti di scarto rispetto all'opzione contraria) ha approvato, tra applausi d'esultanza provenienti dai banchi del centrodestra, mandando così a farsi friggere la legge intera. Il tutto grazie a un voto segreto che certo non esalta il coraggio delle proprie responsabilità nei parlamentari. Non starà molto bene vedere maggioranza e opposizione spaccarsi apertamente al proprio interno su un argomento «di coscienza», ma pare piuttosto infantile nascondersi dietro il segreto (di Pulcinella) dell'urna per far finta che non accada.
In realtà è sufficientemente chiaro che ogni volta che si toccano argomenti riguardanti l'etica sessuale, e le pretese di controllo legislativo in materia da parte della morale cattolica, i poli e le maggioranze si scompongono e ricompongono secondo una differente geografia politica, che oppone laici perlopiù timidi a baldanzosi reazionari di centrodestra e di centrosinistra. E di solito sono i secondi a vincere.
Visto da destra, è prima di tutto un problema di scollamento rispetto alla vita reale della maggior parte delle persone, e perfino degli stessi politici rispetto alle proprie personali biografie. Gente che divorzia abitualmente, o addirittura convive more uxorio (per limitarci a questo), rappresentando elettori che nel loro piccolo fanno altrettanto, scopre in aula di non avere altro dio all'infuori della famiglia indissolubile. E si impegna a fare in modo che rimanga una camicia di forza il più a lungo possibile. Ma forse è proprio questa mirabile ipocrisia, deliziosamente cattolica, che rende la destra più somigliante della sinistra a questo paese.
Vista da sinistra, d'altra parte, la questione è ancora più grave. Il diritto degli individui a disporre liberamente del proprio corpo è uno dei pochi argomenti su cui in occidente conservatori e progressisti si dividono in modo abbastanza netto. Il fatto che in Italia lo schieramento progressista si squagli continuamente quando si tratta di decidere qualcosa in merito è il segno di quanto sia debole, prima di tutto culturalmente, l'alternativa alla destra. Al punto da rinunciare, come hanno fatto in origine il centrosinistra e l'Ulivo, a negoziare con i cattolici «di sinistra» sul terreno dei valori. In cambio di un'alleanza per il governo considerata più importante. E' questo invece uno dei terreni più importanti su cui si gioca la credibilità di un progetto democratico che ci liberi da Berlusconi. Ma per poter entrare in partita bisogna cambiare atteggiamento, mettendo paletti di natura etica che negli ultimi anni è stato consentito solo ai cattolici di piazzare da tutte le parti.
Così magari perfino la Margherita si ricorderà che dopotutto viviamo nell'Europa laica e che la società non è una succursale della sala stampa vaticana. Anche se tra giubilei papali e santificazioni di massa in diretta tv rischiamo continuamente di dimenticarcene.
MANIFESTO 23-10
La presidenza che non c'è
Vuoto discorso del premier di fronte al parlamento europeo -- Da Berlusconi solo un'agenda di vertici
A. D'A.
STRASBURGO - Sorride di gusto Berlusconi quando Martin Schulz inizia a parlare. Quando il tedesco chiamato kapò finisce, il Cavaliere si fa serio, molto serio, ma non rimugina alcuna folle stoccata. Si conclude infatti senza alcuno scandalo l'attesissimo ritorno di Berlusconi nel parlamento europeo, le poche timide scintille si perdono tra un Tajani che si incarica di rispondere per il capo e un difetto d'udito del premier. L'eurodeputato tedesco prova a spargere un po' di pepe sulla mattinata ripetendo domande sempre indigeste per la nostra maggioranza, la procura europea e il mandato di cattura europeo. Ma tra Schulz e Berlusconi si intrufola Tajani (turno di parola giusto dopo il tedesco) che nel suo intervento annuncia la discussione delle due direttive europee la prossima settimana a Montecitorio. Il Cavaliere rimane così libero di dedicare la sua replica, scritta e non a braccio come a luglio, all'attività della presidenza. E qui si lascia andare ad una delle sue dissertazione preferite, su com'è duro il suo lavoro e di come lui è bravo e attivo. Dopo la noiosissima sfilza di riunioni, meeting, consigli, incontri bilaterali, sedute, direttive approvate e controversie risolte nei primi 100 giorni di una presidenza schiacciata tra vacanze estive e natalizie (eppure la Danimarca nello stesso periodo ha concluso l'allargamento), Berlusconi sottolinea la necessità di un superpresidente della Ue con «l'età e la forza» necessarie. Schulz fuori microfono lo interrompe insinuando un «purché non Un resoconto senza notizie, proprio come il consiglio, in cui Berlusconi (Prodi sì) non trovava le parole per le 26 candele accese dal liberale Graham Watson in ricordo dei prigionieri europei di Guantanamo, e neppure per la richiesta di appoggio avanzata dal comunista Francis Wurtz per il piano di pace alternativo che esponenti non governativi israeliani e palestinesi firmeranno il 4 novembre a Ginevra. Oggi i capigruppo del parlamento decideranno se far avanzare la richiesta di risoluzione contro l'Italia per «rischi gravi alla democrazia» [per via del conflitto d’interessi e del predominio berlusconiano sui media], forse il Cavaliere farà più notizia da assente.
-=oOo=-
Abbado strapazza Berlusconi
Show del maestro e di Ken Loach al Premio Imperiale
PIO D'EMILIA
TOKYO - Niente Puccini, Debussy, Mozart e tantomeno i («vergognosamente») ignoti Gesualdo, Pergolesi, Monteverdi. Lo spartito che il maestro Abbado tira fuori, all'improvviso, tra lo stupore dei presenti e la costernazione degli interpreti, un foglio stropicciato senza note. Contiene invece una frase dello scrittore tedesco Peter Schneider, un reduce del `68. Il maestro scandisce le parole, e anche senza la magica bacchetta, la sua conduzione è impeccabile. «E' mai possibile che nella parte più antica e civile del continente un uomo giunga a possedere l'80% dei mezzi di informazione e diventi anche primo ministro?» Per evitare malintesi e difficoltà di traduzione, il maestro chiarisce il concetto con una replica fulminante. «Sono grato al Giappone ma al tempo stesso preoccupato: nel mio paese e nel mondo intero non si fa abbastanza per la cultura. Arrivano al potere persone ignoranti, che ci raccontano frottole, alle quali finiamo per credere. Come quella della guerra umanitaria. Se dovevano soccorrere il popolo iracheno avrebbero dovuto costruire gli acquedotti, non rabberciare gli oleodotti.»
Abbado, e più tardi Ken Loach, che addirittura annuncia la devoluzione di parte del suo premio ai sindacalisti giapponesi licenziati durante la privatizzazione delle ferrovie e al Tribunale internazionale contro i crimini di guerra, hanno deciso di dare uno scossone all'Impero. Non era mai successo. La «politica» irrompe nell'austero parterre del Premio Imperiale, sorta di Nobel giapponese per la cultura.
In conferenza stampa Abbado e Loach precisano: «Trovo vergognoso che in Italia vi siano ministri che ignorano il valore delle nostre opere, il patrimonio delle città, delle regioni. Che non sanno cosa contengono le nostre ricchissime miniere. E invece di sfruttarle, preferiamo importare prodotti culturalmente indecenti. Per esempio? Beh, I programmi televisivi. Gli Stati Uniti sono all'avanguardia della tecnologia, nella ricerca, producono docce bellissime. Ma perché dobbiamo importare solo la loro peggiore produzione televisiva?» Non si ferma più, il maestro, ha deciso di vuotare il sacco e non lo scuote nemmeno l'annuncio che la conferenza stampa è finita. «Mi diranno che sono musicista, e che dovrei occuparmi di musica. Ma sono un cittadino, un essere pensante. Non voglio rassegnarmi alla logica del `o per ragione o per forza'. Piuttosto, preferisco ricordare Neruda. O per ragione, o per ragione».
Alla fine, un monito: «Ricordatevi: non c'è resistenza senza mobilitazione continua. E non c'è vittoria senza battaglia. Ai nuovi antagonisti, a tutti coloro che non ci stanno dico: si comincia a lottare contro il padrone, poi contro il sindacato, infine contro la polizia. E' sempre stato cosi, e sempre lo sarà».
- - - - - - - - - - - - - - - - - - - -
ESPRESSO on-line 23-10
Stile Berlusconi
Servirebbe un portasilenzio
Enzo Biagi
Credo che il nostro presidente del Consiglio sia ancora più impegnato del solito. Deve scrivere, nientemeno, una lettera agli italiani. Pochi giorni fa ha parlato al popolo in tv nientemeno a reti unificate. È una procedura che si usa di solito quando ci sono da affrontare gli eventi, che di norma sono disgrazie. Il 'grande comunicatore' ogni tanto va a ruota libera: Bonaiuti tenti di frenarlo. Non ha bisogno di un portavoce, ma di un portasilenzio, così evita di attribuire a Romolo un fratellino di nome Remolo, e magari di rivelare che i fratelli Bandiera sventolavano. È una impertinenza se dico che gli italiani sanno già come vanno le cose? Che non hanno bisogno di seguire la Borsa, perché sanno che fatica si fa a riempire quella della spesa? Che non è cavalleresco, e neppure vero, che tutte le colpe dei malanni sono della sinistra? Ma in tutti questi anni quali persecuzioni ha subito il Cavaliere, se è riuscito, perché è bravo negli affari, a diventare uno degli uomini più ricchi d'Europa? Se il presidente del Consiglio di allora, Bettino Craxi, piantò una conferenza internazionale a Londra per evitare che oscurassero le sue televisioni? Ma c'è proprio bisogno che scriva agli italiani, visto anche i problemi che hanno le Poste, cominci coi fatti: riduca le tasse, perché se avvia una corrispondenza rischiano di crescere.
Il treno di Bossi
Titolo: 'Fini attacca: Berlusconi fermi Bossi'. Per Fini sono maturi i tempi per dare il voto agli immigrati nelle amministrative. Sono presenti, regolarizzati, cioè in ordine con le nostre leggi, 650 mila stranieri. Fanno anche lavori che i nostri compatrioti rifiutano. Rivivere storie che molti italiani hanno affrontato: ci fu perfino un sindaco di New York che si chiamava Fiorello La Guardia. A Los Alamos gli esperimenti sull'atomica furono diretti da Enrico Fermi, esule perché aveva la moglie ebrea. Dice Piero Fassino: "Nel nostro paese vivono extracomunitari pienamente inseriti nella società ed è giusto che vadano riconosciuti i loro diritti".
Ma c'è il parlamentare leghista Bossi, fulgida figura di intellettuale, che dice: "Gli stranieri, in treno dovrebbero viaggiare in terza classe" (Il Messaggero, 8 ottobre). Non so se è un razzista, se è capace di intendere, per fortuna non ha i titoli per volere, la sua xenofobia non credo abbia un consistente seguito. La mia città, Bologna, al prigioniero re Enzo (c'è ancora un palazzo che porta il suo nome) non fece mancare neppure la compagnia. E sulla porta di uno scrittore romagnolo c'era una targa che diceva: "Benvenuto, ospite, nella mia casa serena".
Polemiche. Domenica pomeriggio, su Raiuno, era in scena Paolo Bonolis. Io lo trovo bravissimo, intelligente e ironico. Ha rilanciato quel pomeriggio, la rete, che soffoca di ufficialità: otto milioni di spettatori, e molti hanno detto in un gioco: "Basta Berlusconi". Dicono le cronache: "Un diluvio di e-mail". Uno degli autori del programma, Jurgens, ha invitato Berlusconi a "prenderla con spirito". Improbabile.
Erano sette anni che non si registrava un plebiscito del genere.
La presidenza che non c'è
Vuoto discorso del premier di fronte al parlamento europeo -- Da Berlusconi solo un'agenda di vertici
A. D'A.
STRASBURGO - Sorride di gusto Berlusconi quando Martin Schulz inizia a parlare. Quando il tedesco chiamato kapò finisce, il Cavaliere si fa serio, molto serio, ma non rimugina alcuna folle stoccata. Si conclude infatti senza alcuno scandalo l'attesissimo ritorno di Berlusconi nel parlamento europeo, le poche timide scintille si perdono tra un Tajani che si incarica di rispondere per il capo e un difetto d'udito del premier. L'eurodeputato tedesco prova a spargere un po' di pepe sulla mattinata ripetendo domande sempre indigeste per la nostra maggioranza, la procura europea e il mandato di cattura europeo. Ma tra Schulz e Berlusconi si intrufola Tajani (turno di parola giusto dopo il tedesco) che nel suo intervento annuncia la discussione delle due direttive europee la prossima settimana a Montecitorio. Il Cavaliere rimane così libero di dedicare la sua replica, scritta e non a braccio come a luglio, all'attività della presidenza. E qui si lascia andare ad una delle sue dissertazione preferite, su com'è duro il suo lavoro e di come lui è bravo e attivo. Dopo la noiosissima sfilza di riunioni, meeting, consigli, incontri bilaterali, sedute, direttive approvate e controversie risolte nei primi 100 giorni di una presidenza schiacciata tra vacanze estive e natalizie (eppure la Danimarca nello stesso periodo ha concluso l'allargamento), Berlusconi sottolinea la necessità di un superpresidente della Ue con «l'età e la forza» necessarie. Schulz fuori microfono lo interrompe insinuando un «purché non Un resoconto senza notizie, proprio come il consiglio, in cui Berlusconi (Prodi sì) non trovava le parole per le 26 candele accese dal liberale Graham Watson in ricordo dei prigionieri europei di Guantanamo, e neppure per la richiesta di appoggio avanzata dal comunista Francis Wurtz per il piano di pace alternativo che esponenti non governativi israeliani e palestinesi firmeranno il 4 novembre a Ginevra. Oggi i capigruppo del parlamento decideranno se far avanzare la richiesta di risoluzione contro l'Italia per «rischi gravi alla democrazia» [per via del conflitto d’interessi e del predominio berlusconiano sui media], forse il Cavaliere farà più notizia da assente.
-=oOo=-
Abbado strapazza Berlusconi
Show del maestro e di Ken Loach al Premio Imperiale
PIO D'EMILIA
TOKYO - Niente Puccini, Debussy, Mozart e tantomeno i («vergognosamente») ignoti Gesualdo, Pergolesi, Monteverdi. Lo spartito che il maestro Abbado tira fuori, all'improvviso, tra lo stupore dei presenti e la costernazione degli interpreti, un foglio stropicciato senza note. Contiene invece una frase dello scrittore tedesco Peter Schneider, un reduce del `68. Il maestro scandisce le parole, e anche senza la magica bacchetta, la sua conduzione è impeccabile. «E' mai possibile che nella parte più antica e civile del continente un uomo giunga a possedere l'80% dei mezzi di informazione e diventi anche primo ministro?» Per evitare malintesi e difficoltà di traduzione, il maestro chiarisce il concetto con una replica fulminante. «Sono grato al Giappone ma al tempo stesso preoccupato: nel mio paese e nel mondo intero non si fa abbastanza per la cultura. Arrivano al potere persone ignoranti, che ci raccontano frottole, alle quali finiamo per credere. Come quella della guerra umanitaria. Se dovevano soccorrere il popolo iracheno avrebbero dovuto costruire gli acquedotti, non rabberciare gli oleodotti.»
Abbado, e più tardi Ken Loach, che addirittura annuncia la devoluzione di parte del suo premio ai sindacalisti giapponesi licenziati durante la privatizzazione delle ferrovie e al Tribunale internazionale contro i crimini di guerra, hanno deciso di dare uno scossone all'Impero. Non era mai successo. La «politica» irrompe nell'austero parterre del Premio Imperiale, sorta di Nobel giapponese per la cultura.
In conferenza stampa Abbado e Loach precisano: «Trovo vergognoso che in Italia vi siano ministri che ignorano il valore delle nostre opere, il patrimonio delle città, delle regioni. Che non sanno cosa contengono le nostre ricchissime miniere. E invece di sfruttarle, preferiamo importare prodotti culturalmente indecenti. Per esempio? Beh, I programmi televisivi. Gli Stati Uniti sono all'avanguardia della tecnologia, nella ricerca, producono docce bellissime. Ma perché dobbiamo importare solo la loro peggiore produzione televisiva?» Non si ferma più, il maestro, ha deciso di vuotare il sacco e non lo scuote nemmeno l'annuncio che la conferenza stampa è finita. «Mi diranno che sono musicista, e che dovrei occuparmi di musica. Ma sono un cittadino, un essere pensante. Non voglio rassegnarmi alla logica del `o per ragione o per forza'. Piuttosto, preferisco ricordare Neruda. O per ragione, o per ragione».
Alla fine, un monito: «Ricordatevi: non c'è resistenza senza mobilitazione continua. E non c'è vittoria senza battaglia. Ai nuovi antagonisti, a tutti coloro che non ci stanno dico: si comincia a lottare contro il padrone, poi contro il sindacato, infine contro la polizia. E' sempre stato cosi, e sempre lo sarà».
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ESPRESSO on-line 23-10
Stile Berlusconi
Servirebbe un portasilenzio
Enzo Biagi
Credo che il nostro presidente del Consiglio sia ancora più impegnato del solito. Deve scrivere, nientemeno, una lettera agli italiani. Pochi giorni fa ha parlato al popolo in tv nientemeno a reti unificate. È una procedura che si usa di solito quando ci sono da affrontare gli eventi, che di norma sono disgrazie. Il 'grande comunicatore' ogni tanto va a ruota libera: Bonaiuti tenti di frenarlo. Non ha bisogno di un portavoce, ma di un portasilenzio, così evita di attribuire a Romolo un fratellino di nome Remolo, e magari di rivelare che i fratelli Bandiera sventolavano. È una impertinenza se dico che gli italiani sanno già come vanno le cose? Che non hanno bisogno di seguire la Borsa, perché sanno che fatica si fa a riempire quella della spesa? Che non è cavalleresco, e neppure vero, che tutte le colpe dei malanni sono della sinistra? Ma in tutti questi anni quali persecuzioni ha subito il Cavaliere, se è riuscito, perché è bravo negli affari, a diventare uno degli uomini più ricchi d'Europa? Se il presidente del Consiglio di allora, Bettino Craxi, piantò una conferenza internazionale a Londra per evitare che oscurassero le sue televisioni? Ma c'è proprio bisogno che scriva agli italiani, visto anche i problemi che hanno le Poste, cominci coi fatti: riduca le tasse, perché se avvia una corrispondenza rischiano di crescere.
Il treno di Bossi
Titolo: 'Fini attacca: Berlusconi fermi Bossi'. Per Fini sono maturi i tempi per dare il voto agli immigrati nelle amministrative. Sono presenti, regolarizzati, cioè in ordine con le nostre leggi, 650 mila stranieri. Fanno anche lavori che i nostri compatrioti rifiutano. Rivivere storie che molti italiani hanno affrontato: ci fu perfino un sindaco di New York che si chiamava Fiorello La Guardia. A Los Alamos gli esperimenti sull'atomica furono diretti da Enrico Fermi, esule perché aveva la moglie ebrea. Dice Piero Fassino: "Nel nostro paese vivono extracomunitari pienamente inseriti nella società ed è giusto che vadano riconosciuti i loro diritti".
Ma c'è il parlamentare leghista Bossi, fulgida figura di intellettuale, che dice: "Gli stranieri, in treno dovrebbero viaggiare in terza classe" (Il Messaggero, 8 ottobre). Non so se è un razzista, se è capace di intendere, per fortuna non ha i titoli per volere, la sua xenofobia non credo abbia un consistente seguito. La mia città, Bologna, al prigioniero re Enzo (c'è ancora un palazzo che porta il suo nome) non fece mancare neppure la compagnia. E sulla porta di uno scrittore romagnolo c'era una targa che diceva: "Benvenuto, ospite, nella mia casa serena".
Polemiche. Domenica pomeriggio, su Raiuno, era in scena Paolo Bonolis. Io lo trovo bravissimo, intelligente e ironico. Ha rilanciato quel pomeriggio, la rete, che soffoca di ufficialità: otto milioni di spettatori, e molti hanno detto in un gioco: "Basta Berlusconi". Dicono le cronache: "Un diluvio di e-mail". Uno degli autori del programma, Jurgens, ha invitato Berlusconi a "prenderla con spirito". Improbabile.
Erano sette anni che non si registrava un plebiscito del genere.
STAMPA 23-10
MEDITAZIONE
L'ALIBI DELLA LACRIMA
di Mario Deaglio
E’ certamente giusto e doveroso indignarsi per i recenti disastri delle imbarcazioni di immigrati, ma a una condizione: che questa indignazione non diventi un alibi. Che le centinaia di morti per mare non ci impediscano di scorgere i milioni di morti in terre un po’ più lontane; questi secondi, infatti, rappresentano una delle cause, forse la causa vera dei primi.
Dietro alla fuga degli africani ci sono infatti la guerra civile della Liberia, dove è costume tagliare le mani o i piedi ai nemici vinti, la guerriglia dell’Uganda, dove i bambini vengono rapiti dai villaggi per essere trasformati in soldati, ci sono le vicende del Congo, dove forse un milione di profughi dal Ruanda sono come spariti nel nulla e quelle della Costa d’Avorio e del Sudan, sperabilmente in via di soluzione. Sarebbe un grave errore concentrarsi su alcune morti vicine, quasi giocare con la loro orribile spettacolarità e dimenticare tranquillamente le morti, ben più numerose, lontane dalla telecamera.
Le cause di questa guerra africana (che si potrebbe forse paragonare alla Guerra dei Trent’Anni che devastò quasi tutta l’Europa nella prima metà del Seicento) sono in gran parte africane. Mentre non è giusto addossare agli europei colpe eccessive, che vanno fermamente attribuite alle classi dirigenti di quei paesi, non si deve neppure dimenticare che la stessa Europa che si commuove per le vittime dei naufragi ha tenuto, nella recente conferenza dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, svoltasi nella città messicana di Cancún, un atteggiamento di chiusura sulle esportazioni dei paesi emergenti che sicuramente acuisce il clima di disperazione e la volontà di molti di lasciare in ogni modo il proprio paese. Anche a costo di rischiare la morte per fame o annegamento nel Canale di Sicilia.
Se qualcosa possiamo fare, quindi, non è tanto, o soltanto, pattugliare il Canale di Sicilia per salvare naufraghi (che assai spesso rimanderemo ai loro paesi dopo averli curati e rifocillati) ma chiederci seriamente se qualche nostra politica economica può combattere le cause che inducono la gente ad affrontare il rischio di simili naufragi. La famosa Tobin tax, che dovrebbe devolvere allo sviluppo delle zone povere il ricavato di un’imposizione fiscale sui grandi flussi finanziari a breve, probabilmente non potrà mai funzionare per motivi largamente tecnici; ma bisogna trovare qualcosa che la sostituisca.
Anche chi non è animato da spirito altruistico dovrebbe riconoscere che, in un mondo reso piccolissimo dalle telecomunicazioni istantanee, è meglio aiutare i progetti di sviluppo dei paesi poveri che impiegare risorse analoghe a tener lontani dalle nostre coste gli immigrati poveri e clandestini: un diverso atteggiamento commerciale e attività economiche nei paesi d’origine sono sicuramente preferibili alla spesa per i centri di accoglienza, gli elicotteri e le motovedette.
MEDITAZIONE
L'ALIBI DELLA LACRIMA
di Mario Deaglio
E’ certamente giusto e doveroso indignarsi per i recenti disastri delle imbarcazioni di immigrati, ma a una condizione: che questa indignazione non diventi un alibi. Che le centinaia di morti per mare non ci impediscano di scorgere i milioni di morti in terre un po’ più lontane; questi secondi, infatti, rappresentano una delle cause, forse la causa vera dei primi.
Dietro alla fuga degli africani ci sono infatti la guerra civile della Liberia, dove è costume tagliare le mani o i piedi ai nemici vinti, la guerriglia dell’Uganda, dove i bambini vengono rapiti dai villaggi per essere trasformati in soldati, ci sono le vicende del Congo, dove forse un milione di profughi dal Ruanda sono come spariti nel nulla e quelle della Costa d’Avorio e del Sudan, sperabilmente in via di soluzione. Sarebbe un grave errore concentrarsi su alcune morti vicine, quasi giocare con la loro orribile spettacolarità e dimenticare tranquillamente le morti, ben più numerose, lontane dalla telecamera.
Le cause di questa guerra africana (che si potrebbe forse paragonare alla Guerra dei Trent’Anni che devastò quasi tutta l’Europa nella prima metà del Seicento) sono in gran parte africane. Mentre non è giusto addossare agli europei colpe eccessive, che vanno fermamente attribuite alle classi dirigenti di quei paesi, non si deve neppure dimenticare che la stessa Europa che si commuove per le vittime dei naufragi ha tenuto, nella recente conferenza dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, svoltasi nella città messicana di Cancún, un atteggiamento di chiusura sulle esportazioni dei paesi emergenti che sicuramente acuisce il clima di disperazione e la volontà di molti di lasciare in ogni modo il proprio paese. Anche a costo di rischiare la morte per fame o annegamento nel Canale di Sicilia.
Se qualcosa possiamo fare, quindi, non è tanto, o soltanto, pattugliare il Canale di Sicilia per salvare naufraghi (che assai spesso rimanderemo ai loro paesi dopo averli curati e rifocillati) ma chiederci seriamente se qualche nostra politica economica può combattere le cause che inducono la gente ad affrontare il rischio di simili naufragi. La famosa Tobin tax, che dovrebbe devolvere allo sviluppo delle zone povere il ricavato di un’imposizione fiscale sui grandi flussi finanziari a breve, probabilmente non potrà mai funzionare per motivi largamente tecnici; ma bisogna trovare qualcosa che la sostituisca.
Anche chi non è animato da spirito altruistico dovrebbe riconoscere che, in un mondo reso piccolissimo dalle telecomunicazioni istantanee, è meglio aiutare i progetti di sviluppo dei paesi poveri che impiegare risorse analoghe a tener lontani dalle nostre coste gli immigrati poveri e clandestini: un diverso atteggiamento commerciale e attività economiche nei paesi d’origine sono sicuramente preferibili alla spesa per i centri di accoglienza, gli elicotteri e le motovedette.
giovedì, ottobre 23, 2003
MEDITAZIONE
ESPRESSO on-line
Fini è tutto un quiz
Lo schema segreto del leader sdoganato di An
Eugenio Scalfari
La domanda - se ti viene in mente Gianfranco Fini - è di capire che cosa farà da grande. Generalmente, debbo confessarlo, Fini non mi viene in mente però me lo fanno venire i titoli dei giornali che da qualche giorno sparano il suo nome in testata di prima pagina sulla sua ragionevole proposta di dare il voto nelle elezioni amministrative agli extracomunitari che risiedono in Italia da alcuni anni con regolare permesso di soggiorno e libretto di lavoro. E allora, Fini qui Fini là, che cosa si propone, spaccherà la maggioranza, metterà allo scoperto i traditori all'interno del suo partito (ce ne sono, ce ne sono), preparerà la sua carriera per il dopo Berlusconi. Insomma, un florilegio di supposizioni che restano tali configurando un quiz senza premi e senza soluzioni, almeno per ora.
Vogliamo anche noi partecipare al gioco, ma per farlo con un minimo di serietà bisogna anzitutto capire chi è veramente Fini e come si trova nel governo di cui è vicepresidente e nella Casa delle Libertà che ne costituisce la base parlamentare. Fatta quest'indagine senza pretese esaustive, penso che i suoi obiettivi emergeranno senza particolari difficoltà.
Dunque e anzitutto: chi è Fini? Un uomo politico nato e cresciuto nell'Msi di Almirante, poi suo successore, poi 'sdoganato' da Berlusconi che durante la campagna per le elezioni al Comune di Roma nel 1993 dichiarò che se fosse stato cittadino romano avrebbe scelto lui invece di Rutelli. Con quella scelta virtuale il patron di Mediaset (allora altro non era che questo) gettò le basi per la carriera politica del segretario dell'Msi e per la loro futura alleanza che dura ormai da dieci anni tondi tondi. All'ombra di quella scelta cominciò la scalata di Fini al potere nella scia del Cavaliere.
Va detto per completezza che, a differenza di Berlusconi il quale continua ad atteggiarsi ad anti-politico e anzi su questa autodefinizione aveva costruito fino a ieri la sua presa su quella vasta parte del ceto medio organicamente anti-politica, anti-partitica e anti-parlamentare, Fini ha sempre rivendicato la sua formazione di partito. Gli sarebbe del resto stato difficile negarlo sostituendola magari con qualche altra 'specializzazione': non ha esperienze imprenditoriali né professionali, non ha coltivato specifiche passioni culturali, sa quel poco che un politico può sapere di economia, di finanza, di amministrazione. Il suo unico professionalismo gli deriva dalla militanza nell'Msi e da quel tanto di cultura generale che si apprende nei licei. In compenso conosce l'arte del botta e risposta, ha l'abilità di posizionarsi, di praticare giochi di sponda, di apparigliare e sparigliare, requisisti indispensabili - come diceva Ugo La Malfa - per far politica con cognizione di causa.
Come si può trovare un siffatto personaggio, dotato di notevoli ambizioni, dentro la Casa delle Libertà e in un governo guidato da Berlusconi? La risposta è: stretto. Da un certo momento in poi Gianfranco Fini, nonostante ed anzi addirittura a causa della sua carica di vicepresidente del Consiglio, si è sentito stretto.
Un vicepresidente in realtà conta assai poco. Consiglia, suggerisce, le poche volte che gli arriva la palla la deve passare al compagno perché non spetta a lui insaccarla in rete. Ma nel governo che vicepresiede c'è già qualcun altro che svolge questi compiti di centrocampista ed è Gianni Letta, che gode l'indiscussa fiducia del premier ed esercita quelle funzioni con grande abilità. Fini, di fatto, è un disoccupato e lo sarà in permanenza fino a che l'assetto attuale del potere durerà. Tanto più lo sarà se e quando sarà varata la riforma istituzionale da lui stesso approvata, che di fatto pone fine al regime parlamentare conferendo al premier il potere di revocare e sostituire i membri del governo e di sciogliere le Camere senza dover passare per l'autonomo potere del capo dello Stato.
A quel punto Fini, che conta ora poco più di zero, conterà meno di zero. Lui lo sa e se ne tormenta, tanto più che nel frattempo ha visto parecchi dei suoi colonnelli montare sul carro del suo amico-rivale e ispirarsi ai suoi desideri e alle sue direttive anche contro le tradizionali credenze di Alleanza nazionale. Insomma anche il potere di Fini dentro An rischia di sfarinarsi.
Questo è lo stato delle cose, reso ancor più indigesto dal fatto che il nucleo duro della Casa delle Libertà è un pentagramma formato da Berlusconi-Dell'Utri-Previti-Tremonti-Bossi. Come può star contento in queste condizioni un vicepresidente del Consiglio disoccupato nel presente e in prospettiva futura?
Di qui le sue recenti sortite. Ha scelto un tema volutamente marginale, quello del voto agli immigrati, che non trova neppure consistenti opposizioni nell'opinione pubblica disponibile ad una siffatta proposta 'senza spese'. Un tema tuttavia che, ai suoi occhi, ha il pregio di mantenere in fibrillazione la Lega costringendo Berlusconi a prender posizione allo scoperto. Ma al di là di questa sortita quali sono i reali obiettivi del leader di Alleanza nazionale?
Ci sono due contesti da tener presente: che il centrodestra si presenti con un'unica lista alle elezioni europee o in liste separate sulla base del sistema proporzionale. Finora Fini si era dichiarato favorevole alla prima ipotesi, ma adesso sta considerando seriamente la seconda: ciascuno prenderà i suoi voti, contarsi per contare, secondo un vecchio motto sempre valido quando tra alleati i rapporti si arroventano.
Se le europee, nonostante tutto, andassero discretamente per il centrosinistra; se An mantenesse i suoi voti che sono più del triplo di quelli della Lega, la pressione di Fini acquisterebbe notevole vigore. Ancor più l'acquisterebbe se le europee registrassero un vantaggio per il centrosinistra. In questa eventualità si potrebbe addirittura porre il problema di elezioni politiche anticipate, sebbene sia una scelta alla disperata se presa dopo una sconfitta. A quel punto tuttavia il tema d'un cambiamento di leadership nel Polo diventerebbe di stretta attualità.
Lo schema segreto, ma non poi tanto poiché è desumibile dall'analisi dei fatti, è il seguente: Fini punta sul premierato così come Casini punta al Quirinale quando il mandato di Ciampi sarà scaduto.
Se poi vincesse il centrosinistra, sarebbe Fini il candidato a guidare l'esercito sconfitto con una linea di opposizione dialogante, senza più l'ostacolo del berlusconismo, del conflitto d'interessi, della concentrazione mediatica, della rissa contro le toghe rosse e contro il fantasma comunista sempre evocato a beneficio delle varie curve sud e nord.
Questa è la tastiera che Fini vagheggia di poter suonare. Quanto sia realistica la canzone lo sapremo nei prossimi mesi.
ESPRESSO on-line
Fini è tutto un quiz
Lo schema segreto del leader sdoganato di An
Eugenio Scalfari
La domanda - se ti viene in mente Gianfranco Fini - è di capire che cosa farà da grande. Generalmente, debbo confessarlo, Fini non mi viene in mente però me lo fanno venire i titoli dei giornali che da qualche giorno sparano il suo nome in testata di prima pagina sulla sua ragionevole proposta di dare il voto nelle elezioni amministrative agli extracomunitari che risiedono in Italia da alcuni anni con regolare permesso di soggiorno e libretto di lavoro. E allora, Fini qui Fini là, che cosa si propone, spaccherà la maggioranza, metterà allo scoperto i traditori all'interno del suo partito (ce ne sono, ce ne sono), preparerà la sua carriera per il dopo Berlusconi. Insomma, un florilegio di supposizioni che restano tali configurando un quiz senza premi e senza soluzioni, almeno per ora.
Vogliamo anche noi partecipare al gioco, ma per farlo con un minimo di serietà bisogna anzitutto capire chi è veramente Fini e come si trova nel governo di cui è vicepresidente e nella Casa delle Libertà che ne costituisce la base parlamentare. Fatta quest'indagine senza pretese esaustive, penso che i suoi obiettivi emergeranno senza particolari difficoltà.
Dunque e anzitutto: chi è Fini? Un uomo politico nato e cresciuto nell'Msi di Almirante, poi suo successore, poi 'sdoganato' da Berlusconi che durante la campagna per le elezioni al Comune di Roma nel 1993 dichiarò che se fosse stato cittadino romano avrebbe scelto lui invece di Rutelli. Con quella scelta virtuale il patron di Mediaset (allora altro non era che questo) gettò le basi per la carriera politica del segretario dell'Msi e per la loro futura alleanza che dura ormai da dieci anni tondi tondi. All'ombra di quella scelta cominciò la scalata di Fini al potere nella scia del Cavaliere.
Va detto per completezza che, a differenza di Berlusconi il quale continua ad atteggiarsi ad anti-politico e anzi su questa autodefinizione aveva costruito fino a ieri la sua presa su quella vasta parte del ceto medio organicamente anti-politica, anti-partitica e anti-parlamentare, Fini ha sempre rivendicato la sua formazione di partito. Gli sarebbe del resto stato difficile negarlo sostituendola magari con qualche altra 'specializzazione': non ha esperienze imprenditoriali né professionali, non ha coltivato specifiche passioni culturali, sa quel poco che un politico può sapere di economia, di finanza, di amministrazione. Il suo unico professionalismo gli deriva dalla militanza nell'Msi e da quel tanto di cultura generale che si apprende nei licei. In compenso conosce l'arte del botta e risposta, ha l'abilità di posizionarsi, di praticare giochi di sponda, di apparigliare e sparigliare, requisisti indispensabili - come diceva Ugo La Malfa - per far politica con cognizione di causa.
Come si può trovare un siffatto personaggio, dotato di notevoli ambizioni, dentro la Casa delle Libertà e in un governo guidato da Berlusconi? La risposta è: stretto. Da un certo momento in poi Gianfranco Fini, nonostante ed anzi addirittura a causa della sua carica di vicepresidente del Consiglio, si è sentito stretto.
Un vicepresidente in realtà conta assai poco. Consiglia, suggerisce, le poche volte che gli arriva la palla la deve passare al compagno perché non spetta a lui insaccarla in rete. Ma nel governo che vicepresiede c'è già qualcun altro che svolge questi compiti di centrocampista ed è Gianni Letta, che gode l'indiscussa fiducia del premier ed esercita quelle funzioni con grande abilità. Fini, di fatto, è un disoccupato e lo sarà in permanenza fino a che l'assetto attuale del potere durerà. Tanto più lo sarà se e quando sarà varata la riforma istituzionale da lui stesso approvata, che di fatto pone fine al regime parlamentare conferendo al premier il potere di revocare e sostituire i membri del governo e di sciogliere le Camere senza dover passare per l'autonomo potere del capo dello Stato.
A quel punto Fini, che conta ora poco più di zero, conterà meno di zero. Lui lo sa e se ne tormenta, tanto più che nel frattempo ha visto parecchi dei suoi colonnelli montare sul carro del suo amico-rivale e ispirarsi ai suoi desideri e alle sue direttive anche contro le tradizionali credenze di Alleanza nazionale. Insomma anche il potere di Fini dentro An rischia di sfarinarsi.
Questo è lo stato delle cose, reso ancor più indigesto dal fatto che il nucleo duro della Casa delle Libertà è un pentagramma formato da Berlusconi-Dell'Utri-Previti-Tremonti-Bossi. Come può star contento in queste condizioni un vicepresidente del Consiglio disoccupato nel presente e in prospettiva futura?
Di qui le sue recenti sortite. Ha scelto un tema volutamente marginale, quello del voto agli immigrati, che non trova neppure consistenti opposizioni nell'opinione pubblica disponibile ad una siffatta proposta 'senza spese'. Un tema tuttavia che, ai suoi occhi, ha il pregio di mantenere in fibrillazione la Lega costringendo Berlusconi a prender posizione allo scoperto. Ma al di là di questa sortita quali sono i reali obiettivi del leader di Alleanza nazionale?
Ci sono due contesti da tener presente: che il centrodestra si presenti con un'unica lista alle elezioni europee o in liste separate sulla base del sistema proporzionale. Finora Fini si era dichiarato favorevole alla prima ipotesi, ma adesso sta considerando seriamente la seconda: ciascuno prenderà i suoi voti, contarsi per contare, secondo un vecchio motto sempre valido quando tra alleati i rapporti si arroventano.
Se le europee, nonostante tutto, andassero discretamente per il centrosinistra; se An mantenesse i suoi voti che sono più del triplo di quelli della Lega, la pressione di Fini acquisterebbe notevole vigore. Ancor più l'acquisterebbe se le europee registrassero un vantaggio per il centrosinistra. In questa eventualità si potrebbe addirittura porre il problema di elezioni politiche anticipate, sebbene sia una scelta alla disperata se presa dopo una sconfitta. A quel punto tuttavia il tema d'un cambiamento di leadership nel Polo diventerebbe di stretta attualità.
Lo schema segreto, ma non poi tanto poiché è desumibile dall'analisi dei fatti, è il seguente: Fini punta sul premierato così come Casini punta al Quirinale quando il mandato di Ciampi sarà scaduto.
Se poi vincesse il centrosinistra, sarebbe Fini il candidato a guidare l'esercito sconfitto con una linea di opposizione dialogante, senza più l'ostacolo del berlusconismo, del conflitto d'interessi, della concentrazione mediatica, della rissa contro le toghe rosse e contro il fantasma comunista sempre evocato a beneficio delle varie curve sud e nord.
Questa è la tastiera che Fini vagheggia di poter suonare. Quanto sia realistica la canzone lo sapremo nei prossimi mesi.
MANIFESTO 21-10
Italia senza libertà
Squalificata da Berlusconi e Gasparri.
Reporters sans Frontieres ha stilato la sua nuova classifica annuale sulla libertà di stampa nel mondo e l'Italia è, assieme alla Spagna, l'unico paese dell'Unione europea che brilla per lo scarso pluralismo.
L'Italia è cinquantatreesima su un totale di 166 paesi. Motivo: «Il conflitto di interessi di Silvio Berlusconi, allo stesso tempo capo dell'esecutivo e proprietario di un impero mediatico, non è stato ancora risolto». L'associazione francese non risparmia critiche anche al ddl Gasparri sulla riforma del sistema delle comunicazioni: «Sembra tagliato su misura per proteggere gli interessi di Silvio Berlusconi» e «rischia di aggravare le minacce che pesano sul pluralismo dell'informazione».
Diverso il caso della Spagna, che deve il suo quarantaduesimo posto in classifica «alle difficoltà con cui si devono confrontare i giornalisti nei paesi baschi». «L'Eta ha moltiplicato le minacce nei confronti dei media - osserva Reporters sansFrontieres - Peraltro, la lotta contro il terrorismo ha avuto pesanti conseguenze sulla libertà di stampa, come la chiusura del giornale basco Egunkaria».
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IL RIFORMISTA 21-10
BERLUSCONIANA
You don't know the history del digiuno a base di mele e sedano
Cara Miriam, sono commossa e gonfia di ammirazione. C'è un uomo, finalmente, che è stato capace di dimostrare che è possibile mantenere gli impegni presi a costo di mettere a repentaglio la propria persona, sfidando i propri limiti e l'incredulità della gente nel compimento di un'opera che rimarrà nella memoria di tutti. No, non sto parlando di Petit Chou e della sua maledetta politica purtroppo, ma di David Blaine che domenica ha concluso i suoi quarantaquattro giorni di digiuno sospeso in una gabbia di vetro nei pressi del Tower Bridge, a Londra.
Fiori in camera. Appena si sarà ripreso dalla terribile prova lo voglio incontrare. Per il momento ho detto alla mia segretaria di inondargli di fiori la camera d'ospedale dove piano piano tornerà alla normalità, ma di persona gli esprimerò il grazie commosso per quello che ha fatto. Pensaci Miriam: cos'altro può fare un uomo in quelle condizioni, distaccato letteralmente dalle vicende del mondo e dai suoi bisogni, se non scavare dentro sé stesso fino a farsi uscire il sangue dalle unghie? A un'umanità distratta da mille necessità, a cominciare dal cibo, ha ricordato che possiamo fare a meno di tutto, per restare da soli, e purificati, al cospetto della nostra spiritualità. O David, profeta di una new age che gli uomini tardano a riconoscere, io ti onoro. Sarei voluta andare a Londra per unirmi al gruppo di persone che per settimane ha sostato sotto alla gabbia celebrandolo per quel sant'uomo che è, ma poi ho pensato che la cosa migliore da fare era raccogliere il suo messaggio; e così martedì scorso, con la Luna al suo apogeo, ho iniziato anch'io un digiuno detox sotto la stretta sorveglianza di Steve, il mio guru. O Miriam, com'é dolce ritrovarsi, tornare in sé stessi. E negli abiti dello scorso inverno, perché non solo ho recuperato un profondo distacco dagli accidenti mondani - la vendita del mio giornale tanto per dirne uno - ma ho perso anche tre chili, uno al giorno. Da venerdì mi nutro di mele, sedano, finocchi e carote e solo stamane mi sono potuta concedere patate, bieta e agrumi.
David Blaine. Purtoppo però, quando domenica sera Petit Chou si è accorto di cosa era fatta la mia cena, ha capito del mio digiuno (non è il primo che faccio) e ha cominciato a punzecchiarmi: «Cos'è, non mi sono accorto che nel '94 hanno vinto i comunisti trascinandoci nella più cupa miseria?». Pacatamente, forte della mia rinnovata spiritualità, ho cercato di spiegargli del mio omaggio a David Blaine. «Ma chi, quel mago illusionista? Di giochini di prestigio, mia cara, mi bastano la perquisizione al "Giornale" e quelli della Francia all'Onu. E poi di illusionisti ne abbiamo già uno in Italia e si chiama Violante, chi è più bravo di lui?». Lui parlava e io me lo immaginavo sospeso nella gabbia di vetro, magro, nudo e finalmente inerme. «Se alla gente piace tanto la sofferenza spettacolo poteva andare a seguire i processi del povero Cesare invece di stare a bocca aperta sotto la gabbia di quello scemo di un mago». Scemo? Il mio David? Che poi, si prende gioco dei maghi lui che se quel giorno da Vespa invece di apporre la famosa firma avesse fatto il numero della donna segata in due stai certa che avrebbe ottenuto lo stesso effetto. Ho continuato a mangiare le mie carotine senza rispondere. Cara Miriam, avrò pure recuperato la forza calma della mia spiritualità... ma che pazienza!
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LIBERAZIONE 21-10
Corsivo di I pag.
Se il premier viene meno al "patto con gli italiani"…
DON PANCRAZIO
Se il premier viene meno al "patto con gli italiani" sottoscritto in diretta a "Porta a porta" e se il popolo esprime la sua delusione attraverso "Domenica In" mettendo il premier in testa ai "Basta a... ", poteva "Buona domenica" sottrarsi a questo fenomeno di definitiva televisivizzazione della politica? Così il buon Costanzo, notoriamente meno governativo di Vespa (che non organizza una puntata per chiedere severamente al premier che ne è di quel "patto", ma puntate zeppe di argomenti diversivi e di opinionisti presi di peso dalla sua corte) e più navigato di Bonolis (che si è barcamenato cancellando dalla testa del sondaggio "Basta a Berlusconi" ma lasciando vuota la relativa casella e balbettando: «La prima posizione rimane la stessa»), ha trasformato la sua trasmissione in Parlamento. E' davanti alle sue telecamere che, domenica in diretta, le deputate Turco (Ds) e Mussolini (An) hanno firmato una proposta di legge sulle coppie di fatto, depositata ieri alla segreteria della presidenza di Montecitorio. Manca solo che al Quirinale venga insediato un proprietario di Tv, a Palazzo Chigi un ex-cantante da navi in crociera e a Palazzo Madama e a Montecitorio rispettivamente una velona e una velina.
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WWW.CENTOMOVIMENTI.IT 21-10
La tv ai tempi di Berlusconi
(Stralci da un’intervista a Carlo Freccero)
A CURA DI GIORGIA ROMBOLA'
Carlo Freccero dice la sua sulla televisione italiana, su pubblico e palinsesti, sull’informazione controllata dal potere e sulla censura esercitata con arbitrio. E sulla libertà. Che non c’è.
FRECCERO: ““Il il discorso deve partire dal ruolo che oggi svolge la Tv generalista, da molti considerata una vecchia signora in via di sparizione. In effetti ora, con l’avvento di Sky e l’entrata di Murdoch nel mercato italiano, la Tv generalista è destinata a diventare ancora più povera, misera, brutta, vittima di un processo lento cominciato già negli anni ’90 e che ora appare in tutta la sua luminosità.””
Dunque, una morte lenta ma inesorabile…
“Non proprio. Per me la Tv generalista rimane centrale nella definizione dei rapporti tra media e potere. D’altronde, se fosse così insignificante non si capirebbe perché il potere politico voglia controllarla e sottometterla.”
Attraverso epurazioni e censure?
“Esatto. Questo tipo di Tv si rivolge a un pubblico che non ha capitale culturale né economico, quello che io chiamo l’audience profonda. E il potere vuole che questo pubblico non emerga, che rimanga perimetrato. Proprio a questa logica risponde l’operazione di narcotizzazione che c’è stata con l’eliminazione di Biagi, Santoro e Luttazzi. Si è voluto estromettere dalla tv generalista l’informazione in senso proprio, l’inchiesta, l’investigazione, la satira, confinandole sottoforma di surrogato nel Reality Show. È proprio questo il dato più clamoroso e oltraggioso, il progetto solo apparentemente non dichiarato del potere.” - “L’informazione vera è scacciata, bandita. È questo il fatto scandaloso. La tv generalista continua ad essere quella vista dalla maggior parte delle persone, però ha perso tutto. E non sto parlando solo del calcio o dei film americani, ma di una cosa ben più importante: la volontà politica.” - “L’editto della Bulgaria contro Santoro, Biagi e Luttazzi rientra in questa logica. Ed è sostenuto dall’unione di chi non ha capitale culturale con chi ha capitale economico, dal fatto che Berlusconi sia ora l’unico sogno praticato.”
Il termine è un po’ inflazionato, ma la domanda è d’obbligo. Siamo in un regime?
“Beh, diciamo che mi sembra che oggi sia estremamente difficile fare emergere modi di pensare diversi rispetto a quelli della maggioranza.” - “E la riprova è che oggi abbiamo un sistema comunicativo completamente controllato.” – “La censura per omissione è clamorosa ed è la più praticata oggi.”
Perché noi non abbiamo una legge antitrust seria?
“L’Italia è l’unico paese europeo che permette al Presidente del Consiglio di possedere tre network e controllare indirettamente la tv di stato. È un fatto clamoroso, dirompente. Soprattutto oggi che l’audience è l’unico modello universalmente riconosciuto e ha cancellato, di fatto, la divisione dei poteri che abbiamo ereditato dall’Illuminismo. Berlusconi vince perché legittimato dall’audience e, si sa, la maggioranza ha sempre ragione. Ed è tanto forte la sua legittimazione televisiva che l’ha portato in politica. L’audience ha travolto la divisione dei poteri perché è il potere.”
Cosa vede all’orizzonte?
“Io credo che la situazione si sia un po’ rovesciata, che le cose stiano cambiando. Berlusconi sta perdendo consensi. Sì, io sono ottimista.”
E per ingannare il tempo nell’attesa che il suo pronostico si realizzi che propone? Resistere, resistere, resistere?
“È chiaro. Resistere, resistere, resistere!”
Italia senza libertà
Squalificata da Berlusconi e Gasparri.
Reporters sans Frontieres ha stilato la sua nuova classifica annuale sulla libertà di stampa nel mondo e l'Italia è, assieme alla Spagna, l'unico paese dell'Unione europea che brilla per lo scarso pluralismo.
L'Italia è cinquantatreesima su un totale di 166 paesi. Motivo: «Il conflitto di interessi di Silvio Berlusconi, allo stesso tempo capo dell'esecutivo e proprietario di un impero mediatico, non è stato ancora risolto». L'associazione francese non risparmia critiche anche al ddl Gasparri sulla riforma del sistema delle comunicazioni: «Sembra tagliato su misura per proteggere gli interessi di Silvio Berlusconi» e «rischia di aggravare le minacce che pesano sul pluralismo dell'informazione».
Diverso il caso della Spagna, che deve il suo quarantaduesimo posto in classifica «alle difficoltà con cui si devono confrontare i giornalisti nei paesi baschi». «L'Eta ha moltiplicato le minacce nei confronti dei media - osserva Reporters sansFrontieres - Peraltro, la lotta contro il terrorismo ha avuto pesanti conseguenze sulla libertà di stampa, come la chiusura del giornale basco Egunkaria».
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IL RIFORMISTA 21-10
BERLUSCONIANA
You don't know the history del digiuno a base di mele e sedano
Cara Miriam, sono commossa e gonfia di ammirazione. C'è un uomo, finalmente, che è stato capace di dimostrare che è possibile mantenere gli impegni presi a costo di mettere a repentaglio la propria persona, sfidando i propri limiti e l'incredulità della gente nel compimento di un'opera che rimarrà nella memoria di tutti. No, non sto parlando di Petit Chou e della sua maledetta politica purtroppo, ma di David Blaine che domenica ha concluso i suoi quarantaquattro giorni di digiuno sospeso in una gabbia di vetro nei pressi del Tower Bridge, a Londra.
Fiori in camera. Appena si sarà ripreso dalla terribile prova lo voglio incontrare. Per il momento ho detto alla mia segretaria di inondargli di fiori la camera d'ospedale dove piano piano tornerà alla normalità, ma di persona gli esprimerò il grazie commosso per quello che ha fatto. Pensaci Miriam: cos'altro può fare un uomo in quelle condizioni, distaccato letteralmente dalle vicende del mondo e dai suoi bisogni, se non scavare dentro sé stesso fino a farsi uscire il sangue dalle unghie? A un'umanità distratta da mille necessità, a cominciare dal cibo, ha ricordato che possiamo fare a meno di tutto, per restare da soli, e purificati, al cospetto della nostra spiritualità. O David, profeta di una new age che gli uomini tardano a riconoscere, io ti onoro. Sarei voluta andare a Londra per unirmi al gruppo di persone che per settimane ha sostato sotto alla gabbia celebrandolo per quel sant'uomo che è, ma poi ho pensato che la cosa migliore da fare era raccogliere il suo messaggio; e così martedì scorso, con la Luna al suo apogeo, ho iniziato anch'io un digiuno detox sotto la stretta sorveglianza di Steve, il mio guru. O Miriam, com'é dolce ritrovarsi, tornare in sé stessi. E negli abiti dello scorso inverno, perché non solo ho recuperato un profondo distacco dagli accidenti mondani - la vendita del mio giornale tanto per dirne uno - ma ho perso anche tre chili, uno al giorno. Da venerdì mi nutro di mele, sedano, finocchi e carote e solo stamane mi sono potuta concedere patate, bieta e agrumi.
David Blaine. Purtoppo però, quando domenica sera Petit Chou si è accorto di cosa era fatta la mia cena, ha capito del mio digiuno (non è il primo che faccio) e ha cominciato a punzecchiarmi: «Cos'è, non mi sono accorto che nel '94 hanno vinto i comunisti trascinandoci nella più cupa miseria?». Pacatamente, forte della mia rinnovata spiritualità, ho cercato di spiegargli del mio omaggio a David Blaine. «Ma chi, quel mago illusionista? Di giochini di prestigio, mia cara, mi bastano la perquisizione al "Giornale" e quelli della Francia all'Onu. E poi di illusionisti ne abbiamo già uno in Italia e si chiama Violante, chi è più bravo di lui?». Lui parlava e io me lo immaginavo sospeso nella gabbia di vetro, magro, nudo e finalmente inerme. «Se alla gente piace tanto la sofferenza spettacolo poteva andare a seguire i processi del povero Cesare invece di stare a bocca aperta sotto la gabbia di quello scemo di un mago». Scemo? Il mio David? Che poi, si prende gioco dei maghi lui che se quel giorno da Vespa invece di apporre la famosa firma avesse fatto il numero della donna segata in due stai certa che avrebbe ottenuto lo stesso effetto. Ho continuato a mangiare le mie carotine senza rispondere. Cara Miriam, avrò pure recuperato la forza calma della mia spiritualità... ma che pazienza!
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LIBERAZIONE 21-10
Corsivo di I pag.
Se il premier viene meno al "patto con gli italiani"…
DON PANCRAZIO
Se il premier viene meno al "patto con gli italiani" sottoscritto in diretta a "Porta a porta" e se il popolo esprime la sua delusione attraverso "Domenica In" mettendo il premier in testa ai "Basta a... ", poteva "Buona domenica" sottrarsi a questo fenomeno di definitiva televisivizzazione della politica? Così il buon Costanzo, notoriamente meno governativo di Vespa (che non organizza una puntata per chiedere severamente al premier che ne è di quel "patto", ma puntate zeppe di argomenti diversivi e di opinionisti presi di peso dalla sua corte) e più navigato di Bonolis (che si è barcamenato cancellando dalla testa del sondaggio "Basta a Berlusconi" ma lasciando vuota la relativa casella e balbettando: «La prima posizione rimane la stessa»), ha trasformato la sua trasmissione in Parlamento. E' davanti alle sue telecamere che, domenica in diretta, le deputate Turco (Ds) e Mussolini (An) hanno firmato una proposta di legge sulle coppie di fatto, depositata ieri alla segreteria della presidenza di Montecitorio. Manca solo che al Quirinale venga insediato un proprietario di Tv, a Palazzo Chigi un ex-cantante da navi in crociera e a Palazzo Madama e a Montecitorio rispettivamente una velona e una velina.
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WWW.CENTOMOVIMENTI.IT 21-10
La tv ai tempi di Berlusconi
(Stralci da un’intervista a Carlo Freccero)
A CURA DI GIORGIA ROMBOLA'
Carlo Freccero dice la sua sulla televisione italiana, su pubblico e palinsesti, sull’informazione controllata dal potere e sulla censura esercitata con arbitrio. E sulla libertà. Che non c’è.
FRECCERO: ““Il il discorso deve partire dal ruolo che oggi svolge la Tv generalista, da molti considerata una vecchia signora in via di sparizione. In effetti ora, con l’avvento di Sky e l’entrata di Murdoch nel mercato italiano, la Tv generalista è destinata a diventare ancora più povera, misera, brutta, vittima di un processo lento cominciato già negli anni ’90 e che ora appare in tutta la sua luminosità.””
Dunque, una morte lenta ma inesorabile…
“Non proprio. Per me la Tv generalista rimane centrale nella definizione dei rapporti tra media e potere. D’altronde, se fosse così insignificante non si capirebbe perché il potere politico voglia controllarla e sottometterla.”
Attraverso epurazioni e censure?
“Esatto. Questo tipo di Tv si rivolge a un pubblico che non ha capitale culturale né economico, quello che io chiamo l’audience profonda. E il potere vuole che questo pubblico non emerga, che rimanga perimetrato. Proprio a questa logica risponde l’operazione di narcotizzazione che c’è stata con l’eliminazione di Biagi, Santoro e Luttazzi. Si è voluto estromettere dalla tv generalista l’informazione in senso proprio, l’inchiesta, l’investigazione, la satira, confinandole sottoforma di surrogato nel Reality Show. È proprio questo il dato più clamoroso e oltraggioso, il progetto solo apparentemente non dichiarato del potere.” - “L’informazione vera è scacciata, bandita. È questo il fatto scandaloso. La tv generalista continua ad essere quella vista dalla maggior parte delle persone, però ha perso tutto. E non sto parlando solo del calcio o dei film americani, ma di una cosa ben più importante: la volontà politica.” - “L’editto della Bulgaria contro Santoro, Biagi e Luttazzi rientra in questa logica. Ed è sostenuto dall’unione di chi non ha capitale culturale con chi ha capitale economico, dal fatto che Berlusconi sia ora l’unico sogno praticato.”
Il termine è un po’ inflazionato, ma la domanda è d’obbligo. Siamo in un regime?
“Beh, diciamo che mi sembra che oggi sia estremamente difficile fare emergere modi di pensare diversi rispetto a quelli della maggioranza.” - “E la riprova è che oggi abbiamo un sistema comunicativo completamente controllato.” – “La censura per omissione è clamorosa ed è la più praticata oggi.”
Perché noi non abbiamo una legge antitrust seria?
“L’Italia è l’unico paese europeo che permette al Presidente del Consiglio di possedere tre network e controllare indirettamente la tv di stato. È un fatto clamoroso, dirompente. Soprattutto oggi che l’audience è l’unico modello universalmente riconosciuto e ha cancellato, di fatto, la divisione dei poteri che abbiamo ereditato dall’Illuminismo. Berlusconi vince perché legittimato dall’audience e, si sa, la maggioranza ha sempre ragione. Ed è tanto forte la sua legittimazione televisiva che l’ha portato in politica. L’audience ha travolto la divisione dei poteri perché è il potere.”
Cosa vede all’orizzonte?
“Io credo che la situazione si sia un po’ rovesciata, che le cose stiano cambiando. Berlusconi sta perdendo consensi. Sì, io sono ottimista.”
E per ingannare il tempo nell’attesa che il suo pronostico si realizzi che propone? Resistere, resistere, resistere?
“È chiaro. Resistere, resistere, resistere!”
MEDITAZIONE
CORSERA 21-10
LA DEMOCRAZIA E I SUOI MITI
Gli eletti non necessariamente sono i migliori, anche se hanno la maggior parte dei voti
di SABINO CASSESE
«Un conto è rispondere agli uffici studi, un conto è rispondere ai cittadini». Vorrei provare a svolgere qualche riflessione su questa frase del ministro dell’Economia e delle Finanze (che è anche un acuto studioso delle istituzioni) e sulle sue implicazioni, perché essa tocca un problema centrale del buon governo, quello dell’ accountability . Si può dire, innanzitutto, che la politica non risponde agli «uffici studi»? I governi (e anche i Parlamenti) sono sottoposti al controllo di giudici; sono limitati dall’azione di autorità indipendenti e di organi sovranazionali; debbono operare attraverso funzionari scelti secondo il criterio del merito e vincolati al rispetto della legge; amministrano a mezzo di procedure e sottoponendosi a regole; oltre a essere giudicati ogni giorno da agenzie di rating e dall’opinione pubblica. Insomma, la politica non è interamente libera, perché la democrazia è solo una delle componenti di uno Stato costituzionale.
Si può dire, in secondo luogo, che il raggio dell’azione degli eletti dal popolo non ha limiti? I nostri Stati sono pieni di istituzioni che non rispondono al popolo. Le autonomie funzionali, quali le Camere di commercio, gli Istituti di ricerca, le Università, rispondono ad altri. Interi corpi pubblici, quali insegnanti e sanitari, rispondono a regole tecniche delle rispettive professioni, perché nessuno entrerebbe volentieri in una sala operatoria dove i chirurghi siano eletti o debbano rispondere agli eletti dal popolo. Schumpeter ha scritto che una condizione per il successo della democrazia è che il raggio effettivo della decisione politica non sia eccessivamente esteso.
Le istituzioni in cui viviamo, poi, si fidano tanto poco delle scelte popolari da imporre non soltanto elezioni ripetute, ma anche elezioni a più livelli (circoscrizione, Comune, Provincia, Regione, Stato, Unione europea). Così si risponde ai cittadini in modo diverso, e si contrappongono tra di loro le rappresentanze popolari: il governo centrale può essere di centrosinistra, uno comunale di centrodestra, uno regionale di altra maggioranza ancora.
Un sottosegretario in lite con il suo ministro dichiarò l’8 aprile 2002 che bisognava «rispettare la volontà politica dei nostri elettori, che non vogliono l’intervento sull’Ara Pacis, non vogliono l’arte dei tubi di gomma alla Biennale». Aveva torto.
Il popolo non prende decisioni estetiche o architettoniche. Anzi, non prende alcuna decisione (salvo i referendum). Si limita a scegliere chi dovrà decidere e, poi, a confermarlo o non confermarlo, in relazione alla bontà delle decisioni prese (Rousseau si chiedeva che cosa potesse impedire la schiavitù di un popolo per tutto il tempo che separa un’elezione dall’altra). Quel sottosegretario usava il termine democrazia in senso enfatico, come governo del popolo, mentre il governo è nelle mani degli eletti, che non necessariamente sono i migliori, anche se hanno la maggior parte dei voti. Persino l’elezione non è sempre sinonimo di democrazia: anche il Papa è eletto, ma nessuno si aspetta che risponda ai suoi elettori.
Concludo dubitando che il ministro dell’Economia e delle Finanze abbia ragione nel distinguere così nettamente il popolo dagli «uffici studi». Temo che egli si sia, per un momento, lasciato incantare dalla mitologia (di sinistra) d’una espansione infinita della democrazia e d’un esclusivo rapporto della politica e del governo con il popolo.
CORSERA 21-10
LA DEMOCRAZIA E I SUOI MITI
Gli eletti non necessariamente sono i migliori, anche se hanno la maggior parte dei voti
di SABINO CASSESE
«Un conto è rispondere agli uffici studi, un conto è rispondere ai cittadini». Vorrei provare a svolgere qualche riflessione su questa frase del ministro dell’Economia e delle Finanze (che è anche un acuto studioso delle istituzioni) e sulle sue implicazioni, perché essa tocca un problema centrale del buon governo, quello dell’ accountability . Si può dire, innanzitutto, che la politica non risponde agli «uffici studi»? I governi (e anche i Parlamenti) sono sottoposti al controllo di giudici; sono limitati dall’azione di autorità indipendenti e di organi sovranazionali; debbono operare attraverso funzionari scelti secondo il criterio del merito e vincolati al rispetto della legge; amministrano a mezzo di procedure e sottoponendosi a regole; oltre a essere giudicati ogni giorno da agenzie di rating e dall’opinione pubblica. Insomma, la politica non è interamente libera, perché la democrazia è solo una delle componenti di uno Stato costituzionale.
Si può dire, in secondo luogo, che il raggio dell’azione degli eletti dal popolo non ha limiti? I nostri Stati sono pieni di istituzioni che non rispondono al popolo. Le autonomie funzionali, quali le Camere di commercio, gli Istituti di ricerca, le Università, rispondono ad altri. Interi corpi pubblici, quali insegnanti e sanitari, rispondono a regole tecniche delle rispettive professioni, perché nessuno entrerebbe volentieri in una sala operatoria dove i chirurghi siano eletti o debbano rispondere agli eletti dal popolo. Schumpeter ha scritto che una condizione per il successo della democrazia è che il raggio effettivo della decisione politica non sia eccessivamente esteso.
Le istituzioni in cui viviamo, poi, si fidano tanto poco delle scelte popolari da imporre non soltanto elezioni ripetute, ma anche elezioni a più livelli (circoscrizione, Comune, Provincia, Regione, Stato, Unione europea). Così si risponde ai cittadini in modo diverso, e si contrappongono tra di loro le rappresentanze popolari: il governo centrale può essere di centrosinistra, uno comunale di centrodestra, uno regionale di altra maggioranza ancora.
Un sottosegretario in lite con il suo ministro dichiarò l’8 aprile 2002 che bisognava «rispettare la volontà politica dei nostri elettori, che non vogliono l’intervento sull’Ara Pacis, non vogliono l’arte dei tubi di gomma alla Biennale». Aveva torto.
Il popolo non prende decisioni estetiche o architettoniche. Anzi, non prende alcuna decisione (salvo i referendum). Si limita a scegliere chi dovrà decidere e, poi, a confermarlo o non confermarlo, in relazione alla bontà delle decisioni prese (Rousseau si chiedeva che cosa potesse impedire la schiavitù di un popolo per tutto il tempo che separa un’elezione dall’altra). Quel sottosegretario usava il termine democrazia in senso enfatico, come governo del popolo, mentre il governo è nelle mani degli eletti, che non necessariamente sono i migliori, anche se hanno la maggior parte dei voti. Persino l’elezione non è sempre sinonimo di democrazia: anche il Papa è eletto, ma nessuno si aspetta che risponda ai suoi elettori.
Concludo dubitando che il ministro dell’Economia e delle Finanze abbia ragione nel distinguere così nettamente il popolo dagli «uffici studi». Temo che egli si sia, per un momento, lasciato incantare dalla mitologia (di sinistra) d’una espansione infinita della democrazia e d’un esclusivo rapporto della politica e del governo con il popolo.
L’UNITA’ on-line 20-10
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Regimi.
Ieri: «Diffamano il fascismo e pretendono di non suscitare la collera. Avvertiamo gli oppositori che è ora di finirla». Arnaldo Mussolini, 22 luglio 1925.
Oggi: «La stampa di regime (vuol dire L’Unità, ndr) è lasciata libera di denigrare gli avversari politici. Fino a quando dovremo tollerare?».
Sandro Bondi, portavoce di F.I., 17 ottobre 2003
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WWW.CENTOMOVIMENTI.IT 20-10
EDITORIALE
Il “silenzio” dei non innocenti
MASSIMO DEL PAPA
Il portavoce Bondi si lamenta del silenzio dopo le perquisizioni e l’avviso di garanzia, che finirà in niente, al direttore del “Giornale”, quotidiano di famiglia. Ma il silenzio l’ha sentito solo Bondi che misura le reazioni col suo metro, indifferenza se tocca ai rari giornali avversari, strepiti da farisei se una volta tanto tocca a quelli di casa. Per “il Giornale” si è mossa la Fnsi, il Parlamento a ranghi trasversali, anche i quotidiani avversi hanno sollevato perplessità per l’iniziativa della magistratura. Caso tipico di pensiero debole, berlusconiano che però è ormai pensiero unico.
La violazione delle prerogative dell’informazione nel caso dell’iniziativa della magistratura contro “il Giornale” è discutibile ma non la si può liquidare con la semplice violazione del diritto d’informare, per il particolare ruolo ricoperto dal quotidiano in questione: un organo che fa diretto riferimento al capo del governo, in conflitto d’interessi perché detiene o controlla il 90 percento dell’informazione. Se un giornale qualsiasi pubblica indiscrezioni anche coperte da segreto istruttorio fa, diremo, il suo mestiere e almeno in linea teorica assolve alla funzione di informare, una funzione che se rispetta se stessa si pone naturalmente, geneticamente in rotta di collisione coi poteri dello Stato, con i loro omissis e divieti volti appunto a tutelare le malefatte di Stato che il corpo sociale non deve sapere.
Ma se la stessa operazione la compie un giornale che è palesemente un organo di sostegno del capo del governo che controlla i Servizi e le polizie, che è nemico giurato della sinistra presa di mira dal suo quotidiano, se l’inchiesta di un giornale contro i nemici politici del primo ministro viene da un giornale che appartiene al primo ministro, che funge da megafono della sua propaganda politica, da veicolo della sua immagine, è la stessa cosa? Non è grottesco il direttore del “Giornale” quando va in televisione a perorare la bontà delle sue tesi, del suo giornalismo? In cosa può dire di essere indipendente dal suo editore, incidentalmente capo del governo?
Se alcuni giornalisti che, almeno in linea teorica, rappresentano se stessi e l’informazione vengono in possesso di carte, di retroscena riservati è un conto. Ma se quei giornalisti maneggiano quelle carte, quei retroscena rappresentando volenti o nolenti oltre al loro mestiere anche il presidente del Consiglio, non è, non può essere lo stesso e questo è il conflitto d’interessi. Questa è anche la ragione specifica per la quale altrove nel mondo democratico il conflitto d’interessi è vietato, stroncato sul nascere mentre in Italia lo si è istituzionalizzato.
Il presunto silenzio che sente soltanto Bondi, in realtà reazioni più caute, più perplesse che viscerali come il portavoce vorrebbe, cammina sulla strada dell’imbarazzo perché qualsiasi commento non può prescindere da una situazione illegale, antidemocratica lasciata sedimentare per decenni da tutte le forze politiche, in favore di uno che a diventare forza politica ambiva e alla fine c’è riuscito. Quella del ”Giornale” su Telekom-Serbia, ripresa per mesi da tutti i notiziari nazionali e per effetto-domino dagli altri giornali, è una campagna virulenta contro le facce del centrosinistra, in particolare quella di Prodi che non è ancora un antagonista del cavaliere-editore ma minaccia di diventarlo, una guerra preventiva colma di indiscrezioni, anticipazioni, soffiate che attendono ancora uno straccio di riscontro.
I Prodi, Fassino, Dini su fino al presidente della Repubblica se non ne sono usciti con le ossa rotte è proprio perché le pezze d’appoggio, esistano o meno, al “Giornale” mancano, non è ancora riuscito a trovarle. Se ci riuscirà, al “Giornale” del primo ministro dovremo dire un grazie con riserva. Perché nessuno potrà mai escludere che il suo sia stato più giornalismo-rappresaglia che giornalismo-verità. Perché una simile campagna (che promuoveremo al rango di inchiesta se e quando saprà conquistarsi la verità, provata, delle sue tesi) ha messo in evidenza contatti strani fra ambigui militanti di logge un tempo frequentate dal primo ministro, faccendieri e collaboratori dei Servizi già in rapporti d’affari col primo ministro o con il Craxi amico personale del primo ministro, avvocati militanti nel partito fondato e diretto dal primo ministro, e organi d’informazione legati a filo doppio al primo ministro.
Ora, noi non siamo solo il Paese del conflitto permanente, siamo anche quello in cui il leader del principale partito d’opposizione apre alla sciagurata decisione governativa di mantenere il contingente italiano a gestire una pace sanguinaria, effetto di una guerra ingiusta, pretestuosa e come tale non accettata da chi l’ha subìta. Con l’effetto di ricompattare la maggioranza squassata dalle aperture agli immigrati, e insieme di frantumare l’ennesimo conato di riaggregazione all’interno dell’Ulivo. Insomma niente di nuovo sotto il sole e nel collaborazionismo del centrosinistra ci può stare anche la demenziale solidarietà verso il giornale che ha coperto di fango il centrosinistra. Ma se per un attimo smettiamo di pensare italiano, dov’è lo scandalo se la magistratura indaga?
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Regimi.
Ieri: «Diffamano il fascismo e pretendono di non suscitare la collera. Avvertiamo gli oppositori che è ora di finirla». Arnaldo Mussolini, 22 luglio 1925.
Oggi: «La stampa di regime (vuol dire L’Unità, ndr) è lasciata libera di denigrare gli avversari politici. Fino a quando dovremo tollerare?».
Sandro Bondi, portavoce di F.I., 17 ottobre 2003
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EDITORIALE
Il “silenzio” dei non innocenti
MASSIMO DEL PAPA
Il portavoce Bondi si lamenta del silenzio dopo le perquisizioni e l’avviso di garanzia, che finirà in niente, al direttore del “Giornale”, quotidiano di famiglia. Ma il silenzio l’ha sentito solo Bondi che misura le reazioni col suo metro, indifferenza se tocca ai rari giornali avversari, strepiti da farisei se una volta tanto tocca a quelli di casa. Per “il Giornale” si è mossa la Fnsi, il Parlamento a ranghi trasversali, anche i quotidiani avversi hanno sollevato perplessità per l’iniziativa della magistratura. Caso tipico di pensiero debole, berlusconiano che però è ormai pensiero unico.
La violazione delle prerogative dell’informazione nel caso dell’iniziativa della magistratura contro “il Giornale” è discutibile ma non la si può liquidare con la semplice violazione del diritto d’informare, per il particolare ruolo ricoperto dal quotidiano in questione: un organo che fa diretto riferimento al capo del governo, in conflitto d’interessi perché detiene o controlla il 90 percento dell’informazione. Se un giornale qualsiasi pubblica indiscrezioni anche coperte da segreto istruttorio fa, diremo, il suo mestiere e almeno in linea teorica assolve alla funzione di informare, una funzione che se rispetta se stessa si pone naturalmente, geneticamente in rotta di collisione coi poteri dello Stato, con i loro omissis e divieti volti appunto a tutelare le malefatte di Stato che il corpo sociale non deve sapere.
Ma se la stessa operazione la compie un giornale che è palesemente un organo di sostegno del capo del governo che controlla i Servizi e le polizie, che è nemico giurato della sinistra presa di mira dal suo quotidiano, se l’inchiesta di un giornale contro i nemici politici del primo ministro viene da un giornale che appartiene al primo ministro, che funge da megafono della sua propaganda politica, da veicolo della sua immagine, è la stessa cosa? Non è grottesco il direttore del “Giornale” quando va in televisione a perorare la bontà delle sue tesi, del suo giornalismo? In cosa può dire di essere indipendente dal suo editore, incidentalmente capo del governo?
Se alcuni giornalisti che, almeno in linea teorica, rappresentano se stessi e l’informazione vengono in possesso di carte, di retroscena riservati è un conto. Ma se quei giornalisti maneggiano quelle carte, quei retroscena rappresentando volenti o nolenti oltre al loro mestiere anche il presidente del Consiglio, non è, non può essere lo stesso e questo è il conflitto d’interessi. Questa è anche la ragione specifica per la quale altrove nel mondo democratico il conflitto d’interessi è vietato, stroncato sul nascere mentre in Italia lo si è istituzionalizzato.
Il presunto silenzio che sente soltanto Bondi, in realtà reazioni più caute, più perplesse che viscerali come il portavoce vorrebbe, cammina sulla strada dell’imbarazzo perché qualsiasi commento non può prescindere da una situazione illegale, antidemocratica lasciata sedimentare per decenni da tutte le forze politiche, in favore di uno che a diventare forza politica ambiva e alla fine c’è riuscito. Quella del ”Giornale” su Telekom-Serbia, ripresa per mesi da tutti i notiziari nazionali e per effetto-domino dagli altri giornali, è una campagna virulenta contro le facce del centrosinistra, in particolare quella di Prodi che non è ancora un antagonista del cavaliere-editore ma minaccia di diventarlo, una guerra preventiva colma di indiscrezioni, anticipazioni, soffiate che attendono ancora uno straccio di riscontro.
I Prodi, Fassino, Dini su fino al presidente della Repubblica se non ne sono usciti con le ossa rotte è proprio perché le pezze d’appoggio, esistano o meno, al “Giornale” mancano, non è ancora riuscito a trovarle. Se ci riuscirà, al “Giornale” del primo ministro dovremo dire un grazie con riserva. Perché nessuno potrà mai escludere che il suo sia stato più giornalismo-rappresaglia che giornalismo-verità. Perché una simile campagna (che promuoveremo al rango di inchiesta se e quando saprà conquistarsi la verità, provata, delle sue tesi) ha messo in evidenza contatti strani fra ambigui militanti di logge un tempo frequentate dal primo ministro, faccendieri e collaboratori dei Servizi già in rapporti d’affari col primo ministro o con il Craxi amico personale del primo ministro, avvocati militanti nel partito fondato e diretto dal primo ministro, e organi d’informazione legati a filo doppio al primo ministro.
Ora, noi non siamo solo il Paese del conflitto permanente, siamo anche quello in cui il leader del principale partito d’opposizione apre alla sciagurata decisione governativa di mantenere il contingente italiano a gestire una pace sanguinaria, effetto di una guerra ingiusta, pretestuosa e come tale non accettata da chi l’ha subìta. Con l’effetto di ricompattare la maggioranza squassata dalle aperture agli immigrati, e insieme di frantumare l’ennesimo conato di riaggregazione all’interno dell’Ulivo. Insomma niente di nuovo sotto il sole e nel collaborazionismo del centrosinistra ci può stare anche la demenziale solidarietà verso il giornale che ha coperto di fango il centrosinistra. Ma se per un attimo smettiamo di pensare italiano, dov’è lo scandalo se la magistratura indaga?
MEDITAZIONE
MANIFESTO 19-10
Il neo-destro
ALESSANDRO ROBECCHI
Un testo satirico? Un breviario da consultare quando la fede vacilla? Un manuale di istruzioni? Nonostante abbia letto molte anticipazioni, recensioni, analisi, commenti, mi è difficile collocare nella parabola del pensiero moderno il nuovo libro di Ferdinando Adornato, un evento culturale che l'umanità non poteva attendere oltre. Sarebbe (copio dai titoli dei giornali) il «manifesto del centrodestra», ma anche il «catechismo dei moderati» che vanta, naturalmente, «la benedizione di Berlusconi». Metto il tutto tra virgolette in modo che non pensiate che rubo le battute ad altri comici. In soldoni, risulta che Ferdinando Adornato, da solo, a mani nude, si sia messo a disegnare la futura identità politico-culturale del centro destra.
L'obiettivo sarebbe quello di superare le solite abusate categorie di ex e post, per tracciare un «identikit etico» dell'universo liberal-popolare. Traduco dall'Adornato all'italiano: escluse le pistolettate, come diavolo si fa a fare il partito unico della destra e a riunire sotto una stessa ideologia ex fascisti, ex democristiani, ex socialisti, ex comunisti, ex piduisti, cinici avvocati, guidatori di gipponi 4x4, estremisti cattolici, idealisti ottocenteschi, venditori di Publitalia, tradizionalisti della famiglia, e magari pure Giovanardi? Ammetterete che il compito è titanico, che ci riesca un cervello solo è strabiliante, e se poi il cervello è quello di Adornato siamo nell'esoterico. Se a questo punto vi gira la testa, non posso darvi torto, ma per fortuna ci viene in soccorso lo stesso Autore, che quell'identikit lo presenta per voci numerate, tipo Tavole della Legge. In questo modo si può cogliere fior da fiore. Esempio (punto 8): a destra c'è attaccamento al sentimento tradizionale della famiglia, mentre a sinistra c'è affermazione delle famiglie di fatto di ogni tipo. Persino banale. Come risaputo è che (punto 19): per la destra c'è primato della produzione di ricchezza sulla redistribuzione, mentre a sinistra se ne stanno in panciolle e pensano solo a ridistribuire. Come saggio fondante di un'identità etico-politica, francamente, voliamo parecchio bassi.
Ma non trascuriamo la vita privata: il neo-destro, poveretto, non più ex e non più post, nella vita quotidiana «ricerca la distinzione». E poi preferisce il cinema d'azione a quello d'autore, i film americani a quelli europei. Adornato compie il suo capolavoro approdando a una forma perfetta di luogocomunismo: non più ex, non più post, ma un po' trash, quel che i tempi esigono. Se è concessa una notazione semantica, è strabiliante quante volte venga citata nella costruzione della nuova identità della destra la parola «etica»: è proprio vero che la lingua batte dove il dente duole.
Ma visto che di politica si parla, alla fine, ci sarebbe da chiedersi a cosa si deve questo mostruoso sforzo intellettuale per definire in fretta e furia un'identità. La vera urgenza delle riflessioni di Adornato sta proprio nella precarietà dell'identità della destra attuale. Serve un minimo comun denominatore ideologico. Per ora c'è, ha un nome e un cognome, paga i conti, organizza il marketing, fa pesare tutta la sua potenza mediatico-economica, striglia i dissidenti e promuove i fedelissimi, ha buoni avvocati ed è pure l'editore del libro di Adornato. Ma un domani? Che succederà nel dopo-Silvio, si azzanneranno come pit-bull? Urge la costruzione di un ideale Silvio-man teleguidato da poche regole-chiave, da un sistema etico-filosofico facile da maneggiare, tascabile, consultabile all'uopo come l'orario dei treni. Un impianto teorico talmente vasto da comprendere tutti, cani e gatti, indiani e cow-boy, preti e squali della finanza. Dunque il compito dell'Autore è difficile davvero: fabbricare una filosofia prêt-à-porter in poche settimane, congegnarla in modo che sia un omaggio al Capo, fare credere agli altri che sia invece per il bene di tutti e persino vendere il libro, incassando in proprio e facendo incassare un'azienda del Capo. Bingo! L'Homo adornatus è bell'e pronto, appena uscito dal microonde, e già ha inventato la quadratura del cerchio. Sorride. Proprio come in una televendita.
MANIFESTO 19-10
Il neo-destro
ALESSANDRO ROBECCHI
Un testo satirico? Un breviario da consultare quando la fede vacilla? Un manuale di istruzioni? Nonostante abbia letto molte anticipazioni, recensioni, analisi, commenti, mi è difficile collocare nella parabola del pensiero moderno il nuovo libro di Ferdinando Adornato, un evento culturale che l'umanità non poteva attendere oltre. Sarebbe (copio dai titoli dei giornali) il «manifesto del centrodestra», ma anche il «catechismo dei moderati» che vanta, naturalmente, «la benedizione di Berlusconi». Metto il tutto tra virgolette in modo che non pensiate che rubo le battute ad altri comici. In soldoni, risulta che Ferdinando Adornato, da solo, a mani nude, si sia messo a disegnare la futura identità politico-culturale del centro destra.
L'obiettivo sarebbe quello di superare le solite abusate categorie di ex e post, per tracciare un «identikit etico» dell'universo liberal-popolare. Traduco dall'Adornato all'italiano: escluse le pistolettate, come diavolo si fa a fare il partito unico della destra e a riunire sotto una stessa ideologia ex fascisti, ex democristiani, ex socialisti, ex comunisti, ex piduisti, cinici avvocati, guidatori di gipponi 4x4, estremisti cattolici, idealisti ottocenteschi, venditori di Publitalia, tradizionalisti della famiglia, e magari pure Giovanardi? Ammetterete che il compito è titanico, che ci riesca un cervello solo è strabiliante, e se poi il cervello è quello di Adornato siamo nell'esoterico. Se a questo punto vi gira la testa, non posso darvi torto, ma per fortuna ci viene in soccorso lo stesso Autore, che quell'identikit lo presenta per voci numerate, tipo Tavole della Legge. In questo modo si può cogliere fior da fiore. Esempio (punto 8): a destra c'è attaccamento al sentimento tradizionale della famiglia, mentre a sinistra c'è affermazione delle famiglie di fatto di ogni tipo. Persino banale. Come risaputo è che (punto 19): per la destra c'è primato della produzione di ricchezza sulla redistribuzione, mentre a sinistra se ne stanno in panciolle e pensano solo a ridistribuire. Come saggio fondante di un'identità etico-politica, francamente, voliamo parecchio bassi.
Ma non trascuriamo la vita privata: il neo-destro, poveretto, non più ex e non più post, nella vita quotidiana «ricerca la distinzione». E poi preferisce il cinema d'azione a quello d'autore, i film americani a quelli europei. Adornato compie il suo capolavoro approdando a una forma perfetta di luogocomunismo: non più ex, non più post, ma un po' trash, quel che i tempi esigono. Se è concessa una notazione semantica, è strabiliante quante volte venga citata nella costruzione della nuova identità della destra la parola «etica»: è proprio vero che la lingua batte dove il dente duole.
Ma visto che di politica si parla, alla fine, ci sarebbe da chiedersi a cosa si deve questo mostruoso sforzo intellettuale per definire in fretta e furia un'identità. La vera urgenza delle riflessioni di Adornato sta proprio nella precarietà dell'identità della destra attuale. Serve un minimo comun denominatore ideologico. Per ora c'è, ha un nome e un cognome, paga i conti, organizza il marketing, fa pesare tutta la sua potenza mediatico-economica, striglia i dissidenti e promuove i fedelissimi, ha buoni avvocati ed è pure l'editore del libro di Adornato. Ma un domani? Che succederà nel dopo-Silvio, si azzanneranno come pit-bull? Urge la costruzione di un ideale Silvio-man teleguidato da poche regole-chiave, da un sistema etico-filosofico facile da maneggiare, tascabile, consultabile all'uopo come l'orario dei treni. Un impianto teorico talmente vasto da comprendere tutti, cani e gatti, indiani e cow-boy, preti e squali della finanza. Dunque il compito dell'Autore è difficile davvero: fabbricare una filosofia prêt-à-porter in poche settimane, congegnarla in modo che sia un omaggio al Capo, fare credere agli altri che sia invece per il bene di tutti e persino vendere il libro, incassando in proprio e facendo incassare un'azienda del Capo. Bingo! L'Homo adornatus è bell'e pronto, appena uscito dal microonde, e già ha inventato la quadratura del cerchio. Sorride. Proprio come in una televendita.
L’UNITA’ on-line 19-10
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Strani messaggi del premier: «Oggi, come nel ’94, appaiono ombre fosche che vogliono mettere in gioco libertà, democrazia e sovranità popolare. Dobbiamo essere uniti per evitare al Paese pericolose avventure».
Silvio Berlusconi, messaggio al convegno di «Liberalismo popolare», Ansa, 18 ottobre 12,46
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RARISSIMO EDITORIALE
Perfetto esempio di “mandato linguistico” (Ferrara docet).
Il Merda vede di nuovo in pericolo la roba. Ha in mano polizia, forze armate, servizi segreti e media. E’ capace di tutto.
Vuoi vedere che se Fini non demorde qualcuno gli spara e dà la colpa a Bossi?
Due piccioni con una fava… Via l'insidia ed il ricatto.
“A pensar male si fa peccato ma spesso ci si azzecca”, dice Andreotti, che non è santo della mia religione ma purtroppo è l’unico uomo di stato che sopravvive in questo disgraziato Paese afflitto dalle mezze calzette.
Luciano Seno
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L’UNITA’ on-line 19-10
Se c'è un regime
di Furio Colombo
(…) Un regime c’è quando il potere di governare è strettamente (direttamente) connesso con il potere di comunicare, e perciò coincidono il piano della visibilità quasi esclusiva di chi governa con la capacità di ignorare, oscurare o alterare a piacere l’immagine di chi si oppone.
In questo caso la violenza e l’imposizione fisica non sono più necessarie. La realtà conosciuta e percepita dai cittadini (la gran parte di essa) è quella formata e rappresentata secondo la volontà del potere. Questo aspetto - forgiare l’immagine affinché si forgi la realtà (uso deliberatamente la espressione fascista, forgiare) - era cruciale persino al tempo della forza e della violenza squadrista e militare. (…)
Una dimostrazione della necessità di dominio della realtà attraverso l’imposizione dell’immagine voluta dal potere si ritrova negli atti del convegno di studio sulla aggressione (poi mortale) subita da Giovanni Amendola a Montecatini il 20 luglio 1925.
E’ fondata su un rovesciamento di causa ed effetto: il popolo fascista esasperato, benché guidato con responsabilità e senso dello Stato, non ha potuto tollerare più a lungo la provocazione messa in atto, con la sua presenza nell’albergo di Montecatini dal parlamentare di opposizione.
Ecco un testo giornalistico di quell’Italia, quel giorno: «L’on. Amendola crede possibile starsene tranquillamente a passare le acque in una zona fascistissima, densa di quei fascisti che egli continuamente calunnia, deride, minaccia. Ciò sorpassa ogni limite. Diffama il fascismo e pretende di non suscitarne la collera. Ingiuria i fascisti e pretende di passeggiarci in mezzo». (L’impero, 22 luglio 1925).
Ed ecco la versione ufficiale dell’agenzia Stefani, l’Ansa di allora: «Occorre notare gli incidenti deplorevolissimi occorsi in piena campagna, nonostante gli sforzi compiuti dalla forza pubblica e dai dirigenti del fascismo locale per la tutela del deputato oppositore» (22 luglio 1925).
Controllare tutta la stampa vuol dire che l’aggressione (che non deve più, almeno per ora, avvenire intorno all’albergo perché chi governa possiede e controlla TV e giornali quasi al completo) può continuare sul più grande settimanale politico italiano, proprietà Silvio Berlusconi. E si ripete il gioco del rovesciare il prima e il dopo, vecchia storia dell’agnello che, bevendo a valle, inquina l’acqua del lupo a monte.
Perché? Perché a lui (il Presidende del Consiglio-padrone) va bene così, lo può fare dal momento che ha in mano tutta la stampa e tutta la Tv.
Al centro della pagina dell’editoriale di Panorama questa frase, come sottotitolo e riassunto: «Dire bugie madornali è possibile a patto che la maggioranza dei tuoi lettori non sappia davvero come stanno le cose».
Perfetto. È la descrizione del regime. Come si sarebbe potuto altrimenti aprire 90 telegiornali (per tutta l’estate, su tutte le reti) con un unico lancio: «Nuovi sviluppi nel caso Telekom-Serbia, somme rilevanti sarebbero state pagate a Prodi, Fassino, Dini»?
Per lo spazio che resta provvedono i grandi commentatori liberi e i giornalisti brillanti, e il caso italiano su cui si discuterà nelle scuole di giornalismo di un futuro non imminente, è il seguente: come mai il regime ha potuto ottenere un così vasto silenzio volontario, oltre allo slancio di autoarruolamento di così tante “firme” del giornalismo?
Il perché si vede alla Rai. Gente che lavora in dissenso, o anche un lieve scostarsi, non se lo può permettere. In questa Italia segue il silenzio. Quante altre apparizioni a reti unificate dovrà imporre l’attuale primo ministro perché si levi qualche cauto editoriale di perplessità? Evidentemente i casi esemplari di Biagi, Santoro, De Bortoli hanno funzionato a tutti i livelli.
(…) gettare uno sguardo a giornali e Tv dei Paesi democratici vicini a noi, in Europa. In quei Paesi non c’è conflitto di interessi, chi governa non possiede televisioni e giornali, non c’è esenzione a vita dai processi, non c’è dominio totale dei media e sovrapposizione perfetta tra media e potere. Dunque non c’è un regime.
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REPUBBLICA on-line 19-10
Dario Fo -- allarme censura per la farsa su Berlusconi
Pressioni per non far rappresentare "L'anomalo bicefalo”
di ANNA BANDETTINI
MILANO - Mai come adesso è chiaro che basta solo nominarlo, Berlusconi, per innescare polemiche, turbolenze e perfino paure e censure preventive. È quello che sta succedendo intorno a Dario Fo e Franca Rame e al loro nuovo, ma finora solo annunciato, spettacolo, L'anomalo bicefalo, "favola surreale", come dice Fo, con il presidente del Consiglio messo al centro di una farsa che rifà senza troppi riguardi la storia del suo successo economico e politico. Debutterà il 18 novembre all'Arena del Sole di Bologna (con una prova aperta il 12 a Varallo Sesia) e girerà molte città: Roma, all'Olimpico dal 1° dicembre, Verona dal 17 dicembre, Trieste 15 gennaio, Napoli dal 3 febbraio, e naturalmente Milano dove però, aggiunto dal 6 gennaio nel cartellone già stilato del Piccolo Teatro, sono arrivati i primi problemi. "Amici" e "amici del consiglio di amministrazione" che "consigliano" il teatro a "lasciar perdere" perché "non è aria", perché "si sa, i finanziamenti...": sgradevoli pressioni, insomma, per non far recitare il Nobel e sua moglie a Milano.
Questo almeno è quello che Sergio Escobar, il direttore del Piccolo, dichiara scegliendo come insolita forma di denuncia una lettera al Corriere della Sera. Poco importa se Roberto Ruozi il presidente del consiglio di amministrazione del Piccolo smentisce qualunque genere di pressione e anticipa che affronterà il caso nel prossimo consiglio del 30 ottobre, l'allarme censura scatta. Innanzitutto in alcuni consiglieri del Piccolo, prontamente autodichiaratisi in disaccordo con l'arrivo di "questo Fo" e con l'indebita intromissione della politica nel teatro, fino a proporre di visionare preventivamente il testo prima di dire sì a questa "indesiderata" ospitalità.
"Vedere preventivamente il testo? Ma non esiste" è la pronta risposta di Dario Fo e Franca Rame "La censura in Italia è stata abolita. Il testo non ce lo ha chiesto nemmeno il governo e noi dovremmo darlo ai consiglieri del Piccolo? Ma non si è mai visto. Noi non daremo proprio niente da leggere. Per ora però il Piccolo non ci ha comunicato nulla: abbiamo la bozza di contratto delle nostre recite a gennaio e questo è quanto. È vero che nessuno ci ha ancora detto che non ci daranno il teatro, ma evidentemente è nell'aria. Santoro, Biagi, Luttazzi, Chiambretti... Questo governo vuole imbavagliare la libertà di pensiero e di espressione come non era mai successo nemmeno ai tempi dei democristiani. C'è un preciso tentativo di farci fuori, anche dagli spazi della satira. Almeno una volta come reazione c'erano le interrogazioni parlamentari. Adesso invece le fanno all'incontrario. Ne hanno presentata una per chiedere come mai ci siamo presi questa libertà di andare in giro a parlar di Berlusconi...".
In più di cinquant'anni di teatro di lotta, Dario Fo e Franca Rame ne hanno viste di tutti i colori (censure, denunce, parroci che sbarravano i teatri dove erano programmati), oggi però un'eventuale censura, tanto più preventiva, suona inaccettabile, dicono. "Sarebbe pazzesco se proprio nella nostra città non ci facessero recitare. Sarebbe una fatale idiozia, al punto che ci verrebbe voglia di dire: facciano pure. Sarebbe un tale scandalo internazionale... Come fa uno dei consiglieri, Rosa Giannetta Alberoni, se è una persona di cultura, a dire che la politica non deve entrare in teatro? Ma lo sa che allora bisognerebbe non rappresentare mezza storia del teatro a cominciare da Shakespeare? Come si fa a dire certe cose? Politica è partecipazione alla vita collettiva e secondo lei la politica non dovrebbe entrare in teatro? Roba da pazzi. È che i tirapiedi sono più realisti del re: si preoccupano preventivamente per far piacere a "lui" anche a costo di buttarsi allo sbaraglio".
Già, e "lui" cosa direbbe davanti alla loro commedia? "La nostra è una farsa che spiega in chiave comica come è nato l'impero di Berlusconi. Raccontiamo i fatti salienti della sua storia, dalla P2 in avanti. Come era in Clacson trombette e pernacchie, e Il Fanfani rapito, è satira documentata. E poi nella nostra storia, Berlusca appare buono, diverso. In fondo, gli facciamo un complimento e chissà che vedendosi così, non migliori davvero".
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Strani messaggi del premier: «Oggi, come nel ’94, appaiono ombre fosche che vogliono mettere in gioco libertà, democrazia e sovranità popolare. Dobbiamo essere uniti per evitare al Paese pericolose avventure».
Silvio Berlusconi, messaggio al convegno di «Liberalismo popolare», Ansa, 18 ottobre 12,46
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RARISSIMO EDITORIALE
Perfetto esempio di “mandato linguistico” (Ferrara docet).
Il Merda vede di nuovo in pericolo la roba. Ha in mano polizia, forze armate, servizi segreti e media. E’ capace di tutto.
Vuoi vedere che se Fini non demorde qualcuno gli spara e dà la colpa a Bossi?
Due piccioni con una fava… Via l'insidia ed il ricatto.
“A pensar male si fa peccato ma spesso ci si azzecca”, dice Andreotti, che non è santo della mia religione ma purtroppo è l’unico uomo di stato che sopravvive in questo disgraziato Paese afflitto dalle mezze calzette.
Luciano Seno
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L’UNITA’ on-line 19-10
Se c'è un regime
di Furio Colombo
(…) Un regime c’è quando il potere di governare è strettamente (direttamente) connesso con il potere di comunicare, e perciò coincidono il piano della visibilità quasi esclusiva di chi governa con la capacità di ignorare, oscurare o alterare a piacere l’immagine di chi si oppone.
In questo caso la violenza e l’imposizione fisica non sono più necessarie. La realtà conosciuta e percepita dai cittadini (la gran parte di essa) è quella formata e rappresentata secondo la volontà del potere. Questo aspetto - forgiare l’immagine affinché si forgi la realtà (uso deliberatamente la espressione fascista, forgiare) - era cruciale persino al tempo della forza e della violenza squadrista e militare. (…)
Una dimostrazione della necessità di dominio della realtà attraverso l’imposizione dell’immagine voluta dal potere si ritrova negli atti del convegno di studio sulla aggressione (poi mortale) subita da Giovanni Amendola a Montecatini il 20 luglio 1925.
E’ fondata su un rovesciamento di causa ed effetto: il popolo fascista esasperato, benché guidato con responsabilità e senso dello Stato, non ha potuto tollerare più a lungo la provocazione messa in atto, con la sua presenza nell’albergo di Montecatini dal parlamentare di opposizione.
Ecco un testo giornalistico di quell’Italia, quel giorno: «L’on. Amendola crede possibile starsene tranquillamente a passare le acque in una zona fascistissima, densa di quei fascisti che egli continuamente calunnia, deride, minaccia. Ciò sorpassa ogni limite. Diffama il fascismo e pretende di non suscitarne la collera. Ingiuria i fascisti e pretende di passeggiarci in mezzo». (L’impero, 22 luglio 1925).
Ed ecco la versione ufficiale dell’agenzia Stefani, l’Ansa di allora: «Occorre notare gli incidenti deplorevolissimi occorsi in piena campagna, nonostante gli sforzi compiuti dalla forza pubblica e dai dirigenti del fascismo locale per la tutela del deputato oppositore» (22 luglio 1925).
Controllare tutta la stampa vuol dire che l’aggressione (che non deve più, almeno per ora, avvenire intorno all’albergo perché chi governa possiede e controlla TV e giornali quasi al completo) può continuare sul più grande settimanale politico italiano, proprietà Silvio Berlusconi. E si ripete il gioco del rovesciare il prima e il dopo, vecchia storia dell’agnello che, bevendo a valle, inquina l’acqua del lupo a monte.
Perché? Perché a lui (il Presidende del Consiglio-padrone) va bene così, lo può fare dal momento che ha in mano tutta la stampa e tutta la Tv.
Al centro della pagina dell’editoriale di Panorama questa frase, come sottotitolo e riassunto: «Dire bugie madornali è possibile a patto che la maggioranza dei tuoi lettori non sappia davvero come stanno le cose».
Perfetto. È la descrizione del regime. Come si sarebbe potuto altrimenti aprire 90 telegiornali (per tutta l’estate, su tutte le reti) con un unico lancio: «Nuovi sviluppi nel caso Telekom-Serbia, somme rilevanti sarebbero state pagate a Prodi, Fassino, Dini»?
Per lo spazio che resta provvedono i grandi commentatori liberi e i giornalisti brillanti, e il caso italiano su cui si discuterà nelle scuole di giornalismo di un futuro non imminente, è il seguente: come mai il regime ha potuto ottenere un così vasto silenzio volontario, oltre allo slancio di autoarruolamento di così tante “firme” del giornalismo?
Il perché si vede alla Rai. Gente che lavora in dissenso, o anche un lieve scostarsi, non se lo può permettere. In questa Italia segue il silenzio. Quante altre apparizioni a reti unificate dovrà imporre l’attuale primo ministro perché si levi qualche cauto editoriale di perplessità? Evidentemente i casi esemplari di Biagi, Santoro, De Bortoli hanno funzionato a tutti i livelli.
(…) gettare uno sguardo a giornali e Tv dei Paesi democratici vicini a noi, in Europa. In quei Paesi non c’è conflitto di interessi, chi governa non possiede televisioni e giornali, non c’è esenzione a vita dai processi, non c’è dominio totale dei media e sovrapposizione perfetta tra media e potere. Dunque non c’è un regime.
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REPUBBLICA on-line 19-10
Dario Fo -- allarme censura per la farsa su Berlusconi
Pressioni per non far rappresentare "L'anomalo bicefalo”
di ANNA BANDETTINI
MILANO - Mai come adesso è chiaro che basta solo nominarlo, Berlusconi, per innescare polemiche, turbolenze e perfino paure e censure preventive. È quello che sta succedendo intorno a Dario Fo e Franca Rame e al loro nuovo, ma finora solo annunciato, spettacolo, L'anomalo bicefalo, "favola surreale", come dice Fo, con il presidente del Consiglio messo al centro di una farsa che rifà senza troppi riguardi la storia del suo successo economico e politico. Debutterà il 18 novembre all'Arena del Sole di Bologna (con una prova aperta il 12 a Varallo Sesia) e girerà molte città: Roma, all'Olimpico dal 1° dicembre, Verona dal 17 dicembre, Trieste 15 gennaio, Napoli dal 3 febbraio, e naturalmente Milano dove però, aggiunto dal 6 gennaio nel cartellone già stilato del Piccolo Teatro, sono arrivati i primi problemi. "Amici" e "amici del consiglio di amministrazione" che "consigliano" il teatro a "lasciar perdere" perché "non è aria", perché "si sa, i finanziamenti...": sgradevoli pressioni, insomma, per non far recitare il Nobel e sua moglie a Milano.
Questo almeno è quello che Sergio Escobar, il direttore del Piccolo, dichiara scegliendo come insolita forma di denuncia una lettera al Corriere della Sera. Poco importa se Roberto Ruozi il presidente del consiglio di amministrazione del Piccolo smentisce qualunque genere di pressione e anticipa che affronterà il caso nel prossimo consiglio del 30 ottobre, l'allarme censura scatta. Innanzitutto in alcuni consiglieri del Piccolo, prontamente autodichiaratisi in disaccordo con l'arrivo di "questo Fo" e con l'indebita intromissione della politica nel teatro, fino a proporre di visionare preventivamente il testo prima di dire sì a questa "indesiderata" ospitalità.
"Vedere preventivamente il testo? Ma non esiste" è la pronta risposta di Dario Fo e Franca Rame "La censura in Italia è stata abolita. Il testo non ce lo ha chiesto nemmeno il governo e noi dovremmo darlo ai consiglieri del Piccolo? Ma non si è mai visto. Noi non daremo proprio niente da leggere. Per ora però il Piccolo non ci ha comunicato nulla: abbiamo la bozza di contratto delle nostre recite a gennaio e questo è quanto. È vero che nessuno ci ha ancora detto che non ci daranno il teatro, ma evidentemente è nell'aria. Santoro, Biagi, Luttazzi, Chiambretti... Questo governo vuole imbavagliare la libertà di pensiero e di espressione come non era mai successo nemmeno ai tempi dei democristiani. C'è un preciso tentativo di farci fuori, anche dagli spazi della satira. Almeno una volta come reazione c'erano le interrogazioni parlamentari. Adesso invece le fanno all'incontrario. Ne hanno presentata una per chiedere come mai ci siamo presi questa libertà di andare in giro a parlar di Berlusconi...".
In più di cinquant'anni di teatro di lotta, Dario Fo e Franca Rame ne hanno viste di tutti i colori (censure, denunce, parroci che sbarravano i teatri dove erano programmati), oggi però un'eventuale censura, tanto più preventiva, suona inaccettabile, dicono. "Sarebbe pazzesco se proprio nella nostra città non ci facessero recitare. Sarebbe una fatale idiozia, al punto che ci verrebbe voglia di dire: facciano pure. Sarebbe un tale scandalo internazionale... Come fa uno dei consiglieri, Rosa Giannetta Alberoni, se è una persona di cultura, a dire che la politica non deve entrare in teatro? Ma lo sa che allora bisognerebbe non rappresentare mezza storia del teatro a cominciare da Shakespeare? Come si fa a dire certe cose? Politica è partecipazione alla vita collettiva e secondo lei la politica non dovrebbe entrare in teatro? Roba da pazzi. È che i tirapiedi sono più realisti del re: si preoccupano preventivamente per far piacere a "lui" anche a costo di buttarsi allo sbaraglio".
Già, e "lui" cosa direbbe davanti alla loro commedia? "La nostra è una farsa che spiega in chiave comica come è nato l'impero di Berlusconi. Raccontiamo i fatti salienti della sua storia, dalla P2 in avanti. Come era in Clacson trombette e pernacchie, e Il Fanfani rapito, è satira documentata. E poi nella nostra storia, Berlusca appare buono, diverso. In fondo, gli facciamo un complimento e chissà che vedendosi così, non migliori davvero".
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